CAPITOLO UNO
Capitolo uno
ʻ Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni ’.
William Shakespeare
I SOGNI DIVENTANO REALTÀ
«Hai avuto un altro incubo?» un sussurro mesto la riportò alla realtà «È davvero terrificante.» continuò. Distolse lo sguardo dagli scarabocchi per fare spallucce alla sua amica. Erano settimane ormai che li aveva, il protagonista sempre lo stesso: il demone dagli occhi di fuoco che le sussurrava frasi incomprensibili. «Non trovi sia un po’ strano che ci sia sempre lui nei tuoi incubi? Forse dovresti parlarne con qualcuno.» «L’ho fatto con te» affermò con noncuranza. «Oh, andiamo Ria! Dovresti parlarne con un prete o roba del genere! È davvero inquietante!» replicò la giovane rossa. Claudette Murphy era la migliore amica di Ria fin dall'infanzia. Entrambe avevano poi deciso di seguire le orme dei propri genitori e iscriversi alla facoltà di medicina dell’University of Pennsylvania in Philadelphia dove si trovavano ora. La lezione che avrebbero dovuto seguire era appena terminata ma Ria era stata così concentrata sul disegno di quel demone che non aveva seguito una sola parola. «Non preoccuparti per me, credo solo di avere una fantasia un pò fuori dal normale, tutto qui». Cercò di rassicurare la sua amica ma doveva ammettere, almeno a se stessa, che quei sogni la spaventavano e non poco. Stava forse impazzendo? No, erano solamente dei sogni. Ecco cosa si ripeteva ormai da troppi giorni. La sua amica dette un’ultima occhiata al disegno in bianco e nero, evidente che non si fosse bevuta quella piccola bugia. I suoi occhi si riempirono di compassione per lei, e lei odiava quello sguardo «Sai,» continuò la sua compagna con voce vellutata «è passato così poco tempo dall'incidente.» Ria chiuse il quaderno ficcandolo nella borsa insieme al resto del suo materiale. «Lasciamo stare i miei stupidi sogni e parliamo di cose più importanti: come va con Will?» Claudette spostò nervosamente il ciuffo di capelli color carota, lunghi fino al sedere, da un lato del viso e sorrise «Tutto bene, ce la prendiamo con calma.» William Adrian era la nuova fiamma della sua migliore amica. Un bel ragazzo doveva ammettere, se si piaceva il genere raffinato. Will proveniva da una nota famiglia del posto, era uno di quei ragazzi che sembrano sempre perfettamente immacolati, infiocchettati con nastri di seta e carta profumata. Per quanto potesse non essere il suo tipo, Ria era contenta che Claudette avesse finalmente trovato un bravo ragazzo. Si erano conosciuti a inizio anno e dopo diversi tira e molla, la sua amica gli aveva concesso un primo appuntamento ufficiale, ma da come ne parlava era chiaro come il sole che quella non era una semplice cottarella, sperava solo che non le lasciasse cicatrici troppo profonde se – o meglio quando – sarebbe finita. Ria non aveva mai creduto alle storie a lunga durata, aveva smesso di fantasticare su quel ‘E vissero felici e contenti’, o di credere agli innumerevoli ‘per sempre’. Si arrivava sempre ad una fine, di qualsiasi cosa si trattasse. Aveva solo iniziato a sperare che facesse meno male, ma sapeva per esperienza che i sentimenti – l’amore soprattutto – portavano solo ad un risultato: pura e semplice angoscia, che solo con il tempo si poteva riuscire a trasformare in perenne – se ben nascosta – malinconia. Perciò, perché immischiarsi in certe situazioni? Sfortunatamente per lei, Claudette non la pensava alla stessa maniera essendo un’inguaribile romantica. Ma, ehi!, se sarebbe riuscita ad essere l’eccezione alla regola, Ria glielo augurava con tutto il cuore. Purtroppo neanche la stessa Ria riusciva a seguire rigidamente questa soppressione di sentimenti e Claudette era la sua unica eccezione, la sua unica amica, l’unica persona a cui volesse bene con tutto il cuore.
Uscirono dall'aula del professor Tucker e ritrovarono Will ad attenderle sulla porta. Il giovane era, non solo un aspirante scienziato, ma anche un buon atleta e si poteva anche dedurre dal suo fisico asciutto e ben definito. Portava i capelli biondi con una leggera cresta e gli occhi color nocciola erano fissi su quelli verdi di Claudette. «Buongiorno signore» il ragazzo si accostò alla sua amica scoccandole un lento e seducente bacio sulla bocca «com'è andata la lezione?» La domanda era diretta apparentemente ad entrambe, ma era evidente che l’interesse era riguardante una sola. Ria odiava queste smancerie e quando infine costatò che la sua amica non avrebbe aperto bocca – visibilmente incantata ad ammirare il ragazzo – decise di farlo lei «La lezione è andata liscia come l’olio.». Diede un colpo in testa alla sua compagna con una penna per attirare l’attenzione su di se. Claudette la guardò di traverso e Ria le fece un cenno con la mano per invitarla a camminare. Dirigendosi verso la mensa, continuò a parlare «La nostra ‘Dette qui di fianco non faceva altro che parlare di quanto fosse stato straordinario il vostro appuntamento romantico di ieri notte» poi fece un gesto vago con la mano mentre la sua amica le dava una gomitata «Ria!» Non era vero che Claudette ne aveva perlato, era una ragazza riservata e conoscendola probabilmente non l’aveva fatto neanche con il ragazzo. «Dice sul serio la tua amica?» chiese Will con una scintilla che gli illuminava gli occhi. Ci aveva visto giusto, il ragazzo era curioso di sapere ciò che pensava ‘Dette, ma la sua amica si affrettò a negare «Oh, certo che…» Ria non le dette la possibilità «Oh si, puoi scommetterci! Si è divertita un mondo e le piacerebbe tanto rifarlo.» Appena varcarono la soglia della mensa un boato di applausi si scatenò da un tavolo poco distante. Era il solito gruppo di ragazzi fissati con lo sport. Edmund, un ragazzo alto e slanciato dalla bizzarra capigliatura nera-bluastra si avvicinò per congratularsi con Will a proposito di non so quale vincita. Ria sbuffando si allontanò per occupare un posto insieme a Claudette. Poco dopo Will le raggiunse e mentre quei due fin troppo educati ragazzi si scambiavano occhiate penetranti, Ria decise di andare a prendere da mangiare. Si mise in coda, non curante di ciò che metteva nel piatto, ancora un po’ scombussolata dal ricordo di quell'incubo. La sola rievocazione le fece venire la pelle d’oca. Aveva paura – non del demone in sé – ma piuttosto di quella strana sensazione che rendeva tutti gli incubi estremamente reali e inverosimilmente identici. Tirò un po’ più su i lunghi guanti di pelle nera che portava ancora, era quasi primavera e le sporadiche giornate soleggiate la mettevano a disagio. Alla fine sarebbe giunto il momento di levarsi i guanti poiché la scusa del freddo – che iniziava già a recare sospetti – non avrebbe potuto durare a lungo ma come tutti gli anni avrebbe sfoggiato la più che collaudata bugia dei germi, o ne avrebbe inventata una nuova. Il solo pensiero di doversi liberare di quella scarsa protezione le peggiorò il morale, che faceva già schifo grazie agli incubi. Per infondersi un po’ di coraggio, Ria si portò una mano inguantata verso il petto, un gesto che iniziava a essere abituale per lei. Attaccata a una catenina d’argento, un vistoso anello le pendeva al collo. Era in argento antico, intarsiato per tutta la fascia da minuscoli serpenti e con in cima raffigurata quella che a Ria era sempre sembrata Medusa. Due piccoli smeraldi fungevano da occhi per la Gorgone. La ragazza nascondeva il piccolo cimelio di famiglia sotto il maglione color panna che portava il giorno. Raccattato alla bell'e meglio una sufficiente quantità di cibo, decise di ritornare al tavolo con i piccioncini. Li guardò da lontano mentre si avvicinava. Will e Claudette stavano chiacchierando esageratamente appiccicati, con le mani intrecciate e si guardavano reciprocamente negli occhi come se fossero due assetati e l’altro fosse l’ultima goccia di acqua sulla Terra. Con un grugnito Ria posò rumorosamente il vassoio sul tavolo distruggendo l’estasi dei due che subito si ricomposero, arrossendo perfino. Ria alzò gli occhi al cielo ma quando si accorse che quella luce negli occhi della sua amica si stava spegnendo si maledisse. «Dannazione!» improvvisò «Ho dimenticato la mia matita preferita in aula!» fece finta di controllare nella borsa mentre ‘Dette la guardava con un sopracciglio sollevato «’Dette, è quella nera, la mia preferita. Non posso credere di essermela dimenticata, deve essermi caduta in qualche modo. Devo solo sperare e pregare che nessun animo oscuro me l’abbia portata via.» continuò con teatralità. Si ficcò in bocca un pezzo di pane e farfugliando qualcosa d’incomprensibile che doveva suonare come una rassicurazione sgusciò via dalla mensa, guardando la sua amica mentre camminava all'indietro alla ricerca della sua presunta matita preferita nella borsa.
Quando spinse con la schiena le grosse porte anti-panico per aprile, si sentì un po’ più libera ma non appena si voltò, andò a sbattere contro un muro.
Seguì con lo sguardo la caduta della borsa a terra e con lei tutto il suo contenuto che si sparse sul pavimento. Ma che diamine, da quando in qua c’era un muro dietro la porta? Si chinò per cercare di raccogliere il più velocemente possibile le sue cose e solo in quel momento mise a fuoco un paio di All Star. Seguì il percorso delle gambe e di quello che doveva ammettere, era un bel fisico, fino al viso. Un viso che la lasciò senza parole, il che diceva tutto. Il ragazzo – perché questo era in fin dei conti si ricordò – aveva un berretto degli Yankees calcato sul volto dalla carnagione chiara che lasciava gli occhi in penombra, ma permetteva di vedere le ciocche di capelli dorati che arrivavano quasi alle spalle. Le labbra leggermente carnose s’incurvarono in un sorrisetto quando lei sbuffò «Potresti anche renderti utile e aiutarmi invece che rimanere lì impalato» borbottò Ria per poi aggiungere con tono più basso «Idiota». Se non si sbagliava, credette che il sorriso beffardo del ragazzo si allargò, come se avesse sentito quell'ultimo insulto e lo trovasse divertente. Si accorse inoltre che non odorava – come molti ragazzi che conosceva – di qualche acqua di colonia costosa o dopobarba, no, non era quello che sentiva. Odorava di fumo, e non il solito puzzo di sigarette o erba, no, lui odorava come il fumo di un camino o come quello che si sente passando vicino a un incendio. Ma non solo, Ria sentì anche un classico profumo di sapone e pulito. Combinazione insolita per un ragazzo.
Solo questo gli mancava, una stupida ragazzina che gli piombava addosso e che si lamentava anche del suo scarso aiuto. Doveva ammettere però che il modo in cui aveva sussurrato quell'ultimo insulto tra quelle labbra carnose lo aveva divertito. C’era però qualcosa in quella ragazza di stranamente familiare. Si chinò per raccogliere qualcosa ma la sua attenzione fu catturata immediatamente da un disegno su di un quaderno. L’immagine gli era familiare e come un fulmine a ciel sereno capì: Ria. «Come?» la ragazza aveva ormai raccattato tutto e lo guardò confusa. Doveva aver detto ad alta voce il suo nome e non solo pensato. I suoi occhi, così penetranti se pur glacialmente chiari, lo convinsero all'istante. L’aveva ritrovata. Ovviamente lei non aveva la minima idea chi fosse e decise di conservare il mistero. Si soffermò forse un po’ troppo a osservarla, quei suoi capelli mossi di un rosso così intenso, perché lei distolse lo sguardo arrossendo per poi farsi seria «Hey! Quello sarebbe mio» e senza aggiungere altro gli strappò il quaderno di mano e proseguì dritta, lasciandolo lì ancora chino ad ammirare quella voluminosa marea rossa.
Quando le fu fuori dal campo visivo, si ricompose. Non era da lui avere atteggiamenti del genere. A sua discolpa poteva sempre dire che erano passati quattro lunghi anni e che lei era decisamente cambiata. Smettila idiota con queste cretinate e vai a nutrirti ordinò il suo stomaco che brontolava. Avrebbe pensato a Ria dopo il pranzo, considerando che a stomaco pieno sarebbe potuto essere più efficiente. Quando entrò in mensa, si convinse maggiormente che fino a quel momento non andare a scuola era stata una vera manna. Ispezionò l’intera sala con disgusto. Branchi di ragazzi che ciondolavano da una parte all'altra o che mangiavano estasiati dall'opportunità di oziare per quel tempo prestabilito. Niente o nessuno era particolarmente interessante fino a che non si accorse di due vispi occhi verdi puntatigli addosso. Non lo sorprendeva per niente trovare la graziosa Claudette nello stesso ambiente di Ria, ma fu un giovane al suo fianco a lasciarlo leggermente sorpreso. Decise di cogliere l’opportunità di divertirsi un altro po’ e si avvicinò alla coppietta, ignorando lo sguardo assassino di Claudette. «’Dette cara, da quanto tempo!» con un sorriso a trentadue denti spalancò le braccia e strinse la rossa. Sghignazzando lanciò un’occhiata al biondino di fianco che bruciava d’invidia evidente come le fiamme nell’inferno. Un suo colpo di tosse lo convinse – dopo qualche altro secondo – a sciogliere l’abbraccio. Non aveva intenzione di distogliere lo sguardo da quello della sua ragazza e men che meno di parlare perciò fu l’altro a farlo «E tu saresti…?» Claudette stava per aprir bocca ma lui la interruppe «Un amico» sentenziò con quanta più sensualità poteva, sapendo perfettamente quanto abile fosse. «Un buon vecchio amico» continuò beandosi del rossore di rabbia dei due ragazzi. Lo divertiva parecchio punzecchiare le ‘coppiette felici’ ma nel non ricevere particolari insulti o una qualsiasi tipo di risposta il divertimento scemò fino ad annoiarlo in poco tempo. Sbuffò e arricciando il naso si sedette, rubò il vassoio di fianco Claudette che non protestò neanche. «Allora, trovo sia palese il motivo del tuo arrivo qui, o sbaglio?» Prima di rispondere ispezionò il cibo: una mela, bastoncini di pesce e polpette al sugo. Scelta bizzarra pensò. Infilzò una polpetta e dopo averla masticata, rispose «No, non sbagli, sono qui per i provini di America’s Got Talent. Pensavo di esibirmi in uno di quei trucchi con le spade…» Claudette lo interruppe sbuffando e scuotendo leggermente la testa. «Che c’è? Non credi che io possa vincere? Sarei fantastico, come sempre del resto». La rossa fece finta di non averlo sentito e lui mangiucchiò un’alta polpetta «Non dovresti essere qui». Il ragazzo si fece subito serio «Devi credermi se ti dico che questo è l’unico posto dove vorresti che io fossi». Claudette sbiancò «Quanto tempo abbiamo?» domandò con un filo di voce «Sono già qui.» affermo lui con riluttanza. «Chi sta arrivando?» quella voce così irritantemente mielosa gli ricordò che non erano soli. Con quanta più teatralità poteva, si alzò, prese la mela e disse rivolto al biondino: «I tuoi peggiori incubi», per poi dare un morso e andarsene via.
Dopo aver percorso l’intero campus il più velocemente possibile, Ria si ritrovò seduta sul sedile della sua auto ad ascoltate il familiare brusio del suo motore. Era turbata in un modo che non si spiegava completamente. Il ragazzo di poco prima non l’aveva sconvolta per il suo aspetto – se pur angelico che la tormentava ancora – ma perché sembrava conoscerla e, cosa peggiore, sembrava riconoscere i disegni sul suo quaderno. Anche se non era riuscita a vedere i suoi occhi, erano stati i lineamenti del resto del suo viso a rivelarglielo. Cercò di riprendere il controllo di se stessa ma la portiera dell’auto si spalancò immediatamente facendole accelerare nuovamente il battito. Claudette stava lì con le mani sulle ginocchia ansimando in cerca d’aria. Sembrava avesse appena corso, una maratona e Ria la guardò con un sopracciglio alzato. Lentamente la sua amica si rialzò e annaspando domandò dove avesse intenzione di andare. «Da nessuna parte» rispose l’altra. Ed era vero, ma ‘Dette fece il giro dell’auto e si sedette al suo fianco. «Molto bene, allora torniamo a casa» affermo con tono perentorio. Ria non protestò nemmeno, non aveva voglia di rientrare a scuola per oggi, non le importava cosa avesse in mente l’altra ma si limitò a chiudere lo sportello e dare gas.
Arrivarono al loro appartamento in poco tempo e Claudette scese dall'auto come un uragano dirigendosi a passo svelto al suo interno. Ria la seguì con più calma, ma la sua amica si era irrigidita davanti alla porta. Frugò dentro la borsa alla ricerca delle chiavi e quando le trovò, fece per aprire ma ‘Dette le bloccò la mano. La porta era già aperta e accostata leggermente. Un brivido le fece rizzare i peli della nuca. La ragazza al suo fianco era invece spaventosamente calma quando aprì la porta con lentezza. Le mimò con le labbra un resta qui e fece qualche passo all'interno. Ria non aveva intenzione di rimanere ferma lì come uno stoccafisso a guardare la sua amica addentrarsi in casa sua. Potevano esserci dei ladri ancora all'interno. Ma il suo corpo non reagiva. Rimase quindi ferma sull'uscio tendendo le orecchie quando ‘Dette non fu più nel suo campo visivo. Un forte odore di carne bruciata – carne umana – le inondò le narici e un attimo dopo una raccapricciante cacofonia assaltò le sue orecchie. Il blocco di paura che la faceva restare immobile si sciolse e si precipitò immediatamente in soggiorno. Il cuore mancò un battito alla vista di quell'orrore e le si spalancarono occhi e bocca. Due esseri con artigli neri e fauci spalancate cercavano in tutti i modi di attaccare la sua amica. Erano enormi, alti più di due metri con piccole corna e pelle rossa. Uno dei due la guardò per un istante che a Ria parve un’eternità. Quegli inquietanti e spenti occhi completamente neri le provocarono un brivido lungo la spina dorsale. Tenevano entrambi in mano una mazza ferrata che agitavano contro ‘Dette. Sembravano orchi rossi venuti per uccidere chiunque si fosse messo sulla loro strada. A Ria si attorcigliarono le budella e ricacciò nello stomaco la bile che tentava di prorompere. Cercò di urlare, voleva urlare, ma il terrore era tanto da annodarle la gola. Claudette però non sembrava particolarmente in difficoltà. Aveva dei graffi insanguinati sul viso e sulle braccia. Si chinò verso un mobile e da sotto di esso estrasse una spada argentea e linda. Con strabiliante destrezza tenne testa ai due esseri che tentavano di colpirla. Ria era nuovamente paralizzata e iniziava a odiare quell'incontrastabile sensazione. Una parte dentro di lei urlava per la disperazione e non desiderava altro che rannicchiarsi in un qualche angolo per convincersi che era tutto un incubo, un’orribile finzione. Ma c’era un’altra parte di lei che desiderava agire, fare qualcosa. Voleva aiutare la sua amica in qualche modo, fece un passo in avanti ma ‘Dette la bloccò subito «No, Ria! Non ho bisogno del tuo aiuto. Ho bisogno di saperti al sicuro. Nasconditi!». Ma per dire ciò la sua compagna si era fermata, dando così la possibilità ad uno di quegli esseri di colpirla. Claudette urlò e cadde a terra. Delle gocce di sangue macchiarono il pavimento. A questo punto Ria si convinse che non avrebbe potuto fare niente per aiutarla, sarebbe stata solo d’intralcio, così fece ciò che le era stato detto. Si nascose dietro l’angolo, nel corridoio che dava verso le camere, tendendo l’orecchio per capire cosa stesse succedendo e stringendo l’anello che portava appeso al collo per infondersi coraggio. Le arrivarono altri grugniti e ruggiti, urla e lamenti, poi silenzio. Non sapeva cosa fare, cosa avrebbe trovato se si fosse affacciata nuovamente in salotto? Avrebbe sopportato l’idea di vedere nuovamente quei mostri? E se ‘Dette non ce l’avesse fatta, avrebbe sopportato l’idea di vedere il suo corpo senza vita, magari a brandelli o ricoperto di sangue? Qualunque cosa ci fosse, si convinse che doveva almeno dare una sbirciata e assicurarsi che la sua amica stesse bene. Quello che vide, non le piacque granché. Claudette era in ginocchio sul pavimento che si reggeva alla spada come se fosse un brandello di terra ritrovato da un naufrago dopo mesi in mare alla deriva. Dei due mostri non vi era più traccia. Ria corse verso la ragazza che alzò appena la testa. Avrebbe voluto abbracciarla, toccarle una spalla o una mano almeno, ma si limitò a chinarsi e guardarla negli occhi. Non poteva toccarla, era troppo rischioso e la ragazza lo capiva. I vivaci smeraldi di sempre erano ora offuscati da qualcosa di terribilmente orripilante: paura, rabbia, stanchezza, rassegnazione fu ciò che vi lesse. Il grazioso visino della sua amica era segnato da spruzzi di sangue non tutto suo e graffi, per fortuna solo superficiali. Una profonda ferita le lacerava invece il braccio destro grondante di sangue. Ria non comprendeva quello che era appena successo. Non voleva credere a ciò che era accaduto pochi istanti fa in quella stessa stanza. Preferiva pensare che fosse tutto un brutto incubo o che fosse impazzita. Si, avrebbe preferito dichiararsi fuori di testa e ritrovarsi in una qualche clinica a chiacchierare con uno strizza cervelli che ammettere quanto avvenuto. Qualunque fosse la realtà, sperava solo che fosse tutto finito.
Purtroppo però un altro rumore che veniva dalla porta d’ingresso fece scattare all’in piedi entrambe le ragazze. Con risolutezza Claudette le si piazzò davanti brandendo con le due mani insanguinate la spada. Il cuore di Ria tentava ormai di prendere il volo mentre la sua mente cercava in tutti i modi di imporsi di restare calma. Sangue freddo, Ria si ripeteva come un mantra da quando aveva messo piede nel suo appartamento. Un rumore di passi si faceva sempre più forte, segnalando l’arrivo di qualcuno, o qualcosa. Mentre la tensione saliva Ria si guardò in torno e decise di afferrare il trofeo di danza che aveva vinto molti anni prima, non si trovava molto distante da lei. Lo brandì poi come un’arma. Le ragazze si prepararono a fronteggiare qualsiasi cosa fosse in serbo per loro dietro l’angolo e questa volta, s’impose Ria, non sarebbe rimasta ferma o nascosta dietro un muro. Si promise che non l’avrebbe fatto mai più, questa volta avrebbe agito.
Altri passi risuonarono per la casa, un rumore inquietante per le orecchie di Ria. Poi cessarono improvvisamente. Il sangue le si gelò nelle vene mentre stringeva i denti ed il trofeo sempre più forte. Questa volta non sentì nessun puzzo ma solo un vago odore di fumo. Un’ombra si proiettò sul pavimento annunciando l’imminente ingresso di un altro essere, ma questa volta il piede che entrò per primo nella sala non era nudo e artigliato ma fasciato da un’All Star.
Il ragazzo biondo con il cappello degli Yankees fece il suo ingresso nel salotto con le mani in tasca. Entrambe le ragazze buttarono fuori l’aria che fino a quel momento avevano trattenuto. Claudette abbassò la spada e gli rivolse uno sguardo truce per poi aggiungere in un sospiro «Tempismo perfetto, Cam». Il giovane abbozzò un sorriso scaltro «Ti guardavo dalla finestra. Avevi tutto sotto controllo se non erro». Ria non capiva, i due si conoscevano? Guardò prima ‘Dette poi il presunto Cam. «Lui che ci fa qui? E perché ci stavi spiando?» Ria aveva una marea di domande che le frullavano nel cervello ma alla fine riuscì a dare un senso a quello che era veramente importante, perciò si rivolse alla sua amica: «’Dette, cosa… non sono sicura di aver capito cosa è appena successo». L’amica piegò leggermente la testa verso il basso e senza risponderle s’incamminò verso la finestra, la sollevò e diede un’occhiata all'esterno. Poi senza voltarsi domandò al ragazzo: «Tu eri lì fuori, sai se ce ne sono altri?». Lui tolse le mani dalle tasche dei jeans logori per incrociare le braccia al petto e alzare il viso. Ora Ria riuscì a vedere i suoi occhi. Erano di uno straordinario celeste, quella tonalità che assume il cielo in una splendida giornata soleggiata. Notò anche che una ciocca dei suoi capelli color dell’oro era invece rossa e gli ricadeva sul viso. Lui sbuffò e disse: «Da quando in qua gli Oni vanno in giro in coppia?». Fece una pausa per poi aggiungere con più serietà: «Non ne ho visti altri, ma sono sicuro che sono lì fuori da qualche parte». Claudette fece un bel respiro, si voltò e senza guardala in faccia proseguì: «Molto bene. Ria prepara le valigie ce ne andiamo». Come? Cosa? No, anche se ogni briciola del suo corpo avrebbe dovuto spingerla a scappare Ria non voleva farlo. «Cosa? ‘Dette non ho intenzione di andarmene. Non sono neanche sicura di ciò che ho visto… ‘Dette guardami. Dimmi che tutto questo non è reale, dimmi che è solo un altro dei miei stupidi incubi, dimmi…» ma le parole le morirono in bocca. Finalmente la sua amica la guardò negli occhi ed un’istante dopo Ria preferì che non lo avesse fatto. Ria fece due passi indietro, scuotendo leggermente la testa. Non poteva essere vero, tutto questo non poteva essere reale. Claudette fece un grosso respiro, chiuse gli occhi e si stinse più forte la mano contro la ferita sul braccio per poi dire: «Ti dirò la verità amica mia. E la verità è che tutto questo non è un sogno, non è uno dei tuoi incubi, purtroppo quest’incubo è reale. Ti spiegherò tutto più tardi Ria, ma ora devi fidarti di me. Dobbiamo andarcene da qui».
Per favore commentate in molti :) vorrei sapere se questa storia vi piace e se è il caso o no di continuare a pubblicare i capitoli :3
Spero davvero che vi piaccia ! Comunque vada grazie a tutti
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