Capitolo 1
Vi capita mai di svegliarvi in casa di un vostro amico e subire quel momento di amnesia che vi fa chiedere “ma dove mi trovo? Perché sono qui?”
A me, per esempio, era successo al ritorno da una gita di qualche giorno. Mi ero svegliata nuovamente nel mio letto, mi ero guardata intorno e mi ero chiesta che fine avesse fatto la stanza d'albergo del giorno prima.
Di solito sono cose che capitano e che si risolvono in un attimo, no?
E allora perché mi ritrovavo sdraiata sul pavimento di una stanza che chiaramente non era mia? Perché le pareti erano beige e non viola glicine? E dov'era il mio letto, morbido e comodo?
Mi sarebbe sicuramente venuto in mente, bastava aspettare qualche secondo e mi sarei ricordata il motivo.
Aspettai.
Nel frattempo ascoltai i rumori intorno a me e udii le voci di alcune persone sconosciute. Riuscivo a percepire il loro vociare tranquillo, ma non riuscivo a captare le parole precise. Erano solo un rumore sommesso in sottofondo.
Mi alzai e mi guardai intorno. Mi trovavo sul pavimento di una stanza piena di cianfrusaglie, scope di paglia e cestini di vimini. Probabilmente la polvere si poteva raccogliere a palate.
Mi alzai schifata e cercai di non pensare a tutti i ragni intenti a zampettarmi intorno, con i loro occhietti bui e assatanati, e le loro lunghe zampe scure e rivoltanti.
Non ci pensare, Dalilah. Non ci pensare.
Quella stanza non aveva neanche una dannatissima finestra! Ma dove diavolo mi ero andata a cacciare?
Che fossi sonnambula? Oddio, i miei genitori dovevano essere in pensiero!
Mi avviai verso la porta e decisi di uscire da quella situazione imbarazzante.
Avrei spiegato agli sconosciuti lì vicino che ero sonnambula e che ero entrata in casa loro senza volerlo.
Sicuramente avrebbero capito!
Se solo avessi avuto il mio telefono. Sicuramente avrei chiamato mio padre e gli avrei spiegato tutto, chiedendogli di venirmi a prendere il prima possibile.
Voglio dire, ero ancora in pigiama! Non potevo mostrarmi alla luce del sole conciata in quel modo, ero perfino struccata!
Avevo bisogno di tornare a casa. Subito.
Mi ritrovai in un corridoio sospetto. C'era qualcosa nell'arredamento che non mi quadrava.
Forse erano tutti quei quadri alle pareti, oppure le tende pesanti e drappeggiate che coprivano le finestre.
Finestre! Avrei potuto capire dove fossi in quel momento. Probabilmente casa mia non era molto lontano.
Sicuramente ero a casa di uno dei vicini, magari della signora Verdi. Quella vecchia nonnina italiana era fissata con il rinascimento, dovevo per forza essere in casa sua, si sarebbero spiegati anche i busti in marmo qui e lì per il corridoio.
Pensandoci bene, qualche mese prima, la mamma mi aveva detto che la signora Verdi era morta di infarto.
Magari mi sbagliavo, quella vecchia nonnina — nata nel paese della moda e del buon cibo — sarebbe spuntata da un momento all'altro, mi avrebbe detto qualcosa in italiano e poi mi avrebbe chiesto di portare il mio culo fuori da casa sua.
Dovevo solo sperare.
E, accompagnata dalla mia fede nella patria italiana, scesi le scale che mi avrebbero portata al piano inferiore, tra la gente viva e vegeta.
Avrei spiegato loro il problema e loro mi avrebbero mandata a casa senza denunciarmi per violazione di proprietà privata. Semplicissimo!
Mi ritrovai in un ampio atrio con il pavimento di marmo e le pareti dipinte. Era magnifico, sembrava proprio una casa da film. Mancavano le dame di corte e i vestiti con crinolina.
E i principi alti, belli e in calzamaglia. Uno spettacolo per gli occhi.
Mi riscossi dai miei pensieri e provai a seguire le voci che, adesso, mi arrivavano più forti e precise. Riuscivo a distinguere circa tre persone: due uomini e una donna.
Mantenevano un tono tranquillo e continuarono a discorrere di questioni normali. La donna stava parlando di una certa Harriet e del suo fidanzamento ufficiale con un tizio dal nome complicato.
Continuando a seguire i loro mormorii lungo il corridoio buio e ricco di cianfrusaglie, mi ritrovai a spiare i loro discorsi attraverso la tendina che divideva quello spazio ignobile dalla cucina.
Sembravano sconosciuti l’uno all’altro, parlavano con il “lei”, mentre continuavano a discutere di questo ipotetico fidanzamento, a quanto pare molto desiderato dal padre, ma non accettato dalla figlia.
Siamo nel ventunesimo secolo e ancora si creano fidanzamenti combinati? Scioccante.
Dovevo interromperli, non avevo altra scelta. Loro avrebbero sicuramente saputo dirmi cosa fare, come fare, dove fossi e dove andare.
Devono dirmelo, altrimenti li impicco.
Adesso avevo solo un problema: come avrei fatto ad entrare senza risultare una pazza, maniaca, ladra assassina? Sicuramente non avrei dovuto portare con me il bastone appoggiato al muro.
Respira, Dalilah, respira. Puoi farcela. Hai affrontato cose peggiori nella vita, ad esempio la cellulite e le unghie spezzate, ricordi? Ora vai e fatti valere.
Afferrai con i polpastrelli l’estremità della tendina e la scostai bruscamente. Tutti i presenti si ammutolirono e si voltarono a fissarmi.
Sapevo che avrei avuto bisogno del trucco.
Mi fissavano vacui, come se fossi stata un’aliena. Beh, forse ero davvero un’aliena per loro. Soprattutto da struccata.
Ma come si erano vestiti? Sembravano i membri di una compagnia teatrale.
La donna aveva un’inguardabile gonna
«E tu chi sei?» domandò la donna, senza muoversi nemmeno di un millimetro.
L’uomo al suo fianco le posò una mano sul petto, spingendola indietro.
Non avevo mica la peste, io!
«Buongiorno, innanzitutto» esordii. L’educazione avrebbe nascosto il fatto che fossi solo un'estranea intrufolatasi in casa loro.
«Mi sono persa, sono sonnambula, almeno credo, e non so come mi sono risvegliata nel vostro stanzino. Sapreste dirmi dove mi trovo?»
Tutta quella schiettezza li aveva sicuramente frastornati, date le loro occhiate confuse, ma io avevo bisogno di spiegazioni, e subito.
«Sei una strega?» domandò uno di loro.
Certo, ho lasciato la scopa parcheggiata in garage! No, caro, mi dispiace, ma non sono la famosissima Bonnie Bennett che vaga per le strade di Mystic Falls. Ritenta.
«No» risposi spazientita. Volevo i miei trucchi, il mio cellulare e soprattutto il mio principe azzurro.
Brad avrebbe sentito la mia mancanza!
«Sono una povera adolescente in crisi ormonale che vorrebbe tornare a casa per strozzare una francese ed evitare che le rubi il ragazzo. Ora, per favore, può dirmi dove mi trovo?»
Vidi la mascella del più anziano indurirsi e il suo volto colorarsi di rosso. Era ovvio che l’ira stesse prendendo il sopravvento, ma perché? Ero stata gentilissima!
«Fuori da casa mia! Non può permettersi di trattarmi così davanti alla mia famiglia. Fuori!»
«Ma voi usate il “lei” in famiglia?» chiesi stupita, lasciando perdere le proteste di quel signore.
Sul serio, avevano bisogno di uscire un po’ e capire da quale parte girasse il mondo.
«Ho detto fuori!» urlò ad un volume così alto che credetti che i miei timpani sarebbero scoppiati all’istante, come un palloncino.
Wow, come aveva fatto a raggiungere una nota così alta?
«Va bene, va bene! Almeno mi lasci recuperare le mie pantofole. Si faccia una tisana!» replicai, scocciata, tornando nella stanza piena di ragnatele, afferrando le scarpe lasciate accanto al letto e ripulendole da quegli schifosissimi ragni che pensavano di poter costruire la loro casa all’interno.
E no, creature di satana, fuori dai piedi.
Calzai le ciabatte e mi avviai all’ingresso, almeno non avrei più rivisto quell’orribile casa.
Non aspettai nemmeno che qualcuno mi venisse ad aprire. Afferrai la maniglia e uscii, lasciando la porta aperta. Magari qualche ratto sarebbe andato a fare compagnia a quegli orribili insettini pelosi, o magari sarebbe entrato qualche cane randagio e avrebbe messo a soqquadro quella topaia. Non male, come idea.
Mi guardai intorno. Gli alberi carichi di limoni, arance e fiori di pesco che circondavano il vialetto principale erano fin troppo familiari. Anche la vecchia altalena posta a un lato del giardino mi sembrava di averla già vista. Guardai in sù. Il cielo ancora luminoso e allegro, lo stesso cielo sotto cui, da qualche parte, non molto lontano da me, si trovavano i miei genitori, Carla, Brad e quella stupida mangia-baguette infoiata.
Ero quasi arrivata al termine di quel lunghissimo viale, quando la voce di una donna mi riscosse dai miei pensieri.
«Ragazza, aspetta!»
Mi voltai. Cosa voleva ancora quella signora da me? Forse voleva solo assicurarsi che non fossi la versione reincarnata di Bonnie Bennett.
«A differenza di quello che pensano mio marito e mio fratello, io ti credo. Ma non ho molto tempo. Cosa vuoi sapere?»
Menomale! Almeno una persona dalla mia parte.
«Vorrei sapere dove mi trovo e come posso fare per tornare a Londra, signora.»
Lei mi guardò di sottecchi, con aria pensierosa.
«Ma tu sei a Londra, mia cara.»
La guardai sconcertata. Ero a Londra? Non mi sembrava che quell’architettura così cupa fosse presente nella mia città, non ne avevo mai visto nemmeno un esempio.
«Mi può dire l’indirizzo esatto a cui mi trovo, per favore?»
«Beacon Hill 35»
I miei occhi si spalancarono, la mente cominciò ad annebbiarsi. Tutto sembrava acquistare forma e al contempo perderla.
Ecco perché quel posto mi era sembrato così familiare.
L’altalena in un angolo del giardino, gli alberi lungo il viale, il verde, la natura.
«Stai bene, cara?» domandò la donna, mentre io mi accasciai sul prato. Qualcosa dentro di me si era spezzato. Cosa stava succedendo?
Ignorai prontamente la sua domanda.
«Mi può dire che giorno è? Anche l’anno, se non le dispiace.»
«21 Aprile 1719. Ma perchè mi fai queste domande? Hai forse perso la memoria?»
Mi guardai intorno, ancora una volta.
Mi stava prendendo in giro?!
Tutto quel verde, l’arredamento di quell’abitazione, le praterie che avevo avvistato dalla finestra quella mattina, l’archittettura tardo romana, quasi gotica. Tutto tornava, tranne una cosa: come ci ero finita io nel 1719?
Oh, Brad. Dove sei, Brad?
«La ringrazio» sussurrai. Non diedi neppure un ultimo sguardo alla mia casa, tanto non era effettivamente mia, non ancora almeno.
Infilai la mano nella tasca del pantalone del pigiama e toccai qualcosa di freddo. Lo estrassi.
L’amuleto che avevo rubato il giorno prima con Carla era ancora lì e mi perseguitava.
Lo ricacciai in tasca e mi incamminai verso quelle strade semi sconosciute del Settecento, alla ricerca di qualcosa di decente da indossare. Una volta raggiunto questo obiettivo, avrei ragionato su come procedere per tornare a casa, perché io dovevo tornare a casa.
Avevo bisogno di una birra...
Angolo autrici
Il nostro ritardo è imperdonabile, lo sappiamo, ma Jenna è impegnata con la maturità ed io mi sono presa una pausa estiva. Chiediamo scusa a tutti voi e speriamo che questo capitolo abbia ripagato la nostra assenza.
Un abbraccio,
Jen e Dina
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