Capitolo 5
Non avevo mai fatto sesso in una gattabuia e non avrei mai potuto immaginare nemmeno lontanamente che prima o poi sarebbe successo, ma tutto può accadere d’altronde, no?
Forse in questa schifezza non è proprio il massimo dell’igiene…
Oh, ma chi se ne frega! Sono con un super figo!
E poi quel tipo ci sapeva proprio fare! Chi avrebbe mai detto che nel 1719 gli uomini erano già così esperti? Io no di certo. Ero sicura che la Watson non ci avesse mai parlato delle favolose abilità degli uomini di quel tempo. Se avesse fatto una lezione del genere giuro che sarei stata attenta!
Per un po’ riuscii a dimenticare Brad, concentrandomi soltanto sulle sensazioni da brivido che quel ragazzo riusciva a provocarmi.
Adesso eravamo entrambi stesi sul pavimento freddo di una cella, le gambe intrecciate e la mia testa sul suo petto. Era anche un tipo abbastanza romantico per essere una guardia di quel postaccio.
«Come hai detto che ti chiami?» domandò, spostandomi una ciocca di capelli dalla fronte.
«Non l’ho detto.»
«Io sono Adolph.»
Contrassi il volto in una smorfia. Solo a me ricordava Hitler? Sarà stato anche un figo pazzesco, ma aveva veramente un nome terrificante.
«Dalilah.»
Annuì, sovrappensiero. Lo osservai mentre continuava ad accarezzarmi la testa con movimenti meccanici.
«E dimmi, Dalilah, come ci sei arrivata qui sotto?»
Qui sotto? Cosa intendeva con qui sotto? Non eravamo mica sotto terra! O forse sì?
Questo posto non fa per niente bene alla mia pelle… dannazione. E tutta questa umidità mi farà diventare i capelli come la paglia!
«Oh, è una storia complicata» cercai di aggirare la conversazione.
«Mi hanno detto che hai cercato di rubare delle mele.»
Certo che le notizie corrono in fretta nel 1719…
«Io? Ma quando mai!» mentii, «è stata la mia gemella. Sai, siamo così uguali che ci scambiano sempre. Per colpa sua sono dovuta scappare anche io e adesso io sono innocente e rinchiusa qua dentro, mentre lei è in giro con le sue amate mele.»
Sperai che ci credesse, non solo per le mie ammirevoli doti da attrice, ma anche perché non ricordavo più dove avessi lasciato quel sacco di mele… forse l’avevo lanciato da qualche parte durante la mia fuga, ma non ne ero sicura.
Ci pensò su e poi mi regalò un sorriso da togliere il fiato.
Potrei morire all’istante nelle tue braccia, mio amato Hitler.
Mi aveva creduto. E quindi ne ebbi la conferma: nessuno aveva ritrovato quelle mele, non ancora almeno, e sarei dovuta scappare prima che qualcuno le trovasse o sarebbero stati guai. Guai seri.
La prossima volta, invece di scappare, mi sarei messa a lanciarle addosso alle guardie.
Una mela al giorno toglie il medico di torno! E anche tutti gli altri se le lanci abbastanza forte.
«Vorresti uscire?» chiese tutto d'un fiato.
Probabilmente ci aveva pensato su, prima di propormelo.
«Tipo insieme? Beh, io ti vedo più come una guardia, in più sono fidanzata »
Lui si scostò da me e mi scrutò con gli occhi.
«Io parlavo di lasciarvi libera. Siete fidanzata?!»
Così dicendo si tirò su e fece per alzarsi, ma lo afferrai per un braccio e cercai di assumere la mia migliore espressione amorevole.
È passato a darmi del voi! Brava Dalilah, brava.
«Saró fidanzata, un giorno sarò fidanzata. I miei… ehm… genitori mi organizzeranno un matrimonio… combinato, credo, e io non potrò sottrarmi alla loro decisione»
Lo guardai, non era ancora convinto, quindi aggiunsi anche un teatrale «Oh, povera me!» portandomi il dorso della mano sulla fronte.
L'avevo visto fare in una rappresentazione teatrale di Romeo e Giulietta, magari avrebbe fatto effetto!
Lui scosse la testa e poi, probabilmente, decise di lasciar perdere l’argomento. Si alzò e raccolse delle cose da terra e poi me le lanciò.
Era il mio pigiama rosa con gli orsetti. Come diavolo avevo fatto a sedurlo con quel coso addosso?
«Rivestitevi e seguitemi. Non potete girare per la città con quegli indumenti addosso: siete troppo appariscente e le vostre scarpe saltano subito all’occhio. In più una donna non dovrebbe portare i pantaloni e far vedere le caviglie.»
Aveva appena detto che le mie bellissime pantofole pelose non erano di suo gradimento? E poi che cosa aveva il mio pigiama che non andava? E le mie caviglie?
Decisi di lasciar perdere e mi vestii in fretta. Non sapevo dove mi volesse portare ma potevo ben intuire la fretta che aveva.
Quando fui nuovamente accanto a lui mi afferrò per un braccio e mi riportò nel corridoio principale. Perché aveva assunto nuovamente quell’atteggiamento da guardia?
Provai a liberarmi dalla sua presa, ma lui mi strinse di più a se e mi tirò con sé dietro una porta di legno mangiata dalle tarme.
«Ma che stai facendo, vuoi che ti scoprano?!» tuonò chiudendosi la porta alle spalle.
«Mi stavi facendo male!» mi difesi, strofinandomi la spalla con il palmo della mano.
«Dovevo far finta di starti scortando in cella!»
Ah, ops!
Strinsi le labbra e decisi di fare l’offesa. Volevo le sue scuse per avermi trattata in quel modo, e non mi sarei arresa finché non me le avesse fatte!
Lo udii sbuffare e poi aprire il cassetto cigolante di un mobile basso e in legno. Infilò le mani in mezzo a quelli che dovevano essere abiti e poi estrasse un grumo di stoffa completamente spiegazzato e dai colori così tetri che mia nonna l’avrebbe potuto usare per andare ad un funerale.
Assunsi un’espressione schifata e mi tirai indietro «Non ho intenzione di indossare quello schifo!» squittii fissandolo male.
Intanto Hitler aveva sciolto quell’ammasso di stoffa, che si era rivelato un vestito consumato, e me lo stava porgendo.
Avevo visto un abito del genere solo nella “Bella addormentata nel bosco”, la versione della Disney. Era uguale al primo vestito da lei indossato mentre scorrazzava tra gli alberi, però più brutto e sporco.
«Lo devi indossare, quel colore che porti adesso è troppo appariscente!» mi redarguii lui con voce profonda.
Se mi fossi spogliata avremmo fatto sesso di nuovo?
Magari con la scusa che mi devo cambiare…
Decisi di provarci e mi sfilai i pantaloni di pile rosa e poi la maglia, aspettando una qualche reazione da parte sua.
Ma lui non fece niente, aspettò che io rimanessi solo in mutande e reggiseno e poi mi consegnò quegli stracci puzzolenti.
Sbuffai.
«Almeno posso sapere di chi erano?»
Lui sventolò la mano e poi richiuse il cassetto. La sua spada cigolò a contatto con la cintura e io mi accorsi proprio in quel momento che lui aveva portato un’arma e io non ci avevo ancora fatto caso.
«Li abbiamo tolti ad una ragazza accusata di stregoneria e bruciata sul rogo qualche mese fa.»
Improvvisamente mi parve quasi come se quegli abiti mi stessero stretti. Sentivo pungere e volevo strapparmeli di dosso.
Appartenevano ad una morta!?
«COSA?!» strillai iniziando a slacciare quella specie di corsetto che avevo e che si incrociava sul davanti.
Lui mi fermò prima che io potessi sfilarmelo del tutto.
«Dalilah, fermatevi! Non c’è più tempo, tra un po’ le guardie verranno a cercarmi e io non potrò farmi vedere in vostra compagnia. È ora di andare.»
Incontrai i suoi occhi speranzosi e decisi di stringere i denti e lasciar perdere. Probabilmente quel vestito mi donava di più del mio pigiama rosa.
Infilai le ciabatte e le nascosi sotto la gonna. Quelle non le avrei tolte ne ora ne mai!
«Va bene. Posso avere una sacca dove riporre i miei vecchi vestiti?» chiesi.
Il pigiama di pile mi sarebbe tornato utile: era caldo e lo avrei potuto usare per combattere il freddo. Non lo avrei abbandonato.
Lui sembrò sollevato dalla mia resa e annuì. «Certamente, ma dovete promettermi di non indossarlo più in pubblico.»
Sì, certo, certo.
Si voltò e prese una specie di borsa fatta di jiuta, poi ci infilò i miei vestiti e infine fece scivolare all’interno anche tre monete d’oro.
Chissà quanto valgono in sterline…
Quando ebbe finito mi passò la sacca e mi spinse fuori dalla stanza, controllando prima che il corridoio esterno fosse libero.
Quando fummo entrambi fuori lui mi guidò fino ad una scalinata di pietra che terminava con una botola di legno.
L’aprì e poi mi aiutò ad uscire.
Ero di nuovo all’aria aperta, il fulcro della città si trovava distante da noi, e l’unica struttura che avevamo vicina era una sottospecie di castello fatto male.
Sembrava quello che i bambini fanno con la sabbia quando sono al mare. Veramente brutto e antiestetico.
«Dalilah...» mi chiamò Adolph da dentro la botola.
Mi voltai e incontrai il suo viso bellissimo sotto di me. Mi sarebbe dispiaciuto lasciarlo andare così. Era stato bello passare del tempo in sua compagnia e dovevo ringraziarlo per tutto quello che aveva fatto per me. Probabilmente si stava cacciando nei guai consapevolmente, e tutto per una completa sconosciuta.
Mi chinai per raggiungere il suo viso e poi lasciai che la sua mano afferrasse la mia nuca e la spingesse a sé, intrappolandomi nel nostro ultimo bacio d’addio.
«Spero che tu possa fuggire il prima possibile da questa città, lo dico per il tuo bene.»
Annuii e aspettai che lui si richiudesse la botola sulla testa, ma si fermò e fece un mezzo sorriso mozzafiato.
«E dì alla tua gemella di smetterla di metterti nei guai...»
Lo guardai stranita «Quale gemella?»
Lui rise e lasciò che quel coperchio di legno si chiudesse tra noi due.
••• Angolo Autrici
Ciao ragazzi! Siamo riuscite ad aggiornare ad una settimana di distanza! Cosa ve ne pare del capitolo? Noi siamo sempre molto curiose di leggere i vostri commenti ahahha
Detto questo vi invitiamo a votare il capitolo, se vi è piaciuto, e a lasciare un commento personale ♥
Jen&Dina
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