CAPITOLO QUATTORDICI
So che è un pò corto ma come sempre vi chiedo di commentare e votare se vi piace :) buona lettura
Capitolo quattordici
"L'egoismo è una forma di avidità. Come ogni forma di avidità, è insaziabile, per cui non c'è mai una vera soddisfazione."
Erich Fromm
PICCOLI CHIARIMENTI
Riuscire ad infilarsi quell'abito era stata un'impresa degna di nota. Si era acconciata i capelli meglio che poteva, cercando di mantenere lo stile dell'abito. Ora doveva solo trovare il coraggio di guardarsi allo specchio. La pancia aveva smesso di brontolare dopo che aveva divorato tutto quello che le era stato portato. Si avvicinò alla finestra e chiamò Cam.
«Come sta il tuo braccio?» le domandò lui.
«Bene» rispose toccandoselo.
Non sentiva più alcun dolore ormai da un bel pezzo, come se non le fosse mai accaduto nulla. La sua pelle era tornata lattea, pulita e perfetta.
«Teseo mi ha portato da mangiare e io mi sono servita. Ho fatto male?» chiese pensando solo ora che nascondere qualche sonnifero o droga nel cibo era qualcosa di estremamente facile.
Cam sbuffò come se ciò che gli aveva detto fosse divertente.
«No, hai fatto bene. Per quanto possa essere un uomo corrotto, Teseo non ti farà del male. E se dovesse proporti una passeggiata – cosa che non mi sorprenderebbe – accetta. Un po' d'aria fresca non ti farà male.»
Aveva un tono di voce stranamente malinconico. Forse non era stato altrettanto fortunato, che lo stessero trattando male?
«E tu Cam? Sei sicuro che vada tutto bene?»
«Sì, tranquilla. Dopotutto non ho gli stessi bisogni degli umani.»
«Che vuoi dire?» era un po' confusa.
«Non ho bisogno di mangiare con la stessa regolarità di un umano, ad esempio. Insomma, sono immortale, non morirò certo di fame» e finì la frase ridendo.
Non fu una risata di quelle contagiose, una di quelle che fanno sorridere anche gli occhi, era più un qualcosa di beffardo e cupo.
Ria abbassò lo sguardo sulla gonna che indossava: una rosa di stoffa era ricamata da un lato. Non si sentiva del tutto a suo agio nell'indossare quell'abito.
«Mi sento ridicola» sussurrò per cambiare discorso.
Cam rimase in attesa di spiegazioni.
«Voglio dire... indosso un abito che andrebbe bene ad una dama dell'Settecento. Mi sento ridicola, ecco.»
E questa volta Cam rise davvero, come si fa con una battuta spassosa. E la sua risata... era come un raggio di sole attraverso le nubi del suo cuore. Ria ne fu contagiata e le si incurvarono le labbra mentre arrossiva.
Bussarono alla porta e poco dopo Teseo entrò seguito dal suo fido cagnone. Per qualche motivo l'animale puntò dritto verso di lei, annusando l'aria. Ria istintivamente fece un passo indietro, si portò le mani al petto e nascose i piedi nudi sotto la gonna.
«Rowell! Non importunare la signorina Queen!» lo sgridò il padrone.
«Purtroppo anche lui non può fare a meno di percepire il vostro risveglio, mia signora. Avete un profumo ammaliante» disse sorridendole e porgendole dei guanti lunghi e delle scarpette con tacco.
«Non dovete aver paura di Rowell, non vi farà del male.»
«Non è per me che ho paura» sussurrò Ria infilandosi i guanti e le scarpe.
Anche se non nutriva particolare affetto per quella bestia, non avrebbe rischiato di ucciderla facendole una carezza.
Passarono alcuni attimi in silenzio poi Teseo domandò ciò che già le aveva accennato Cam.
«Se accettate, vi permetterò di far visita alla vostra amica.»
Uno scambio dunque. Le si illuminarono gli occhi, ma cercò di non darlo a vedere.
«Mi dai la tua parola?»
«Sì, avete la mia parola» promise posando una mano sul cuore.
Sospirando si avvicinò all'uomo che le porse il braccio. Un po' titubante Ria lo accettò ed uscirono fuori dal castello, seguiti dal grosso cane.
Cam aveva proprio ragione, respirando l'aria frizzante del mare le sembrò di rinascere. Teseo la portò in un immenso giardino, ricco di colori e fiori sbocciati. Il profumo dell'imminente primavera le inondava i sensi. Un'inquietante pace regnava in quel luogo. Ria stava iniziando a rilassarsi quando notò un cespuglio di rose rosse e pensieri cupi le tornarono alla mente.
«So bene cosa vi turba mia signora.»
Ria si riscosse dai suoi pensieri e osservò l'uomo, dubbiosa.
«In qualche modo ero con voi quando avete affrontato quell'essere nel labirinto.»
L'animo della ragazza si fece sempre più cupo.
«Mi rincresce che dobbiate portare un così pesante fardello come la morte, ma per la signorina Debby sono certo che non fosse un dispiacere.»
Ria era sempre più confusa. Anche Cam le aveva accennato qualcosa su ciò che era successo a Debby. Che ci fosse più di quanto sapeva?
«Che intendi dire?»
«La vostra amica... avrete notato alcuni simboli sulla sua pelle.»
Solo ora che le veniva fatto notare Ria si ricordò di aver intravisto qualcosa di simile sulle mani dell'altra ragazza, ma non ci aveva fatto troppa attenzione.
«Mi duole dirvelo ma, la vostra amica era una vittima in tutto questo; un innocente.»
Ria era sconvolta, allora aveva davvero ucciso una ragazza che non aveva fatto nulla di male? Le sue mani erano sporche di sangue innocente.
«Perché... era in quel labirinto?»
«Purtroppo i sigilli – come quello che avete voi sul petto – non vanno presi alla leggera. Non tutti riescono a sopportarne il peso e spesso portano alla pazzia per il mal capitato. Alla signorina Debby sono stati imposti dei sigilli che racchiudevano nel suo corpo alcune entità demoniache. Purtroppo la vostra amica – essendo una ninfa – non avrebbe potuto reggere tale peso, perciò vi ha attaccata; non vi riconosceva. Ed è per questo che sono certo abbia preferito la morte anziché un'esistenza ... deplorevole.»
Debby... una ninfa?
Si avvicinò e accarezzò i petali di una rosa mentre Ria lo ascoltava disorientata.
«È per la sua natura di ninfa dei boschi che dalla sua salma sono cresciuti dei cespugli di rose.»
Ria non sapeva che dire. Uccidere era qualcosa di sbagliato, profondamente e vergognosamente scorretto. Ma allora perché Teseo e Cam ne parlavano come se non lo fosse? Perché uccidere Debby sarebbe stata una cosa addirittura... giusta? No, Ria non se lo perdonava.
«Avremmo potuto aiutarla...» sussurrò lei.
«No, non avreste potuto. La morte era la sola salvezza per l'anima della signorina.»
Continuarono a passeggiare all'ombra di alberi in fiore.
«Non era nei piani che venissero coinvolti altri individui. Il compito dei due elfi oscuri era quello di trovarvi e portarvi qui, in attesa del giorno propizio.»
Elfi oscuri? Giorno propizio? Di che diavolo stava parlando?
«Perciò Will e Ed erano degli... elfi oscuri?» domandò Ria un po' scettica.
Teseo annuì.
«Ma perché hanno fatto una cosa del genere? Catturare Dette, portarmi qui...»
Teseo fece l'ennesimo sorriso prima di risponderle.
«Il signorino William bramava potere e desiderava divenire capo degli elfi di questo Paese, ma essendo così giovane e proveniente da una famiglia di curatori, il suo destino era già scritto: sarebbe diventato un curatore anch'egli. Il signorino Edmund, invece, proveniva da una famiglia elfica di poco conto ed era il servo del signorino William. L'amore sbocciò tra loro, ma si sa amore e odio sono sentimenti molto simili. Alleatisi contro i loro simili, vendettero parte delle loro anime per acquisire maggiore potere, ma non soddisfatti accettarono di portarvi qui da me in cambio del trono elfico. Purtroppo, come sapete bene anche voi, non sono stati mantenuti i patti e hanno pagato con le loro vite.»
Ria rimase qualche attimo in silenzio, cercando di assimilare le informazioni che aveva acquisito.
«Sì ma... perché sono qui?»
Teseo sorrise, colse un fiore, lo annusò e proseguì nella passeggiata.
Ria gli si parò difronte bloccandogli la strada. L'uomo – che sembrava avere poco meno di quarant'anni – era più altro e più grosso si lei, ma non la intimoriva.
«Esigo delle spiegazioni» affermò incrociando le braccia «Perché sono qui?»
«Date già ordini, mia signora?» ridacchiò l'uomo.
«Tanto per cominciare, perché mi chiami così?»
«Mia signora? E come dovrei chiamarvi?»
La guardò con ovvietà, come se Ria avesse appena scoperto che dopo il giorno viene la notte.
«Nessuno mi ha mai chiamata cosi.»
«Forse non lo ricordate» le sussurrò passandole oltre.
No, ne era certa.
Raccolse un bastone e lo lanciò lontano; Rowell lo riportò indietro. Sembrava un normalissimo cane, se non si teneva conto della stazza, delle lunghe orecchie e della coda da diavolo.
«Sono felice che non manchi molto al vostro risveglio»
Ancora con questo risveglio, ma di che diavolo stava parlando? Ria stava per chiederlo ma lui la interruppe.
«Il sigillo sta scomparendo»
Sì, anche lei lo aveva notato e in quel momento, con quell'esagerata scollatura, l'avrebbe notato anche un cieco.
«Mi pareva che portaste un ciondolo al collo...» disse Teseo porgendole il bastone sbavato dal cane.
«Si, ma credo di averlo perso. Forse mentre combattevo...» mentì.
«Ah, capisco. Brutte bestie le battaglie. Avanti, lanciatelo.»
Rowell stava aspettando scodinzolando seduto ai suoi piedi; Ria lanciò il bastone e lui gli corse dietro. Pochi secondi dopo glielo riportò. A quanto pareva Ria le stava simpatica.
«Vi riconosce come sua padrona» spiegò Teseo.
«Perché?» domandò accarezzando la testa dell'animale.
«Perché noi due siamo legati e lui lo sente. Sente che se mi dovesse succedere qualcosa, il mio successore sareste voi. Sono felice che abbiate colto quel fiore.»
Ah! Ria non si era sbagliata.
«Perciò c'è davvero un collegamento con quel fiore, la mia mano e il fatto che tu riesca ad entrarmi nella testa.»
«Sospettavate già qualcosa? Tuttavia sì, grazie a quel fiore posso parlarvi senza l'ausilio della voce. Ma non temete, non invaderò la vostra privacy e se tutto procede come stabilito, presto non sentirete più parlare di me e spezzerò questo legame.»
«Come?»
«Non appena avrò un corpo, il filo che collega le nostre menti sarà spezzato.»
Un... corpo? Ria lo guardava come si guarderebbe un fantasma. E a quanto pare non c'era andata poi così lontana.
«No, mia signora, non sono un fantasma» ridacchiò lui.
«Cosa? Avevi detto che non avresti frugato nella mia testa!»
Teseo rise di gusto mentre accarezzava Rowell.
«Non ve n'è bisogno, mia signora. Vi si legge in volto.»
Si ricompose e proseguì nella passeggiata, offrendo il braccio a Ria che lo accettò.
«Sono solo un'anima che attende il ritorno a casa, ma da come potete provare voi stessa, sono anche qualcosa di più. Sulla Terra non potrei essere visto o toccato ma qui... non siamo del tutto nel mondo che conoscete voi, per cui mi è permesso presentarmi sotto questa forma.»
Sì, a Ria le era già stata spiegata la faccenda della 'piccola isola parallela'.
«Per il momento posseggo solamente una parte della mia anima. Ed è per questo che il mio occhio destro... beh lo avete visto voi stessa.»
«Gli occhi sono lo specchio dell'anima» sussurrò Ria.
Non ricordava chi o dove, ma era certa che qualcuno le avesse detto queste esatte parole molto tempo fa.
«Per l'appunto... mi avete tolto le parole di bocca, mia signora.»
La mattinata trascorse piacevolmente e Ria si sorprese nel non trovare difficoltà nel relazionarsi con Teseo; lui aveva modi di fare molto diversi ma per qualche tempo la fece sentire a suo agio. Pranzarono insieme sotto una pergola di legno bianca rivestita interamente da verdi piante rampicanti. Fu una giornata rilassante e fu una sorpresa sapere che delle cameriere avevano pensato a tutto. Cameriere non umane evidentemente. Ria non fece domande e cercò di rilassarsi, ma il pensiero di Dette e Cam da soli era qualcosa di fisso e costante.
Evidentemente Teseo se ne era reso conto perciò non tirò le cose per le lunghe e la riaccompagnò all'interno del castello, fino alla camera di Dette. La sua amica era distesa sul letto che dormiva. Ria le si avvicinò di corsa, poi si voltò verso Teseo come per chiedergli un po' di privacy.
«La cena è alle otto» disse indicando un vecchio orologio che si trovava nella stanza. Poi sorrise e le lasciò sole.
Ria si avvicinò al letto dell'amica e la osservò: dormiva su un lato e con uno dei tanti cuscini del letto stretto al petto. Indossava una camicia da notte a collo alto e maniche lunghe. Le lacrime non tardarono ad arrivare, rigando silenziose il viso di Ria. Era così felice... Claudette era viva!
Si sedette sul bordo del letto e si portò una mano alla bocca, cercando di non far rumore e non svegliare Dette, ma i singhiozzi le sconquassavano il petto.
Spostò una ciocca di capelli dal viso dell'amica: sembrava così fragile...
«Sei tutto ciò che mi rimane» sussurrò.
Dette parve sentirla e mugugnando qualcosa di incomprensibile si strofinò gli occhi.
«Ria?» domandò con voce impastata.
Lei le sorrise tra le lacrime.
«Ria! Perché stai piangendo?»
Subito la ragazza si passò le mani sul viso e fece finta di niente.
«No, tranquilla, non è nulla.» era dall'età di tredici anni che Ria non piangeva davanti a Dette.
L'altra però non sembrava convinta e si portò a sedere.
«Mi sei mancata così tanto...» disse Ria stringendole le mani e avvicinandole al viso. Non le baciò, non le appoggiò alla fronte; non poteva toccarla.
«Cos'è successo?» domandò la sua amica.
Ria rimase qualche istante in silenzio poi balbettò:
«Tu... tu stavi per... Dette, stavi per morire.»
Attimi infiniti trascorsero nel più totale e significativo silenzio.
«Io... non... non capisco» iniziò Ria.
Le lacrime ormai avevano ripreso a sgorgare, impossibili da fermare.
«Perché?» continuò a domandare in un sussurro.
«Perché l'hai fatto?» l'accusò guardandola dritta negli occhi.
Claudette, dapprima sorpresa, addolcì lo sguardo e fece per rispondere, ma Ria si alzò di scatto. Sapeva che le avrebbe rifilato la solita scusa del "lo faccio per il tuo bene" e non poteva sopportarlo. Ormai il vaso era colmo e quello sguardo fu la fatidica goccia di troppo. Ria le diede le spalle, non poteva più guardarla in faccia.
«No! Io... Io... no, avremmo...Avremmo potuto combattere! Avremmo trovato un altro modo, saremmo scappati e ci saremmo fatti un'altra vita. Non doveva andare così. Non dovevi arrenderti così...»
«Ria... » provò a spiegare Dette.
«No! Tu non capisci! Non sai cosa ho passato negli ultimi giorni. E non mi riferisco al dolore fisico, di quello non me ne importa niente! Dette, io ho avuto paura per te, io ho provato terrore puro! Che cosa avrei fatto se fossi morta? Che cosa pensi che sarebbe diventata la mia vita senza di te? Io non... non...»
Delle braccia la strinsero da dietro.
Ria aveva il fiatone, ma quando Claudette l'abbracciò trattenne il respiro.
L'aveva davvero abbracciata?!
Ria era davvero sorpresa e si accorse solo dopo che quel gesto - così improvviso- parlava più di mille parole. Dette era stata abbastanza abile da evitare di toccarle la pelle e Ria si rilassò nell'abbraccio dell'amica. Era un conforto che non si era resa conto di aver bisogno solo fino a quel momento. Ria poteva sopportare molto e riuscire ad andare avanti, ma rischiare di rimanere sola, di perdere l'unica persona che amava e che le era rimasta, l'aveva sconvolta nel profondo. Non sapeva se sarebbe riuscita a superare una cosa del genere, ma per fortuna non doveva più preoccuparsi di questo. Claudette era viva e vegeta e Ria non l'avrebbe più abbandonata, per nessun motivo.
«Ti voglio bene» sussurrò Ria stringendo le mani dell'amica.
Dal quel momento promise a se stessa di fare tutto ciò che era in suo potere per aiutare la sua amica. Avrebbe pensato prima a Dette e poi a se stessa, perché aveva capito che senza di lei la sua vita non avrebbe avuto più senso. Claudette era tutto ciò che le rimaneva e l'avrebbe protetta ad ogni costo. Si accorse che in fin dei conti non lo faceva per lei, lo faceva per se stessa e se questo era egoismo, beh, Ria sarebbe diventata molto egoista.
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