15. Ogni mia sfumatura

Maya

La pioggia batteva incessante per le strade di Red Hills, costringendo ogni singolo cittadino a rimanere in casa, nel loro zona comfort, al caldo. Era quello il motivo per cui, quel pomeriggio, io e i miei amici avevamo deciso di passare del tempo insieme, sotto il piumone in camera mia a mangiare schifezze e a parlare di tutto. Non sentivo Jamie dal giorno prima, non era venuto a scuola e onestamente non avrei voluto disturbarlo con i miei messaggi. D'altro canto, se avesse avuto voglia di sentirmi, avrebbe potuto benissimo scrivermi lui. Di certo non avrei evitato di rispondergli. Hailey e Jason, quella mattina, avevano finalmente ufficializzato la loro relazione. Non che questo potesse cambiare molto, in realtà, visto che a scuola tutti già sapevano cosa fossero quei due. Era stato comunque bello, vedere Jason che urlava nei corridoi che quella era la sua ragazza e che si sentiva fiero di dirlo a tutto il liceo. Anche Archie si era stupito del gesto, mettendolo nelle classifica delle cose più romantiche fatte alle sue migliori amiche, ovvero noi. Naturalmente, era una classifica solo composta da gesti compiuti per Hailey, perché Justin di romantico non aveva mai avuto nulla. Un po' mi dispiaceva, il fatto che ci eravamo persi del tutto. Forse era una necessità, in effetti. Non nego che lo pensavo ancora, ma non potevo affermare che sarei tornata indietro. Non era nella mia natura e di passi arretrati con lui ne avevo fatti molti. Molto spesso diamo tanto alle persone senza rendercene nemmeno conto, finendo per dare troppo poco a noi stessi. Ci avevo messo l'anima, con lui, senza accorgermi che non la trattava con cura, usandola a suo piacimento.

Ho sempre pensato che noi esseri umani abbiamo un concetto strano di ciò che ci fa del bene. A volte, quando ci capita di incrociare una persona durante il nostro cammino, che poi si rivela essere importante, crediamo che lei rimanga in eterno. Credo che a ognuno di noi sia capitato di avere i cosiddetti paraocchi. Quante volte eravate fermamente convinti che il vostro amico o il vostro fidanzato fosse la persona più buona del mondo? E quante volte poi avete scoperto che in realtà era tutta una menzogna? È capitato a tutti e credo che sia una cosa assolutamente normale. Quando ci affezioniamo a qualcuno, tendiamo sempre di vedere il buono in loro, quando in realtà c'è solo del marcio. Non è essere stupidi, no. È come se il tuo cuore non desse ascolto al tuo cervello, che è la parte più razionale di te, quella che ti fa vedere le cose per come stanno davvero. Noi sappiamo sempre com'è la vera versione dei fatti, ma lasciamo agire ogni volta la parte più ingenua di noi, ovvero il nostro cuore. Ed è per questo che il cervello, quando si accorge che noi siamo risoluti ad ignorarlo, comincia a mandarci dei segnali che ci fanno stare male fisicamente. Così cominciano gli attacchi di panico, se ci pensate. Quello che sentite quando il vostro cuore batte in modo disumano, quando sembra che tu stia per morire all'istante e ti vedi passare i tuoi ultimi attimi di vita, non è malessere fisico. È mentale, è tutto mentale. È lui che ci sta dicendo di reagire, di guardare in faccia la realtà e affrontarla con coraggio, perché solo combattendola riesci a liberartene del tutto. In quel esatto momento in cui tu credi che la tua vita stia per finire a causa di quei malesseri fisici che non hai mai provato, non sta finendo, fidati di me. È il tuo cervello che ti dice di ricominciare a vivere, di farlo meglio e senza quelle relazioni tossiche che ti fanno stare male. È il tuo cervello che sta attirando l'attenzione, che cerca di svegliare il tuo cuore. Non vuole spaventarti, vuole solo chiederti aiuto. E solo ascoltandolo, potrai aiutarlo, salvando anche te stesso.

Ho sofferto molto di attacchi di panico, negli anni scorsi. Mi ricordo che mia madre aveva girato i migliori ospedali, credendo che io avessi dei problemi cardiologici. Nessuno mi credeva, tutti pensavano che io inventassi ogni singolo sintomo, perché nei risultati dei vari test il mio organismo era assolutamente normale. In una delle tante visite, il medico aveva dedotto che io soffrissi di attacchi di panico. La loro unica soluzione era quella di infilarmi delle gocce sotto la lingua, che sarebbero serviti a tranquillizzarmi come si deve. Avevano un sapore amaro, talmente tanto che le ingoiai ancora prima che il medico mi raccomandasse di non farlo. Mi ricordo che il fatto che io le avessi mandati giù nonostante non dovessi farlo, mi aveva fatto preoccupare parecchio e mi chiesi se mi sarebbe successo qualcosa di brutto. Nei giorni a seguire, mi consigliarono di prenderne tre ogni qualvolta che i miei attacchi tornassero a farmi visita. Quelle gocce erano la mia unica fonte di salvezza o più probabilmente, l'inizio della mia distruzione. Avevo cominciato a fare delle visite periodiche dallo psicologo, che cercava di capire la natura della mia patologia mentale. Niente che mi aiutasse, in realtà. La colpa non era della scarsa competenza del medico, ma dal fatto che assumessi quelle dannate gocce ogni volta che l'attacco tornava. Era come se il mio cervello mi dicesse che senza di quelle non sarei riuscita a superare l'attacco di panico, che senza di quelle sarei morta. Per questo, dopo che lo psicologo scoprì che le assumevo, mi ordinò categoricamente di buttarle via. Mi ripeteva sempre che ciò che mi accadeva non era nulla, che io ero più forte di lui e che avrei potuto sconfiggerlo da sola. Ed è tutto vero. Non dico che oggi mi siano passate, non è così. Credo che gli attacchi di panico, quando ne sei un soggetto sofferente, non passino mai. Non sono più frequenti, è vero, ma ogni tanto ritornano. No, non lo fanno quando è un brutto periodo della mia vita. Lo fanno quando sono tranquilla, a ridere con gli amici o a guardare un film. Lo fanno quando meno me lo aspetto, quando non esiste alcun motivo per ritornare. Ho imparato a combatterli, adesso. So di essere più forte. Ma tengo sempre un flacone di ansiolitici nel mio comodino, quelli mi danno la sicurezza che nel caso andasse male, posso aiutarmi con loro. Vorrei poter dire di essermene liberata, ma non è così. La mia patologia mentale c'è sempre, arriva quando credo che tutto nella mia vita stia andando per il verso giusto e mi ricorda che non sono da sola. Mi ricorda che, ogni tanto, lei è ancora più forte di tutte le volte in cui ho cercato di ignorarla. È come se fosse un campanello d'allarme, un segnale che mi attesti che in realtà non è andata via, che rimarrà sempre con me. È come quell'ospite indesiderato che non vedi l'ora che si dilegui, ma che tornerà sempre per ricordarti che nonostante il tuo odio nei suoi confronti, lui continuerà ad infastidirti. In parole povere, è la parte di te che non vuoi mostrare a nessuno, perché nessuno potrà mai capirla.

Inizialmente, quando cominciarono a venirmi i primi attacchi, mamma aveva avuto molta paura. Secondo la sua logica di genitore, credeva che la causa di quel malessere fosse sua, che magari avesse sbagliato qualcosa durante il corso della mia vita. Niente di più errato. Credo che la natura dei miei problemi derivi dal mio carattere chiuso. Molto spesso ritengo che sia meglio tacere, anche quando il dolore è troppo forte da sopportare. Non è perché io penso che chi mi sta intorno non sia in grado di capirmi, sono semplicemente del parere che certe sofferenze sono impossibili da spiegare, che non esiste alcuna parola in grado di esprimere il concetto al meglio. Molti dicono che se non passi sopra ad una determinata situazione, non puoi capirla. Io non la penso così, credo che sia tutta questione di empatia. La gente empatica è capace di assorbire i tuoi sentimenti e renderli suoi e sono convinta che non è un dono di tutti. Sono sicura che chi mi sta vicino è empatico, ma non ritengo che sia giusto addossare i miei problemi sugli altri quando hanno già i propri a cui pensare.

Comunque, la pioggia non smetteva di cadere, incessante e violenta. Anche Jace era tornato prima da lavoro, dicendo che il brutto tempo aveva fatto in modo che il locale fosse deserto. Questo aveva permesso a mio fratello di rilassarsi un po' di più e di mettersi in pari con lo studio nel pomeriggio, dandogli parecchio tempo libero a disposizione. Archie e Hailey si erano addormentati durante la visione di How I Meet Your Mother. È la nostra serie tv preferita, la guardiamo spesso insieme, nonostante abbiamo già concluso tutte le stagioni da tempo e nonostante siamo ormai cresciuti parecchio dalla prima visione. Abbiamo sempre sognato un'amicizia indistruttibile come quella di Ted, Barney, Robin, Marshall e Lily. E sono sicura che, nonostante tutto, saremo capaci di mantenere il rapporto proprio come hanno fatto loro. Dopotutto, il bene che ci vogliamo è impossibile da quantificare. Non l'ho mai detto ai ragazzi, ma all'epoca sognavo un amore come quello di Marshall e Lily. La loro storia è molto bella: hanno affrontato tante avversità, ma hanno vinto nonostante tutto.

Mi alzai dal letto, strisciando via in assoluto silenzio per evitare di svegliare quei dormiglioni. Appoggiai i piedi nudi sul pavimento gelato e mi stiracchiai, legando i capelli in una coda ordinata. Avevo fame, così decisi di andare in cucina per nutrirmi come si deve. Una volta arrivata sotto, notai mio padre seduto sulla sedia, con una tazza di caffè fumante adagiato sul tavolo e l'espressione rilassata. Aprì gli occhi e mi guardò, facendo una smorfia.

«Hai litigato con Hailey e Archie?» chiese curioso, grattandosi il mento.

Mi diressi verso il frigo, perplessa. «Perché avrei dovuto?» chiesi ridacchiando.

«Ogni volta che litigate e siete in camera tua, tu vieni sempre in cucina.» spiegò dolcemente.

Versai un bicchiere d'acqua e lo guardai, ridacchiando. «Papà, l'ultima volta che l'ho fatto avevo cinque anni e solo perché volevo essere io a baciare Archie e invece l'ha fatto Hailey. Stanno dormendo.» replicai scuotendo la testa.

Mio padre annuì, sospirando. «Ah, beh... siete cresciuti davvero tanto.» ammise facendo spallucce.

Mi avvicinai a lui, abbracciandolo e baciandogli la guancia ruvida a causa della barba. «Ma tu rimarrai sempre il mio principe.» dissi con dolcezza.

Lui sorrise, alzando le mani e grattandosi il capo. «Tra tua madre, te e tua sorella Amy, non so più a chi fare da cavaliere.» ammise ridacchiando.

Lo guardai male, prendendo un pacchetto di patatine e sedendomi accanto a lui. «A me, ovviamente. Sono la prima figlia femmina!» esclamai.

Mio padre rise, alzandosi e guardando oltre la finestra. «Oh, beh... credo che qualcuno voglia appropriarsi del mio ruolo da principe. Confiderò sul fatto che tu non mi tradirai.» disse, facendo l'occhiolino e salendo di sopra. Aggrottai la fronte, confusa, mentre il campanello suonò di colpo. Saltai giù dallo sgabello e mi diressi alla porta d'ingresso, aprendola e trovando Jamie con un sacchetto in mano.

«Ehi! Avevo fame e sono passato al Vanilla. Essendo che mi trovavo in zona mi sono detto: perché non fare visita a Maya e mangiare qualcosa con lei?» disse allegro, guardandomi.

Sorrisi e mi spostai, per farlo passare. «Che tempismo...» sussurrai.

Lui mi guardò, grattandosi il capo. «Sbaglio o questa casa è molto silenziosa?» chiese curioso.

Annuii. «Amy è da una sua amichetta con la mamma, mio padre è da qualche parte in giro per casa e Jace sta studiando.» spiegai, sedendomi sullo sgabello.

Si sedette di fronte a me, tirando fuori una ciambella glassata alla fragola e facendola scivolare tra le mie mani. «Oggi questo tempo mette una paranoia assurda. Ho saputo che Jas ha ufficializzato la cosa con Hailey.» disse sorridendo.

Annuii di nuovo, prendendo un pezzo di ciambella. «Oh, sì! Era anche ora, in realtà. Almeno avrà l'accompagnatrice per il ballo di inizio anno.» dissi facendo spallucce.

Jamie ruotò gli occhi, bevendo un sorso di milkshake al cioccolato. «Non mi parlare del ballo, ti prego. Mi hanno invitato la bellezza di quindici ragazze alla quale ho dovuto gentilmente declinare l'invito. Non vado mai ai balli scolastici.» rise.

Trattenni una risata, scuotendo la testa. «Il lato oscuro della popolarità, dico bene?» chiesi divertita.

«Lo trovi anche divertente?» domandò ironico, lanciandomi una briciola di ciambella.

Lo guardai male e alzai il dito medio, cercando poi invano di togliere quella maledetta briciola dai capelli. «Se la cosa non crea disagio a me, è divertentissima. Si chiama vera amicizia, questa.» replicai soddisfatta.

Scosse la testa, indignato, per poi ridere. «È stronzaggine allo stato puro, Lady.» ammise, mangiando poi in tutta serenità.

Sentimmo dai passi strascicanti, così ci voltammo verso il corridoio. Archie fece il suo ingresso in cucina, con il volto assonnato e i capelli sparati in aria. «Adesso ricordo perché non voglio dormire con Hailey. Ho ricevuto più calci nello stomaco in questa mezz'ora che in tutta la mia vita.» disse sbadigliando.

Jamie arricciò il naso, ridacchiando. «Ciao, Arch.» borbottò.

«Ciao, Jamie...? Che fai qui?» rispose il mio amico, curiosando nel sacchetto. «Ehi, non c'è niente per me!» esclamò.

Jamie fece spallucce, grattandosi il capo. «Non sapevo ci foste anche voi. Altrimenti vi avrei portato qualcosa.» spiegò imbarazzato.

Guardai Archie e sorrisi, passandogli la ciambella dimezzata. «Finiscila tu, amore mio. Poi non dire che non ti voglio bene.» replicai divertita.

Archie alzò il dito medio, prendendo la ciambella e servendosi in un nanosecondo. «Ah, tutto questo è da orgasmo.» disse chiudendo gli occhi.

«No, è imbarazzante.» intervenne Jace, sorridendo leggermente a Jamie. «Ciao.» aggiunse con tono divertito.

Jamie sorrise, alzando la mano per salutarlo. «Ciao, amico.» sussurrò.

Guardai mio fratello, arricciando il naso. «Ehi, come mai non sei a studiare?» chiesi curiosa.

Jace fece spallucce, sedendosi al mio fianco. «Credo di mollare il college, lo sai? Troppo stress e troppe cose che non riesco a far conciliare.» spiegò, sospirando.

Spalancai gli occhi, grattandomi il capo. «Non te lo permetto! Hai l'ultimo anno, Jace! Sai quanto ci tiene la mamma che tu prenda quella laurea e sai quanto me che è importante!» risposi risoluta, notando che Jamie lo guardava con sguardo attento e Archie sconvolto.

Scoppiò a ridere, scuotendo la testa. «Stavo solo scherzando, Maya. Rilassati! Ho finito prima del previsto e ho detto a mamma se può tornare prima di cena. Volevo portare te e Amy fuori, così da passare un bel momento tra fratelli come ai vecchi tempi. Ho già prenotato un tavolo da Crown.» spiegò baciandomi la fronte.

Lo guardai male, scansandomi. «Non puoi farmi prendere questi infarti totalmente a caso!» sbraitai, per poi saltare giù dallo sgabello e sedermi sulle sue gambe. Mi misi con il viso a fianco al suo, sorridendo. «Ci somigliamo?» chiesi a Jamie, scoppiando poi a ridere.

Jamie scosse la testa, ridendo. «Ma per niente. Jace è più bello.» ammise divertito.

Feci la linguaccia e mi accoccolai di più a mio fratello, sorridendo. «Non importa, siamo belli lo stesso.» mormorai ridacchiando.

Archie si stiracchiò, guardando Jace e facendo il labbruccio. «Jace, ho sonno ma con Hailey non posso dormire, mi picchia. Posso utilizzare il tuo letto?» chiese sbattendo le palpebre più volte.

Jace alzò un sopracciglio, ridacchiando. «Non hai un letto a casa tua?» mormorò.

Archie fece una smorfia, annuendo. «Sì, certo. Ma piove a dirotto e devo aspettare mio padre che finisce da lavoro.» borbottò.

Jamie si alzò, stiracchiandosi. «Sveglia Hailey, vi dò uno strappo io che tanto devo passare da Alex.» disse, guardandomi per qualche secondo.

Jace ridacchiò, scuotendo la testa. «Guarda che scherzavo, potete restare, volevo solo infastidire Archie.» replicò divertito.

Jamie arricciò il naso, annuendo. «Lo avevo intuito, ma perché far venire qui suo padre quando posso accompagnarli io ed evitargli la strada?» fece spallucce.

Ridacchiai, guardandolo divertita. «Oh, ma che bravo ragazzo.» dissi ironica, beccandomi un bel dito medio. Scoppiai a ridere, mandandogli un bacio e sventolando i capelli. «Dai, ammettilo che mi vuoi troppo bene per odiarmi.» aggiunsi gonfiando il petto in modo serio.

Mi guardò, alzando un sopracciglio. «In realtà, sto valutando se ucciderti nel sonno o mentre sei sveglia e cosciente. E poi cosa farne dei tuoi organi una volta che me ne sarò appropriato.» replicò serio. All'improvviso, un silenzio di gruppo cominciò ad alleggiare nella stanza, mentre guardavamo Jamie con la bocca spalancata, scossi. Scoppiò a ridere, strizzando gli occhi. «Stavo scherzando! Mi avete preso davvero sul serio?» esclamò divertito.

Archie indietreggiò, spaventato. «Non sono sicuro se tornare a casa con te.» ammise.

Crown era il ristorante migliore della zona. Era un posto molto tranquillo, stanziato lì dal millenovecento dodici e gestito sempre dalle stesse persone, che se lo passavano da famiglia in famiglia. Il signor Martin era un uomo molto docile e gentile, vestiva con uno stile molto retrò e non si faceva mai mancare il suo panciotto con la quale ci passeggiava con aria fiera. La prima volta che misi piede in questo posto, avevo circa sette anni. Mi ricordo che avevo litigato con Jace per il posto a sedere migliore e alla fine mio padre, per mettere la pace, decise di prendere il posto tanto ambito, fregandoci entrambi. Mi feci spazio tra i tavoli rigorosamente di legno scuro, addobbati con delle tovaglie bordeaux, di carta. Alzai lo sguardo tra i tanti quadri che ritraevano numerosi artisti molto conosciuti e amati, come: Marlyn Monroe, Bob Marley, Freddie Mercury, David Bowie, Woody Allen...

Prendemmo posto nel tavolo vicino alla finestra enorme, con il nome del ristorante inciso sulle vetrate scure. Una musica anni Cinquanta suonava attraverso il grande Jukebox in fondo alla sala, deliziandoci con le note di "Heartbreak Hotel", del grande Elvis Presley. Mio fratello sistemò il colletto della camicia blu, sedendosi di fronte a noi due e appoggiando i gomiti sul tavolo. Ci sorrise, guardandosi intorno e sospirando leggermente.

«Ci voleva questa serata tra fratelli, è passato molto tempo da quando ci siamo concessi qualche minuto per noi. Prima eravamo molto uniti.» sussurrò, sorridendo al cameriere che stava passando tra i tavoli.

Appoggiai una mano alla sua, sorridendo. «Lo siamo anche adesso, siete tutta la mia vita, anche se vorrei uccidervi certe volte.» ammisi sincera, facendo cenno ad Amy di unirsi insieme a noi.

Jace sorrise, appoggiando le mani sul mento. «Beh, è un po' che non parliamo. Per esempio, come ti stai trovando alle scuole medie, Amy?» chiese interessato, prendendo un pezzo di pane e mangiandolo in attesa che arrivasse il cameriere per ordinare.

Amy fece spallucce, sorridendo leggermente. «Sono già popolare. A scuola mi adorano tutti.» ammise con un ghigno soddisfatto.

Ridacchiai, storcendo il labbro. «Brutto sapere che la tua sorellina minore ha più culo di te, in fatto di relazioni scolastiche.» dissi divertita.

Jace alzò un sopracciglio. «Non credo proprio che tu la stia passando male. Comincio a vedere facce nuove, tra il tuo gruppo di amici. Tipo quel Jamie e quei suoi amichetti che l'anno scorso dicevi di odiare.» replicò ridacchiando.

Scossi la testa, mordicchiando il labbro. «Devo ammettere che ho avuto una considerazione sbagliata del trio più popolare del liceo. Non che siano dei santi, per carità. Ma mi trovo bene con loro.» ammisi, facendo spallucce.

Amy mi guardò, arricciando il naso. «Oh, questo è positivo! Magari ti scrollerai di dosso quel Justin, che tutto ha fatto tranne che farti del bene. L'ho visto ieri sera, mentre ero al Mc Donald's con gli amici. Non aveva tutta l'aria di essere felice, magari gli manchi. Io, in ogni caso, continuo a patteggiare per Jamie, ha un non so che di attraente. Fortunata te che alla tua età puoi fartelo senza problemi!» esclamò sognante. Io e Jace ci lanciammo uno sguardo, per poi spostarlo sulla piccola di casa.

«Com'è che tu a undici anni conosci il significato di certi termini?» chiese Jace meravigliato.

Amy ruotò gli occhi, facendo una smorfia. «Pronto? Siamo nel duemila diciannove, sveglia! I bambini non lo sono più da anni, ormai. Sappiamo più cose di voi.» disse battendosi una mano in faccia.

Trattenni una risata, passandomi una mano sotto il mento. «Resta il fatto che non ti importa se, come e quante volte mi faccio Jamie.» replicai divertita.

Jace mi guardò, annuendo. «Importa a me, però. Cerca di stare attenta. Ho accettato il fatto che tu abbia perso la verginità con quel Justin, non posso anche farmi passare che tu vai a letto con un ragazzo con cui hai appena preso rapporto.» replicò stizzito.

Ruotai gli occhi, sbuffando. «Jace, non ci vado a letto. In ogni caso, l'avresti già saputo. Lo sai che con te parlo di tutto.» risposi, ridacchiando.

Amy mi guardò male. «Con noi. dimmi un po' l'hai baciato?» chiese curiosa, con una luce negli occhi.

Mi grattai il capo, annuendo. «Ah, ah. Per ben due volte. E nel caso te lo stessi chiedendo, bacia da Dio.» risposi, facendo l'occhiolino.

Amy batté le mani, mentre Jace sospirò. «Ho la netta impressione che siete cresciute a vista d'occhio, voi due. Non mi stupirei se Amy avesse già dato il primo bacio.» replicò affranto.

Amy annuì. «Marcus Moore, secondo anno. Anche lui bacia bene.» rispose facendo spallucce.

La guardammo sconvolti, spalancando la bocca. «Amy!» esclamammo all'unisono.

Ci guardò, ridendo. «Ehi, ho già undici anni, non stressatemi!» esclamò. Io e Jace ci guardammo, per poi scoppiare in una fragorosa risata, insieme ad Amy che si unì immediatamente a noi.

Quando rientrammo a casa, trovammo i nostri genitori stranamente già addormentati. L'idea iniziale era quella di guardare un film tutti insieme, ma Amy aveva sonno e Jace ne aveva approfittato per finire la relazione da consegnare il giorno dopo. Trascinai letteralmente i piedi verso la stanza, sdraiandomi di peso sul letto e non preoccupandomi di togliere i vestiti. Non avevo voglia di cambiarmi, in quel momento, ci avrei pensato dopo. Acchiappai il telefono notando che Jamie aveva risposto al mio messaggio circa dieci minuti fa, così lo aprii per poter rispondere.

"Nulla, sono disteso sul letto che rifletto sul senso della vita, tu?"

"Sto facendo esattamente la stessa cosa, sono appena rientrata a casa."

"Ti sei divertita?"

"Sì, ma adesso mi annoio."

"Tra poco passo, stiamo un po' insieme. Ovviamente se ne hai voglia."

Sorrisi, mettendomi a pancia sotto. "Ti aspetto." Risposi.

Dieci minuti più tardi, ero seduta sulla dondola in giardino con Jamie al mio fianco, che teneva una sigaretta stretta tra le labbra e fumava con aria assorta. Mi persi per un attimo a guardare il suo neo, per poi sospirare.

«Quindi alla fine sei riuscito a superare il test di fisica?» chiesi interessata, accavallando le gambe.

Annuì, tirando una boccata di fumo e guardandomi sottecchi. «C'è qualcosa, tra te e Archie? Vi vedo molto... intimi.» chiese curioso.

Aggrottai la fronte, schiarendomi la voce. «Dio, no! Conosco Archie da sempre, siamo praticamente nati tutti e tre allo stesso periodo, con i nostri genitori che si conoscevano da una vita. All'asilo ero innamorata persa di lui, ma crescendo mi sono resa conto che in realtà era più un amore fraterno. È vero, agli occhi degli altri possiamo sembrare innamorati, ma fidati che non è così. Né da parte mia, né da parte sua. Ci conosciamo troppo bene per provare dei sentimenti l'uno per l'altra.» dissi ridendo.

Annuì, passandomi la sigaretta dimezzata. «Vuoi?» chiese.

La presi, tirando una boccata di fumo. «Tanto quello sveglio è solo Jace. Ma tu perché mi hai fatto una domanda del genere?» chiesi curiosa.

Fece spallucce, sorridendo appena. «Semplice curiosità. Ti comporti in modo strano con lui, non è lo stesso comportamento che assumi con Alex, Jason o... me.» ammise sincero.

Mordicchiai il labbro, sospirando. «Con lui è diverso perché conosce ogni minima parte di me, anche quella più oscura, e mi ama lo stesso per come sono. Mi reputa una sorella.» dissi sorridendo appena.

Si voltò, guardandomi per un secondo. «Falla conoscere anche me, la Maya che conosce lui. Non puoi sapere come reagirò se non proverai ad aprirti.» ammise sincero.

Abbassai lo sguardo, rialzandolo subito dopo. «Io sono questa, Jamie. Quella che vedi.» risposi, sorridendo.

Scosse la testa, scuotendosi i capelli con la mano. «No che non sei quella che vedo, lo sento. Nel tuo sguardo c'è quel filo di tristezza che ti rende diversa. A volte ti perdi nel vuoto e nemmeno te ne accorgi. C'è qualcosa che non vuoi mostrare, Maya, ma che io sento. Per me sei come un mistero, la ragazza dai mille volti che a fine giornata, però, deve darne conto solo a uno, quello che non mostra a nessuno e che la rende vulnerabile.» spiegò facendo un sospiro.

Mordicchiai il labbro, evitando il suo sguardo. Il fatto che lui mi avesse compresa nonostante il poco tempo passato insieme, mi fece capire che era attento nei miei confronti, che forse per lui non ero solo Maya, ero molto di più.

Alzai lo sguardo verso i suoi occhi e mi avvicinai di scatto, baciandolo di colpo. Jamie inizialmente rimase rigido, poi si sciolse e cominciò a far intrecciare le nostre lingue, facendo scivolare le mani sui miei fianchi. Mi spostai, mettendomi a cavalcioni su di lui, senza staccarmi dal bacio. Il ragazzo rimase con i mani sui miei fianchi, mordendomi il labbro e sospirando, guardandomi negli occhi.

«Dammi tempo, Jamie. Ti prometto che conoscerai ogni mia sfumatura.» sussurrai, viso a viso con lui.

Sorrise, passandomi un dito sul labbro. «E io le bacerò tutte.» disse baciandomi di nuovo.

La vita è strana, l'ho sempre detto. Ma forse dobbiamo ringraziare proprio le sue stranezze, perché ci rendono protagonisti di momenti meravigliosi. 

-Spazio Autrice!

Hello! Le cose cominciano a farsi serie tra i due. Pare che Jamie non abbia alcuna voglia di giocare, che stia attento ad ogni movimento o sguardo di Maya. Voi cosa ne pensate? Riuscirà lei, a raccontarle qualcosa in più sulla sua persona? Chi lo sa. Ci leggiamo presto! ❤️

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