CAPITOLO SETTE

Capitolo sette

 

“Il vino mi spinge, il vino folle, che fa cantare anche l'uomo più saggio e lo fa ridere mollemente e lo costringe a danzare, e tira fuori parola, che sta meglio non detta.”

Omero

 

THE MOON LIGHT

Era buio, le strade della città brulicavano di persone, intente a passeggiare o guidare verso chissà quale meta. L’aria era satura di umidità, le nubi coprivano il cielo, oscurando la luna che si celava splendida dietro di esse. Quella strana fetta bianca l’aveva sempre attirata, come se ci fosse un qualche legame tra loro, qualcosa di più profondo rispetto all'attrazione che provava per il tramonto o per l’alba. Da piccola, insieme a suo padre, faceva finta che fosse fatta di formaggio o di zucchero e, allungando una mano, cercava di acciuffarla, fingendo di assaporare chissà quale prelibatezza. Ora però si nascondeva alla sua vista, rendendo la notte buia, se solo non ci fosse la città a farla splendere di colori, creando ombre e sfavillii e rendendo il tutto estremamente interessante.

Si fermò ad osservare la sua vecchia compagna di serate notturne, ma solo per un secondo; non poteva rischiare di perdere di vista il ragazzo che passeggiava disinvolto, con le mani nelle tasche, a qualche metro dinanzi a lei. Cam era uscito senza voltarsi neanche una volta, lasciandola lì in quel posto a lei estraneo ed estremamente… freddo. Senza rendersene conto si ritrovò fuori dalla stanza in poco tempo, decisa ad inseguire il ragazzo. Non ci aveva pensato due volte a fiondarsi dentro il primo ascensore, diretto al piano terra. Ovviamente era stata attenta a non farsi vedere dal ragazzo o l’avrebbe rispedita in camera, probabilmente chiudendola dentro a chiave. Non sapeva perché lo stesse pedinando, ma non voleva restare sola, non ora che si era abituata ad avere intorno qualcuno.

Quando aveva deciso di partire per ritrovare Claudette, era sicura di non volere nessuno che la seguisse, ma ora non ne era del tutto sicura. Dio, non erano passati nemmeno due giorni! Com'era possibile? Le sembrava di essere in viaggio da una vita. E come poteva essersi già abituata alla presenza di Cameron? In fin dei conti lei non lo conosceva affatto. In così poco tempo, la sua vita – che non era per niente rosa e fiori – era stata incasinata a tal punto che non era più in grado di controllare il susseguirsi degli eventi. Sentiva che le stava scappando dalle mani come se fosse acqua, impossibile da trattenere.

Senza nessun preavviso, Cam svoltò a destra, infilandosi in uno stretto vicolo. Aspettò qualche secondo prima di seguirlo e quando lo fece, la frustrazione ebbe la meglio su di lei: era sparito. Si guardò introno, cercandolo con lo sguardo. Era impossibile che fosse fuggito da lì: era un vicolo cieco. Ria esalò un sospiro delusa; era stata attenta, o almeno lo pensava lei, ma non si sarebbe sorpresa se l’avesse scoperta, sperava solo che lo facesse ad una certa distanza dall'hotel, cosicché sarebbe stato più facile convincerlo a farla restare. Erano abbastanza lontani, questo è vero, ma non si sarebbe mai aspettata che l’avrebbe abbandonata in un vicolo puzzolente e buio di una città sconosciuta.

Le arrivò da sopra la testa un rumore di ferri che stridulano. Sollevò lo sguardo appena in tempo per notare un corpo che le cadeva praticamente addosso. D’istinto chiuse gli occhi e si riparò con le braccia il viso, chinandosi leggermente e aspettando il colpo. Non ne arrivò alcuno. Lentamente, allora, aprì gli occhi e si sollevò, spostando le braccia dalla sua visuale: Cam troneggiava a pochi centimetri da lei, accusandola con uno sguardo che avrebbe potuto farla a fettine, se solo fosse stato una lama. Si era aggrappato ad una scala antincendio, piegandosi in modo che non lo vedesse penzolare e ci era rimasto appeso fino a quel momento. Ria inghiotti il groppo che le si era formato in gola, facendo un passo indietro per mettere un po’ di distanza tra loro. Erano troppo vicini per i suoi gusti; anche se a una parte di lei, una parte che per troppo tempo aveva cercato di sopprimere, non dispiaceva affatto sentire alcune parti del corpo di Cam sfiorare la sua pelle ben ricoperta, donandole un calore che al momento non poteva permettersi di desiderare.

«Per quale stupida ragione mi stai seguendo?» fu lui a parlare per primo.

Stizzita dal tono di voce dispotico e duro che aveva utilizzato, Ria incrociò le braccia al petto e, sbuffando, gli rispose con altrettanta acidità:

«Non avevo la minima intenzione di restarmene con le mani in mano in quello stupido hotel lussuoso.»

Non specificò che erano proprio i tappetti riccamente ricamati e le lussuose lenzuola di seta a spaventarla più di tutto, portando alla mente ricordi che era meglio rimanessero chiusi a chiave, per il momento.

Cam si passò una mano sulla faccia e poi tra i capelli, sbuffando, visibilmente irritato.

«Cosa devo fare con te Ria?» sussurrò.

Sembrava lo stesse dicendo più a sé stesso che a lei. La ragazza aspettò in silenzio per pochi secondi, poi l’altro girò sui tacchi per riprendere il cammino.

«Hey! Aspettami!» gridò la ragazza, costretta ad aumentare la velocità del passo per stargli dietro.

«Seguimi, se proprio devi, ma tieni chiusa quella tua bocca larga.»

Stizzita Ria fece per ribattere, ma Cam le lanciò un’occhiataccia da sopra la spalla che non prometteva nulla di buono. Decise perciò di ascoltare il consiglio; almeno non l’aveva fatta ritornare in hotel.

Per tutto il tragitto – che durò diversi minuti – nessuno dei due aprì bocca, fino a quando arrivarono davanti ad un locale. Dalle finestre oscurate si intravedevano diverse sagome e il vociare di molti individui le arrivava alle orecchie attraverso la porta in vetro colorato. Ria alzò lo sguardo verso l’insegna luminosa bianca al neon. A caratteri sottili ed eleganti, vi scritto il nome del locale: THE MOON LIGHT. Una sottile mezzaluna decrescente si trovava leggermente al di sotto dell’ultima parola, rendo l’insegna estremamente affascinante e raffinata, in contrasto con l’ambiente che – a sentire dallo schiamazzo dell’interno del locale – faceva pensare più ad una taverna per barbari di altri tempi.

Senza esitazioni Cam si avvicinò all'entrata e, girando la manopola della porta che assomigliava ad una grossa gemma rossa, varcò la soglia, facendo tacere gran parte del frastuono che produceva la clientela. Confusa e imbarazzata al tempo stesso, Ria lo seguì verso il bancone, perfettamente consapevole che tutti li stavano fissando. Il ragazzo però sembrava non farci caso, adottando un atteggiamento risoluto e fluido che lo faceva assomigliare ad una pantera. Non aveva mai associato una persona ad un animale tanto pericoloso e affascinante, ma si rese conto che Cam non sarebbe potuto essere paragonato a nient’altro che ad un felino.

Da quando erano entrati non aveva distolto lo sguardo dalle spalle di Cam, cercando di ignorare gli strani odori che le arrivavano alle narici; non sapeva se era pronta ad accettare l’esistenza di tante altre creature che avrebbero dovuto popolare solo i racconti fantasiosi. Ma ormai era entrata e non poteva rimanere ferma impalata alle spalle di Cameron per tutta la notte. Arrivati al bancone Ria si accorse che il barista non aveva niente che non andasse: aveva una carnagione olivastra e gli occhi a mandorla di un grigio intenso che faceva pensare a quelli di un lupo dei boschi, ma che forse, con più probabilità, lo identificavano come un indiano d’America. In netto contrasto con la sua carnagione i capelli, che erano di uno strabiliante bianco candido, tirati con leggerezza all'indietro. Portava una camicia bianca, con tre bottoni appositamente aperti, così da mettere in maggior risalto la piuma rossa che aveva tatuata sul collo e sulla clavicola. Uno strano individuo, doveva ammettere, ma niente che non facesse pensare che fosse umano.

«Buona sera, signore. La stavamo aspettando.» gli rivolge un sorriso incerto per poi abbassare lo sguardo.

Cam, impassibile, lo osserva dall'alto, come se fosse una divinità pronta a sentenziare un comune mortale. Facendosi coraggio, Ria decise di dare un’occhiata alla stanza, per capire che cosa diamine stava succedendo. Creature di ogni genere di colore e corporatura li osservavano di nascosto, cercando di non farsi notare e bisbigliavano tra di loro. La ragazza spalancò gli occhi alla vista di così tante stramberie: c’erano esseri dalla pelle blu e squamata, altri l’avevano rossa, altri avevano corna e alcuni le dita palmate, qualcuno aveva il becco o la cosa, ma notò con piacere che c’erano alche alcune persone con sembianze umane e un po’ di sollievo la fece espirare. Pensandoci bene però non era sicura che questo avrebbe dovuto rassicurarla, anzi, avrebbe dovuto terrorizzarla. Una parte di lei non riusciva a capire perché degli esseri umani fossero in quel luogo, mentre un’altra pensava già che con molte probabilità non erano umani, ma ne avevano solamente le sembianze. Chissà quante entità sovrannaturali si nascondevano sotto mentite spoglie nella comunità degli esseri umani.

«Enapay l’aspetta nel privé» indicò con la testa leggermente abbassata una zona appartata del locale.

Cam fece un paio di passi in quella direzione prima di fermarsi e guardare Ria da sopra la spalla.

«Tu aspetta qui» le disse scostando uno sgabello dal bancone.

Lei ci si appollaiò senza protestare tenendo lo sguardo fisso davanti a lei. Pochi secondi dopo Cameron avvicinò le labbra al suo orecchio per sussurrarle:

«Ti conviene rilassarti, ragazzina. Sembri un coniglio che si è appena accorto di essere entrato nella tana del lupo; così facendo attirerai solo di più l’attenzione su di te e per la maggior parte sei circondata da demoni.»

Si allontanò dall'orecchio destro per avvicinarsi nuovamente a quello sinistro

«Fai la brava e tieni la bocca chiusa.» e detto ciò si rivolse al ragazzo dietro al bancone, tenendo gli occhi stretti in due fessure.

«Vedi di assicurarti che non le accada niente.»

Poi, ad un cenno d’assenso dell’altro, si diresse dietro il muretto basso che nascondeva una zona riservata. Ria riusciva ad intravedere un uomo seduto di spalle, con lunghi capelli color mogano, ma quando si sedettero, solo una piccola punta delle loro teste rimase visibile.

Sospirando, Ria si voltò verso il barista che stava ancora osservando Cameron. Era teso come un filo di violino ma poco dopo si rilassò, abbassando le spalle e acchiappando uno straccio per dare una ripulita al bancone già lindo.

Ria si portò l’unghia del pollice alle labbra ed iniziò a tormentarla con i denti, mentre con l’altra mano stringeva convulsamente l’anello che portava al collo.

«Siamo un po’ nervosetti oggi, eh?» domandò il ragazzo dietro il bancone, con un mezzo sorriso sulle labbra e gli occhi bassi su un bicchiere che ora stava asciugando. Non sapeva da dove era saltato fuori, probabilmente Ria si era persa nei suoi pensieri per diverso tempo.

«Dovresti calmare i nervi. Tieni, offre la casa.»

Un piccolo bicchierino trasparente contenente un liquido ambrato le arrivò sotto il naso. Ria alzò lo sguardo verso il ragazzo – che doveva avere pressappoco l’età di Cameron –  con la fronte corrugata. Lui aspettò qualche secondo, ma lei decise di non ingerire quel liquido; chissà cosa poteva essere, qualche intruglio magico o veleno per uomini. La osservò con le sopracciglia candide inarcate per poi esibirsi in una fragorosa risata. Ria era sempre più confusa.

«Tranquilla, è solo scotch. Non è mia abitudine servire veleno per topi alle amiche del signor Blaze.»

«Il signor Blaze?» domandò Ria con un cipigli sempre più grande.

L’altro sembrò sorpreso di quella domanda.

«Il suo accompagnatore.»

Oh, si riferiva a Cameron. Non aveva mai pensato di domandargli quale fosse il suo cognome, non che fosse importante considerando tutto quello che era successo.

«Oh, si certo, lui. Viene spesso qui?»

L’altro parve pensarci un po’ su prima di risponderle:

«Effettivamente è da un po’ che non passava di qui, ma qualche anno fa era un cliente abituale. È straordinario come non sia cambiato di un solo giorno.» sospirò «Beh devono essere questi i vantaggi dell’immortalità.»

Immortalità? Cameron? Sapeva che era un ifrit, ma non credeva fosse immortale. In fin dei conti non sapeva bene nemmeno cosa fosse un ifrit.

«Avanti, butta giù li bicchierino e ti sentirai meglio.»

Quel cambio d’argomento improvviso la riscosse dai suoi pensieri e le fece rizzare la schiena. Non aveva mai bevuto un alcolico, non poteva permettersi il lusso di annebbiarsi la mente e rischiare di far del male a qualcuno. Ma in quell'occasione non le importava un granché, in quella stanza erano tutti in grado di difendersi da una ragazzina esile come lei. E poi c’era Cam, lui avrebbe potuto portarla via senza farsi del male. Afferrò il bicchierino e ingurgitò il liquore. Un sapore piacevolmente amaro le esplose in bocca e le bruciò la gola quando scese verso il basso. Ria chiuse gli occhi e diede un colpo di tosse, non aveva mai assaggiato niente di simile.

«Bene» disse il giovane cercando di nascondere una risatina.

«Comunque io mi chiamo Kohana. Piacere di conoscerti.»

Gli allungò una mano e Ria la strinse, riuscendo a percepire solo in parte il calore della sua mano, ostruito dal guanto.

«Ria» si presentò lei.

Senza nessun preavviso, il ragazzo si avvicinò al suo viso, fissandola negli occhi a troppi pochi centimetri di distanza, costringendola ad allontanare la testa verso l’indietro.

«Allora, vediamo un po’… tu sei una ninfa, giusto?»

Ria corrugò la fronte e fece per ribattere, dicendo che non sapeva di cosa stesse parlando ma lui la interruppe scuotendo la testa e allontanandosi.

«No, no, ovvio che no. I tuoi occhi sono troppo freddi e non emani la solita fragranza da ninfa.»

Stizzita Ria incrociò le braccia al petto mentre lui le versava un altro po’ di quel liquido ambrato. Lei lo ingurgitò senza pensarci. Le stava forse dicendo che puzzava?

«Non fraintendermi» disse sollevando le mani in segno di resa «non sto dicendo che puzzi. Anzi, tutto il contrario; il tuo profumo mi attira come il più delizioso dei veleni.»

A lei parve che le avesse tirato un ceffone. Le stava per caso leggendo del pensiero? Arrivata a questo punto tutto era possibile.

«Non sono una ninfa, sono… ah, lascia perdere.»

Non lo sapeva neanche lei cosa era.

«Oh, andiamo! Così mi rovini il gioco!» finse di piagnucolare lui.

Una risata le scappò dalle labbra mentre il ragazzo la osservava con quei suoi occhi da lupo.

«Okay, se riderai in quel modo un’altra volta potrei anche decidere di cambiare gioco.»

Un sorrisetto gli incurvò le labbra carnose da un lato, scoprendo una fila di denti e rendendolo estremamente affascinante. Ria arrossì, pensando a chissà quante ragazze doveva aver fatto cadere sotto il potere di quel sorriso.

«Che ne dici invece di riempirmi il bicchiere?» domandò più sicura di sé.

L’alcol le era ormai permeato nelle vene, dandogli una sensazione di leggerezza.

«Certo, piccola.» disse ammiccando.

Ria ingollò veloce il liquido, per poi dirigere una domanda al ragazzo che in campo di creature sovrannaturali doveva sicuramente saperne più di lei.

«Allora… Ko... Kohana, giusto?» lui assentì « Che cosa sai degli ifrit?»

La taverna aveva ripreso a fare il brusio che sentiva dall'esterno poco prima, ma molti clienti se ne erano andati, lasciando un’ambiente più riservato e tranquillo.

Il barista scavalcò il bancone e si sedette al suo fianco, posando un gomito sul bancone e il pugno sotto il mento.

«Gli ifrit sono spiriti del fuoco, una tipologia di gin. Sono esseri molto astuti ma spesso legati ad un padrone e costretti ad obbedirgli, il più delle volte.»

Diede un’occhiata alle spalle della ragazza e Ria fece lo stesso: Cam aveva sollevato leggermente la testa e li stava osservando. Quando i loro occhi si incontrarono Ria vi lesse una domanda non detta e annuì leggermente. Lui si rilassò e continuò… qualunque cosa stesse facendo.

«Forse però, quello che vorresti sapere davvero è cosa è il signor Blaze.» lo disse con un sussurro, come se stesse parlando con un serpente.

Ria voltò la testa nella sua direzione e aspettò che parlasse. Lui sorrise appena, soddisfatto di sé stesso per aver indovinato.

«Sai ci sono molte voci sul signor Blaze.» incominciò, versando un altro bicchiere a Ria.

Lei lo buttò giù, come se avesse inserito il pilota automatico.

«C’è chi dice che viva da un’eternità; chi afferma di averlo visto uccidere – quasi duemila anni fa – un esercito intero da solo e a mani nude; qualcuno dice che abbia venduto la sua anima al diavolo per ottenere tale forza o l’immortalità; in molti sono sicuri che non sia nato ifrit, ma che lo sia diventato per scelta.»

Aspettò qualche secondo per lasciarle il tempo di assimilare certe informazioni. Come poteva una persona scegliere di diventare un mostro sanguinario e schiavo solo per avere potere. Sapeva che purtroppo nel mondo c’erano persone di questo genere, ma non si sarebbe mai aspettata che Cam fosse uno di questi. L’ennesimo segno che non lo conosceva per niente.

«Il signor Blaze è legato a qualcuno, lo si può notare dal sigillo che ha sul polso. È legato a qualcuno di molto potente, ma, se le voci sulla sua età sono vere, non è detto che ubbidisca ad ogni desiderio del suo padrone. Gli ifrit sono soliti ignorare o sviare gli ordini imposti e con l’età acquisiscono potere, perciò il tuo amico dovrebbe essere davvero potente e pericoloso.»

Ecco perché al loro ingresso nel locale tutti i clienti si erano ammutoliti ed ecco perché molti se n’erano andati via.

Kohana le versò un altro bicchiere che bevve vorace, ma che forse avrebbe dovuto rifiutare. La mente le si stava annebbiando sempre di più, lasciandole una sensazione di estrema leggerezza.

«E tu, Kohana, cosa sei?»

«Gen» disse orgoglioso.

Ria sollevò un sopracciglio, facendogli capire che non aveva idea di cosa fosse un gen.

«Uno stregone» affermò con meno enfasi.

«Sai, faccio delle vere e proprie magie con le mani» dichiarò malizioso muovendo le dita e creando una leggera nebbiolina nera.

Ria fissò per qualche instante quella creazione per poi soffiarla via. Appoggiò il dorso allo schienale dello sgabello e lasciò penzolare la testa all'indietro. Fissò il soffitto alto e notò solo ora che il locale era diviso su due piani. Voltò la testa penzoloni verso sinistra e si accorse di una scala in legno che portava al piano primo. Una signora sui quarant’anni, con lunghi capelli castani e fluidi, stava scendendo, quando d’un tratto inciampò e cadde. Un’altra immagine si sovrappose a quella del presente, un’immagine del passato che avrebbe preferito non rivedere.

Sua madre era stesa per terra, il braccio destro aveva assunto un’angolazione sbagliata; del sangue le stava colando sulla fronte e la sua pelle stava cambiando, assumendo un colorito grigiastro.

«Mamma!» aveva urlato scendendo la grande gradinata il più velocemente possibile.

È colpa mia, è tutta e solo colpa mia!

«Ria!»

Una mano le stringeva la spalla destra; Kohana era ritornato dietro al bancone. Sollevò lo sguardo, incrociandolo al limpido cielo degli occhi di Cam. Una lacrima le rigò la guancia e non si affrettò ad asciugarla.

«Avanti, andiamocene da qui.» ordinò il biondino.

Questa volta Ria non obbiettò e scese con un salto dello sgabello, barcollando. Una risata assurda le uscì dalle labbra; certo che era buffo, il THE MOON LIGHT aveva iniziato ad ondeggiare, come se fosse su una nave. Ridacchiò un’altra volta immaginando Cam con indosso un cappello da pirata e un uncino che guidava un galeone, spartendo ordini a destra e a manca.

«Che cosa le hai dato?» ringhiò Cameron.

«Scotch, signore. Come al solito il migliore per le sue signorine.»

«E scommetto che sono state molte, vero?» biascicò Ria, con uno sguardo languido.

Cameron fulminò con un’occhiata

 il povero barista e prese Ria per un braccio, trascinandola fuori dal locale.

Una leggera pioggerella aveva iniziato a scendere dal cielo, sottile come capelli d’angelo. Come quelli di  Cam. Le stringeva una mano, deciso ma premuroso al tempo stesso, mentre la trascinava letteralmente verso l’hotel. Ria faceva fatica a tenere il passo e inciampava di continuo, barcollando ancora. Poi sollevò lo sguardo verso il cielo e si bloccò all'istante.

«La pioggia, Cam. Mi solletica il viso.» disse lei estasiata chiudendo gli occhi.

Assaporò quella bella sensazione per qualche altro secondo, sentendo la testa pesante. Poi direzionò il suo sguardo verso quello di Cam, che si era fatto più oscuro, come se le nuvole che erano sopra la sua testa fossero entrate ad oscurare anche la bellezza delle sue iridi.

«Perdonami» esordì lei senza nessun preavviso.

«Per cosa?» domandò lui non avendo spiegazioni dopo qualche secondo.

«Ho sentito delle voci sul tuo conto, sono vere?»

«La maggior parte si » rispose disinvolto.

«E allora perdonami, per non essere come tutti gli altri, per non avere paura di te, per non credere a quelle dicerie.»

Il silenzio di insinuò tra loro per alcuni istanti che parvero ore.

«Tu non sei un mostro Cam.» sussurrò con estrema serietà.

Lui non rispose, continuando a fissarla con uno sguardo imperscrutabile.

«Non ti starai mica innamorando di me, ragazzina?»

Ria sollevò di nuovo lo sguardo verso il cielo, lasciandosi accarezzare dalla pioggia.

«E come potrei? Dopotutto non ti conosco neanche.»

Lo osservò dritto negli occhi e dall'espressione che assunse sembrò che gli avesse tirato uno schiaffo. Poi si girò e la guardò da sopra la spalla.

«Torniamo in hotel.» le disse porgendole una mano. Lei l’accettò con sollievo e si lasciò condurre all'asciutto.

Salve lettori :) scusate se ci sono errori ma ho deciso di pubblicare ora perché, con molta pribabilità, ci metterò più tempo per pubblicare il prossimo :/ 

P.S. che ne dite di questa immagine? Potrebbe essere la nostra Ria?

Come al solito COMMENTATE e VOTATE :D

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