CAPITOLO TREDICI

E come al solito vi chiedo di commentare e votare :) fatemi sapere che ne pensate. Buona lettura

Capitolo tredici

"Ho imparato che le persone possono dimenticare ciò che hai detto, le persone possono dimenticare ciò che hai fatto, ma le persone non dimenticheranno mai come le hai fatte sentire."

Maya Angelou

PROMESSE

Era nella sua testa. Ma come era possibile? Ria fissava quei suoi occhi argentei sconvolta. Era lui che li aveva guidati nel labirinto, era stato lui a dirle cosa fare con Claudette, era lui a sussurrare nella sua mente. Perché?

Con quel sorriso che gli incurvava ancora le labbra, l'uomo tolse il fiore dall'occhiello e se lo portò al naso. Quel fiore... Ria aveva già visto quel fiore... nel labirinto! Si osservò per un istante la mano inguantata; sotto la stoffa aveva visto quelle diramazioni corvine ... forse, in qualche modo, le due cose erano legate.

Alle sue spalle Claudette tossì.

Ria le si avvicinò immediatamente, sorreggendole il capo e studiandola con attenzione: la grossa ferita aveva smesso di sanguinare e si era rimarginata, il respiro era tornato regolare. Era sconcertata e sollevata al tempo stesso. Come aveva fatto il suo sangue a salvare Dette? Lei, che aveva sempre avuto paura di fare del male a chi le stava intorno, era riuscita a salvare qualcuno. Era riuscita a salvare la sua amica. Esalando un sospiro di sollievo, strinse Claudette al petto, cullandola dolcemente. Dette stava bene, finalmente poteva toccarla, poteva cullare la sua amica. Aveva avuto così tanta paura di perderla... senza di lei sa sua vita non avrebbe più avuto senso. Ma per qualche miracolo era viva, viva! Le lacrime scorrevano a fiotti e a Ria non importava. Tutto ciò che contava per lei era Claudette.

«Andrà tutto bene» le sussurrò tra i singhiozzi.

O forse lo stava dicendo a se stessa?

L'uomo, che aveva osservato l'intera scena in silenzio, si fece avanti, porgendole una mano.

«Venite mia signora, avete tutti bisogno di un luogo più confortevole in cui riposare.»

Ria non ebbe il tempo di decidere se afferrare o meno quella mano che un lucente pugnale argenteo sfrecciò a pochi centimetri dal viso dell'uomo. Cam.

Per schivarlo fece un brusco movimento del capo che fece ondeggiare i lunghi capelli nocciola, scoprendogli completamente il viso.

Ria lo osservò impressionata, l'occhio che per tutto quel tempo era rimasto coperto dalla chioma ora era visibile e... completamente nero. Un brivido le percorse la schiena. Provò una strana sensazione, come se ci fosse qualcosa di sbagliato in lui.

«Non ti avvicinare a lei, essere corrotto!»

Cam si stava portando a sedere con non molta facilità, impugnando altri due pugnali.

L'uomo sorrise ancora, quasi divertito dall'accaduto, sistemandosi nuovamente i capelli in modo da nascondere l'occhio destro. Poi si voltò verso Ria, che aveva impugnato un'altra volta il pugnale contro di lui.

«Vogliate scusarmi, ma ho ritenuto opportuno celarvi questo... amabile dispiacere per non intimorirvi. Non ho il ben che minimo interesse nel farvi del male, mia signora.»

E mentre quelle parole, pronunciate in tono così calmo e rilassante, avevano il compito di rassicurarla, Ria non era per niente a suo agio, e non gli era sfuggito l'avanzare silenzioso di quella bestia nera verso Cam. Doveva fare qualcosa, o con molta probabilità i suoi amici si sarebbero fatti male, ancora.

Senza pensarci troppo voltò il pugnale nella sua direzione, puntandoselo al collo. L'uomo che le stava davanti sgranò gli occhi e fece un piccolo passo verso di lei, aprendo le mani, facendo così cadere a terra il fiore nero. Bingo!

«È me che vuoi anche tu, giusto?»

Cam la chiamò in un sussurro ma il grosso cane continuò ad avanzare.

«Non vogliamo che facciate gesti avventati» disse l'individuo, cautamente.

«Richiamate il vostro... cane. Nessuno dei miei amici deve farsi del male o io...» disse Ria spingendo con un po' più di forza il pugnale sul suo collo.

«Oh, intendete Rowell?» fece un fischio e il cane accorse verso il suo padrone del tutto disinteressato a Cam.

«Ecco, nessuno si farà del male, ma ora... » allungò una mano verso Ria «Vi do la mia parola, mia signora.»

Lo disse in un modo – e con un'intensità dello sguardo – che per qualche ragione Ria gli credette. Posò il pugnale sulla mano dello sconosciuto. Questo chiuse per un istante gli occhi, sospirando.

Ria non sapeva se aveva fatto bene o meno a fidarsi di lui, ma dopotutto era stato lui a tirarli fuori dal labirinto e a salvarli da Will e Ed. Almeno non le avrebbe fatto del male... sperava.

«E ora venite con me» disse l'uomo indicando la via.

Cam era ormai in piedi e si avvicinò a Ria. Non la degnò di un solo sguardo mentre afferrava Claudette. Questa allungò una mano verso Ria e cercò di accarezzarle una guancia ma lei si scansò abbassando il viso, non poteva rischiare che la toccasse a mano nude. Poi senti una piccola pressione al collo e sollevò il volto. Dette si stringeva i pugni al petto mentre Cam la portava in braccio oltre la porta.

«Che sbadato, non mi sono neanche presentato, perdonate la mia scortesia» disse l'uomo facendo un piccolo inchino.

«Il mio nome è Teseo» sollevò il capo e porse una mano inguantata verso Ria.

Quel Teseo? Hm, ma no, non può essere, rifletté Ria

Lei, un pò titubante, l'afferrò e seguì Cam in silenzio.

Non poté fare a meno di voltarsi un'ultima volta per vedere la stanza e i corpi esanimi di Ed e Will. La sala era uno scempio di sangue e morte, come anche i due corpi mutati dei ragazzi che un tempo aveva conosciuto. Gli occhi vitrei e terrorizzati di Will furono l'ultima cosa che vide prima di allontanarsi.

Percorsero vie del castello a lei sconosciute, fino ad arrivare a tre porte una accanto all'altra. Nella prima entrò Cam con in braccio Dette. Ria sbirciò al suo interno: era una grande stanza, con un gigantesco letto a baldacchino. Non riuscì a vedere di più. Cam posò la sua amica sul letto e uscì dalla stanza, entrando, come indicato da Teseo, nell'ultima stanza. Cam non sembrava per nulla contendo della situazione e poco prima di chiudere la porta lanciò un'occhiata agghiacciante verso Ria. Questa sospirò e tentò di entrare nella stanza della sua amica, ma l'uomo la bloccò.

«Mi dispiace ma la vostra stanza è un'altra, mia signora.»

«Ma... non voglio lasciare Dette da sola» cercò di opporsi lei.

«Avrà tutte le cure necessarie, anche se dubito ne abbia bisogno dopo il vostro intervento. Ad ogni modo, non posso rischiare la vostra incolumità, pertanto attenderete qualche giorno nella stanza a voi adibita. Dopodiché, farete ritorno a casa.»

E mentre parlava, la spingeva con garbo verso la stanza nel mezzo. La perquisì perfino, scusandosi ovviamente del controllo così minuzioso. In quel momento era totalmente disarmata.

«Ah, e sarei davvero lieto se non cercaste di scappare. Vi chiedo solo di attendere serena quel giorno. Dopotutto, siete in debito con me.»

Ria entrò nella camera, lui le sorrise e la chiuse dentro.

Sospirando si accasciò a terra, abbracciandosi e posando la fronte sulle ginocchia sollevate. Rimase così, in silenzio, ascoltando il cinguettio degli uccelli. Doveva essere già l'alba. Ria sollevò leggermente il capo e diede un'occhiata alla camera: vi era solo lo stesso letto a baldacchino che aveva visto in quella di Claudette, né un comodino, né un armadio, null'altro se non un'altra porta. Delle grandi finestre stavano iniziando a fare entrare la luce del mattino attraverso grosse tende rosso melograno. Ria si avvicinò, attratta dalla luce come una falena. Tirò via le tende, alzando un polverone: al di là del vetro riusciva a vedere il sole sorgere dal mare, uno spettacolo mozzafiato. Sarebbe stato tutto molto romantico e rasserenante se solo non ci fossero state delle grosse sbarre nere ad ostacolarle la vista, e se solo fosse successo in un contesto diverso. Ria spalancò la finestra e si aggrappò alle sbarre, le scosse un po': erano salde e resistenti. Ma che stava pensando? Un centinaio di metri separavano lei da un'aspra scogliera, se anche fosse riuscita a forzare una sbarra... poi che avrebbe fatto? Stupida. Questa volta non sarebbe scappata. Non l'avrebbe fatto comunque. Anche se quel tipo, Teseo, non le piaceva poi così tanto, era in debito con lui e avrebbe mantenuto la parola. Così le era stato insegnato dai suoi genitori e così avrebbe fatto.

«Ria?»

Qualcuno la chiamava. Cam la chiamava. Si sporse un po' più vicina alle sbarre e riuscì ad intravedere che alla sua sinistra c'era effettivamente qualcuno nella medesima posizione.

«Cam» disse lei in un sussurro sospirato.

Sospirarono entrambi. Seguirono alcuni istanti di silenzio prima che Ria riuscisse a chiedergli come stava.

«Bene» rispose semplicemente lui.

Non sembrava mentire e Ria ne fu sollevata.

«E ora che facciamo?» domandò lei.

«Mi pare ovvio, aspettiamo.»

Sospirarono ancora e passarono ancora attimi di silenzio.

«Mi dispiace, Cam, mi dispiace davvero. Non ho mai voluto niente di tutto ciò. Non ho mai voluto che qualcuno di voi si facesse male. Lo odio. Odio tutto questo.» singhiozzò cercando di trattenere le lacrime.

«Lo so.»

Allungò una mano e Ria l'afferrò, stringendo forte. In qualche modo questo gesto la rassicurò.

«Ma sono io quello che dovrebbe scusarsi.»

«Cosa? No, Cam, tu non hai fatto nulla di male.»

«Infatti, non ho fatto nulla. Avrei dovuto proteggerti, avrei dovuto accorgermi che qualcosa non andava in quell'elfo e avrei dovuto difendervi tutti, anche Dette. E invece non sono stato capace di fare nient'altro che farmi colpire. Io! Io che sono stato un così abile combattente in passato... mi sono rammollito.»

Ria gli strinse la mano.

«No, non è vero. È colpa mia, è me che cercano.»

Poi allentò la stretta per sussurrare:

«Forse dovrei andare solo io, voi potreste sempre mettervi in salvo senza di me.»

«Non ci pensare neanche! Siamo una squadra, nessuno sarà lasciato indietro. Attenderemo a testa alta qualsiasi cosa ci aspetti.»

Cam sembrava così forte, così sicuro di sé. Ria lo ammirava, avrebbe tanto voluto avere quella forza d'animo che aveva lui, ma ormai iniziava a perdere le speranze.

Tutti gli avvenimenti dei giorni passati le tornarono alla mente: il rapimento di Dette, le sofferenze passate prima di arrivare al castello, Debby, Ed e Will, Dette a terra e insanguinata accanto a lei, Cam svenuto a terra, sangue, sangue e ancora sangue.

Alcuni singhiozzi le sconquassavano il corpo e le lacrime continuavano a sgorgare incessantemente.

«Non è colpa tua, Ria» disse Cam stringendole la mano.

Aveva un tono così sicuro, fermo e profondo, ma anche dolce e rassicurante. Un tono che lei non meritava.

«Sì, invece, sono stata io a... uccidere Debby, è stata la mia testardaggine che ha quasi ucciso Dette ed è per proteggere me che per poco tu...»

«Ora basta!» urlò Cam.

Ria trattenne il respiro, sorpresa da quel cambio d'intonazione.

«Promettimi una cosa, Ria. Qualsiasi cosa accada tu non devi scordarti di te stessa. Non devi dimenticare chi sei!»

«Dimenticare... chi sono?!» singhiozzò.

«Ria tu sei... Cocciuta, sei un mulo testardo! Ma non sei una vigliacca. Per i tuoi amici tu combatti senza esitazione, perché sei una persona buona, Ria. Tu sei dolce e non faresti del male ad una mosca di tua iniziativa. Non hai mai voluto far del male a nessuno e lo so, ma certe persone, certi esseri non meritano di stare in questo mondo...» Cam ormai le stava stritolando la mano.

«E chi sono io per decidere chi vive e chi muore?» sussurrò malinconica.

«Ria, promettimi che non ti dimenticherai di te stessa. Non dimenticarti della Ria che in quarta elementare si ostinò a covare delle uova che avevano perso la madre, preparando intrugli che potessero andar bene per dei piccoli uccellini. Non scordarti di quella Ria che si metteva da sola, contro i bulli che opprimevano i più deboli. Non scordarti di quella Ria che portò Dette in spalle fino a casa quando si ruppe un braccio – un braccio! – cercando di afferrare uno stupido fiore su una roccia altissima. Non dimenticarti della Ria che anche dopo tutte le sue perdite, non piangeva davanti a Claudette per non darle un peso. Non scordarti della Ria che sorrideva mentre tutti gli altri piangevano. Non dimenticarti di quella Ria che dava tutto di sé a chi non aveva niente. Non dimenticarti di questa Ria, qualunque cosa accadrà, tu promettimelo. Perché è di questa Ria che io...»

Lui, che fino a poco prima le stringeva la mano, allentò la presa fino a lasciarle la mano. Ria era leggermente confusa, ma quelle parole l'avevano davvero confortata.

«Lo prometto» sussurrò.

Poi quell'istante di conforto scomparve, lasciando lo spazio ad una spiacevole domanda: come faceva Cam a sapere queste cose?

Qualcuno bussò e la porta si aprì alle sue spalle.

Teseo stava sbirciando dalla fessura appena aperta.

«Vi disturbo mia signora?»

Ria si allontanò dalla finestra senza rispondere. Lui le sorrise e si fece avanti, il fido cagnone ai suoi piedi.

«Vi ho portato un cambio e qualcosa da mangiare. Vi prego di servirvi, oltre quella porta troverete un bagno confortevole. Spero che sia tutto di vostro gradimento. Tornerò più tardi a farvi visita, mia signora.» e dicendo ciò appoggiò il tutto sul letto e fece per andarsene, ma Ria lo bloccò.

«Voglio vedere Claudette.» disse senza muoversi da dove si trovava.

Lui le sorrise – come aveva ormai fatto un'infinità di volte da quando lo aveva visto – e accarezzando la bestia scosse la testa.

«Fate come vi ho domandato e, forse, vi permetterò di vederla. Ma non preoccupatevi, sta bene, grazie a voi.»

Poi chiuse la porta alle sue spalle, lasciandola sola.

Ria aspettò qualche istante prima di avvicinarsi e controllare cosa le era stato portato: su di un vassoio d'argento vi era una bottiglietta d'acqua, dell'uva, del thè caldo, dei biscotti e piegato con cura un abito color porpora. Ria si avventò sulla bottiglietta d'acqua e la trangugiò giù tutta senza molta grazia e compostezza, ne aveva assoluto bisogno. Poi mentre si asciugava le labbra osservò curiosa quell'ammasso di stoffa. Posò la bottiglia ormai vuota e allungò una mano per prenderlo, ma guardando il contenitore di plastica macchiato di rosso, si ricordò che era tutta ricoperta di sangue. Non poteva macchiare un così raffinato lavoro di sartoria. Forse un bagno non le avrebbe fatto di certo male. Si diresse perciò verso la porta accanto al letto e l'aprì. Era un semplice bagno con tutto il necessario: i servizi igienici stavano da un lato, come gli specchi, che lei evitò sistematicamente; non voleva vedere il suo riflesso in quel momento. Ma a troneggiare in quel piccolo spazio era una grande doccia, contornata da un'infinità di tappeti colorati. Vi erano perfino diversi asciugamani ricamati. Ria fece scorrere l'acqua mentre con difficoltà si liberava dell'armatura sporca di sangue. Quando ormai il vapore aveva iniziato ad appannare gli specchi, si decise ad entrare. L'acqua calda fu un vero sollievo a contatto con la sua pelle ma Ria fece lo sbaglio di aprire gli occhi. Tutto ciò che vide, fu sangue, che scivolava lento sul suo corpo, sulle sue mani, sui suoi piedi. Trattenne un urlo e strinse forte i denti. Sconvolta, non riusciva a distogliere lo sguardo da quel fluido scarlatto. Per qualche ragione vedere le sue mani insanguinate le diede un senso di déjà-vu e con esso riaffiorarono alla mente ricordi che aveva cercato di nascondere il più in profondità possibile dentro di lei. Rivide molte morti e molti sguardi vitrei: gli occhi di sua madre, quelli di suo padre, quelli di Debby e quelli di Will. L'acqua ormai scorreva limpida attorno a lei, ma quasi non riusciva a vederla, intrappolata nei suoi ricordi. Le lacrime si mischiavano all'acqua mentre stringeva i pugni e cercava di riprendersi. Utilizzò i prodotti per lavarsi, come in uno strano stato di trance, come se avesse inserito il pilota automatico. Chiuse l'acqua e si avvolse in un morbido asciugamano. Vide gli specchi appannati e passò oltre, non era ancora pronta.

Tornata nell'altra stanza afferrò l'abito e lo sollevò per guardarlo meglio. Era qualcosa di sublime, un abito non proprio adatto al suo tempo: aveva diverse gonne, pizzi raffinati e un corpetto rigido. Ria non sapeva se sarebbe riuscita ad indossarlo da sola, ma quella stoffa così morbida ed elegante bramava per essere indossata. Poi qualcosa cadde dalle sue mani. Le sue guance avvamparono: una lingerie di pizzo abbinata al vestito stava immobile sopra i suoi piedi. Si era occupato proprio di tutto quel Teseo, eh?

Qualcuno aprì la porta chiudendola con garbo alle sue spalle. Cam, che stava ancora osservando il sole sorgere dal mare, non si preoccupò di votarsi, sapeva già chi era. In quel momento quello che lo tormentava era il ricordo della conversazione avvenuta poco tempo fa con Ria. Stava davvero per dirle che... ma no.

«Qualche pensiero ti turba, Cameron?»

Lui sbuffò, seccato che quello gli stesse davvero rivolgendo la parola.

«Comunque non credo sia affar tuo quello che mi passa per la testa, Teseo» e ci mise quanto più veleno aveva nel pronunciare quel nome.

«Sempre il solito impudente. Dovresti portare un po' più di rispetto.»

«Ah! Ma non farmi ridere»

L'altro sbuffò e gli lanciò una bottiglia d'acqua che Cam afferrò prontamente.

«Bevi. Per qualche ragione la mia signora tiene ancora a voi. Pertanto non posso lasciarti morire, non per mano mia almeno.»

E mentre l'uomo si voltata per andarsene, Cam appoggiò una mano dietro la schiena, dove teneva ancora nascosti dei pugnali.

«Rowell ti ucciderebbe subito dopo la tua mossa, sei sicuro di volerlo fare?»

Quel grosso cagnaccio gli stava ringhiando contro. No, non poteva ucciderlo, non ancora. Doveva prima trovare il modo di andarsene e poi, con molta probabilità, avrebbe soppresso lui e il suo orrendo segugio.

«Ma se volessi usare quelle lame contro te stesso... io non avrei nulla in contrario» sibilò uscendo dalla porta.

Dannazione. Cam diede un pugno alla parete di pietra, lasciando un grosso segno. Era bloccato in una stupida camera, una normalissima stanza. Cam odiava quell'uomo. Odiava che sapesse così tante cose sul suo conto. Odiava la sua furbizia. Non appena aveva varcato quella soglia, aveva subito cercato una via di fuga ma solo in seguito si era accorto di essere entrato all'interno di un gigantesco sigillo di contenimento, tracciato con il sale sul pavimento. Era in trappola. Per fortuna era abbastanza forte da poter tirare fuori almeno le braccia e toccare Ria, lei ne aveva bisogno. Lui ne aveva bisogno. 


Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top