Civitanova Marche-Montegranaro, 16/04/2018 ore 16:43
- Stai bene?
- Sì, sono un disastro, scusami. - mi rivolgo alla ragazzina dai capelli verdi, mentre l'altro uomo e Marco continuano a guardare il taccuino aperto e a far finta di essere utili, pur rimanendo seduti.
La cosa mi dà particolarmente noia.
Annarita arriccia le labbra e si sofferma guardando i lineamenti della ragazza. Non ha avuto un attimo di esitazione: si è lanciata come una mamma farebbe con un proprio figlio, nonostante l'evidente differenza d'età.
Sembra davvero gentile, sia nel volto che con i gesti, potrebbe iniziare a piacermi come compagna di viaggio; mi porge in mano il pacchetto di fazzoletti e gli assorbenti che sono caduti dalla tasca del trolley. Evito lo sguardo degli altri passeggeri, voglio solo rimettere le mie cose in ordine.
Voglio rimettere in ordine la mia vita.
Vuoi rimettere in ordine la tua vita.
Non so se questo viaggio mi stia aiutando, ma c'è una cosa più importante da fare ora piuttosto che pensare: chiudere il taccuino.
Sì, chiuderlo violentemente, per poi prenderlo con la punta delle dita, come se fosse qualcosa di sporco, di orripilante e posarlo con forza sul sedile; sarà l'ultima cosa che rimetterò in valigia. Poi, con calma quasi maniacale, infilo una dopo l'altra, le penne che erano cadute, il pacchetto di fazzoletti e gli assorbenti. Chiudo la cerniera forzando forse un po' troppo la zip.
Dallo specchio vedo la ragazza accomodarsi al suo posto, sorridendo solo da un angolo della bocca. Anche io faccio altrettanto, mi siedo accanto al mio bianconiglio.
Siamo nuovamente in cinque nello scompartimento, Marco, io, il bianconiglio o come vuole farsi chiamare lui, la ragazza e l'uomo che l'accompagna.
Non posso fare a meno di osservare quella ragazzina. Mi piace quel verde acceso, sui suoi capelli corti. Mi rimanda indietro alla mia adolescenza, alle ribellioni con mia madre.
La ragazza scosta un piccolissimo ciuffo con un rapido movimento della mano sinistra e portandolo dietro l'orecchio destro, un gesto così abituale e automatico per mettere sempre più in evidenza il proprio volto, per far sì che non ci sia niente che non vada nella propria immagine. Cerca di trattenere uno sbadiglio ma non ci riesce, tiene lo sguardo fisso sul tavolino estraibile. Ora lo apre, tira fuori un tablet. Anzi, no, è un ebook reader.
Muove le labbra, sussurra qualcosa mentre qualche colpo di tosse più marcato inizia a spezzare il silenzio della carrozza.
Sussurra ancora, poi di colpo si blocca, come fosse incantata dal panorama e dalle colline alberate che circondano le rotaie mentre un falco saluta il nostro passaggio.
Un'ombra si sta facendo largo all'ingresso del nostro scompartimento, c'è un uomo che sta entrando.
Merda, è il controllore... e io non ho ancora il biglietto!
Calma, Annarita, non è il controllore. È un uomo di colore. Sta distribuendo dei bigliettini scritti su pezzi di cartone. La scritta dice:
"Scusate per il disturbo, vi preghiamo di aiutare questo bambino che vive senza un polmone; Dio benedica voi e la vostra famiglia. Grazie per la vostra buona offerta. Buona fortuna. Vi preghiamo di dare il biglietto indietro".
Ah ecco, era lui che il controllore stava cercando.
Penso proprio di sì. Infatti esce subito, senza salutare e lasciando tutti i passeggeri un po' perplessi. Un piccolo sussulto, pare un singhiozzo appena udibile da parte della ragazzina con i capelli verdi ed ecco che, come se nulla fosse, riprende repentina a sussurrare, facendosi quasi colpa del fatto di essersi distratta. Ma la cosa che attrae maggiormente Annarita sono i suoi lisci capelli verdi mentre nell'intero scompartimento si può sentire solo il ticchettio della pioggia sui vetri dei finestrini.
Un po' di silenzio, dopotutto, non è poi così male.
A dirla tutta non ho mai voluto tingere i miei capelli, la trovo una cosa troppo appariscente sul mio corpo, non fa per me. Già il mondo continua a darmi addosso, figuriamoci se iniziassi a farmi notare.
Oramai ti hanno notata tutti in questo scompartimento.
Ma anche in tutto il treno, manca solo che il controllore mi inviti ad uscire a cena, sempre che alla sua età si ricordi come si fa.
Bleah!
A proposito di memoria, non starai dimenticando qualcosa?
Non iniziare con indovinelli, dimmelo subito che ho poca voglia di stare ai tuoi giochetti.
Voltati verso il sedile vuoto alla tua destra.
Oh, il taccuino. È ancora qui.
"Sarà l'ultima cosa che metterò in valigia."
È una questione di principio, Carolina. Non voglio leggermi, non posso. Guardare chi ero mi fa sentire sempre inadatta, incompleta, inutile. Faccio un enorme sforzo nel cancellare la mia memoria, i miei fallimenti e le mie inadempienze ad ogni richiesta da chi pretende troppo da me.
Non capisco cosa vuoi dire.
Te lo spiego meglio: quando si è felici, quando con il fidanzato tutto è splendido, quando il mondo sembra girare dalla parte giusta e quando la vita sembra sorriderti non viene in mente di tenere un diario. In fondo te la spassi e te la godi quando succedono queste cose.
Un diario inizi a scriverlo quando iniziano a farsi avanti queste nuvole grigie che stanno facendo piovere su di me e su questo treno. Un diario inizi a scriverlo quando le cose iniziano a mettersi di traverso, quando Francesco ha iniziato a star male, quando io ho capito che non stavo concludendo nulla della mia vita, quando le mie relazioni hanno iniziato ad essere troppo tese, come le corde di un ponte troppo vecchio per essere attraversato. A quel punto non rimane altro da fare che tagliare quelle corde.
Guardare quel taccuino, quel diario o come vuoi chiamarlo, fa male, come se ogni volta dovessi tagliare quelle corde e vedere il ponte crollare.
Rimane il fatto che quel taccuino non lo vediamo da anni noi due; di certo non sono stata io a metterlo in valigia e neppure tu.
Deve averlo messo mia madre o mia sorella, pensando di fare un gesto carino. Non devono toccare le mie cose, nessuno può farlo.
Eppure la ragazza dai capelli verdi ha toccato gli assorbenti, i fazzoletti, la cancelleria che ti sei portata dietro, etc...
Mi ha solo aiutato, non credo sia il tipo da ficcare il naso nelle faccende altrui come qualcun altro si diverte a fare in questa carrozza.
Era una frecciatina?
Tu che dici? Continui ad evitare le mie domande, sparisci e riappari quando desideri e non ti degni nemmeno di presentarti, con la scusa dei tuoi "viaggi magici" o come vogliamo chiamarli.
Non è importante che tu sappia il mio nome, quello che conta è che tu riesca a vedere oltre gli ostacoli che ti si pongono davanti.
Altro pippotto morale inutile.
E quando l'occhio incontra degli ostacoli è come se riuscisse a percepire maggiormente lo spazio che c'è dietro a quegli ostacoli, la profondità dell'ambiente in cui si trova.
Vuoi dirmi che gli ostacoli non sono delle difficoltà ma che bellamente arricchiscono il "paesaggio"?
Non proprio. Ci sono molti modi di superare le difficoltà, quello che ti sto facendo vedere è come la gente possa sfruttare le difficoltà come pedana di lancio per affrontare la vita.
Quindi è questo quello che fai: cercare di abbindolare la gente con una o due perle di saggezza, mostrare loro come si affrontano le difficoltà e poi svignartela sapendo di passare come "il santone del giorno"? Ecco risolto il mistero! Tutti eventi tragici e che hanno un lieto fine, la donna che fa un incidente, il padre con il figlio che giocano insieme e la signora che nonostante la sua età continua a cercare sempre di più dalla vita.
Allora?
Non rispondi?
Vedi che ho ragione!
Forse dovevi mantenerti un po' più bassa, la stai sparando un po' troppo grossa, Annarita.
Lo sto provocando di proposito.
No, è che ancora non riesci a centrare il punto della questione continuando a fare delle domande sbagliate.
E allora, signor genio, inizia a farle tu le domande giuste.
Perché ti ho incontrata su di un treno?
Uhm.
Perché sono fuori di testa e tutto questo è un sogno?
No, cara Annarita. Perché un treno ha un lungo tratto per entrare e uscire dalla storia di ognuno di noi; e seguire la storia seduti, guardando fuori dal finestrino, è come uscire dal tempo ed entrare in un altro tempo, uscire dalla velocità per entrare dalla lentezza pur stando su di un mezzo simbolo di velocità. Il treno fa correre la fantasia.
Una risposta enigmatica quanto inutile che non risponde alla mia di domanda, perché tutte queste storie strappalacrime? Perché non un qualcosa di normale, che si avvicini al mio mondo?
Ti accontento subito.
Ecco, finalmente.
Eccolo che mi sfiora la mano e mi porta da qualche altra parte, in un altro tempo, in un altro luogo. Forse l'Africa, la Cina o in qualche altro posto sconosciuto del pianeta.
Invece no, mi sembra di riconoscere queste strade antiche, queste case, questi piccoli grandi scorci eterni. Li ho visti da qualche parte nei miei libri di architettura, impossibile non riconoscerli. In basso salta all'occhio un insegna di una "M" bianca su sfondo rosso e poco più sotto si può leggere "Ottaviano". Molto traffico qui sotto di me.
Sono su un balcone di una casa. Una casa nella città eterna, Roma.
Solo che stavolta ho un asso nella manica: le foto di lui che ho scattato sul treno.
Se è vero che sta invecchiando come mi sembra di aver capito allora devo desumere che non sono io la pazza!
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top