Riccione, 18/04/2018 ore 18:38
Valli che fanno da passo ovattato alle cime brulle che a loro volta si dispiegano in piccoli terrazzamenti. È questo è quello che ci circonda, mentre dall'altra parte il blu cobalto del mare ci abbraccia. E poi c'è quel rumore, le ruote del treno sulle rotaie, che non smettono di girare e girare, ma non sembra essere un rumore fastidioso come all'inizio, anzi, ora è diventato un flusso continuo e irrefrenabile di voci, emozioni e pensieri, un sottofondo per il nostro lungo viaggio. In tutto questo non posso non ammirare - sempre che una coscienza possa avere degli occhi - il germoglio di primavera che avanza negli occhi di Annarita, un po' meno spaventata da quando il nostro viaggio ha preso piede. Sembra più alleggerita dei suoi pochi anni di vita. Ma è qui che l'emozione travolge anche me.
Inizialmente non l'avevo riconosciuto, ma ora riesco a visualizzare benissimo di cosa si tratta: è un piccolo barlume di speranza ad illuminarle il viso (che lei definirebbe cadaverico). È un sorriso sincero che inizia a dipanarsi sul suo volto.
Un volto dal pallore vitale.
Sì, una metafora che calza a pennello.
Sembra quasi che sia tornata bambina: non la smette di disegnare! Il tratto è leggero, delicato, nonostante i disegni non siano altro che forme geometriche, sono tutti cubi; qualcuno è più grande, qualcun altro somiglia sempre più ad un parallelepipedo, altri ancora sembrano dei mattoncini Lego, altri ancora somigliano più a delle figure impossibili.
Avete finito di parlare di me? Chiedo per un'amica coscienza eh...
No, mia cara. Sei l'attrazione principale ora in questo scompartimento; e poi non rovinare il divertimento, sto cercando di capire cosa si celi dietro le tue figure impossibili.
Impossibili da realizzare ma non da disegnare, Carolina.
Touchè.
Evviva! Finalmente una volta che mi dai ragione!
Ehm...
Sì, lo so cosa stai pensando: una pazza che esulta perché la sua coscienza le dà ragione; sono piccole, rare soddisfazioni.
...
Silenzio assenso, Carolì; per una volta fidati di me, sto bene.
Lo so, sembri quasi divertita.
Lo credi?
Assolutamente sì! È quasi come se avessi ritrovato il gusto per il bello che ti circonda. E credo che sia stata proprio questa tua caratteristica che è stata taciuta per tanto, troppo tempo.
Siamo in arrivo a Riccione con un ritardo previsto di sessanta minuti. Ci scusiamo per il disagio. We're now arriving in Riccione. The train is sixty minutes delay. We apologize for the inconvenience.
Un'ora hanno detto... comincio a pensare che quando arriverò anche io sarò visibilmente invecchiata, forse decrepita.
Non essere sempre così sarcastica, Annarita, abbi un minimo di rispetto !
Non ho mai smesso di essere sarcastica, sappilo.
Eppure pensavo ad una cosa, guardando con i tuoi occhi questo piccolo scompartimento; pensavo a quanto noi siamo così poi così piccoli, così... insignificanti. Sembriamo tanti piccoli disegni di qualcuno che osserva dall'alto.
Ma che cosa stai dicendo? Ora inizi a vaneggiare anche tu?
- Carolina ha ragione, mia amica; ogni tanto bisogna guardarci dall'alto per capire dove siamo. - dice il mio amico ad alta voce, rimanendo a braccia conserte.
Sorrido, non trovando per nulla strano che ci sia del dialogo direttamente tra il Trainer e la mia coscienza. Gli rivolgo la parola:
- Sai, credevo di averla persa.
- Cosa? - risponde il mio amico.
- La mia creatività; era troppo tempo che non disegnavo, che non dedicavo il giusto tempo e la giusta attenzione agli oggetti che mi circondano, anche quelli più semplici. - dico mentre mi alzo dal sedile e mi accovaccio a terra, incrociando le gambe, proprio davanti allo spazio sotto al reggimani del corridoio.
Poi ascolto.
Cosa ascolti?
Il rumore di cui parlavi prima, il trascinarsi del tempo, l'andare del treno. Mi sembra una posizione privilegiata questa, un biglietto in prima fila solo per fissare quel piccolo spazio bianco, tra il colore sbiadito del pomeriggio. Sembra carta di caramella quel filo di luce giallastra che filtra al tramonto.
Che cosa fai, fissando quello spazio bianco, Annarita?
Non ho ancora trovato le parole giuste, bianconiglio.
Non si tratterà di un... esame di coscienza?
No. E comunque non era una battuta che faceva ridere, Caroli'.
Uffa.
Cambio la mia domanda. Che cosa fai fissando il tempo?
Fissando il tempo... non so se questo sia possibile, eppure mi sta balenando in testa un'immagine che potrebbe rendere l'idea.
Non avere paura di comunicarla.
Se utilizzassi quello spazio bianco come tela di proiezione di una pellicola inizierei a visualizzare tutto quello che ho fatto negli ultimi cinque anni della mia vita.
E cosa hai fatto?
Ho chiuso i rapporti con il mio passato e con molte persone che ne facevano parte, ho scrollato un po' troppo la mia vita, un po' come si fa con gli ulivi in autunno. Forse, dopo questo, mi sento pronta a ripartire.
Forse.
- Quale posto migliore di un treno in corsa per ripartire, Annarita? - sibila di sottecchi il mio amico, mentre dal taschino estrae ancora una volta il suo orologio, aprendo e chiudendo lo sportellino in maniera quasi psicastenica.
Tic... toc...
I ticchettii si incalzano scandendo lo scorrere del tempo che sembra essersi ibernato nello scompartimento.
... ma che succede?
Succede che stavolta sarà più dura.
Annarita si ferma, poggia la matita sul vellutino del sedile accanto. Il suo sguardo è proiettato verso il finestrino, verso il suo riflesso. E lì nota qualcosa che non dovrebbe esserci, trasparente nel vetro: un terzo volto. È il volto di un uomo dalla stazza enorme che, con molta forza, fa scivolare via la porta scorrevole dell'ingresso dello scompartimento e poggia con veemenza il suo borsone sulla rastrelliera. Diverse rughe solcano il suo volto, così come diversi tatuaggi ben evidenti su tutto il braccio destro. Alcuni raffigurano animali dalla bocca spalancata, altri delle scritte apparentemente incomprensibili. La sua stazza parla per sé: un enorme armadio di muscoli.
Lo sguardo distaccato dell'uomo porta Annarita a ricomporsi, come se, solo incrociare il suo sguardo sia qualcosa di terribilmente sbagliato. Il timore pervade anche me quando l'uomo si frappone tra Annarita e il Trainer rimanendo in piedi per qualche secondo. Fissa i due con una velata aria di minaccia.
- Quello è il mio posto. - sentenzia senza mezzi termini.
Deglutisco e razionalizzo. Non può essere il suo posto, è il mio perché l'ho letto sul biglietto che difficilmente dimenticherò.
- Mi spiace deluderla, ma questo è il mio posto. Ci sono altri quattro sedili vuoti, se vuole. - replico con una pacatezza che non mi appartiene.
- Non lo ripeterò ancora una volta, quello è il mio posto. Si tolga da lì o chiamo il controllore.
Il controllore no, per carità, l'abbiamo incontrato troppe volte oggi.
Il fatto è che questa prepotenza mi fa scricchiolare le ovaie, anche se devo ammetterlo, piuttosto che incontrare ancora una volta il controllore mi siedo in un altro posto. Così mi alzo, senza replicare, senza opporre resistenza. Un po' mi sento violata nel mio orgoglio - e probabilmente non solo in quello.
In tutto questo il mio amico socchiude gli occhi, si poggia con entrambe le mani al bastone che ha davanti a sé mentre il silenzio cala nuovamente nello scompartimento mentre un aria sempre più greve permea le nostre narici. La luce biancastra del neon nella carrozza ora prevale su tutto il resto, illuminando totalmente il viso scavato dell'energumeno che, per giunta, inizia a borbottare.
- Già un'ora di ritardo... da quanto tempo ve lo portate dietro? - chiede l'uomo.
E tu da quanto tempo ti porti dietro il tuo di ritardo?
Annarita! Non faceva ridere, non era per niente di buon gusto!
Carolina, se vuoi farti mettere i piedi in testa da chi si prende le cose con la violenza e la prepotenza sei più che benvenuta a lasciare questo corpo. Altrimenti qui devi sottostare alle mie regole, sono io che decido.
E non è forse prepotenza anche questa?
Ah allora ci sei anche tu. Non fare finta di non aver visto, ora parla con lui perché io non ci tengo per niente.
- Sì, abbiamo alcuni minuti di ritardo, non ne conosciamo il motivo, - risponde con pacatezza il Trainer.
- Io non capisco, ogni volta che devo prendere un treno arriva sempre in ritardo. E, guarda caso, sono sempre treni che vengono dal sud. Chissà che succede al sud per portare tanto ritardo...
Me l'aspettavo una frase del genere, perfettamente in linea con il personaggio. Se avessi solo la metà della sua forza giuro che lo prenderei a sberle o anche peggio. Ma no, io sono una donna, devo stare al mio posto, non mi è permesso fare certe cose, vero bianconiglio?
- Che poi questi ritardi sono iniziati a verificarsi solo nel dopoguerra, prima non era così. Me lo diceva mio nonno e penso che anche voi vi ricorderete, signore. - dice con tono sempre più cupo rivolgendosi esclusivamente al mio amico.
Sono felice che mi stia ignorando, ma Dio, ti prego, ti prego, non lo sta dicendo davvero, non lo sta per dire, dimmi che non lo sta per dire...
- Si stava meglio quando si stava peggio... almeno con lui i treni arrivavano in orario, c'era ordine e disciplina.
ECCO, L'HA DETTO.
Già.
- Ora qui con questi giovani che si tatuano le pistole sulla fronte oramai non si capisce più nulla.
E tu vorresti dirmi che ora dobbiamo proseguire il viaggio insieme a questo... individuo? E mi sto sforzando di chiamarlo tale.
Perché?
Perché non può essere nient'altro che un essere schifoso, insulso e infame. Io li prenderei e li sterminerei tutti quelli che la pensano così, uno per uno. La violenza, la prepotenza e il fascismo non hanno portato nulla di buono, quello che si sente dire sulle presunte bontà di quel periodo sono semplicemente delle favole o dei miti di cui ora ne sentiamo la "mancanza", nulla più.
Quindi anche tu li stermineresti tutti?
Certo. Cosa mai può venire di buono da una persona del genere?
Nulla, vero?
Vuoi dirmi che non è così? Non provarci perché saresti in torto marcio.
Allora ancora non hai imparato che io non argomento a parole, ma con i fatti. In tanti anni di viaggi in treno ho scoperto che il giudizio è quasi sempre fonte di errore se non si hanno le premesse necessarie.
Quindi cosa intendi fare? Giocare di nuovo all'entrare nella vita della gente e mostrarmi che in realtà l'apparenza inganna?
Qualcosa del genere.
E detto ciò il mio amico mi prende la mano destra, con naturalezza e delicatezza; la sua pelle, ora grinzosa e piena di macchie color sughero, sa di antico, di futuro e di passato. Un intenso schiocco di dita e riapro gli occhi.
È tutto nero, oscuro. Riesco a percepire flebili urla ovattate sopra la mia testa, ma non vedo nessuno, non vedo nemmeno il Trainer. Non riesco a sentire la sua voce grave dalle striature acide che avvolge la mia testa.
Inizio ad avere paura.
C'è solo una piccola e fioca luce che si distingue in questo marasma. Non sento nulla. Una forte sensazione di morte pervade le mie tempie quando le pupille si adattano all'ambiente circostante.
No, non sono morta.
Sono in un fondale marino.
E accanto a me corpi di uomini.
Morti.
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