Capitolo 19
SPAZIO AUTRICE
Eccovi il capitolo 19!
Questa parte potrebbe apparire in un primo momento senza molto senso e confusionaria, ma non vi preoccupate perché è ovviamente ai fini della trama. Detto ciò, buona lettura e un abbraccio!
BE YOURSELF. ALWAYS.
Rose sta volta non era diretta al lavoro, come sempre. Arrivata al solito bivio, svoltò a sinistra invece che a destra, dirigendosi verso Roma centro. Guardò l'ora, era quasi l'una e sperò di aver fatto in tempo. Proprio il giorno prima, le avevano comunicato che in via del tutto eccezionale il giorno seguente avrebbe fatto il turno di pomeriggio. Lavorava in un'agenzia pubblicitaria e, per questioni di spazio, i dipendenti del reparto creativo e quello finanziario, erano costretti a fare i turni. Era stato davvero un caso in quanto, essendo parte del reparto creativo, il suo turno era sempre stato la mattina. Ma se si fosse trattato di sua figlia, tutto il resto sarebbe passato in secondo piano. Quando ricevette la chiamata rimase sorpresa dal sentirsi dire che May non aveva combinato nessun guaio. In fondo come poteva essere stata capace di aver rubato qualcosa?
Era stata chiamata, come probabilmente tutti i genitori degli alunni presenti alla gita perché al museo era avvenuto un furto di un reperto di ossa molto antiche e erano rimaste coinvolte alcune classi. Era addirittura scoppiato un incendio. La classe di May era presente al momento dell'incidente e la donna pregò che sua figlia non ne fosse rimasta coinvolta. Non avrebbe sopportato di perdere anche lei, la perdita di suo marito le era bastata.
La verità era che se anche non lo dimostrava appieno, amava con tutto il suo cuore sua figlia e si era sempre sentita in colpa da quando Peter era andato via. Aveva cercato di rifarsi una vita per cercare di non farla soffrire come aveva sofferto lei. Invece aveva ottenuto l'esatto opposto. Aveva pensato alla sua felicità a discapito di quella di Maybelline. I giorni passati al lavoro, i rientri a tarda notte, Eric... probabilmente si era sentita molto sola, ma non avrebbe mai cercato di attirare l'attenzione con gli attacchi di panico e le visioni. Lei le credeva, anche se non lo dimostrava. Lei era sua figlia, ed era sempre stata fin da bambina una persona davvero sincera. Ripensò alle loro ultime litigate, May assomigliava così tanto a suo padre... Anche Peter aveva lo stesso modo di pensare, non si arrendeva mai fin che non scopriva la verità. E questo era uno dei motivi per cui se ne era innamorata subito: per la sua spontaneità, quel modo enigmatico e molto intelligente di dire le cose, quel suo coraggio sfrontato di dire la verità sempre. Ogni volta che guardava May, vedeva suo marito.
Le faceva molto male ricordare. Forse era anche colpa sua se Peter aveva deciso di andare via. E ogni volta che incrociava gli occhi di May, identici a quelli di Peter, glielo ricordavano.
Appena avrebbe rivisto Maybelline, le avrebbe chiesto scusa per averla trattata come una pazza. Era stata un'illusa a cercare di cancellare diciassette anni della sua vita fingendo che non fossero mai trascorsi. Doveva affrontare il dolore.
Suonò il clacson, com'era possibile che a quell'ora ci fosse ancora così tanto traffico? Guardò l'orologio oltre una chiesa: segnava l'una e trenta cinque. Pregò che non fosse accaduto nulla a sua figlia. Quando accadevano questo genere di cose e c'erano molte persone, bastava poco perché avesse degli attacchi di panico. Si ricordò di quando un anno prima aveva dovuto fare esattamente ciò che stava facendo adesso, lasciare il suo lavoro per andare a prenderla. Era proprio il giorno del festival scolastico, dove le lezioni erano sospese e i ragazzi facevano dei loro stand per vendere le cose più svariate. Ad un certo punto un palo aveva preso fuoco ed era scoppiato il panico.
Fu proprio lì che tutto iniziò.
May aveva iniziato a blaterare qualcosa a proposito di una battaglia persa, una città in fiamme e qualcuno che stava per arrivare. Poi aveva gridato di lasciarla in pace contro il vuoto, di non toccarla e a quel punto era svenuta. Quando Rose era arrivata, May non aveva voluto dire neanche una parola su ciò che le era successo. E da quel giorno il fuoco l'aveva sempre messa in soggezione.
Rose finalmente arrivò al piazzale del museo, la ziona del palazzo più in alto era un tantino bruciacchiata e inlfuoco era stato spento, ma in lontananza era ancora possibile distinguere del fumo uscire. Parcheggiò a caso in mezzo alla piazza, non le importava di prendere la multa, tanto le altre macchine erano parcheggiate altrettanto male.
Scese dall'auto sbattendo la portiera e senza neanche chiudere l'auto. Si guardò subito intorno: vigili, poliziotti, pompieri, personale del museo, genitori che abbracciavano i propri figli... tra cui i compagni di classe di Maybelline e la signorina Keller! Lei sapeva sicuramente dov'era sua figlia, anche perché non c'era traccia di lei. Si avvicinò e contò tutti i compagni, mancava all'appello solo sua figlia. Mentre allungava il passo verso la Keller pregò di sentirsi dire ciò che voleva. Avrebbe voluto arrivare davanti alla professoressa e sentirsi dire che sua figlia stava bene e che magari le stavano medicando qualche ferita oppure stava parlando con qualcuno e semplicemente non era stata abbastanza attenta da notarla. Ma come poteva diventare miracolosamente attenta alle esigenze di sua figlia, se non lo era stata per sedici anni? Infatti, non andò come sperato. La Keller stava discutendo animatamente con dei poliziotti. Anche lei era alquanto sconvolta: capelli scompigliati, trucco rovinato, tallire sgualcito, aveva perfino una delle due scarpe con il tacco rotto - Mi scusi, signorina Keller, sono la madre di Maybelline Thorn... mi dispiace molto per l'incidente e sono sollevata dal fatto che tutti gli alunni siano usciti indenni, ma mi chiedevo dove fisse mia figlia, lei lo sa- Il cuore di Rose batteva a mille in attesa della risposta. Il viso della Keller divenne più cupo e Rose desiderò non aver mai formulato quella domanda- Signora Thorn, vede... sono molto sconvolta ma...
-Cosa cerca di dirmi?- Le lacrime iniziarono a rigarle il viso, rendendola per la prima volta una madre disperata.
- Sua figlia è stata l'unica a non essere ritrovata- La Keller strinse le mani di Rose- Dopo il furto è scoppiato il panico e purtroppo dopo non è stata più vista.
La mente di Rose partì completamente, iniziò a traballare e a correre verso l'entrata del museo. Alcuni pompieri cercarono di trattenerla per le braccia ma lei si divincolò, liberandosi dalla presa. Non le importava nulla, voleva solo entrare in quel museo e ritrovare sua figlia salva che le diceva, con la sua solita aria da so tutto io, che si era preoccupata per nulla. Arrivò alle porte automatiche del museo, e quasi ebbe paura di entrare. Ma il sensore si era già attivato e fu costretta ad entrare. Mentre faceva qualche passo, un grande calore l'avvolse. Si trovò all'interno guardandosi intorno: dalla cartina centrale indicante la piantina dell'edificio e da una donna dietro ad una biglietteria, dedusse di trovasi in un museo. Ma perché sarebbe dovuta entrare in un museo?
-Posso aiutarla?- Le chiese la donna vedendola smarrita. -No, mi scusi, non ricordo bene ma credo che a quest'ora dovrei essere al lavoro... credo di aver sbagliato posto- Neanche lei sapeva quello che stesse dicendo.
-Ok, non si preoccupi. Stiamo anche per chiudere per la pausa pranzo. Li è l'uscita- La donna la guardò un po' stranita ma fu comunque cordiale con lei e le indicò l'uscita. Rose si scusò ancora e uscì.
Mentre camminava verso la sua macchina cercò di ricordare cosa avrebbe dovuto fare quel pomeriggio e soprattutto perché era venuta lì. Eppure, si ricordava di dover fare qualcosa di importante, ma non le veniva in mente nulla. Nel parcheggio c'erano persone frastornate almeno quanto lei: alcune classi con i propri professori probabilmente lì in visita, si diressero verso dei pull man parcheggiati fuori. Del personale del museo si affrettava a tornare immediatamente nella struttura. C'erano addirittura alcune volanti della polizia.
Arrivò all'auto e non capì come mai fosse parcheggiata tanto male, non era da lei. prima di entrare guardò il museo: per essere così nuovo, era già popolarissimo e poi era anche davvero sicuro, a prova di incendio o terremoto. Guardò l'ultimo piano: la sala della preistoria era appena stata inaugurata e le sarebbe piaciuto tantissimo vederla. Si alzò sulla punta dei piedi per maggiore visuale: anche da lì giù lo scheletro di tirannosauro toglieva il fiato.
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