2. Benvenuto terzo anno

Jamie


Quindici settembre.

Quel giorno avrebbe dovuto essere bandito dal mondo perché, come ogni anno, noi studenti della Red Hills, eravamo costretti ad alzare il culo dal letto per cominciare un altro, noioso, anno scolastico. La scuola non è mai stato il luogo preferito degli adolescenti, questo si sa. E, visto che potevo considerarmi un adolescente in prima regola anche io, non lo era neanche per me. Quell'anno entravo nella fascia degli studenti Junior, ciò significava che avrei dovuto affrontare gli ultimi due anni dentro quello schifo di liceo. Il che era confortante, da un lato. Dall'altro... beh, diciamo di no.

Alla Red Hills, io ero uno dei più popolari. Era comprensibile, ovvio. Per essere qualcuno devi sempre puntare in alto, e non potevo negare di averlo fatto fin dall'inizio. Mi alzai dal letto, salutando con un breve cenno del capo i miei genitori. Mio padre sembrava essere ancora immerso nel suo mondo, mentre mia madre mi stava guardando con la bocca spalancata.

«Jamie, ma che capelli hai?» chiese sorpresa.

Alzai un sopracciglio, per poi ruotare gli occhi. Non mi ero ancora visto allo specchio, ma posso assicurarvi che immaginavo già l'acconciatura mattutina. «Ti aspettavi che appena sveglio avessi gli stessi capelli di Depp?» borbottai, lasciandomi cadere sulla sedia in legno scuro.

Mio padre ridacchiò, scuotendo la testa, mentre la piccola di casa, sbruffò il suo omogenizzato in faccia alla mamma. Dio, che scena tenera e divertente. Sì, avevo una sorella di otto mesi, Becky. Era una piccola diavoletta e credetemi che non osavo immaginare quando avrebbe imparato a camminare. Sapevo già che avrei dovuto mettere la mia chitarra elettrica sottochiave, altro che.

«Jamie, sei pronto per iniziare l'anno scolastico?» chiese mio padre. Adam Reyes, un bel fusto pieno zeppo di soldi.

«Ovviamente... no.» feci una smorfia, prendendo un sorso di caffè e facendo una smorfia a Becky, che cominciò ad urlare le sue parole aliene. Tranquilla, amica, come al solito non avevo capito niente, ma fingevo di parlare la tua lingua, così ti sentivi meno estranea. Mangiucchiai il mio pancake con aria assonnata, per poi alzarmi e correre di sopra. Dovevo prepararmi, ero leggermente indecente. Presi un Jeans strappato, che abbinai ad una maglia bianca semplice, a maniche corte. Sistemai i capelli allo specchio, standoci la bellezza di mezz'ora, per poi abbinare la giacca dei Red Devils e le scarpe da ginnastica nere. Feci l'occhiolino a... me stesso? Sì, a me stesso. Acchiappai le chiavi in un colpo e sorrisi ai miei genitori.

«Vado a scuola!» urlai, uscendo di casa e sistemando la cartella in spalla. La gettai letteralmente sul sedile posteriore e salii in auto, mettendo in moto. Canticchiai le note di una canzone a caso passata alla radio, per poi sostarmi davanti a casa di Jason, quello più vicino. Suonai il clacson, intonando una musichina inventata, mentre il moro si affacciò ancora a petto nudo, i capelli scombinati e gli occhi socchiusi.

«Ma perché sei ancora così?» chiesi sorpreso, scendendo dall'auto e appoggiandomi alla carrozzeria, per poi accendere una sigaretta.

Si passò una mano in faccia e mi guardò, sbattendo le palpebre più volte. «Scusa che cazzo vuoi?» si lamentò, sbuffando.

Alzai un sopracciglio. «Andare a scuola, forse?» domandai ironico.

Spalancò gli occhi e si picchiettò la fronte ripetutamente. Come previsto, aveva dimenticato. «Cazzo, potevi chiamarmi, prima!» urlò, rientrando dentro. Scossi la testa e ridacchiai, passando la lingua tra le labbra. Signori e signore, vi presento il mio primo migliore amico, assolutamente demente, aggiungerei. Attesi il mio amico, fumando in tutta serenità. Poco dopo, eccolo uscire dalla porta in tutto il suo splendore. Capelli ricoperti di gel, ma comunque molto ribelli, giacca dei Red Devils, stivaletti slacciati, jeans strappato e maglia total black. Si passò una mano tra i capelli, guardandosi intorno e facendomi poi l'occhiolino.

«Non ci provare con me, sono etero.» dissi divertito, gettando la sigaretta sul pavimento. Lui ne portò una alle labbra, assottigliando lo sguardo per il fumo che creò appena accesa.

«Non ci proverei neanche se fossi gay.» ridacchiò, salendo sul sedile del passeggiero e abbassando il finestrino, lasciando penzolare la mano con la sigaretta fuori da esso.

Salii con lui, ridacchiando e mettendo in moto. «Dove sei stato quest'estate, quindi?» chiesi.

Fece spallucce, grattandosi la guancia. «All'estero. Ho girato un po' per l'Inghilterra, la Spagna... e devo dire che le spagnole scopano bene.» ammise ridendo.

Scoppiai a ridere, guardandolo per un attimo. «Non ne dubito che hai colpito anche lì.» scossi la testa.

Tirò una boccata di fumo, annuendo leggermente. «E tu?» chiese.

Mi passai la lingua tra le labbra, ridacchiando. «New York City, bello. Ho passato tre mesi fantastici, ho avuto una bomba al mio letto per tutto il tempo, non ho nemmeno visto la città. Si chiamava... Celine, credo.» borbottai.

Annuì, ridendo. «E dov'è adesso?» domandò curioso.

Feci spallucce. «Ma che cazzo ne so. Ho salvato il suo numero dicendole che l'avrei richiamata, ma col cazzo. Appena tornerò a New York inveterò qualche balla.» risi.

«Un classico.» ammise divertito.

Mi fermai davanti casa di Alex, suonando il clacson e attendendo in macchina con Jason, che nel frattempo mi fece vedere le foto e i video dei posti in cui era stato. Passarono cinque minuti buoni, ma di Alex, nemmeno la traccia.

«Ma quello che fine ha fatto?» borbottò il mio amico accigliandosi.

Sbuffai, cercando il suo numero tra i miei contatti. «Lo chiedi a me? Sicuramente sarà ancora in bagno a sistemarsi i capelli.» feci una smorfia. Portai il telefono all'orecchio, attendendo una risposta, che come al solito, non arrivò. «Cristo, ma perché tutto a me?» borbottai infastidito.

«È mortoooo!» urlò Jason ridacchiando.

«Giuro che se faccio ritardo per voi, da domani mi pagate la corsa tipo taxi.» puntai il dito contro al ragazzo, che alzò le mani in segno di resa.

«Aleeeeeeeeeeeeeeeex!» urlò, ovviamente, al mio orecchio. Logico.

Lo richiamai, guardando male Jason e sospirando. «Mh... pronto.» rispose lui, con voce assonnata.

Spalancai la bocca. «Stai ancora dormendo?» chiesi passandomi la mano in viso.

«Sì, perché non dovrei, scusa? Sono le sei del mattino.» borbottò assonnato.

Ruotai gli occhi, dando uno schiaffo in testa a Jason che ancora rideva. «Intanto sono le otto. E c'è la scuola.» sbuffai.

Rimase in silenzio per un po'. «Ma cosa dici...oh. Merda hai ragione siamo quindici settembre! Cazzo faccio in fretta, okay?» sentii un rumore assordante, così aggrottai la fronte.

«Maaa sei caduto?» chiesi ridendo.

«Cazzo sì, che male! Non importa, il culo adesso mi passerà. A dopo!» mi chiuse il telefono in faccia.

Sospirai, guardando Jason. «Com'è che sono stato l'unico figlio di puttana a ricordarmi della scuola?» borbottai rassegnato.

Scoppiò a ridere, facendo spallucce. «Perché sei l'unico figlio di puttana.» disse con nonchalance, beccandosi un pugno alla spalla da parte mia.

Alex ci raggiunse dopo cinque minuti. Skinny Jeans, con gli strappi alle ginocchia, scarpe dell'adidas, giacca da football, berretto sulla testa che lasciava uscire i ciuffi davanti e una maglia bianca con un bel dito medio in nero stampato al centro. Non male, se consideriamo che si era vestito sicuramente ad occhi chiusi. Saltò sui sedili posteriori, passandosi una mano in viso.

«Cazzo se ho sonno. Non me la sento di affrontare una giornata scolastica.» borbottò appoggiando la testa sul sedile. «Okay, vai con i convenevoli. La mia estate è stata ad Ibiza con un gruppo misto di ragazzi, tanto alcool, sesso e musica. Voi siete stati a...» chiese sbadigliando.

«New York.» risposi cominciando a marciare per le strade.

«Europa in generale.» replicò Jason assorto.

Alex annuì, facendo una smorfia. «Figo, ma non troppo, non è così?» chiese passandosi ripetutamente le mani sul viso.

«Già.» rispondemmo all'unisono.

Parcheggiai davanti al liceo, scendendo dalla macchina e mettendo le mani in tasca. «Pronti?» dissi guardandoli.

Alex fece un sorriso beffardo. «Entrata di scena, amico. Sono prontissimo.» disse passandosi la lingua tra le labbra.

Spalancammo la porta della scuola, entrando a testa alta e sorridendo a qualsiasi ragazza che agitava la mano verso di noi. Jason morse leggermente il labbro, mentre Alex fece l'occhiolino ad una bionda decisamente mozzafiato. Il mio sguardo ricadde su un gruppo di tre amici, immobili, che ci stavano guardando. Il ragazzo era alto, con gli occhi verdi, la pelle chiara e i capelli ben spazzolati. Al suo fianco, una ragazza mulatta, con dei lunghi capelli ricci e biondi, le labbra carnose e gli occhi davvero magnetici. Peccato per l'altezza, era davvero piccola. Spostai il mio sguardo sulla sua amica a fianco, aveva i lunghi capelli lisci, castano chiaro, le labbra carnose e lo sguardo spettacolare, nonostante gli occhi scuri. Teneva stretti dei libri tra le mani e la sua espressione era a dir poco schifata. Qualche problema, amica? Pensai. Ridacchiai, spostando di nuovo lo sguardo altrove. Chi li aveva mai visti, che guardassero pure, l'importante era non sciuparci.

Guardai dritto davanti a me e sorrisi beffardo, passandomi la lingua tra le labbra. Ci rivediamo, Red Hills, sono pronto a combinare casini. Dissi tra me e me.

-Spazio Autrice

Ed ecco Jamie! Popolare, ricco e... ricco! L'opposto di Maya, in pratica. Nel prossimo, ci sarà un breve incontro ravvicinato tra i due! Chissà cosa combineranno. A venerdì! ❤️

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