Milano 16/04/2018, ore 22:57
Ansia ansia ansia. Dio, ti prego, fa che non mi veda.
Non deve vedermi, non deve vedermi, non deve assolutamente vedermi... magari, ecco, se mi giro un po' così, dandogli le spalle e se rimango con gli occhi incollati al telefono...
Ma perché ogni volta che lo vedi devi agitarti in questa maniera? Rilassati, respira, non vorrai dare spettacolo e dare luogo ad un altro attacco di panico davanti a tutti? E' una persona come tutte le altre, se dovessi incontrare il suo sguardo ti limiterai a salutarlo con un semplice "ciao", non aspettare che ti risponda e poi fila dritta dentro il treno.
Sì, ma io vorrei sapere quante probabilità avevo di incontrarlo qui a quest'ora? A volte penso che Dio o chi per lui si diverta a giocare con la mia vita. E ci prova anche un gusto malvagiamente sadico.
Sarà perché anche io da piccola ero un po' sadica quando con il temperino preferivo sfregiare i miei "amichetti" piuttosto che temperare le matite e i pastelli. Pensate che ho anche giocato a fare il barbiere...immaginate il risultato.
Touché.
In ogni caso se rimango così non dovrebbe vedermi, se non fosse che il trolley che avevo appoggiato al palo decide di cadere, nonostante sia leggerissimo e facendo crepare la plastica del manico da cui lo tenevo.
Fortuna. Ci vuole abilità.
Ma qui sorpresa, mentre mi chino incontro invece la mano di un ragazzo che stava sollevando il mio trolley da terra.
Carlo?
Eh no, vi sarebbe piaciuto.
In realtà non ho idea di chi sia, credo che non lo scoprirò mai. Eppure ho ancora stampato nella mente il suo volto e il suo gesto. Non capita spesso che qualcuno che non conosco faccia qualcosa di gentile per me.
Meglio, non capita mai. Ho sempre il sospetto che dietro si nasconda qualche secondo fine. Ed è sempre così.
Annarita rimane per un secondo a riflettere, guardando il pavimento. Un bel respiro e poi inizia a descrivere, agitando gli indici, come a voler disegnare nell'aria le fattezze di questo ragazzo.
Non prendetemi per una paranoica ragazza Tumblr o simili, ma cazzo, questo tipo è davvero bello. Ha un fascino che definirei magnetico, un volto levigato, senza la minima imperfezione. Da questo emerge un insolito sorriso radioso sul suo volto, direi pericolosamente contagioso e occhi turchini che si specchiano nel limpido cielo mattutino.
I denti poi...bianchissimi. Sì, un po' quelli perfetti che vedete nelle pubblicità.
Il mio dio greco.
Merda, stavo morendo, sicuramente ero già arrossita, con la stupida carnagione chiara che mi ritrovo l'avrebbe notato; gli avrei detto "prendimi, ora". Ma Carolina mi ha fermato in tempo...forse la dovrei ringraziare.
Già. Sarebbe il caso.
Sta di fatto che si china a terra e con un gesto del tutto naturale solleva il trolley, quando nessuno gliel'ha chiesto. Poi me lo porge in mano.
Voi cosa avreste fatto?
Io lì per lì sono rimasta un tantino spiazzata. E onestamente sento anche un po' in colpa di come mi sono comportata. Sono rimasta a fissarlo per qualche secondo, il giusto tempo che il suo viso si imprimesse nella mia mente. Poi nulla. Ha continuato a sorridere ed è tornato sui suoi passi, uscendo dalla stazione.
Un "grazie" potevi dirlo però. Non dico che avresti dovuto chiedergli il numero...
Io non faccio queste cose. Non chiedo i numeri alle persone.
Ma avresti voluto farlo. Ammettilo.
Comunque non ho ancora capito da dove fosse sbucato. Non credo in questi incontri casuali da film e cose come "era destino che lo incontrassi" e altre cazzate varie, ma ragazzi, vi giuro, sono rimasta a fissargli il culo per almeno...non so...una vita?
Se lo vuoi sapere sono stati sessanta secondi, cara mia.
In ogni caso, mentre osservo il tipo andare via, riprendo in mano il trolley. Stavolta lo tengo ben stretto.
Intanto il treno è arrivato, muovendo un po' l'aria intorno a me, quando sento picchiettarmi tre volte alla spalla sinistra.
Carlo?
Purtroppo.
Evidentemente deve avermi visto mentre osservavo il tipo. Sarò sembrata un'adolescente in preda ad una crisi ormonale.
Già, quanto tempo è che non lo fai?
Carolina, non è il momento...
Allora, create nella vostra mente questa scena, lui che mi picchietta sulla spalla, io che mi preparo psicologicamente, ho pochi secondi, non mi volto subito, ancora un bel respiro e con uno sforzo enorme tiro fuori il sorriso più falso che abbia mai fatto in vita mia e sbattendo un bel po' di volte le palpebre mi volto e gli faccio:
– Oddio! Carlo! Ma sei proprio tu! Da quanto tempo! Ma che bella sorpresa vederti!
Non gli lascio nemmeno il tempo di rispondere, mi fiondo al suo collo stringendolo con una mano e dandogli due piccoli baci sulle guance.
– Ehm...ciao? – mi risponde tirando fuori le mani dalle tasche del jeans.
Guarda che gli uomini fraintendono. Non stringerlo troppo.
Cerco di mantenere il sorriso a centoventotto denti. Guardo con la coda dell'occhio il treno fermarsi e proprio alla mia sinistra si stanno per aprire le porte automatiche. Posso farcela a fuggire da questa situazione di merda, magari usando la mia solita tattica.
Ossia?
Fare un terremoto di domande.
Un' ottima tattica... per farti prendere per pazza.
Pazza già lo sono.
– Ma cosa ci fai qui? Hai già finito di lavorare o continui a studiare? Perché poi non mi hai più chiamata? Ti avevo mandato qualche messaggio la settimana scorsa, almeno potevamo vederci una sera di queste, per riappacificare le cose...e Marika come sta? Stai ancora con lei, vero?
– Ehm...sì, sto ancora con Marika, almeno, così credo. Ma tu, piuttosto, che stai facendo? Parti?– mi risponde lui.
No. Mi metto in stazione a vedere la gente che passa con un trolley rosa del cazzo a contare quanti treni passano durante la giornata.
Calma...
Sì, ma io la gente non la capisco. Ma è tremendamente stupida la domanda! Ho una valigia e sono in stazione. Mi pare ovvio che io stia partendo.
Respiro controllato numero tre. Gli rispondo:
– Oh, sì, devo andare a Milano per un colloquio di lavoro – gli dico senza aggiungere dettagli a cui falsamente si fingerà interessato. E poi non voglio indugiare oltre, faccio qualche passo in avanti e, a porte aperte, entro nella carrozza, trascinandomi non senza difficoltà il trolley, prendendolo dall'unico manico ancora sano.
– Ah, benone. Io sto per iniziare il dottorato all'università, hanno accettato la mia domanda. Sto andando a Bari ad incontrare il professore con cui ho scritto la tesi...– mi dice mentre sale anche lui sul treno.
Devo liberarmene.
Entrando nel treno la scena che si palesa davanti è un ammasso indefinito di gente che fatica a respirare: la carrozza è strapiena. Questo trenino è quel tipo di treno sfigato che i poveri pendolari e lavoratori che non hanno un'auto propria sono costretti a prendere.
Una tortura: la puzza di umanità che si sente trasudare da ogni dove, perfino dalle pareti del treno, i disagi dei ritardi, le frenate brusche ogni cinque minuti. Poi c'è sempre gente. Gente che ha troppa fretta di vivere. Gente appollaiata ai sostegni, gente seduta e se ci fosse spazio qualcuno verrebbe sistemato anche sul tettuccio. Per fortuna c'è una ragazza che sta scendendo, lasciando un unico posto vuoto a sedere. La tua salvezza. La nostra salvezza.
Forse per una volta ho avuto fortuna anche io. Vedo il posto vuoto e mi ci catapulto non guardando in faccia a nessuno. Anziani, bambini, donne incinte; non me ne frega assolutamente niente. Quella è la mia sola occasione per non vedere più Carlo, sarà costretto ad andare in un altra carrozza.
Mi siedo portando il trolley all'altezza delle ginocchia e sistemandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, poi mi volto e guardo Carlo.
Gli faccio spallucce, continuando a sorridere, mentre lo vedo andare verso la testa del treno, camminando tra le carrozze. Ce l'avevo fatta.
Qui sei stata un po' malvagia...
La cosa importante è stata liberarsi di Carlo. Guardate, se avessi la capacità di sputarmi in un occhio da sola l'avrei già fatto per il mio comportamento. Sono una falsa. Punto. Avrei voluto dirgli tutto il tempo che ho soffocato le lacrime sul cuscino a causa sua, tutta la sofferenza che ho ancora dentro ma che non riesco a buttare fuori. Però non l'ho fatto. Non riesco mai a farlo.
Perché?
Silenzio, cala il sipario.
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