CAPITOLO UNDICI

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Capitolo undici

"La speranza è il peggiore tra i mali, poiché prolunga il tormento degli uomini."

Frederich Nietzsche

SFODERA LA SPADA PER CHI AMI

Gli Oni erano dappertutto; troppi per loro.

Claudette era in fin di vita, Cameron aveva una freccia nella spalla e Will era chissà dove in quel momento. Ria non riusciva a sopportarlo.

«Ora basta» disse frapponendosi tra Edmund e i suoi amici. Spalancò le braccia ed espirò.

«È me che vuoi, non loro. Prendi me, ma lascia andare i miei amici.»

Edmund abbassò l'arco.

«E che gusto ci sarebbe? Sai una cosa? Non mi diverto più.» disse lanciando l'arco a qualche metro di distanza e incrociando le braccia al petto.

«Ma sai un'altra cosa? So come rimediare.»

Aveva uno sguardo folle dipinto sul viso e un sorriso altrettanto inquietante. Ria rivolse un'occhiata fugace a Cam, che spezzò la freccia in due metà, così da poter estrarre quella conficcata nella carne. Sembrava non provare alcun dolore; nella sua espressione non vi fu un solo cambiamento.

«Che ne dite, Oni» continuò Ed rivolto ai suoi scagnozzi «Mettiamo alla prova la nostra principessina?»

Indicò Ria con un dito e un sorriso beffardo «Se sei quella che cerco... Dimostralo! Dopotutto sei arrivata prima del previsto, perciò, abbiamo ancora del tempo per divertirci. Portate lei e il suo gentile accompagnatore nel labirinto.»

Labirinto?

«Se solo credi di poter...» incominciò Cam, ma subito si bloccò, lamentando un dolore alla ferita fresca.

«Che c'è Cam? Qualcosa non va?» chiese ironico Edmund prima di farsi una grossa risata.

«Cam? Stai bene?» domandò Ria preoccupata.

«Conosci l'aconite, principessina?» a quella domanda Cameron sgranò gli occhi.

«A quanto pare tu si, vero ifrit? Beh sappi che ce n'era una grossa quantità sulle frecce e ora lascia che ti spieghi: l'aconite è una pianta molto velenosa, viene anche chiamata "l'erba del diavolo". Oh si dimenticavo, per l'uomo è letale.»

Cosa?

«Se credi che una freccia avvelenata possa fermarmi, ti sbagli di grosso.»

Cameron ridusse gli occhi a due fessure e serrò la mascella. Del sangue continuava a colare dalla sua ferita, ma lui pareva non preoccuparsene.

«No, no, hai ragione.» convenne Edmund alzando le mani in segno di resa «Una freccia sola non basterebbe; ma forse questo si» e detto ciò fece un gesto all'Oni che si trovava alla destra di Cam.

Estrasse dalla tasca una boccetta contenente un liquido color indaco molto scuro, stappò l'ampolla e, mentre l'altro Oni teneva fermo Cameron, gli aprì la bocca e gli versò tutto il contenuto giù per la gola. Per Ria fu inutile cercare di aiutarlo perché, come lui, anche lei era tenuta ben stretta da un Oni. Quei dannati mostri!

Cameron cercava di ribellarsi, tanto energicamente che ci vollero quattro esseri rossi per tenerlo fermo. Il suo amico era esausto.

Ria non voleva crederci; non poteva essere vero. Rivolse un'occhiata sconcertata al loro persecutore. Lui aveva un sorriso agghiacciante e soddisfatto dipinto in volto.

«Mostro!» lo accusò Ria cercando ancora una volta di liberarsi dalle grinfie del suo tirapiedi.

«Sei un mostro! Come puoi fare tutto questo ed esserne compiaciuto?»

La voce di Ria era ormai rotta dal pianto che cercava in tutti i modi di trattenere, ma che era pronto a esplodere lasciandola senza fiato.

«Ma sentila; da che pulpito...» sussurrò Ed.

Non poteva essere reale, Cam non poteva morire, non in quel momento, non in quel modo. Poi ebbe un'illuminazione: Cam aveva detto di essere immortale. Quella rivelazione le mozzò il fiato. Forse c'era ancora speranza.

«Ebbene sì» disse Ed avvicinandosi alla ragazza.

Cameron cercò ancora una volta di liberarsi, i suoi occhi erano di un rosso sconcertante, ma i suoi tentativi erano più fiacchi, ostacolati dal veleno in circolo nel suo organismo.

«Allora ci sei arrivata, eh?» Ridacchiò tenendo il suo viso a pochi centimetri da quello di Ria.

Aveva sempre avuto il terrore di toccare o essere toccata da qualcuno, ma i quel momento, avrebbe proprio voluto che la sfiorasse, che le desse uno schiaffa, un qualsiasi tipo di contatto, seguito poi da morte certa. Anche se avrebbe preferito strozzarlo con le sue mani, Ria non si mosse, alzando il mento e sfidandolo con lo sguardo.

«Cameron non morirà, dopotutto è un essere immortale, no?» disse in tono malinconico.

«Ma la mia dose di aconite lo terrà buono per un po'. E tenendo conto dei miglioramenti che ho apportato alla formula... Il veleno farà effetto tra qualche attimo» sentenziò con un sorriso compiaciuto.

«Portateli via.»

E a quell'ordine i demoni rossi trascinarono Ria e Cam via dalla sala. Ribellarsi fu inutile e per Ria subire l'ennesima sconfitta fu un colpo duro. Vedere Claudette, legata e priva di conoscenza, farsi sempre più lontana fu straziante. Erano arrivati così vicini a salvarla, avrebbe potuto toccarla. Avrebbe potuto aiutarla. E invece era nuovamente costretta ad allontanarsi da lei, contro la sua volontà, portata via dagli stessi mostri rossi. Perché proprio lei? Ma questa volta era ancor più determinata di prima se possibile. Sapeva dov'era con esattezza Claudette, sapeva che l'avrebbe ritrovata e niente o nessuno glielo avrebbe impedito.

«Tornerò a prenderti Dette! Te lo prometto!» urlò prima che la porta si chiudesse.

Non vedendo più la sua amica, Ria si concentrò sul luogo. Fece attenzione a ogni particolare: memorizzò ogni svolta, ogni gradino o porta che percorse, fino alla cella in cui li rinchiusero.

Ma non poté non notare gli spasmi che assalivano sempre più spesso Cameron. Anche se non apriva bocca, era evidente che quel dannato veleno lo stava torturando lentamente.

La loro prigione era spoglia, priva di qualsiasi ornamento: due pareti erano di solida pietra, spessa e umida; il pavimento era semplice terra battuta; delle sbarre di acciaio con due porte separavano i prigionieri da due lati. Gli Oni li abbandonarono lì, senza preoccuparsi di spendere una sola parola e senza sottrare loro le armi.

Girarono semplicemente i tacchi e sparirono.

Quando i mostri uscirono dalla sua visuale, Ria concesse tutta la sua attenzione a Cam.

Il ragazzo era seduto a terra, la schiena appoggiata alla roccia; con una mano stringeva la ferita, mentre l'altra era serrata in un pugno.

Ria s'inginocchiò accanto a lui, non sapendo cosa fare con certezza. Aveva studiato qualcosa sui sintomi di un avvelenamento, ma in quelle circostanze non era sicura servisse a molto. Provò ugualmente a controllare il battito cardiaco del ragazzo posando due dita sulla gola.

«Che stai facendo?» domandò confuso Cam.

«Cerco di aiutarti. So che non sono un medico ma ho studiato...»

Cameron le fece un sorriso mesto interrompendola con un gesto prima di stringere forte la mascella e sussurrare:

«Non puoi. Devi... starmi lontana.»

Era evidente che soffrisse molto e Ria voleva aiutarlo. Doveva farlo. Non poteva rimanere ferma ad aspettare.

«Guarirò tra poco» gracchiò lui prima di stringere gli occhi in preda al dolore. Questa volta fu tanto forte da costringerlo a piegarsi su se sesso, inginocchiato al suolo. Ria si avvicinò ancora e allungò una mano per toccarlo.

«No! Stammi lontana!» ringhiò l'altro, spalancando gli occhi. Erano rossi, intensi e oscuri. La voce aveva assunto un tono molto più basso e cupo, come se appartenesse a qualcun altro.

Ria si fece indietro trattenendo il respiro. Non aveva mai visto quello sguardo negli occhi di Cam. C'era qualcosa di sbagliato e spaventoso.

Una nuova fitta di dolore fece digrignare i denti al ragazzo, così da poter mostrare quattro canini appuntiti e denti da predatore.

Quando Cam aveva detto di essere capace di controllare la sua mutazione, Ria era sicura che non si riferisse solo al cambiamento degli occhi, e questo ne era la prova. Cam si stava trasformando in qualcosa di veramente mostruoso e in quel momento Ria poté comprendere il turbamento di tutti quegli esseri, al locale, che conoscevano la potenza del ragazzo.

Ma mentre si allontanava, Ria si sorprese nel non provare paura. O meglio, ne aveva, ma non per timore di essere ferita da Cam, no, temeva per il suo amico. Doveva essere il veleno a mandarlo in confusione, ma sapeva che non le avrebbe fatto del male.

Con il cuore che le batteva a mille, guardò il ragazzo piegato in due dal dolore: i denti aguzzi, gli artigli lunghi e sporgenti, i cambiamenti del viso e quella strana peluria rossiccia che iniziava a crescere a vista d'occhio sui bordi del viso e sulle mani. Se non le avesse detto cosa fosse, probabilmente lo avrebbe preso per un lupo mannaro.

Ria era ormai spalle alle sbarre di ferro quando Cam le ringhiò.

Un attimo prima era a terra, quello dopo stava a non più di tre centimetri da lei. La osservò con un'intensità sconcertante, come se al suo interno stessero combattendo due nature opposte, come se fosse incerto su cosa farne di lei. Poi si sporse ancora un po' verso Ria e un istante dopo gli si rovesciarono gli occhi e si accasciò a terra, stremato. Solo in quel momento riprese a respirare. Non si era neanche accorta di aver trattenuto il fiato per tutto quel tempo. Ria cercò velocemente di attutire la sua caduta reggendolo come meglio poteva. Lo distese nuovamente a terra e lo voltò supino così da poterlo vedere meglio. Gocce di sudore gli imperlavano il bel viso, tornato angelico come pochi attimi prima. Non aveva nulla che ricordasse il predatore bestiale. Sembrava svenuto. Il respiro era affannato ma la ferita alla spalla non sanguinava più e sembrava cominciare a guarire. Ria fece un sospiro di sollievo e si sedette vicino al ragazzo; ma solo per qualche istante: dovevano andarsene da lì e in fretta.

Perché Edmund aveva parlato di un labirinto? Continuava a chiedersi.

Con questo pensiero, decise di esaminare minuziosamente la loro cella. Tastò ogni centimetro delle due rocce e studiò il punto da cui erano entrati: nulla di utile. Fu però quando controllò l'altra parete di sbarre che si accorse di una cosa: la seconda porta non era chiusa a chiave. Le bastò spingerla perché si aprisse. Era troppo facile. Aveva un brutto presentimento, ma quale altra scelta aveva?

Fece qualche passo all'esterno e con orrore capì di cosa parlava Ed. Delle alte, spesse e lisce pareti di pietra formavano davanti ai suoi occhi un corridoio ampio poco più di tre metri, dalle quali se ne diramavano altri tre e con molta probabilità altrettanti.

La loro cella dava direttamente sull'entrata di un vero e proprio labirinto, buio e inquietante.

Ria strinse forte l'anello che ancora portava al collo. Non lo toglieva mai e in quel momento aveva proprio bisogno di un po' di conforto. Fece un bel respiro ed espirò sonoramente, poi diede un'occhiata a Cam: dormiva.

Ria non aveva la più pallida idea di cosa fare. Sapeva che avventurandosi nel labirinto avrebbe fatto esattamente ciò che voleva Edmund. Ma che altra scelta aveva? Continuava a ripetersi. Non sapeva se Cam si sarebbe rimesso in fretta o se non si sarebbe rimesso affatto. Non poteva aspettare, doveva agire, e se entrare nel labirinto era l'unica opzione, avrebbe affrontato la sfida a testa alta.

Rientrò nella cella e cercò inutilmente di svegliare Cam. Borbottava parole senza senso e teneva gli occhi mezzi aperti ma ciechi. Per sua fortuna riusciva in qualche modo a tenersi più o meno in piedi e, appoggiandosi a Ria, a fare qualche passo. La ragazza lo trascinò fuori dalla cella, poi estrasse la lunga spada. Se i vecchi miti le avevano insegnato qualcosa, non era molto saggio inoltrarsi in un labirinto senza un gomitolo di lana. Ria si arrangiò con ciò che aveva e per lei la sua briciola di pane sarebbe stata un segno nel terreno. Lasciò perciò scorrere la lama sulla sabbia assicurandosi un punto di riferimento.

Svoltò a destra.

Passarono diversi minuti, o forse ore, e ancora vagavano per il labirinto. Ria faceva attenzione a non prendere le strade tracciate dal segno della spada. La luce della luna era la sua unica alleata. Camminando riuscì a scorgere un piccolo fiore che cresceva ai piedi delle mura, solitario e audace. Passarono oltre. I piedi iniziavano a dolerle e il peso di Cam la opprimeva sempre di più. Cercò di resistere il più a lungo possibile, ma alla fine le cedettero le gambe, costringendola a fermarsi. Fece molta attenzione nell'appoggiare il ragazzo alla parete, poi si sedette accanto a lui. Aveva il fiato corto e la gola secca. Il gelo della sera era un sollievo a contatto con la sua pelle. Ria iniziava ad avere dei dubbi se sarebbero mai riusciti a uscire. Stringendo con forza l'anello di famiglia, osservò la luna nel cielo: chissà se sarebbe riuscita a vederla ancora, chissà se sarebbe riuscita a salvare Claudette.

Ora basta!

Si alzò in piedi e cercò di darsi una calmata. Non doveva pensare a certe cose, in un modo o nell'altro sarebbe uscita da lì.

Si guardò un attimo intorno prima di chinarsi per sollevare Cameron, ma poi si bloccò. Qualcosa attirò la sua attenzione. Dall'altro lato del lungo corridoio, a qualche passo di distanza da loro, un piccolo fiore spuntava dal terreno. Non era possibile.

Si avvicinò di corsa al bocciolo: era lo stesso, ne era certa. I petali erano neri come catrame e alcune spine crescevano sul gambo. Ria lo strappò con forza dal terreno, furiosa della scoperta: stavano girando in tondo. Strinse così forte il pugno che alcune spine la fecero sanguinare appena.

«No» gracchiò Cam.

Immediatamente Ria si precipitò dal suo amico che finalmente aveva ripreso un minimo di lucidità.

«Come ti senti, Cam?» domandò chinandosi davanti a lui e sollevandogli il viso per esaminarlo meglio.

Lui gracchiò una mezza risata, soffocata da un colpo di tosse.

«Una favola, ragazzina.»

Ria espirò, sconcertata che riuscisse a fare del sarcasmo anche in una situazione del genere, ma ne era felice e sollevata.

«Dove siamo?»

«Che tu ci voglia credere o no, ci siamo appena persi... in un labirinto» rispose alzandosi in piedi.

Se erano già passati per quella strada, allora perché non c'era il segno della lama?

«E come abbiamo fatto a perderci o ad arrivare fin qui?»

Si chinò e cercò di esaminare con più attenzione il terreno: effettivamente ora che teneva il viso a pochi centimetri da terra riusciva a vedere un leggero solco. La notte non aiutava di certo ma ciò che dedusse era qualcosa di grave: non erano soli.

«Qualcuno ha coperto la traccia»

«Cosa?» domandò tra un colpo di tosse.

«Avevo lasciato un segno sul terreno per non percorrere la stessa strada due volte, ma a quanto pare qualcuno l'ha cancellato.»

Continuò a osservare la sabbia; degli altri segni erano presenti a pochi centimetri di distanza: zoccoli.

«Qualcuno... a cavallo.»

«A cavallo?» nel suo tono c'era scetticismo.

«Ci sono segni di zoccoli qui sul terreno. Ah, e sono stata io a portarti fin qui, più o meno. Non sapevo che fare, non potevo rimanere ferma ad aspettare in una cella; e non potevo lasciare te, da solo, in quelle condizioni perciò...»

Lasciò la frase in sospeso: era certa di aver sentito un rumore provenire non molto distante da loro. Si voltò verso Cam e indicandosi l'orecchio gli fece una muta domanda. Lui corrugò la fronte e cercò di ascoltare con più attenzione. Ed ecco di nuovo, lo stesso rumore, come di qualcosa che si trascina a terra, farsi sempre più vicino.

Aveva ragione, non erano soli.

Prontamente Ria impugnò a due mani la spada, mettendosi in guardia, in attesa. Riusciva ad intravedere una sagoma nell'oscurità: non era a cavallo e dalla corporatura sembrava... una donna, una ragazza. Il suo passo era qualcosa di strascicante come quello di uno zombie. Man mano che usciva dall'oscurità, Ria riusciva a scorgere sempre più dettagli illuminati dalla luce lunare. Al posto delle gambe vi erano due zoccoli – il che spiegava le orme trovate poco prima – aveva persino la coda, ma il resto del corpo della ragazza era umanoide. Indossava solamente una lunga tunica strappata e logora, intrisa di sangue rappreso e fango. Poi la luna le illuminò il viso. Ria spalancò gli occhi e trattenne il respiro per lo stupore. Quella ragazza... era Debby!

La presa sulla spada si fece più fiacca.

Non è possibile, continuava a ripetersi.

Il viso che aveva di fronte era smunto e sporco di sangue e terra; i capelli – ancora dello stesso blu elettrico – erano sporchi e molto più lunghi di quanto ricordava Ria. Curioso che non avesse alcun segno di ricrescita, che fosse veramente quello il suo colore naturale? Non aveva alcuna importanza al momento.

«Debby?» domandò Ria in un sussurro.

L'altra teneva la testa leggermente abbassata, il suo sguardo era perso nel vuoto, ma nel sentire il suo nome chinò leggermente la testa da un lato, mostrando uno strano simbolo tatuato su una tempia.

'Non abbassate la guardia. Attaccate senza esitare.'

Chi era stato a parlare? Ria si voltò un istante verso Cam. No, non era la sua voce quella che aveva sentito.

Il ragazzo spalancò gli occhi prima di urlare:

«Attenta, Ria!»

Per un soffio riuscì a schivare l'attacco dell'altra ragazza. Impugnava due grossi pugnali che sporgevano a malapena dalle lunghe maniche macchiate di sangue.

Perché era lì? Perché era ricoperta di sangue? Perché sembrava non riconoscerla? Perché aveva quella forma? Perché ... perché ... perché...?

Troppe domande e troppo poco tempo per analizzare la situazione. Ria impugnò con destrezza la sua spada e si frappose nuovamente tra Cameron e quella cosa che aveva l'aspetto di qualcuno che conosceva.

«Fermati, Debby! Non voglio farti del male! Sono io, Ria!»

Sul viso del suo avversario non comparve un solo segno di emozioni. Era come se il suo cervello fosse stato spento e agisse solo per istinto o qualcosa di simile.

Attaccò nuovamente, questa volta con più forza. Ria riuscì a parare un fendente, ma il secondo pugnale le graffiò il viso, facendole scendere un rivolo di sangue dallo zigomo. Pochi attimi ed era già guarita.

Debby sgranò gli occhi, inspirò profondamente, come fa un segugio alla ricerca del suo obiettivo, poi aprì la bocca e si passò la lingua sulle labbra, pregustando un momento futuro. Dopodiché le saltò letteralmente addosso, lasciando cadere a terra i pugnali e usando tutta la forza che aveva. Era qualcosa di avventato e inaspettato e Ria non poté fare a meno che stringere ancora più forte la spada e chiudere gli occhi aspettando che quell'essere la divorasse viva.

«Ria!»

Sentì Cameron gridare il suo nome. Ma non accadde nulla di più.

Delle gocce calde e dense le ticchettavano una guancia. Lentamente aprì gli occhi e si ritrovò a pochi centimetri dal viso di Debby. Il suo sguardo era fisso in quello di Ria, dalla bocca le colava del sangue. Abbassò lo sguardo sulle sue mani che impugnavano ancora la spada di Dette. La lama era conficcata nello stomaco dell'altra ragazza e la trapassava da parte a parte.

No! No, no, no!

Sconvolta, Ria continuava a fissare lo sguardo dell'altra che ora si stava facendo più sereno. Un sorriso timido curvò le labbra della ferita, come se fosse felice dell'accaduto, come se la ringraziasse.

Fu Cameron a strappare via il corpo ormai esanime da sopra di Ria. Lei era troppo scioccata per muovere anche un solo muscolo. Anche dopo che Debby fu distesa accanto a lei, Ria non riusciva a muoversi, rimanendo nella stessa esatta posizione di qualche attimo prima: la spada insanguinata stretta a sé, le labbra dischiuse, gli occhi spalancati. Continuava a rivedere lo sguardo sorpreso di Debby, la morte che piano piano si faceva largo nelle tenebre dei suoi occhi. La spada che veniva sfilata dal corpo senza vita della sua coetanea. Tutto intorno a lei non aveva più alcun suono o colore.

«Ria! Ria!»

Era Cameron, la stava scuotendo già da un pezzo, ma lei se n'era resa conto solo in quel momento.

«Stai bene?»

Lentamente si mise a sedere, fissando sconvolta la lama che teneva tra le mani. La lama di Dette.

Sapeva che era da insensibili lasciare lì Debby, così, in quel modo, ma non aveva altra scelta. Erano finiti in quel pasticcio per salvare la sua amica e, che le piacesse o no, dovevano andare avanti. Stoicamente, Ria rinfoderò la spada e senza aggiungere altro prese Cam sotto braccio e si rincamminò nel labirinto.

«Aspetta, guarda.» sussurrò Cam rivolgendo lo sguardo in direzione del cadavere.

Ria non aveva alcuna intenzione di voltarsi, sarebbe stata l'ennesima tortura cui si sottoponeva volontariamente. Voltò il viso dal lato opposto.

«No, Ria, guarda. Fidati di me» disse il ragazzo guidando con una mano il suo viso verso ciò che voleva.

Ria si aspettava di vedere uno scempio di sangue e morte, invece vide una splendida piazzola di rose rosse, proprio dove pochi attimi prima vi era un corpo esanime.

Era qualcosa di sorprendente e affascinate, qualcosa che non aveva mai visto e che gli fece stringere lo stomaco e scendere qualche lacrima. Era di una malinconica bellezza, qualcosa di molto puro e fragile. Mentre le lacrime le rigavano il viso macchiato di sangue, Ria fece qualche altro passo, finché non si ritrovò un altro incrocio di vie oscure.

Destra.

Questa volta Ria non si domandò da dove provenisse quella voce, si limitò solamente a seguirla, e mentre le lacrime fluivano ininterrottamente, proseguirono silenziosi lungo le misteriose vie del labirinto.

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