CAPITOLO DICIANNOVE

Chiedo scusa per la mia lunga assenza e per questo capitolo un pò... meh. Spero comunque che vi piaccia e che non vi siate dimenticati di com'erano andate le cose! Spero di aggiornare più spesso da oggi in poi :D Nell'immagine quello che penso possa essere Belzeboob.
Buona lettura.

Capitolo diciannove

"Ogni uomo nasce buono: a renderlo cattivo ci pensano poi l'esperienza e l'educazione."

Vittorino Andreoli

SCELTE DIFFICILI

La stanza era sempre la stessa, con quell'enorme tavolo – adesso vuoto se non per qualche bicchiere appoggiato – e quel gigantesco camino sempre accesso.

L'uomo che stava cercando conversava pacato con altri signori, seduto comodamente sul trono.

«... indossare costantemente una pelle umana» disse quello più alto con la pelle nocciola.

«A me non dispiace affatto» cinguettò l'unica donna del gruppo. Indossava un abito molto provocante che lasciava davvero ben poco spazio all'immaginazione; ricoperta di pizzo e stoffa trasparente nera, era agghindata nel modo giusto per un locale burlesque.

Chandan si schiarì la voce. In pochi secondi, si ritrovò tutti gli occhi puntati addosso.

Ria cercò con lo sguardo la figura di sua madre, ma non la trovò. Una parte di lei era sollevata, così sarebbe stato più facile; ma un'altra parte di lei si malediceva per essere scappata via in quel modo, avrebbe potuto abbracciarla di nuovo se...

«Lasciateci» ordinò il sovrano alzandosi in piedi.

Tutti obbedirono senza esitazioni, compreso Chandan. Nella sala calò il silenzio. Per alcuni istanti nessuno disse nulla, si limitarono entrambi a studiarsi l'un l'altra.

Con angoscia, Ria continuava ad osservare il viso dell'uomo, così familiare... una parte di lei sapeva che aveva detto la verità, continuare a sperare il contrario era inutile.

«Bene, sei qui per delle risposte, giusto?»

Ria assentì senza aprire bocca.

«Mi sorprende vederti qui così presto. Pensavo ti servisse più tempo per...»

«Sto bene» dichiarò con tono deciso la ragazza.

Si sorprese nel non sentire incertezza nella sua voce.

«Bene» rispose l'uomo bevendo un sorso dal calice riccamente decorato d'oro e pietre preziose che teneva stretto nella mano.

«Avanti, avvicinati» ordinò.

E Ria lo fece, non perché le era stato ordinato, ma perché forse, vicino al camino, non avrebbe sentito costantemente i brividi solleticarle la schiena. Ovviamente si tenne ugualmente a debita distanza.

«Dunque» iniziò senza esigere altro «non mentivo quanto ho detto di essere tuo padre» disse puntando i suoi glaciali occhi verso di lei.

«Lo so» rispose.

E quella fu forse la cosa peggiore che potesse dire, perché, sentendo la sua voce pronunciare quelle due semplici parole, se ne convinse definitivamente.

Si morsicò una guancia cercando di trattenere la moltitudine di emozioni che rischiavano di esploderle dentro, e così passarono altri attimi di silenzio.

«Bene» ripeté infine l'uomo «Perciò dopotutto ricordi qualcosa».

«No» rispose semplicemente.

Questo non era corretto. Cercando di aggrapparsi a quel briciolo di determinazione che aveva, incrociò lo sguardo del sovrano: era imperscrutabile, impossibile capire cosa gli passasse per la mente, uno sguardo così pesante che Ria dovette cedere e guardare oltre.

«Non so come spiegarlo ma... una parte di me... è più una sensazione che un dato certo.»

L'uomo le sorrise, ma a quell'espressione mancava qualcosa.

«Beh, non posso far altro che dispiacermi ma... sono sicuro che prima o poi i tuoi ricordi torneranno.»

«Raccontami tu allora!» urlò quasi.

Quelle parole le erano scappate dalla bocca, quasi lo stesse implorando, così bramosa di sapere.

«Certamente» disse l'uomo indicando una sedia poco distante da lui. Ria lo assecondò e si avvicinò.

«Dunque, come me che sono il tuo vero padre, quello biologico» disse toccandosi il petto «Hai anche una vera madre» continuò tenendo il suo sguardo fisso a quello della figlia. «E non parlo di Elisabeth.»

A Ria sembrò di sentire una mano stringerle il cuore in un pugno: quelle parole facevano male, ma se quella era la verità, avrebbe pagato il prezzo pur di conoscerla.

«Si chiama Persefone, una donna straordinaria, ma che purtroppo non potrai incontrarla finché starai qui. La primavera è arrivata e, come tutti gli anni, lei trascorre quel periodo con i suoi cari sulla Terra.»

Saperlo le lasciò un po' l'amaro in bocca, ma a questo punto poco importava.

«E che aggiungere altro?» sembrò pensarci un po'.

«Beh, quando sei nata tu questo posto non era più lo stesso» e un piccolo sorriso gli incurvò le labbra.

Evidentemente stava riportando alla mente dei ricordi felici, ricordi dove anche lei era presente, ma che non ricordava minimamente.

Poi la sua espressione mutò, diventando truce e minacciosa.

«Ma non appena compiesti il tuo terzo compleanno mi fui stappata via. Fu la tua stessa madre, quella stessa donna che ti donò a me, a portarti via.»

Ria era confusa: perché la donna che l'aveva messa al modo l'aveva portata via dalla sua casa? Certo, non era sicura che gli inferi fossero il posto migliore dove crescere un bambino ma... dove altro poteva stare un demonio come lei?

«E per tutto questo tempo non ho fatto altro che cercarti» continuò lui sporgendosi verso di lei e facendo per prenderle una mano.

Ria ovviamente si scansò velocemente, certa che non volesse essere toccata, benché portasse i guanti. Ma l'altro invece di restarci male, le sorrise, con un sorriso dolce e amorevole. Ria ne rimase del tutto affascinata, stregata dall'intensità di un così semplice gesto.

«Non temere» disse l'uomo afferrandole una mano e sfilandole un guanto.

Lei cercò di protestare ma, prima che potesse proferire una frase di senso compiuto, l'uomo le strinse la mano.

Perché? Perché anche lui?

«Con me» continuò lui «Non devi temere nulla».

E fu il tono con cui lo disse che... Ria non poté far altro che credergli.

«Mia dolce Macaria, a me non puoi fare alcun male» la rassicurò stringendole la mano con entrambe le sue.

«Siamo sangue dello stesso sangue.»

Erano anni che non sentiva quel calore. Sì, aveva toccato Cam ma... questo, era qualcosa di totalmente differente. Toccare quelle mani... le provocava un sentimento così... nostalgico.

«So che non consideri il tuo tocco un dono» esordì dopo alcuni istanti l'altro.

Come faceva a saperlo?

«Non dovresti, ma ne capisco il motivo. Perciò, se non chiedo troppo, potrei insegnarti io a padroneggiarlo» concluse battendo le lunghe ciglia nero pece.

Ria sbarrò gli occhi, incredula: era possibile? Trattenne il respiro, schiudendo le labbra, la sua condanna sarebbe perciò potuta finire?

«Di-dici sul serio?» balbettò la ragazza.

«Mantengo sempre la mia parola» rispose l'altro sorridendo.

Ria osservò quell'intreccio di mani con sguardo trasognato: avrebbe davvero potuto smettere di vivere nel terrore di sé stessa? Di vivere con la costante paura di poter... uccidere casualmente qualcuno?

Per questo, avrebbe dato anche l'anima al diavolo.

E a quel punto, la muraglia che aveva eretto vacillò: una lacrima le rigò il viso, ma si affrettò ad asciugarla. Poi si alzò in piedi e fece un grosso respiro, mettendo nuovamente un po' di distanza tra di loro.

«Ti ringrazio» disse con non molta facilità «Ma devo chiederti ancora qualcosa, e questa volta non si tratta di me» continuò risoluta.

«Parli di Claudette?» domandò l'uomo bevendo un sorso dal calice.

«E di Cam» puntualizzò lei, osservando la reazione dell'altro: nulla, non cambiò nulla; anche se forse nel suo sguardo... no, probabilmente l'aveva solo immaginato.

«Ho bisogno che tornino come prima. È evidente che non siano nelle migliori condizioni» si lamentò lei.

«Capisco che la signorina Claudette non goda di buona salute, ma è una condizione che, ahimè, conosceva bene prima di varcare il portale. Una ninfa non può sperare di sopravvivere allungo negli inferi.»

Cosa? Che stava cercando di dire? Ria sgranò gli occhi facendo un passo indietro; Dette sarebbe... morta? No, dopo tutto quello che era successo non poteva accettarlo, non così.

Iniziò a scuotere la testa mentre dei brividi le percorrevano la schiena e le lacrime minacciavano di uscire.

«No» disse tra una risata che non aveva nulla di divertente «Questo... questo non è possibile. Non... non può essere. Deve... esserci una soluzione, un rimedio, un antidoto, qualcosa!» continuò a dire, mentre il suo tono si faceva sempre più alto.

«Oh, ma qualcosa c'è» rispose l'uomo tamburellando sul bracciolo del trono con il vistoso anello che portava al dito.

«In verità potremmo anche semplicemente lasciarla tornare a casa, il che gioverebbe alla sua salute» spiegò il sovrano.

Ma Ria sapeva che a questa affermazione sarebbe seguito un "ma".

«E allora per quale motivo è ancora qui?»

«Si è rifiutata. Non vuole lasciarti qui da sola. Ma in ogni caso, anche tornando sulla Terra, non riuscirebbe a guarire del tutto. Il processo continuerebbe, benché rallentato, ma nel giro di qualche mese... morirebbe.»

Ria si portò una mano alla bocca mentre i brividi non smettevano di solleticarle il corpo.

«Ma» continuò il sovrano alzandosi dal seggio e avvicinandosi a lei.

«C'è ancora un'altra opzione e, ovviamente, abbiamo provato a somministrarglielo, ma» disse facendo un gesto con la mano «la signorina non ha accettato»

«Cosa? Perché?» domandò aggrottando le sopracciglia.

«La sostanza in questione è sangue» spiegò posandole una mano sulla spalla «sangue di ninfa»

Ed era certa che non si trattasse di una semplice trasfusione. Ma non poteva tirarsi indietro, non dopo tutta la strada che avevano fatto, non dopo tutto quello che avevano passato. Ria non avrebbe permesso a niente e a nessuno di far del male alle persone a lei care, nemmeno a loro stessi. Era troppo egoista per concedere loro la possibilità di scegliere.

Con una nuova determinazione nello sguardo domandò:

«Spiegati meglio»

Alzò lo sguardo che aveva tenuto fisso a terra e notò una piccola increspatura nelle labbra dell'uomo.

«Perché Claudette sopravviva è necessario che beva il sangue di una ninfa, tutto, fino all'ultima goccia. Sacrificando qualcuno della sua stessa razza per sé stessa, riuscirà a sopravvivere, poiché il suo animo non sarà più puro.»

«Ma... questo è impossibile!» disse facendo un passo indietro «Dette non riuscirà mai a bere... quanto? Nel migliore dei casi cinque, sei litri di sangue! È così...»

«Disgustoso?» finì per lei l'uomo, tornando al suo trono e sorseggiando ancora una volta da quel calice.

Il sovrano riprese a ticchettare con l'anello prima di rispondere.

«Dopotutto la tua amica non dovrebbe nemmeno essere qui, o vivere. C'è sempre un prezzo da pagare, e se tu vuoi che lei sopravviva...»

Lo sconforto e la disperazione cercarono nuovamente di acchiapparle il cuore e la mente, ma questa volta non poteva permetterselo, sarebbe rimasta fedele alla sua promessa: avrebbe fatto qualsiasi cosa per salvarla.

Ria si voltò per dare le spalle all'uomo e si avvicinò nuovamente al camino. Aggrappandosi alla trave chinò il capo, e chiudendo gli occhi sospirò esausta.

«Non c'è nessun altro modo?» domandò anche se sapeva già la risposta.

«No» si limitò a rispondere l'altro.

E dopo una piccola pausa, con il cuore grondante di lacrime, Ria acconsentì.

«Faremo così allora. Trovate la persona più anziana, una malata, qualcuno a cui non rimanga molto da vivere, e portatela a me. Voglio poterle parlare prima.» ordinò risoluta.

«Io non penso sia il caso»

A Ria non importava. Se davvero doveva togliere la vita a qualcuno per permettere alla sua amica di sopravvivere, lo avrebbe prima spiegato alla sua vittima, sperando che riuscisse a capire.

«Potremmo dividerlo in piccole quantità e fargliele assumere in diversi giorni» propose.

«Mi rincresce ma, questo non è possibile. Appena muore il corpo di una ninfa si trasforma in terra, acqua, piante...»

Rose.

E in quel momento la morte di Debby le esplose dietro le palpebre chiuse: la lama, il sangue, le rose.

Spalancò immediatamente gli occhi cercando di mantenere la calma.

«Perciò bisogna fare in fretta. Abbiamo a disposizione alcune sacche che ritardano il processo ma... si parla di qualche ora: dovrà berlo tutto nel giro di dodici ore.»

Ria si accovacciò allungando le mani verso le fiamme del camino. I brividi continuavano a percorrerle tutto il corpo, e un freddo cupo e spaventoso le si era insinuato fin dentro le ossa.

Annuì con la testa, consapevole dell'atrocità che aveva intenzione di commettere.

«Va bene» sussurrò.

Tutto questo era così surreale.

Le ci vollero alcuni secondi prima di trovare la forza per continuare a parlare.

«E ora Cam» disse alzandosi in piedi e voltandosi verso il suo interlocutore.

«Del perché sia in quello stato di... catalessi, non so risponderti. Ma farò di tutto per scoprirlo.» rispose prima di essere interrotto da un rumore oltre la spessa tenda dell'entrata. Si sentì un vociare, alcuni tonfi e infine videro spuntare fuori dalla tenda d'ingresso Rowell, che le corse incontro, e Chandan disteso a terra, graffiato in volto e con uno sguardo amareggiato in viso.

«Perdonatemi» disse alzandosi frettolosamente per prostrarsi in un inchino fiero.

«Ho cercato di fermarlo ma...» evidentemente aveva vinto Rowell.

Ria accarezzò la testa del cane con la mano inguantata, osservando la reazione dell'altro uomo. A lei non dava fastidio, anzi, il fatto che Rowell si fosse impegnato tanto per uscire dalla sua camera la diceva lunga sull'affetto che provava per lei. Provò a leccarle il viso ma subito si scansò.

«Come ha fatto ad uscire dalla camera?» domandò Ria.

«Colpa mia» ammise sghignazzando un ragazzo dai capelli neri che faceva il suo ingresso in sala. Era lo stesso ragazzo a cui poco prima venivano fuori delle enormi ali da pipistrello.

«Suvvia, alzati Dan!» disse all'altro ragazzo dandogli un piccolo calcio al ginocchio abbassato.

Il sovrano lo fulminò con lo sguardo. Probabilmente si stava chiedendo anche lui cosa ci facesse nelle stanze di Ria ma... forse era meglio non indagare.

«Mio signore!» urlò un altro uomo facendo ingresso nella stanza.

Era lo stesso uomo dalla pelle nocciola che aveva visto poco prima in quella stessa stanza.

«Problemi in Iraq: gli ostaggi, sono stati liberati, tutti.»

Il sovrano, che continuava a battere ritmicamente con l'anello sul bracciolo del trono, sbuffo, passandosi una mano tra la barba curata.

«Incompetenti» sussurrò prima di svuotare definitivamente il calice e alzarsi in piedi.

Si avvicinò a Ria e le sorrise prima di dire:

«Spero di poter chiacchierare nuovamente con te, Macaria.»

Si avvicinò ancora e le baciò una tempia. Un gesto così... amorevole che la lasciò stordita.

«Spero che Chandan sia in grado di aiutarti con il recupero di tutti i bei momenti passati insieme» continuò allontanandosi.

«Tu... sapevi della proposta?» come poteva? Le era stata posta solo poco prima.

«Ovviamente, sono stato io a domandare il suo aiuto» spiegò il sovrano.

Ria gli sorrise.

Era strano, con quell'operazione sarebbe potuta morire. Ma allora perché l'aveva proposta proprio lui che diceva di essere suo padre? Non avrebbe dovuto preoccuparsi per la sua incolumità? No, forse aveva solo capito che era questo ciò che desiderava, aveva capito che se Ria avesse riacquistato la memoria sarebbero potuti tornare insieme, come una vera famiglia. Questo la fece sorridere: forse avrebbe potuto avere di nuovo una famiglia, differente dalla precedente, ma pur sempre una famiglia.

E mentre quell'uomo varcava la soglia, Ria non poté ignorare lo sguardo incomprensibile di Chandan che si affrettò ad abbassare.

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