Capitolo 5

Né all'andata né al ritorno nessuna delle due si scambiò una parola. May sapeva benissimo che se avesse provato a riaprire l'argomento o soltanto a scusarsi avrebbe provocato la terza guerra mondiale. Rose invece era dispiaciuta e anche ferita: non avrebbe mai immaginato che sua figlia pensasse di lei quelle cose, era davvero convinta che non amasse suo padre? Era scontato che provasse un minimo di gelosia per Eric, ma quella scenata... erano state ingiuste l'una nei confronti dell'altra. May non poteva costringere Rose a vivere con tristezza nel ricordo di Peter senza poter rifarsi una vita ma allo stesso tempo Rose non poteva costringere May a dimenticare suo padre. May decise di mettere le cuffiette nelle orecchie con la musica a tutto volume. Sarebbe stata una mezz'ora piena di silenzi imbarazzanti. Notò anche che sua madre ogni tanto guardava verso di lei quasi per cercare di attirare la sua attenzione per una nuova conversazione ma, non trovando le parole adatte, si riconcentrava sulla guida. La ragazza si mise a guardare fuori dal finestrino e si appisolò: vide quella donna bellissima che però indossava un velo. Non lasciava intravedere il viso eppure May sapeva che era bella.

Non sapeva perché.

-Tutto sta per cambiare- disse la donna facendo risuonare l'eco più e più volte. May ripetè quella frase ma qualcosa schioccò davanti a lei facendola svegliare.

- Maybelline, tieni- la madre le sventolò le chiavi di casa davanti agli occhi- Vai ad aprire casa mentre io parcheggio.

May afferrò le chiavi e veloce come una gazzella uscì dall'auto per entrare in casa. Guardò l'orologio: erano già le otto e mezza! Possibile che avesse dormito tutto quel tempo?

-Aspetta- Rose la bloccò mentre saliva le scale- vuoi dirmi per quale motivo sei scappata da scuola?

Ci fu un minuto di silenzio, May non sapeva cosa rispondere. Non si aspettava che a sua madre interessasse più il motivo della sua fuga piuttosto che la loro litigata- Ho avuto una discussione con i miei compagni- Mentì.

-Ok, allora spero che domani possiate chiarirvi- la donna inarcò leggermente il sopracciglio. May sapeva che non se l'era bevuta e che presto o tardi sarebbe tornata sull'argomento .

-May dimenticavo: se più tardi hai fame c'è un panino in frigo.

Fece un segno d'assenso col capo- Perfetto, buonanotte.

-Buonanotte May.

Quella notte May ebbe difficoltà a prendere sonno: un po' perché cercava la motivazione adatta per scusarsi il mattino seguente con sua madre e un po' perché cercava di comprendere il significato della sua ultima visione.

-Tutto sta per cambiare- Si ripeté ancora.

Prima di mettersi a letto a May ricapitò tra le mani il carillon e per fortuna le tre non apparirono. Lo accarezzò: non aveva mai potuto udirne la melodia perché purtroppo suo padre glielo aveva dato senza chiave. Aveva chiesto tante volte a Peter che fine avesse fatto ma lui rispondeva sempre in modo vago. Allora aveva cercato di aprirlo in tutti modi, aveva provato ogni tipo di chiave presente in casa ma la sua immensa curiosità non era mai stata soddisfatta. Se qualcuno avesse dovuto nascondere qualcosa quel carillon era il posto giusto. Era più sicuro di una cassaforte o di una camera blindata.

Riprovò ad aprirla con le mani, come se non sapesse che era tutto inutile, ma moriva dalla voglia di scoprire cosa ci fosse dentro. Alla fine si arrese e si sotterrò sotto le coperte, tra le braccia l'oggetto.

Se lo strinse forte al petto e finalmente riuscì ad addormentarsi.

La mattina si risvegliò di soprassalto: si guardò in torno per almeno due volte con aria disperata e col fiatone, aveva anche sudato parecchio. Quando si accorse che era solo un sogno da seduta si ributtò sul letto in posizione distesa. Aveva sognato suo padre, era finalmente a casa. Solo che quando May gli correva in contro per abbracciarlo, lui la pugnalava dietro la schiena. May si scostò subito e pochi secondi prima di cadere morta per terra vide il viso di suo padre con degli occhi pieni d'odio. Non lo aveva mai visto così. Riuscì a dire solo – Perché mi fai questo? – prima di cadere e svegliarsi.

Era sicurissima che non si era trattato di una visione, era stato un semplice incubo. Ma l'incubo più spaventoso che avesse May vissuto.

Accese per un microsecondo la luce e poté scorgere l'orario segnato sulla sveglia: le sei. La porta era chiusa ma si poteva percepire il rumore dei passi di Rose che, già sveglia, andava da una camera all'altra. Quando May sentì i passi avvicinarsi alla porta della camera sua si sistemò immediatamente e fece finta di dormire. Rose cercò di fare il meno rumore possibile ma se May fosse stata addormentata per davvero, l'avrebbe svegliata comunque. Tutta colpa dei tacchi gialli canarino, gli unici che si fosse mai azzardata a comprare. May si chiese come mai li avesse indossati proprio quel giorno, lei li odiava. Diceva sempre che gli facevano venire dolore alle dita dei piedi e che gli addormentavano i talloni. Forse però aveva una cena con Eric oppure un importante incontro di lavoro, ovvero doveva vedere Eric.

La madre si sedette sul letto con il sorriso più calmo del mondo. Osservò sua figlia: solo ora si era resa conto di quanto fosse bella e di quanto assomigliasse a Peter. Gli occhi grandi e a mandorla, il naso all'insù, la bocca carnosa. Le accarezzò i capelli, lunghi e ricci, e glieli scostò dal viso. Si avvicinò ancora e le baciò la fronte. May avverti il calore rigenerante al tocco delle labbra di sua madre. Stranamente non era più triste né arrabbiata. La osservò ancora per qualche minuto e poi lasciò la stanza chiudendosi la porta alle spalle.

Erano oramai le sette e decise che era arrivato il momento di alzarsi. Appena mise i piedi fuori dal letto notò subito un post-it attaccato alla scrivania. Sarebbe voluta rimanere ancora nel letto ma la curiosità e la sveglia ebbero la meglio.

Staccò dal tavolo il post-it e lo lesse – Sono uscita presto ma ti ho preparato la colazione. Ti voglio bene, mamma. May guardò tutta la stanza come se si trovasse in una stazione aliena: era davvero stanchissima e dopo essere andata in bagno come uno zombi e aver fatto quelle tre o quattro serie di stiracchi, si decise finalmente a scendere le scale. Sull'ultimo gradino ci mancò poco che non cadesse con la faccia per terra. Nonostante avesse sciacquato il viso le si chiudevano gli occhi. Si fece strada a fatica verso la cucina e quando entrò era tutto apparecchiato: sul tavolo c'erano già una tazza, i biscotti e il miele. Si stava per sedere quando si accorse che la tazza era vuota. Sbuffando andò verso il microonde, e quando lo aprì per fortuna la caffettiera con il latte e il caffè era lì e non avrebbe dovuto fare il caffè da sola. Mischiò le due bevande nella tazza e mentre si stava per sedere una puzza di bruciato sospetta le fece cambiare idea. -No! – Pensò la ragazza – Quella smemorata si è dimenticata per l'ennesima volta il forno acceso! Alla velocità della luce si fiondò e spense il forno. Per la fretta tirò fuori la teglia senza presine, tra il fumo e i colpi di tosse e si scottò. Mentre sciacquava le mani in preda al dolore osservò il contenuto del forno: quella volta l'atroce destino era toccato a uno sformato di patate.

-Meglio così- Pensò. Le facevano schifo gli sformati. Stava finalmente per sedersi e gustare la colazione quando il campanello suonò. – Ma oggi si sono messi tutti d'accordo? – gridò infuriata alzandosi – Per una volta che non sono in ritardo.

Con la camminata più decisa che avesse mai fatto andò ad aprire la porta, se non altro adesso sì che era sveglia.

Era più che certa fosse sua madre – Mamma che cosa hai dimenticato oltre allo sformato nel forno? – rimase sorpresa quando vide che fuori non c'era nessuno. Cercò di intravedere se qualcuno se ne stesse andando dal vialetto, ma constatò che a parte qualche normalissimo passante, la strada era semideserta. Stava per chiudere la porta spazientita ma inavvertitamente urtò il piede contro qualcosa. Qualcuno aveva lasciato un pacco proprio sotto la porta. Lo raccolse e lesse mittente e destinatario – Per Maybelline Thorn da... Peter Thorn.

Quasi non le venne un mancamento quando lesse il nome di suo padre. Poggiò il pacco sul primo mobile più vicino. Cercò di non farsi prendere dal panico e respirò affondo. Poi pensò che era un buon segno: se le aveva spedito quel pacco, voleva dire che suo padre era ancora vivo! O forse lo aveva spedito prima di scomparire e era arrivato semplicemente in ritardo... ma perché fare tutto questo se vivevano nella stessa casa? Afferrò il pacco per controllare se ci fosse scritto qualcosa per rintracciarne la provenienza ma non c'era scritto ne indirizzo o altro. Lo scosse e sentì un tintinnio leggero, significava che dentro c'era qualcosa di molto piccolo.

-Perché mai è stata utilizzata una scatola così grande per un oggetto di piccole dimensioni? – Si chiese tra sé e sé mentre portava il pacco in cucina. Lo poggiò sul tavolo e con le forbici iniziò ad aprirlo.

Fu una faticaccia ma il lavoro andò a buon fine. All'interno c'era una semplicissima chiave. May la osservò meglio avvicinandosi la scatola ma poi la ripoggiò sul tavolo e si girò dall'altra parte. - E se quella fosse la chiave del carillon? – Non sapeva se sentirsi più emozionata o agitata, il cuore le batteva a mille. Improvvisamente la testa iniziò a girarle, si dovette appoggiare al tavolo per non svenire. Alzò gli occhi e rivide quei bagliori: giravano su se stessi in maniera irregolare intorno agli oggetti e al soffitto.

Si girò verso la chiave e la prese in mano all'altezza del viso. Finalmente arrivò la visione che aspettava dal giorno prima: questa volta non vide le cose ricorrenti delle precedenti visioni, assomigliava più ad un ricordo. C'era suo padre ed era proprio il giorno in cui se n'era andato, per la prima volta visse la vicenda in prima persona e riuscì a sentire i suoni. Peter le stava parlando in modo molto agitato– May ascoltami bene: io dovrò andarmene per un po' di tempo ma starò bene – Le mise le mani sulle spalle – Inizieranno a succederti delle cose strane, tutto sta per cambiare. Non devi preoccuparti, le supererai, sei molto più forte di quello che credi. Non fidarti di nessuno e non parlarne, fidati solo di chi si comporta in modo strano, capito? – Sorrise tristemente – So che tutte queste notizie probabilmente ti stanno sconvolgendo ma abbi fiducia in tuo padre. Anche se quando non ci sarò la gente dirà cose su di me, tu ricorderai sempre chi sono io davvero.

May annui senza dire una parola.

-Ti voglio bene, Maybelline, ricordalo sempre. La baciò sulla fronte. La ragazza rivisse lo stesso momento e le stesse sensazioni che aveva già vissuto un anno prima. Quando la baciò May sentì che qualcosa si era liberato dentro di lei, qualcosa che era rimasto sigillato fino a quel momento.

Suo padre iniziò a camminare senza voltarsi indietro. Invece di lasciarlo andare come aveva fatto, questa volta May gridò con tutta la voce che aveva in corpo – No, aspetta! Che cosa significa tutto questo? - allungò il braccio ma in quel preciso momento si risvegliò. Si lasciò cadere per terra.

Era quello il ricordo di quello che suo padre le aveva detto quel giorno. Non era matta, le aveva detto davvero qualcosa di importante. Perché lo aveva ricordato solo adesso?

Si rialzò in piedi. Prese la chiave e la legò alla collana che aveva al collo.

Salì di corsa le scale ed entrò in camera sua, doveva sapere cosa contenesse il carillon. Guardò in ogni angolo della stanza ma del carillon nessuna traccia. Si ricordò che la sera prima si era addormentata con l'oggetto tra le braccia ma la mattina non c'era più nel letto. Era stata sicuramente sua madre: si mise a cercare in ogni posto dove avrebbe potuto metterlo, anche tra le cose del padre ma niente, era sparito.

Decise che ritornata a casa ne avrebbe parlato a Rose e se lo sarebbe fatto ridare. Guardò l'ora dal display del cellulare, le otto meno un quarto. Per fortuna era ancora in tempo per evitare il ritardo a scuola.

L'importante era che per la prima volta sapeva cosa fare.

Si, Aveva ottenuto solo una risposta a una delle sue tante domande, ma per adesso se la sarebbe fatta bastare.

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