𝐢. 𝓒accia alla bandiera

( act one ) : CHAPTER ONE

୨ৎ

⋆.˚ ★                   Non appena Dioniso
lasciò il palchetto, nell'anfiteatro del Campo Mezzosangue scoppiò il caos. Voci sempre più alte, menti che scattavano da un dettaglio all'altro, la tensione come una bomba che aspettava soltanto il momento giusto per esplodere: con il cuore pesante di tutte queste cose, i semidei si divisero nelle due squadre e iniziarono da subito a progettare il loro piano.

Nel gruppo coronato di blu, subito si passò alla strategia: fu la figlia di Ares a parlare per prima.
"Come ci organizziamo?" Chiese Erin. "Qualcuno ha idee?" Dalla sua voce trapelava agitazione, trepidazione. Si poteva quasi toccare la sua voglia di passare all'azione dal modo in cui le sue labbra tremavano nell'aspettare una risposta.

"Noi si." Rispose subito Kleopatra, figlia di Poseidone, scambiandosi uno sguardo con la sorella Briseida. "Il nostro sarà un piano d'attacco." Disse, e la sorella continuò per lei.
"Ci sfidiamo a Caccia alla bandiera da anni, sappiamo come ragionano gli altri, e sappiamo che tra Charisma, Akilah e Khaos avranno una strategia infallibile. Una strategia che noi dobbiamo far saltare in aria."

"Esatto, attaccando". Concluse nuovamente Kleopatra. Negli anni, lei e sua sorella si erano spesso divertite a pianificare strategie per battere gli altri semidei in tutte le attività proposte dal campo, un po' per scherzo, un po' perché magari prima o poi si sarebbe presentata l'occasione giusta di proporle. E così, effettivamente, è stato.
"Ma se concentriamo tutte le nostre forze sul prendere la loro bandiera, chi penserà alla nostra?" Chiese Silver, figlia di Hermes.

"Beh, - iniziò Beatriz - volendo possiamo farlo io e Chloe." Le due figlie di Demetra si guardarono complici, come solo due sorelle saprebbero fare. "Se piantiamo la bandiera in un luogo, e noi la circondiamo di rampicanti, per la squadra rossa sarà impossibile tirarla fuori." Aggiunse Chloe.
Tra le incredibili qualità dei figli di Demetra, quella di far crescere rampicanti, e in generale qualsiasi tipo di pianta in qualunque momento del giorno e dell'anno, era la più palese, era la copertina di un libro che nascondeva tra le sue pagine migliaia di sfaccettature diverse.

"Benissimo! Perfetto, oserei dire." Kleopatra disse ancora, per poi voltarsi a fronteggiare Logan, l'unico figlio di Iris a partecipare al torneo. "Tu puoi fare qualcosa con la luce?" Chiese al ragazzo che subito, prontamente, annuì. Logan aveva scoperto da poco che oltre ad evocare le migliaia di sfumature dei colori che gli avevano dato vita, i suoi poteri gli permettevano anche di giocare con la luce e con le sue qualità.
"Posso deviarla e far apparire la zona come se non ci fossero altro che piante. Però mi serve uno specchio." Disse Logan.

Fu il turno dei figli di Apollo di dire la loro: "Io e Apollon possiamo occuparci di abbattere le difese della loro bandiera." disse il maggiore, Dian.
"Già. - annuì il minore - Le frecce magiche di papino possono entrare dovunque." Fece l'occhiolino alle figlie di Poseidone che, in cambio, gli restituirono un'espressione imperturbabile. "Ma probabilmente ci servirà qualcuno che ci pari il culo. Chi si propone?" Aggiunse ancora, guardandosi intorno con il dito puntato in avanti.

"Lo farete voi." Disse Asterios, figlio di Ade, rivolgendosi alle cugine figlie di Poseidone. Il figlio delle ombre guardò ognuno dei compagni negli occhi, e riprese a parlare. "Dopo  che avremo stabilizzato la battaglia centrale -" E venne interrotto. "Kleo e Breeze si staccheranno dal gruppo principale e seguiranno Apollon e Dian fino alla bandiera." Disse Emilio, anche lui figlio di Ade e considerato, infatti, da suo fratello come la più grande palla al piede.
"Dai cazzo, quante volte devo dirti di non completare le mie frasi? È snervante!".

Probabilmente era un'abilità legata alla loro discendenza, perché sembravano gli unici in grado di farlo, ma i figli di Ade avevano davvero la particolare abilità di predirsi l'un l'altro, soprattutto nelle situazioni più stupide.
Emilio lo faceva spesso e volentieri, Asterios quasi mai: odiava quando il fratello lo faceva con lui, quindi non vedeva perché avrebbe dovuto farlo di sua spontanea volontà.

"Quindi, riassumendo: i figli dei fiori e dell'arcobaleno si occupano della bandiera, noi di fare il culo a tutti e quando lo avremo fatto i poeti falliti useranno le frecce magiche e faranno vincere tutti?" Lysander, figlio di Hermes e dotato di un senso dell'umorismo che a pochi risultava gradevole, dopo aver pronunciato queste parole si ritrovò piegato in due, dopo che sua sorella Silver gli aveva rifilato una gomitata nello stomaco.
"Non usare quel tono!" Infierì ancora la sorella, con un rimprovero al quale Lysander rispose sorridendo. "Non c'è bisogno di diventare violenti, Argento."

Prontamente, Logan da un lato ed Emilio dall'altro, afferrarono Silver prima che potesse nuovamente attaccare il fratello, scambiandosi un'occhiata fra loro. Solitamente la figlia di Hermes era un sole fatto a persona, sorridente e socievole. Ma c'era qualcosa, intrinseco nella natura dell'avere un fratello, che la faceva scattare come una molla quando lui la infastidiva.
E dal canto suo, lui si divertiva molto a farlo.

Prima che la situazione arrivasse a degenerare, intervenne di nuovo Erin, la prima ad aver aperto la conversazione e, verosimilmente, anche l'ultima a chiuderla. "Se voi, stupidi esseri inutili, - disse, puntando prima il dito contro Lysander e facendolo poi scorrere contro tutti i semidei presenti - mi fate perdere questa sfida, io vi spezzo le ossa."

୨ৎ

Con il fiato ancora pesante a causa della corsa che le aveva portate sulla cima di una delle colline del Campo, le tre figlie di Ecate avevano iniziato a cercare il posto migliore per piantare la bandiera e attuare il piano di cui avevano discusso fino a cinque minuti prima.

"Fratellino, scommetto che tu avrai già una fantastica idea che obbligherai tutti a seguire."
Fu Reginald ad aprire le danze, e in molti pensarono che sarebbe stato meglio se non lo avesse fatto. "O se non la hai tu la avrà qualcun altro." Aggiunse, con un'ironia nella voce che non era neanche sottile.
Anche oggi, come tutti i giorni da quando Khaos era arrivato al campo, tra i fratelli figli di Zeus non si respirava una buona aria.
Con loro era così: due testardi, che avevano l'ego decisamente più grande del cuore, abituati a trovare sempre un pretesto per litigare.
In realtà era Reginald, il più piccolo tra i due, a trovare sempre un modo di far scatenare l'ira di Khaos. Neppure lui, però, era innocente: non ci provava neanche, a controllarsi o ad ignorarlo. Passava subito alle mani.

"Ti sembra il cazzo di caso, Reggie?" Khaos era di poche parole, lo era sempre stato. Ma tutte quelle che pronunciava rivolte al fratello erano piene di veleno. E lui rispondeva in egual misura.
"Era una battuta, non c'è bisogno che ti alteri".
Ed effettivamente, Reginald non aveva tutti i torti perché in tutte le partite di Caccia alla bandiera fatte al campo da quando ne aveva memoria erano state pianificate da suo fratello e da pochi altri: si era ormai creato un gruppo ristretto, i cui protagonisti erano Khaos, Charisma e Akilah, e che soprattutto era inaccessibile. Qualunque idea proposta dall'esterno veniva bocciata, criticata.

"Però sai, avete rotto un po' il cazzo con queste manie da megalomani." Riprese poi. "Che c'è? Credete di essere stati prescelti dall'Oracolo di Delfi come condottieri di Caccia alla bandiera?"
A Reginald non importava proprio nulla del fatto che molto spesso erano proprio quelle strategie a fargli vincere la partita. Avrebbe potuto tirarne fuori di migliori anche così, su due piedi.
Khaos, dal canto suo, si stava impegnando con tutto sé stesso per non spaccare la faccia a suo fratello. Bell'ingrato del cazzo, pensava lui, dopo tutte le volte che li avevano portati alla vittoria.

"Ragazzi, non mi sembra il caso di farne una questione di stato." disse Leonidas, figlio di Nemesi. Ma non ebbe neanche il tempo di pronunciare queste parole che venne fermato da Kaìque, figlio di Efesto. "Falli pure continuare, - disse il figlio del fuoco - è divertente."
Kaìque e Leonidas, sotto l'aspetto caratteriale, erano due individui molto diversi. Dove il primo esagerava, il secondo si imponeva un limite: erano rappresentativi dell'elemento principale associato ai loro genitori divini. Da una parte, fuoco puro, dall'altra, la vendetta, lenta e fredda.

"Da Rosa, non ti ci mettere anche tu." Disse Charisma, che si era sentita in parte anche lei toccata dalle parole del figlio di Zeus: la scelta di usare il plurale, lo sapeva lei e lo sapevano gli altri, non era un caso. Infatti fece un passo in avanti e si rivolse direttamente a lui: "Se avessi mai fatto qualcosa di utile per la squadra, avrei anche potuto capire il sarcasmo." Disse la figlia di Ecate. "Ma non è così. Non farci perdere altro tempo." E, probabilmente, se un comune mortale avesse ricevuto un'occhiata del genere, sarebbe rimasto pietrificato seduta stante.

"Abbiamo finito con il teatrino?" Chiese Akilah, terzo e ultimo mirino del figlio di Zeus. "Si? Bene. Allora iniziamo." Disse ancora, e dalla tasca posteriore dei suoi pantaloni tirò fuori un bloc-notes dalle dimensioni di una mano e una matita.
Akilah Benson, figlia di Atena, era tutto fuorché permalosa. O meglio, permalosa un po' lo era, ma aveva anche un'incredibile capacità di decidere cosa fosse importante e cosa no prima che il suo cervello causasse una qualsiasi reazione emotiva. Evidentemente, in questa occasione Akilah aveva reputato la situazione troppo poco importante per causare una sua risposta.

"Finalmente qualcuno di serio." Disse Marisol, figlia di Afrodite. Anche lei era, solitamente, un soggetto molto silenzioso, poco incline ad insinuarsi in conversazione aperte. Ma era anche una persona senza filtri. Le cose che pensava, anche e soprattutto quelle più cattive, Marisol le diceva, nonostante i figli di Afrodite fossero sempre visti come i gentili, accoglienti, figli dell'amore.
E infatti, i suoi due fratelli, Cedric e James, rientravano molto di più in questo stereotipo vecchio di secoli, anche se perfino loro nascondevano qualche spina tra le rose del sentimento tanto ardito.

"Iniziamo dal punto principale." Disse nuovamente Akilah. "L'attacco."
Poi lanciò uno sguardo a Charisma, e con un cenno del capo la invitò ad elaborare la sua affermazione. "Sarete in sette ad attaccare." Iniziò lei. "I figli di Afrodite, i figli di Zeus, Kaique e Akilah."
Quest'ultima annuì e continuò a spiegare. "Non abbiamo un punto preciso in cui avverrà lo scontro: dipende tutto dal modo in cui sceglieranno di attacare gli altri."

"Motivo per cui ognuno di voi, partendo dal luogo in cui nasconderemo la bandiera, andrà in una direzione diversa." Intervenne ora Khaos. Mentre Akilah e Charisma erano le ideatrici di strategie, Khaos, che aveva poca inventiva, si occupava invece del lato tecnico dei combattimenti. Su questo, infatti, aveva molta esperienza. "Chiunque incontri per primo un gruppo che crede di non poter battere da solo, che fischi, o che usi il suo potere per mandare un segnale."

"Esatto." Concordò Akilah.
"Poi suppongo che una volta lì, chi è superfluo debba pensare alla bandiera, vero?" Disse James.
"E soprattutto deve comunicarlo agli altri, oppure finisce come l'ultima volta che eravamo in otto a cercare di prendere la bandiera e nessuno a combattere l'altra squadra." Aggiunse il Cedric, dando una leggera gomitata a suo fratello.
"Già, - concordò quest'ultimo - Ci hanno proprio fatto il culo quella volta."

Charisma parlò ancora, questa volta rivolgendosi alle sorelle. "Elide, tu e Rav dovete-"
"Si, lo so." La interruppe lei prontamente. "Noi saremo con te a fare quello che dobbiamo fare in cima alla collina."
"Reese, ce lo hai ripetuto almeno venti volte." disse Ravenna, con la sua voce sottile, che quasi sembrava un sussurro.
Le due figlie di Ecate non potevano essere più diverse: diverse tra loro e diverse da Charisma. Elide era il sole, Ravenna era la luna. Si completavano a vicenda come lo yin e lo yang, con Elide che riempiva i silenzi di Ravenna e Ravenna che poneva un orecchio in ascolto anche quando tutti erano convinti che nessuno stesse ascoltando Elide.
E Charisma era una notte stellata. Un'instancabile pianificatrice, governata però dal chaos eterno.

"Mar e Leo sono con noi." Aggiunse ancora Elide, ripetendo le parole che sua sorella arrivava anche a pronunciare nel sonno, tanta era la sua fissazione con questo gioco infernale, come lo definiva Elide in segreto, in cui la sorella tanto eccelleva. "Se non ricordo male, vi nascondete dietro degli alberi, saltate fuori quando arrivano gli altri e lasciate che vi aprano a metà." Spiegò lei accompagnando le parole con gesti manuali.

"E credevo di essere io quella strana." Rispose Maria, figlia di Era. "Di preciso, cosa cazzo vorrebbe dire "lasciate che vi aprano a metà"?"
Nonostante non si fossero mai incontrate, in molti al campo erano fermamente convinti che Maria fosse la copia esatta di sua madre, da un punto di vista caratteriale. Precisina, molto critica nei confronti degli altri. Le mancava soltanto la regalità divina tipica dell'Olimpo, e avrebbe tranquillamente potuto prendere il posto di Era sul monte degli Dei.

"Significa che dovete fare da distrazione." Spiegò Ravenna. "Li tenete occupati più a lungo possibile così che non arrivino a noi."
"E voi cos'è che starete facendo?" Chiese Kaìque, con le braccia incrociate al petto e un'espressione di domanda quasi dipinta sul volto.
"Un incantesimo." Rispose Elide, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
"Un... incantesimo?" Chiese Cedric, confuso. Ma fu interrotto da una risata che sarebbe risultata patetica se non fosse stata così palesemente finta.

"Ecco. Avete fatto esattamente quello che intendevo." Disse Reginald, battendo le mani ironicamente. "Di nuovo."
Si mise al centro del gruppo, che si era disposto quasi a cerchio per discutere il piano d'attacco.
"Avete deciso tutto, e avete preteso che non ci fossero obiezioni. Proprio come avevo previsto."

"Nessuno ti obbliga a rimanere." Sbottò Akilah, che evidentemente, a quest'ultima affermazione, aveva valutato diversamente rispetto a prima l'importanza della situazione. "Visto che sei l'unico a lamentarsi, vattene, se proprio ci tieni."
Reginald la osservò con un'occhiata indecifrabile, ma non lasciò che il mezzo sorriso, che aveva stampato sul volto da quando era iniziata la discussione, si affievolisse di un solo centimetro. Poi fece un passo indietro, e annuì. "Ci penserò, Benson. Ci penserò."

Dopo la breve interruzione, seguita da un momento d'imbarazzo per tutti, ognuno andò a posizionarsi nel luogo a cui era stato assegnato.
E quindi ora, con la figlia di Era e il figlio di Nemesi nascosti dietro i tronchi più consistenti degli alberi tutt'intorno alla collinetta scelta dal gruppo rosso, Charisma, Elide e Ravenna iniziarono a lavorare sull'incantesimo che avrebbe probabilmente garantito la loro vittoria.

୨ৎ

La cornamusa risuonò potentemente in tutto il bosco. La prima prova aveva avuto inizio ed entrambe le squadre erano partite all'attacco dopo essersi messi in armi e aver indossato le protezioni adatte, e dopo essersi assicurate che le rispettive bandiere fossero al sicuro, almeno per ora.

L'attacco della squadra blu era arrivato in due gruppi separati: da una parte, Kleopatra, Dian, Erin, Lysander e Silver; dall'altra Asterios, Emilio, Appollon e Briseida.
E il piano di Khaos, effettivamente, aveva funzionato. Dividendosi le direzioni del bosco da cui sarebbero potuti arrivare, Marisol era stata in grado di individuare subito il primo gruppo.
Il lato negativo era che ora si ritrovava da sola, contro cinque semidei, alcuni decisamente più forti di lei: Marisol era quasi negata per qualsiasi tipo di lotta fisica che non includesse almeno un arma. Con le armi era invece molto brava, motivo per cui portava sempre un coltellino nascosto ai lati di entrambe le scarpe.
Solitamente preferiva non tirarli fuori, ma la necessità è un comando a cui pochi riescono a sfuggire: se avesse perso la sua spada, non avrebbe esitato a difendersi altrimenti.

Prima di lanciarsi contro il gruppo, fischiò, sperando che qualcuno sarebbe corso in suo soccorso al più presto.
Quindi, con la spalla ora poggiata alla facciata dell'albero dietro cui si nascondeva, Marisol ghignò al gruppo in avvicinamento.
"Credo proprio che toccherà a noi aprire le danze." Disse lei, facendo poi qualche passo in avanti mentre roteava la spada nella mano destra.
"Una contro cinque?" Chiese Erin, con un sorriso che comunicava la convinzione di avere già la vittoria in mano.

"In realtà due, contro cinque." Rispose una voce dalle spalle di Marisol. La figlia di Atena aveva fatto la sua comparsa, silenziosa come una volpe.
Lysander accennò una risata. "Sarà comunque un gioco da ragazzi."
"Io non ne sarei così sicuro, Lys."
Khaos Blackwell era arrivato in loro aiuto.
In qualunque altra situazione, se glielo avessero detto, nè Akilah ne Marisol ci avrebbero mai creduto. Invece in questa, di situazione, pareva a entrambe la cosa più naturale del mondo.

Fu Khaos il primo ad attacare.
E si creò dal primo istante un cumulo di fendenti, colpi di spada, clangori di scudi che si scontravano tra loro.
Il figlio di Zeus combatteva contro Kleopatra e Lysander, Akilah contro Erin e Marisol contro Silver e Dian.
Non era una lotta equa, per nulla, ma la tecnica usata dai tre semidei era impeccabile. Tutti loro, però, sapevano che non sarebbero durati a lungo se la situazione non fosse cambiata.

E cambiò eccome. Ma non c'è mai fine al peggio, come si suol dire, perché fu Akilah la prima a scorgere il secondo gruppo dalle fasce blu avvicinarsi al combattimento.
Altri quattro semidei che avrebbero dovuto combattere da soli. Nove contro tre. Con combattenti del calibro dei figli della Triade e della figlia di Ares.
Akilah fischiò con tutto il fiato e la forza che aveva in corpo, sperando che i suoi compagni che non erano ancora giunti nel luogo della lotta principale fossero nelle vicinanze e arrivassero il più presto possibile.

Dal canto suo, Kleopatra era già convinta di avere la vittoria in mano. Non appena il gruppo si fosse avvicinato abbastanza da prendere il loro posto, lei, sua sorella e i due figli di Apollo si sarebbero diretti verso la bandiera rossa e avrebbero portato l'intera squadra alla vittoria.
Ma non poteva farsi distrarre da questi pensieri, perché combattendo contro suo cugino avrebbe rischiato di rimetterci un arto ad ogni momento di distrazione. Kleopatra, però, si difendeva bene, con la sua spada in bronzo celeste: i suoi fendenti potevano essere parati così bene soltanto da un lottatore del livello di Khaos.

Quando anche Apollon, Briseida, Asterios ed Emilio ebbero raggiunto lo spiazzo in cui stava avvenendo la lotta principale, il quartetto precedentemente concordato, formato dai figli di Appollo e dalle figlie di Poseidone, si staccò dal gruppo e partì alla ricerca della bandiera.
Ma non riuscirono a fare neanche cinque metri che si trovarono la strada sbarrata dai figli di Afrodite.

Cedric e James avevano sentito il fischio di Akilah come un richiamo lontano. Lo avevano seguito e si erano prima incontrati tra di loro, e poi con il gruppo fuggitivo.
A parlare fu Briseida. "Voi iniziate ad andare, - disse riferendosi ai figli di Apollo - qui ci pensiamo io e Kleo."
E attaccò.

Ma James fu più veloce, e partì all'inseguimento di Apollon e Dian, correndo a perdifiato, come non aveva mai fatto.
Non aveva considerato, però, che Briseida lo avrebbbe seguito. Ecco, questo sarebbe stato un problema abbastanza grande. Ma continuò comunque a correre.

Dal canto suo, Cedric attaccò Kleopatra, cogliendola in un momento di distrazione. Riuscì a farle cadere la spada, e in viso gli si dipinse il più soddisfatto dei sorrisi.
"Non dovresti abbassare la guardia, Kleo." Disse quasi sghignazzando.
Kleopatra sorrise, e in un batter d'occhio Cedric si ritrovò con la schiena contro il tronco di un'albero e un coltellino dalle dimensioni di una mano premuto contro il collo.
"Non dovresti farlo neanche tu, Cedric." Lo canzonò Kleopatra, che per sicurezza teneva sempre un coltello in più nascosto da qualche parte sul suo corpo, per poi fare un passo indietro con l'intenzione di riunirsi alla mischia, ora ancora più complessa di prima perché Kaìque aveva raggiunto la squadra rossa e si era unito alla lotta.

Ma aveva abbassato la guardia di nuovo, perché ora fu lei a ritrovarsi premuta contro il tronco dell'albero, con il suo stesso coltello premuto sulla guancia.
"L'avevo già provata quella posizione." Disse Cedric, con un mezzo sorriso sul volto. "Personalmente, però, preferisco questa."
Kleopatra alzò gli occhi al cielo e il figlio di Afrodite sorrise ancora di più.
"Ti hanno mai detto che sei un coglione?" Chiese la figlia del mare prima di libersarsi dalla sua trappola umana e ributtarsi nella mischia, con Cedric subito alle spalle.

Kaìque era stato l'ultimo della squadra rossa ad unirsi alla lotta ed era sicuro di non aver mai visto così tanta gratitudine negli occhi di qualcuno al vederlo arrivare rispetto a quanta ce n'era nello sguardo che Akilah gli rivolse non appena se lo ritrovò davanti.
In realtà la figlia di Atena stava dando un pugno anche lui, prima di rendersi conto del colore della fascia che portava in testa.
Kaìque non lo avrebbe mai ammesso, ma quella semplice interazione gli aveva dato una carica pazzesca. Fu proprio con questa carica che affondò il primo colpo.

Iniziò a combattere con quella rozzezza che solo le peggiori strade della sua infanzia avevano visto. Ma era grezzo con tecnica, univa la libertà del freestyle di strada alla potenza della tecnica da addestramento quasi militare che gli era stata impartita proprio al Campo.
E fu con queste caratteristiche che sentì, per un momento, di avere la situazione sotto controllo.
"Marisol, Akilah. Andate!" Quasi urlò, senza staccare gli occhi neanche per un attimo dalle sue prede, che in quel momento erano Erin e Lysander.

E questo gli costò un colpo alla tempia da parte della figlia di Ares, che era in grado di cogliere perfino le distrazioni più piccole, quelle della mente e non degli occhi. E aveva colto l'occasione alla grande, perché Kaìque quasi perse l'equilibrio nel tentativo di non cedere al dolore del colpo.
Nel frattempo le due ragazze avevano anche ascoltato il suo comando, quindi si ritrovavano di nuovo sei contro tre.

Ognuno dei tre semidei combatteva contro due avversari, tutti temibili e tutti in grado di colpire così forte da mandare chiunque al tappeto e non farlo rialzare più.
Khaos era probabilmente quello messo peggio, perché a lui erano toccati i suoi cugini, entrambi figli di Ade. E sentiva di essere sul punto di cedere.

Quasi sopraffatti dalla squadra avversaria, e così di fretta nei movimenti da avere persino difficoltà a respirare, i restanti membri della squadra rossa cercavano di farsi largo nella schiera di fascette blu.
Khaos si prese un momento per guardarsi intorno, cercando di stilare un piano mentale su come disporsi al meglio per battere i blu. E fu qui, che se ne accorse.
Erano in tre. Akilah e Marisol erano andate a recuperare la bandiera, James rincorreva i figli di Apollo. Ma sarebbero comunque dovuti essere in quattro. Ne mancava uno.

"Dove cazzo è Reginald?" Esplose il figlio di Zeus.

୨ৎ

Reginald stava facendo il bastardo.
Lo sapeva, ne era consapevole.
Ma se lo meritavano, e poi erano stati loro a dirgli di andarsene e di non fargli perdere altro tempo, no? E quindi lui lo aveva fatto, era andato via, invece di fare quello che gli era stato ordinato di fare.

Aveva preso la direzione opposta a quella che gli era stata indicata, camminando nel bosco sempre più fitto. Probabilmente si stava perfino avvicinando ai confini del campo: sapeva di dover tornare indietro.
E proprio mentre questi pensieri gli affollavano la mente, ecco che gli venne l'idea.

Era così che si era ritrovato esattamente dietro la collinetta dove la squadra blu aveva nascosto la sua bandiera. Ad una cinquantina di metri dalla vittoria, poteva vederne i contorni, poteva sentirla già tra le mani.
La sua posizione, inizialmente, era poco vantaggiosa, poteva vedere cosa stava accadendo sulla cima della collina, ma non poteva vedere cosa accadeva alla sua base, dall'altro lato. E questo era il motivo per cui si era rapidamente arrampicato sull'albero più vicino.
La bandiera, che ora poteva vedere quasi perfettamente, era completamente circondata da rampicanti, sicuramente creati dalle figlie di Demetra: non c'era nessun altro al campo in grado di fare qualcosa del genere.

Proprio dalla cima dell'albero, riuscì anche a vedere due cose, una più interessante dell'altra: la prima, due sue compagne di squadra, Akilah e Marisol, erano appena arrivate alle pendici della collina e stavano ora combattendo contro Logan, Chloe e Beatriz, che evidentemente la squadra blu aveva lasciato a sorvegliare la bandiera.
La seconda, era che, in questo momento, la bandiera era priva di ogni sorveglianza: erano tutto occupati a tenere a bada le due combattenti. Non si aspettavano ci fosse nessun altro, e non se lo aspettavano neanche la figlia di Afrodite e la figlia di Atena, ora impegnate a distruggere le difese colorate di blu con tutte le loro forze.

Reginald, mentre scendeva dall'albero, si fece un breve calcolo mentale sul percorso che avrebbe dovuto prendere per arrivare il più velocemente possibile alla bandiera.
Sarebbe stato più conveniente salire dal lato, perché la parte di dietro della collina era più fitta di alberi e rampicanti. Tuttavia, così facendo, rinunciava anche alla sua unica copertura: sul lato della collina, gli alberi mancavano quasi del tutto. Vi era solo dell'erba, alta ma non abbastanza da coprirlo interamente: avrebbe dovuto risalire l'intera altura accovacciato.
La sua schiena, probabilmente avrebbe urlato dal dolore, una volta raggiunta la bandiera. Ma se tutto andava come doveva andare, ne sarebbe valsa la pena.

Iniziò quindi la sua risalita, più simile ad una scalata che ad una corsa per via della posizione in cui era costretto a muoversi.
Dopo qualche minuto lanciò un rapido sguardo al suo traguardo, per capire quanto ancora dovesse salire per raggiungere la cima, con il fiato corto e ansimante. E fu qui che se ne accorse: la bandiera non c'era più. Era sparita dalla posizione in cui l'aveva vista appena cinque minuti prima.
Si fermò di scatto, e all'inizio pensò di essere vittima di uno scherzo.
Poi pensò che lo scherzo, magari, glielo avevano fatto i suoi stessi occhi: era così che dovevano sentirsi gli umani alla vista di eventi sovrannaturali.

Reginald impedì al suo corpo di farsi prendere dal panico, lanciò un'occhiata al gruppo di combattenti alla base della collina e vide che lì la situazione non era cambiata di una virgola.
Okay, almeno questo cazzo, pensò mentre riprendeva a salire: magari la bandiera sarebbe riapparsa, o magari non c'era davvero mai stata e lui l'aveva soltanto immaginata.

Continuando a salire, quando era ormai quasi in cima, con il sudore che gli colava dalla fronte, pensò di essere vittima di una seconda allucinazione: c'era uno specchio piantato di fronte a dove aveva visto la bandiera. Era quasi del tutto ricoperto dall'erba, ma così da vicino era in grado di vederne la cornice. "A cosa mai può servirgli uno specchio?" Si chiese Reginald, pensando ad alta voce.
La realizzazione arrivò in un secondo. Lanciò uno sguardo al gruppo che combatteva, e la sua mente fece da sé i collegamenti: c'era il figlio di Iris, lì sotto. Questo era sicuramente merito suo.

Per confermare l'ipotesi che si trattasse di un gioco di luci e ombre, cambiò direzione, cercò di raggiungere più o meno lo stesso punto da cui era partito, il punto da cui era riuscito a vedere la bandiera la prima volta, alle spalle della collina.
E aveva ragione, nel piano di Logan c'era stata una falla: non era riuscito a coprire l'intera superficie della bandiera, aveva lasciato il suo retro scoperto. Questo spiegava perché era sparita da un momento all'altro: Reginald aveva cambiato prospettiva.

Con questa conferma ad alleggerirgli il cuore, Reginald iniziò a correre, sapendo che ora la vittoria era davvero nelle sue mani.

୨ৎ

Dall'altra parte del campo, il triplo inseguimento ancora non era arrivato ad una conclusione: non importava quanto accellerasse, James non riusciva comunque a raggiungere i due figli di Apollo e non importava quanto bruschi fossero i suoi movimenti e le sue virate, non riusciva comunque a seminare Briseida, sempre alle sue calcagne come un segugio impazzito.

L'unica cosa che James poteva sperare, era che Apollon e Dian arrivassero alla collina in cui la sua squadra aveva nascosto la bandiera prima che Briseida lo raggiungesse.
Una volta lì, infatti, sarebbe stata una lotta equa: avrebbe avuto il sostegno di Maria e Leonidas e ne sarebbe scaturito sicuramente un combattimento, ma almeno sarebbe stato un combattimento uno contro uno.

Come se ci fosse un Dio ad ascoltare i suoi desideri, ecco che riuscì a scorgere un puntino colorato di rosso in lontananza.
E dopo pochi passi, ecco spuntare Maria da ramo di un albero, e finire addosso a Dian senza sforzo alcuno: non avrebbe mai capito come aveva fatto a scegliere il momento perfetto per attaccare.
Ma non era questo l'importante. Ciò che importava era che ora aveva un problema in meno a cui pensare.

James vide Apollon rallentare e tirare fuori dalla faretra che aveva con sé una freccia dalla punta dorata: le sue frecce erano tutte così, dalla prima all'ultima.
Ma non ebbe neanche il tempo di incoccarla, perché il figlio di Afrodite gli fu addosso come una furia all'avvistare delle sue prede.
E subito fu un caos di colpi, mani, calci. James non ricordava più neanche dove avesse lasciato la sua spada, non ricordava se l'aveva persa correndo o se non l'aveva proprio portata con sé.
Probabilmente Briseida aveva incontrato Leonidas mentre cercava di raggiungerli, perché James non l'aveva più vista, non ne sentiva più il fiato sul collo come fino a qualche minuto prima.

Dal canto suo, Apollon non poteva dire di non essersi aspettato quell'attacco, solo che credeva di riuscire a gestirlo meglio. Non fu così ovviamente, perché ora si ritrovava sdraiato sul suolo, con il volto pieno di terra, che supponeva imbrattasse anche i suoi vestiti. E il problema più grande di tutti, era che il figlio di Afrodite era su di lui.
E gli stava bloccando entrambe le mani sopra la testa, anche se probabilmente lo stava usando più come appoggio per non finirgli completamente addosso.

Appllon e James si guardarono per qualche momento.
Il figlio di Apollo era stato il primo amico di James al campo. Avevano caratteri opposti sotto certi aspetti, e sotto altri sembravano invece essere la stessa persona.
Erano stati loro due, poi, gli unici in grado di non farsi spaccare il naso da Kaìque, quando quest'ultimo era arrivato al campo.
Era più o meno così che si era creato il loro trio, ormai diversi anni prima, e non si era più sciolto. Dove c'era uno dei tre, c'erano sicuramente anche gli altri due. Tranne in camera da letto. Queste cose preferivano tenerle separate.

Apollon ci mise qualche momento a riprendersi, ma quando lo fece, seppe esattamente cosa fare. E questa consapevolezza gli pesava addosso.
Con un movimento rapido, Apollon invertì la posizione dei due ragazzi. Si mise a cavalcioni sull'amico, e gli fece un sorriso ammiccante.
"Giuro che mi farò perdonare." Disse Apollon.
E furono queste le ultime parole che James riuscì a sentire, prima di sentire un dolore acuto alla tempia destra.
Poi, il buio.

Apollon lo aveva colpito con il manico del suo arco: non troppo forte, anche perché "ferire gravemente" un altro semideo era contro le regole di Caccia alla bandiera, ma comunque abbastanza profondamente da metterlo a tappeto, almeno per qualche minuto.
Proprio in quel momento, scorse un luccichio dorato nell'aria, poco distante da lui. Dian, suo fratello, era riuscito a scoccare una delle sue frecce, contro la bandiera, per trafiggerla e farla cadere. Ma quando la freccia raggiunse la bandiera, venne sbalzata all'indietro.

Fu allora che Apollon le vide, accovacciate, sedute per terra: le tre figlie di Ecate erano riuscite a creare uno scudo magico, uno scudo che proteggesse la bandiera da qualsiasi incursione esterna.
Apollon cercò di avvicinarsi, per avere una visuale migliore di ciò che stava accadendo. Tutte e tre erano sedute sul terreno con le gambe incrociate, avevano entrambe le mani distese davanti a loro, gli occhi chiusi e un espressione di pura concentrazione.

Sembravano essere loro stesse un incantesimo, tutt'intorno a loro c'era come un'aura dorata, come se migliaia di piccole particelle di magia si stessero staccando dalle loro pelli, come se lo scudo stesse proteggendo anche loro.
Ma Apollon sapeva che non era così. Sapeva che non stavano proteggendo sé stesse, ma solo e unicamente la bandiera. Era nella loro natura.
Il figlio di Apollo avrebbe potuto spezzare lo scudo colpendo una delle tre maghe. Ma non lo avrebbe fatto, perché avrebbe significato ferirle, e non lievemente.

Doveva trovare un altro modo, ma la verità era che non ce n'erano altri: il suo unico potere risiedeva nelle frecce della sua faretra.
Decise di provare, provare e riprovare, fino a quando non le avesse finite: tutte le freccie, una dopo l'altra, vennero sbalzate a diversi metri di distanza quando arrivavano a colpire lo scudo.
E il figlio di Apollo, ad ogni fallimento, sentiva il suo cuore saltare un battito, dolorosamente consapevole della battaglia che continuava imperterrita tutto attorno a lui. Consapevole anche del corpo del suo migliore amico ai suoi piedi, privo di sensi per colpa sua.

Apollon tirò fuori dalla faretra un'altra freccia: era l'ultima, e quindi era anche la sua ultima occasione per non far fallire la squadra e sé stesso. Portò la freccia alle labbra e vi stampò un bacio. Poi incoccò la freccia e tese la corda dell'arco al punto giusto. Fece un respiro profondo e si rivolse a suo padre.
Non ti ho mai chiesto nulla, pensò, ma cazzo, mandamela giusta per una volta.
Lasciò la freccia.

All'inizio non accadde nulla, quando la freccia andò a colpire lo scudo protettivo.
Poi, dopo almeno venti secondi di puro e incontaminato silenzio, in cui perfino le lotte di Maria e Dian, di Briseida e Leonidas si erano acquietate, si sentì un suono secco, un crack, provenire da esso.
Lo scudo iniziò a creparsi, lentamente e inevitabilmente. Appollon non ne aspetto neanche la rottura completa: iniziò a correre a perdifiato, incurante del fatto che avrebbe comunque dovuto affrontare le tre figlie di Ecate, che avevano appena riaperto gli occhi da quelle che probabilmente erano state ore di uso ininterrotto della magia che scorreva nelle loro vene semidivine.
Quindi corse e ancora corse. Era a meno di due metri dalla bandiera quando una folgore spaccò il cielo sereno di mezzogiorno e ricadde in un punto fin troppo distante da quello in cui si trovavano.
Poi, il suono della stessa cornamusa che aveva dato inizio ai giochi.

La prima prova era conclusa.
Reginald Trianon aveva preso la bandiera blu.

AUTHOR'S NOTE
Reginald mentre i suoi compagni di squadra le stanno palesemente prendendo:

Meme a parte, questo capitolo è stato un parto plurigemellare: sono poco meno di seimila parole, e io già da qui vi avviso che non tutti i capitoli saranno così lunghi (almeno spero, perché non so proprio da dove tirarle fuori altre seimila parole per circa altri venticinque/trenta capitoli).
E scusatemi anche per l'attesa, se fosse per me pubblicherei una volta ogni due giorni, ma esiste una cosa chiamata sessione invernale che mi costringe a fare altrimenti.
Qui sotto vi lascio una mappa del Campo Mezzosangue che ho trovato su pinterest, che io personalmente non consulterò perché gli spazi e i luoghi nelle mie storie non sono davvero fisici, sono tutti un'idea, qualcosa di astratto.
Per fare un esempio, non ho assolutamente nessuna idea di dove effettivamente si sia svolta questa Caccia alla bandiera. So soltanto che ci sono alberi e colline, e questo basta.

Comunque, parlando di cose più serie, se vi va stavo pensando di creare un server su discord per questa af, così da potervi rendere più partecipi nella storia, e per avere anche modo di chattare e commentare i capitoli insieme.
Fatemi sapere se l'idea vi piace e casomai lasciatemi il vostro user di discord. Se invece non avete discord ma non sapete come si usa posso spiegarvelo io tranquillamente <3
Se poi preferite fare altrimenti, ad esempio con un gruppo su whatsapp o su instagram, si potrebbe fare lo stesso anche se vi confesso che per me è più scomodo per vari motivi, tra cui il fatto che non tutti sono disponibili a lasciare il numero, e se invece vogliamo farlo su instagram, dovete darmi un po' di preavviso perché devo creare un account ig dedicato unicamente a wattpad. Fatemi sapere nei commenti, magari parlatene anche tra di voi qui sotto.
Con questo ho finito il mio soliloquio, e ci vediamo al prossimo capitolo. <3

Fatemi sapere cosa pensate del primo capitolo e, se volete, anche le vostre aspettative su cosa accadrà nel prossimo. <3

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