CAPITOLO DUE

Capitolo due

 

‘Quando una disgrazia è accaduta e non si può più mutare, non ci si dovrebbe permettere neanche il pensiero che le cose potevano andare diversamente o addirittura essere evitate: esso infatti aumenta il dolore fino a renderlo intollerabile.’

Arthur Schopenhauer

 

PERDERE CHI SI AMA

 

L’aria gelida che entrava dalla finestra le fece venire i brividi. Si strinse nelle braccia per infondersi un po’ di calore. Il sole alle spalle della sua amica stava tramontando e Ria si soffermò qualche istante a osservare le strabilianti sfumature che assumeva il cielo. Innumerevoli tinte che le avevano sempre riscaldato il cuore. Il tramonto – come l’alba – erano due eventi che l’avevano sempre affascinata. Claudette si voltò, si appoggiò alla finestra e sbuffando ordinò: «Dobbiamo andare». Ria non sapeva che fare, le piaceva la scuola lì e trasferirsi, nuovamente, non le andava, ma quale altra scelta aveva? Era già passato un po’ di tempo dall'attacco di quei mostri. Non sapeva dire quanto. Minuti? Ore? Il tempo scorreva incurante di ciò che era successo poco prima. Nessuno aveva osato aprir bocca e Claudette aveva impiegato quel periodo per curarsi le ferite. Esasperata, Ria si voltò per dirigersi in camera sua e quando si avvicinò al ragazzo, gli rivolse un’occhiata di sottecchi. Lui non la guardava e in un primo momento le fece piacere, poi notò la sua espressione. Con la fronte corrugata e gli occhi ridotti a due fessure, il ragazzo cercava di vedere qualcosa. Incuriosita, seguì il suo sguardo: puntava qualcosa fuori dalla finestra. Poi capì. Due puntini rossi s’intravedevano appena nel parcheggio dietro Claudette. Ria aprì la bocca per avvertire la sua amica ma fu troppo lenta. Una mano rossa come il sangue la agguantò per la vita. Claudette afferrò con entrambe le mani i bordi della finestra e un attimo dopo Cam le fu di fronte. Le afferrò una mano e piantando i piedi a terra cercò di tirarla nella sua direzione. Ria rimase a guardare stringendo i pugni lungo i fianchi mentre la rabbia e l’odio nei confronti di quelle creature le inondavano i sensi. «Non lasciare la presa!» gridava lui, ma Claudette dopo un istante scosse leggermente la testa. Un sorriso mesto le incurvò le labbra «No Cam, non è me che devi proteggere. Fa in modo che non la prendano. Lascia che prendano me al suo posto». Poi voltò lo sguardo verso Ria «Promettimi una cosa Ria». Lei riuscì solo ad annuire leggermente «Rimani con Cameron, qualunque cosa accada, rimani con Cam. Promettilo». E senza riuscire a fare altro sussurrò «Lo prometto». La sua amica fece un grosso respiro per poi annunciare: «Ti voglio bene, Ria. Non cercarmi» e detto questo mollò la presa che aveva sulle mani di Cam e sulla finestra, lasciandosi trasportare chissà dove da quel mostro maledetto. «No!» fu l’urlo che finalmente uscì dalle labbra di Ria. Si lanciò a tutta velocità verso la finestra, desiderosa di afferrare la sua amica, anche se ogni cellula del suo corpo emanava paura al pensiero di toccarla. Non riuscì però ad arrivarci, qualcosa la bloccava dalla vita. Le lacrime le inondarono gli occhi e tutto ciò che riuscì a vedere furono tre sagome rosse che portavano via la sua migliore amica. Le doleva la gola tanto erano forti le sue urla, ma la sua attenzione fu immediatamente deviata verso il suo ventre. Si accorse ora che ciò che la bloccava erano braccia, le braccia di Cameron. Un’ulteriore ondata di panico l’assalì e sentì come una pressa che le schiacciava il torace. «Lasciami!» continuò ad urlare Ria agitandosi «Lasciami subito!». Lo spinse via con quanta più forza aveva cercando di trarre sostegno dalla rabbia che provava in quel momento. Rabbia che provava verso Claudette per non aver lottato proprio all'ultimo, ma soprattutto, rabbia contro quei mostri rossi. Cam fece qualche passo indietro, anche se Ria non credeva di essere stata lei, con il suo spintone, ad obbligarlo a farlo. Poi con uno scatto si voltò verso di lui, lo sguardo ancora offuscato dalle lacrime. Rimasero così, per qualche istante, lo sguardo fisso l’uno negli occhi dell’altra. Se ne infischiò dell’espressione confusa, se pur incuriosita, che aveva il ragazzo in volto. Odiava piangere davanti a qualcuno, men che meno davanti a persone che non conosceva. Ma era a pezzi. La persona che più amava le era stata portata via. Le era stata sottratta da delle creature che non dovevano nemmeno esistere, se non negli incubi. E lei non era stata in grado di fare nulla. Non aveva fatto niente, se non guardare. Le si formò una voragine nel petto, sentiva il proprio cuore farsi a brandelli. Le cedettero le gambe e come una bambina incominciò a piangere a dirotto, senza il minimo contegno. Stupida stupida stupida, continuava a ripetersi all'infinito. Avrebbe potuto agire, cercare di combattere anche lei quegli esseri, aiutare la sua compagna. Le lacrime che le avevano rigato il viso andavano ora a mischiarsi con una pozza di sangue che si trovava sul pavimento. Con orrore Ria sollevò le mani inguantate che aveva posato sul pavimento e le ritrovò intrise di sangue. Aveva il battito e il respiro accelerato ma cercò di ricomporsi, si mise in piedi, rizzò la schiena e alzò il mento, dirigendosi a passo spedito verso il bagno.

Cameron afflosciò le spalle, si tolse il berretto e si passò una mano tra i capelli, poi lo rimise al suo posto. Tutta questa situazione era diventata un vero e proprio casino. Sperava di evitarla e ritornare alla sua solita routine fatta di appostamenti e sorveglianza notturna. Aspettò qualche istante prima di seguire Ria. Passando davanti alla porta aperta del bagno non poté fare a meno di notare il sangue su di un asciugamano e alcune gocce nel lavandino. Un guanto sporgeva dal cestino dei rifiuti. Proseguì senza batter ciglio. La ragazza si trovava in quella che intuiva fosse camera sua. Era abbastanza sobria: un letto matrimoniale troneggiava al centro della stanza, pieno di cuscini dalle tonalità che andavano dal porpora al bianco. Delle lanterne colorate erano appese alla parete dietro il letto e un mobile da toeletta bianca ospitava una spazzola e una foto incorniciata, l’unica in tutta la stanza. Ria era immersa per metà dentro l’armadio a parete e tutto ciò che Cam riuscì a vedere era il suo fondoschiena e le sue gambe. Una visuale perfetta per lui. Fosse stata una qualsiasi altra ragazza probabilmente avrebbe allungato una mano, per poi scusarsi ammiccando e sorridendo in un modo che le ragazze definivano ‘sexy’. Ma non lo fece, Ria era off-limits, cercò di ricordarsi. Contenersi non gli era facile ma ci riuscì, considerando che il momento non era uno dei migliori per avere certi pensieri. Si appoggiò, invece, allo stipite della porta con una spalla e incrociò braccia e caviglie. Evidentemente la ragazza non si era accorta di lui perciò fece un colpo di tosse per attirare l’attenzione, ma non ricevette risposta alcuna. Alzando gli occhi al cielo fece un passo avanti. La ragazza posò una borsa da viaggio sul letto ed iniziò a riempirla con diversi indumenti: camice, jeans, maglioni, scarpe e un gran numero di paia di guanti. Aspettava con ansia di intravedere qualche capo d’intimo ma non ci riuscì. «Perfetto» esordì strofinandosi le mani «Allora, dove andiamo?». Ria alzò un sottile sopracciglio per poi chiudere la valigia. Gli occhi erano ancora arrossati per il recente pianto, ma nel suo sguardo ora regnava la determinazione. «Noi» puntualizzò lei «non andiamo da nessuna parte». Incrociò le braccia al petto e con tono perentorio annunciò: «Io vado a cercare ‘Dette. Tu… fai quello che ti pare». Prese la valigia e si diresse nuovamente verso il bagno. Cam la seguì «Sbaglio o le avevi promesso di rimanere con il sottoscritto?». Ria si bloccò di colpo e Cam notò i pugni stretti lungo i fianchi con tanta forza che avrebbe potuto veder sbiancare le nocche se solo non portasse i guanti. La ragazza posò la borsa sulla vasca da bagno e la riempì di altri prodotti, infine si voltò verso di lui «Sì, l’ho fatto». Fece un bel respiro, agguantò la borsa e si diresse verso l’uscita. Poi si bloccò. Ai suoi piedi vi era la spada che Claudette aveva utilizzato per combattere. La osservo a lungo, affascinata, come se stesse guardando un grosso felino in libertà. Il sangue corrotto di quegli esseri era ancora sulla lama un tempo candida e pura. Ria corse un secondo via per poi ritornare con una maglietta logora. Vi avvolse l’arma e la prese con sé. Recuperò l’altra borsetta da cui estrasse un mazzo di chiavi. Si fermò sull'uscio per voltarsi e inchiodare i suoi occhi a quelli di Cameron «Mi sta bene che tu venga con me, ma… non impedirmi di andare a cercarla». Lui valutò la situazione: tenerla al sicuro lontano dagli Oni ma infelice e averla come una palla al piede, o farla contenta e rischiare la sua incolumità. «Dovrei costringerti a non andare e tenerti al sicuro» dichiarò il ragazzo. «Dovresti» concordò lei «Ma non lo farai». Detto questo, si voltò e corse verso l’auto. Con un sorrisetto Cameron scosse leggermente la testa, poi seguì la ragazza.

Seduto al posto del passeggero, Cameron portò indietro il sedile e distese le gambe sul cruscotto.

Era davvero una bella macchina quella, non proprio adatta a una signora ma… una gran bella macchina. «Allora ragazzina, sentiamo un po’ qual è il tuo piano» disse d’un tratto intrecciando le mani dietro la nuca e posizionando il berretto un po’ più sugli occhi. Ria non aveva ancora messo in moto e non produceva alcun suono. Incuriosito Cam sollevò leggermente la visiera per guardare la ragazza. Lei fissava il nulla davanti a se senza batter ciglio. «Allora?» continuò lui. Imbarazzata, abbassò lo sguardo per un istante, poi gli rivolse un’occhiata truce. «Andrò… in quella direzione, mi pare ovvio!» e con la mano indicò la direzione approssimativa che dovevano aver preso gli Oni. Con non poco divertimento il ragazzo incrociò le braccia al petto e sghignazzando proseguì: «Molto bene perciò andrai verso...».

«Lì…» continuò lei agitando la mano come se fosse ovvio. «e poi… Cosa farai? Sai andare a Sud mi sembra un po’ troppo generico». Si soffermò sul punto cardinale per farle notare che quel suo ‘lì’ aveva un nome. Lei lo notò e probabilmente s’infuriò ancora di più per questo. Era davvero carina quando si arrabbiava. La ragazza gli rispose sbuffando «Beh scusami tanto se il mio piano fa acqua da tutte le parti! Sai com'è, non capita tutti i giorni di…». Gli occhi le tornarono lucidi e le parole le morirono in bocca. Dopo un istante Cameron abbassò nuovamente il berretto sugli occhi per poi dire: «Sono andati a Sud, è vero. Probabilmente so anche dove, ma gli Oni si muovono in fretta. Per ora possiamo limitarci ad arrivare ad Atlantic City. Andiamo là, poi me ne occuperò io.» Seguì un attimo di esitazione, poi Ria mise in moto l’auto e sfrecciarono verso Sud.

Non era da molto che guidava ma il silenzio dentro l’abitacolo stava già diventando insopportabile. Ria frugò per un attimo alla sua sinistra per poi lanciare al ragazzo un po’ di CD «Metti qualcosa» esordì lei. Cameron sembrò sorprendersi, che stesse dormendo? Mah e chi lo sapeva, con quell'accidente di berretto sugli occhi non le era possibile vederlo in faccia. «Finalmente! Tutto questo silenzio stava iniziando ad annoiarmi.» Senza togliere i piedi dal cruscotto ispezionò le varie opzioni. Quando sembrò convinto ne infilò uno nello stereo dell’auto. Una cacofonia assordante di chitarre elettriche, batteria e suoni elettronici le inondarono le orecchie. Doveva aver scelto il CD che Debby le aveva regalato ad inizio anno. Tipo strano la ragazza. Portava i capelli a caschetto di un blu elettrico e le orecchie erano sempre piene di piercing. Frequentavano gli stessi corsi, ma non si erano mai parlate un granché. Ria non socializzava molto, anzi, non lo faceva affatto. Ma un giorno per chissà quale ragione Debby Bennett le si era avvicinata e le aveva regalato questo CD. Forse credeva di potersi fare una nuova amica. Il giorno dopo aveva smesso di frequentare l’università. Ripensando a tutto questo, un brutto presentimento prese forma nella mente di Ria. E se anche lei fosse stata coinvolta con qualcosa come quello che era successo qualche ora prima a casa sua? E se quei mostri avessero preso anche lei? Quanti erano? Era possibile che esistessero altre creature, magari differenti dai mostri rossi, che agivano indisturbate per la città? Cameron aveva parlato di Omi…Ori… non lo stava ascoltando un granché. Che sapesse qualcosa? E poi c’era da tenere in conto la sua migliore amica. Claudette aveva estratto una spada e aveva saputo utilizzarla con maestria. Era evidente che anche lei le aveva tenuto dei segreti. Ma che importava cosa aveva fatto? Come poteva biasimarla per aver scelto di tenere una ragazza qualsiasi all'oscuro di tutto questo tormento? L’unica cosa che poteva cercare di fare ora era trovare delle risposte.

Irritata da quella sottospecie di canzone, spense lo stereo. Subito il ragazzo, che sembrava essersi appisolato, protestò: «Ehi! Non era ancora finita!» Senza molti giri di parole Ria andò subito al sodo «Devo farti delle domande.» Il ragazzo sorrise beffardo «Finalmente, ragazzina! Stavo iniziando a pensare che le cose ti stessero bene così.» Incrociò nuovamente le mani dietro la nuca «Domanda pure dunque.» «Io…» Ragazzina eh? «E smettila di chiamarmi ragazzina! Non penso che ci sia poi questa grande differenza di età tra me e te! Ho già compiuto i diciotto anni e tu ne dimostri un paio più di me» Ria sbuffava mentre Camerona la guardava confuso. «E ti pare modo di sedersi quello? Ti ricordo che questa è la MIA auto! È una Dodge Charger del 1970! Giù i piedi dal cruscotto signorino!» Era furibonda per la sua insolenza. E per aggiustare la situazione ebbe pure la faccia tosta di farsi una grossa risata. Assurdo. Quando le risa cessarono, alzò le mani in segno di resa «Come vuoi mammina» rispose sghignazzando. Poi finalmente posò i piedi a terra senza però rialzare lo schienale. Non importa. Ria sospirò soddisfatta e incominciò l’interrogatorio «Come cercavo di dirti, ho delle domande da porti e non sono poche. Quello che più mi preme sapere è se sai… sai sicuramente qualcosa! Voglio sapere se sai dirmi… se sai dirmi…» non riusciva a pensarlo, figuriamoci a dirlo. «ho paura per Claudette» fu ciò che dichiarò. Si voltò un secondo per guardare il ragazzo. Cameron la guardava intensamente con uno sguardo imperscrutabile, sembrava riflettere sulla risposta. Non era un bene. «Sono abbastanza sicuro che non la uccideranno. Anzi ne sono certo. Non andrebbe a vantaggio di nessuno se così non fosse.» Gran parte del peso che Ria aveva sul cuore si affievolì. Perciò era stata solo rapita. Solo rapita? Ma che diceva? Era ugualmente grave, sapere che ‘Dette non rischia la morte fu un sollievo ma Cam era bravo con le parole. Era da stupidi credere che non le torcessero un capello. Loro… ma loro chi? «Tu sai chi l’ha rapita?» Non distolse lo sguardo dalla strada ma sapeva ugualmente che lui non l’aveva tolto da lei. «No» rispose semplicemente. «Come posso fidarmi di te? Per quanto ne so, tu potresti essere in combutta con loro» dichiarò la ragazza. Sorpassò un’auto davanti a lei. «Non dovresti, infatti.» Ria lo guardò per un istante. Aveva lo sguardo fisso davanti a sé ed era serio. «Ma per qualche ragione ‘Dette si fida di te ed io mi fido di lei. Non credo comunque di avere molta scelta. In caso ti venissero strane idee da maniaco, ricordati che sono armata» e con la testa fece un cenno alla spada che stava sui sedili posteriori. Lui sghignazzò per un istante «Vorrei vederti provare.»

«Comunque,» Continuò Ria «ho altre domande. Prima hai parlato di… Ori?» «Oni» la corresse lui. «Sono le creature che vi hanno attaccato. Non brillano certo per la loro intelligenza.» Ria era ancora sconvolta ma cercava ugualmente di accettare tutto questo come realtà. Ormai era questa la nuova realtà, avrebbe dovuto abituarsi. «Che cosa sono? Ce ne sono altri?» Cameron le stava per rispondere ma poi si interruppe. Ria gli rivolse un’occhiata, confusa. Lui con freddezza distolse lo sguardo dallo specchietto per annunciare: «Un SUV nero ci sta seguendo da quando abbiamo lasciato casa tua.» Ria sgranò gli occhi e controllò gli specchietti. Aveva ragione, c’era effettivamente un SUV alle loro spalle. Accelerò e sorpassò due auto. L’inseguitore fece altrettanto. Ci provò un’altra volta ma, niente da fare era sempre dietro di loro. Con determinazione alla fine ringhiò: «Allacciati la cintura, ho intenzione di seminarlo». Diede altro gas al suo bolide che ringhiò eccitato per la corsa. Cercò di capire, guardando dallo specchietto retrovisore, chi fosse a seguirli, ma era troppo lontano. «Alla prossima gira a destra» suggerì Cameron. Non poteva permettersi di distogliere lo sguardo dalla strada ma dal suo tono di voce non sembrava per nulla preoccupato. Arrivati in prossimità dell’uscita, svoltò a destra all'ultimo secondo. Così avrebbe dovuto seminarlo. Ma controllando meglio si accorse che il piano aveva fallito. Stizzita, continuò per la strada a tutta velocità. Non sapeva dove stesse andando ma non le importava. La priorità ora era seminare l’inseguitore, chiunque fosse. Stavano percorrendo un lungo rettilineo, poche vetture nei paraggi. Si concesse il lusso di guardare Cameron. Per un solo istante fugace. Aveva tirato su il sedile e le mani erano appoggiate al cruscotto. Il suo sguardo era serio ma ad un tratto spalancò gli occhi «Ria attenta!» Troppo tardi. Non si era nemmeno accorta che erano arrivati in prossimità di un incrocio. Si era distratta per un solo attimo. Una distrazione che non si sarebbe dovuta concedere. Un’auto che veniva dalla sinistra li prese in pieno. La loro fu scaraventata al lato opposto. L’impatto era stato talmente forte da far rotolare la vettura per metri. Il tempo per Ria rallentò. Vide i CD che Cam teneva sulle gambe alzarsi in aria, insieme con altri oggetti. Cameron aveva alzato le braccia sulla testa per proteggersi, come fece Ria. Anche se avevano entrambi la cintura di sicurezza allacciata, subirono danni fisici. Non sapeva dire quante volte aveva sbattuto contro parti dell’abitacolo. Si sentiva a pezzi, aveva dolore in tutto il corpo, ma maggiormente alla testa. La macchina aveva ormai smesso di rotolare e si era fermata sottosopra. Le girava la testa e il dolore era straziante. Si toccò la tempia destra con una mano. La guardò e per la seconda volta si ritrovò con le mani sporche di sangue. Cameron accanto a lei emise un debole lamento. Anche lui aveva battuto la testa. Rivoli di sangue gli rigavano il bel viso e sporcavano i suoi capelli. Del berretto non c’era più traccia. Accidenti a lei! Era tutta solo colpa sua. Era colpa sua se erano riusciti a portarle via Claudette. Era colpa sua se Cam era stato coinvolto. Era colpa sua se ora era gravemente ferito. Guardandolo si accorse che la sua figura iniziava ad annebbiarsi. Le faceva davvero male la testa. Brontolò anche lei per il dolore. Cam la guardò subito sgranando gli occhi. «Guardami Ria! Non chiudere gli occhi! Concentrati ragazzina!» Non aveva più forze. Il ragazzo si sganciò la cintura e cercò di sfondare lo sportello che evidentemente si era incastrato. Non ci mise molto. Poi uscì. Ria iniziava a fatica a restare sveglia. Gli occhi le bruciavano e le palpebre si fecero all'improvviso estremamente pesanti. Un attimo dopo lo sportello alla sua sinistra si spalancò. Voleva essere sicura di chi fosse. Voleva vedere chi si trovava accanto a lei, ma non ne aveva le forze. Un leggero odore di bruciato le arrivò alle narici. La macchina sarebbe andata a fuoco! Poi qualcuno le sganciò la cintura e la portò fuori posandola a terra. No, si ricordò di quell'odore quando poco dopo si trasformò in un delicato profumo di pulito. Era Cameron. «Ti ho detto di non chiudere gli occhi, ragazzina!» Ancora quel nomignolo. Ria non aveva le forze per fare ciò le era stato ordinato, ma aveva ancora un po’ di forze per ribattere con voce graffiata: «Ragazzina a chi?». L’ultima cosa che sentì fu una risata beffarda provenire dalle labbra del ragazzo. Poi il nulla.

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