BREAKDOWN


TRACK 30: SOMEONE YOU LOVED, Lewis Capaldi
I guess I kinda liked
the way you helped me escape
Now the day bleeds
Into nightfall
And you're not here
To get me through it all


il giorno prima

<<Ragazzi>> tuona la voce di Alberto Giotti, preannunciando la sua entrata in officina e coprendo le note iniziali di Material Girl, che comunque come sempre Jaques già stava andando a cambiare. Nessuno si è mai riuscito a spiegare il suo odio incondizionato per quella canzone. <<Devo fare un servizio con nonno Domenico, ma a momenti dovrebbe arrivare il commercialista. Fatelo accomodare e ditegli che sto arrivando>>

Il padre di Ginevra attraversa la stanza, lanciando un'occhiata ai lavori in corso prima di uscire nel cortile. La ragazza scrolla le spalle da dietro il cofano di una Mustang, mentre è Jaques a mormorare un <<Ok capo>> con quel suo fare scherzoso.

<<Se non la smetterai di chiamarlo capo si gaserà sempre di più>> lo riprende Ginevra non appena Alberto Giotti sparisce dalla vista <<E no, non credo afferri il modo sarcastico in cui lo dici>>

<<Ma lui è il capo>> controbatte Jaques, tornando da Ginevra <<Sei tu che non sopporti la sua autorità solo perché è tuo padre>>

<<E anche perché è un po' tiranno>> puntualizza la ragazza, lanciando un'occhiataccia al cugino che però è già troppo concentrato sui pezzi dell'impianto che si ritrova davanti per prestarle attenzione.

<<Non riesco proprio a capire quale sia il problema>> mormora lui, allungando la mano per scostare i cavi con i quali stava cercando di accendere la macchina.

<<Potrebbe essere di tutto>> commenta Ginevra, non troppo ottimista <<Peró non credo lo capiremo rimanendo ad osservarla>>

La ragazza si sposta, andando a posizionarsi all'interno della macchina per cominciare a smontarla dall'interno.

Quando mezz'ora dopo qualcuno entra in officina, Jacques e Ginevra sono ancora al punto di partenza. Le Mustang sono sempre complicate.

<<Ciao ragazzi>> grida Nicolàs, il commercialista, mentre si fa strada tra le macchine. Jaques, costretto sotto la macchina, si fa leggermente più avanti con il carrellino fino a riuscire a salutare Nicolàs con un sorriso. E' Ginevra a dovergli andare incontro, stringendogli la mano dopo essersela pulita sulla tuta.

<<Nicolàs ciao>> dice, salutando l'uomo sulla quarantina con la camicia infilata nei jeans e i capelli ordinati con la riga al lato. <<Papà si è allontanato un attimo, ma vieni puoi aspettarlo in ufficio>>

Ginevra fa strada verso la stanza di suo padre, con i finestroni che affacciano sull'officina coperti dalle persiane chiuse e la porta semi aperta. Fa segno all'uomo di accomodarsi sulla sedia davanti alla scrivania e gli avvicina una caraffa d'acqua con un bicchiere.

<<Comunque Gin, ci tenevo a farti i complimenti>> dice Nicolàs, attirando la sua attenzione prima che lasci lo studio <<Questo posto ha avuto una crescita spaventosa in pochissimo tempo, e so che tu fai gran parte del lavoro sporco. Complimenti davvero>>

<<Nicololàs, per favore, ripeteresti le stesse cose a mio padre?>> scherza la ragazza, fermandosi sull'uscio della porta e guardando l'uomo con un sorriso.

<<Sono sicuro che non ce ne sia bisogno>> risponde lui, convinto. Ginevra sbuffa.

<<Non conosci mio padre>> controbatte, scuotendo la testa <<E se ora mi considera un po' di più è solo perché è grazie al mio ragazzo se questo posto è ancora in piedi>>

Nicolàs aggrotta le sopracciglia, con fare interrogativo.

<<Quando eravamo vicini al fallimento>> specifica Ginevra <<Il mio ragazzo è un pilota e si è inventato un modo per presentarci nuovi clienti. Quella "crescita spaventosa" di cui parlavi è opera sua>>

La sua spiegazione non riesce a convincere il commercialista, che si gira sulla sedia per guardarla meglio mentre si strofina le mani sulle cosce.

<<Ma che fallimento?>> chiede leggermente in difficoltà, con un sopracciglio alzato.

<<Papà mi ha...>> comincia lei, ma non sa come continuare la frase.

<<Certo, in confronto a prima ora siete venti spanne sopra, ma non stavate fallendo. Non nel senso tecnico della parola>> riempie il silenzio Nicolàs, cauto e probabilmente conscio di essersi andato a cacciare non nella migliore delle situazioni. <<Questa officina è un'istituzione e non è mai andata in perdita, non potrebbe mai fallire>>

Ginevra prova nuovamente a parlare, ma anche se con la bocca aperta nessun suono riesce a venir fuori. Improvvisamente sembra essere finita l'aria nella stanza.

Suo padre lo sapeva, sapeva che se lei avesse avuto problemi sul lavoro, il suo nuovo amichetto pilota sarebbe corso in suo aiuto. Chi meglio di Max poteva conoscere gente da mandare in officina come nuovi clienti? Del resto l'aveva conosciuto, sapeva che Max era un bravo ragazzo, uno che si mette a disposizione. Sapeva che avrebbe fatto tutto per Ginevra, e di conseguenza, per l'officina.

Ci vuole qualche secondo ancora prima che riesca a gridare <<Jaques, vieni>>.


Quando Alberto Giotti fa ritorno in officina ed entra nel suo studio, trova sua figlia seduta sulla scrivania con una sigaretta tra le labbra e la tuta mezza abbassata, suo nipote in piedi con le braccia conserte al suo fianco e il povero Nicolàs seduto sulla stessa sedia da quando è arrivato e con la stessa espressione che avrebbe un ostaggio di guerra.

<<Che state facendo?>>  tuona, ricambiando uno ad uno lo sguardo dei presenti.

Ginevra quasi non riesce a guardarlo, eppure non è così sorpresa da ciò che ha fatto. E' la rabbia di esserci cascata il problema, è pensare che stava lasciando Max pur di spendere più tempo possibile a lavorare, è l'idea dell'impegno che lui ha impiegato per vederla tranquilla e felice, per salvare qualcosa che non aveva bisogno di essere salvata.

Tanti sforzi, solo per riempire le tasche di un tiranno megalomane.

<<Io me ne vado>> annuncia Ginevra, finendo la sigaretta e spegnendo il mozzicone direttamente sulla scrivania. <<Avrei dovuto farlo tanto tempo fa, ma non ho mai avuto una scusa valida. Grazie di avermela fornita>>

La ragazza si mette in piedi e attraversa la stanza, passando accanto a suo padre mentre fa per uscire dallo studio. La sua mano però le ferma il polso e tirandola la riporta all'interno.

<<Di che stai parlando>> mormora l'uomo, quasi scocciato <<Tu non vai da nessuna parte>>

<<Zio>> si intromette Jaques, facendo un passo verso di loro <<Io ti ho sempre difeso, ma questa volta ha ragione Ginevra>>

<<Oh andiamo, papà, raccontaci ancora di come l'officina stava per chiudere i battenti e di come l'abbiamo magicamente salvata>> lo attacca lei, sfilando la mano dal suo polso <<Tu mi hai sfruttato, hai sfruttato Max. Ed è questo che non ti perdonerò mai>>

<<E' una piccola bugia che ci sta aiutando ad allargare un impero. Non fa male a nessuno>> risponde lui. Non si scusa, non si pente. Tipico.

<<Fa male a me>> ora Ginevra grida, sentendo le lacrime pizzicarle gli occhi. Le mani improvvisamente le tremano e ha bisogno di andarsene da lì prima di crollare, o uccidere qualcuno.

Riprova ad uscire, ma questa volta è Dom a sbarrarle involontariamente la strada.

<<Che sta succedendo?>> domanda quest'ultimo, sull'uscio dello studio.

<<Che non metterò più piede in questo posto, non mi cercate>> risponde sua sorella, afferrando Dominic dalle spalle e spostandolo dalla sua traiettoria <<Nostro padre fa schifo>>

<<Gin>> la chiama il più grande, ma la ragazza corre via lungo il corridoio con la testa bassa e le orecchie otturate dall'eco del battito frenetico del suo cuore. Si sfila la tuta con violenza non appena arriva nel cortile e se la lascia alle spalle oltrepassando il cancello dell'officina, non fermandosi neanche una volta sul marciapiede ma continuando a camminare velocemente verso casa.

Le lacrime cominciano a scendere solo quando afferra il telefono e pensa a Max, vuole chiamarlo ma dovrebbero essere in piena sessione di prove e comunque cosa gli direbbe? Ei, schat, lo sai, mio padre ti ha sfruttato per fare una fortuna, l'ho scoperto e mi sono licenziata.

Potrebbe non dirglielo, ma come giustificherebbe il suo improvviso licenziamento?

Entra in casa e si fionda in camera, andando alla ricerca di un borsone da riempire con le proprie cose anche senza sapere dove andare. Pensa a Criss, Criss la accoglierebbe.

Oppure potrebbe andare dai suoi nonni, è sicura che Nonno Domenico non c'entri niente con tutto questo. Nonno Domenico è troppo buono anche solo per pensarla una cosa del genere.

Va' da Max, dice la sua parte più intrepida. Va' in Spagna

Ginevra si ferma al centro della sua camera, con un borsone vuoto tra le mani e lo sguardo perso tra le pieghe delle lenzuola del letto non fatto.

Non vuole parlare con Criss in quel momento, né con suo nonno.

Vuole Max.

E se Max non sarà lì fino a domenica notte, tanto vale raggiungerlo. Con tutti i soldi che ha guadagnato in quegli anni in officina senza mai avere il tempo di spenderli può certo permettersi un volo per Barcellona.

Lascia andare il borsone e si mette alla ricerca del volo, senza pensare a niente se non alla voglia di scappare, di allontanarsi da casa sua, dall'officina, da Monaco, e di farlo per andare da Max, per fargli una sorpresa. Sente un peso sullo stomaco fatto di rabbia e delusione, un masso di negatività che quasi le fa sentire bisogno di vomitare, e l'idea di quello che succederà il giorno dopo e quello dopo ancora la terrorizza. Dove dormirà? Cosa farà?

Quando compra un posto sull'unico volo Nizza - Barcellona libero per l'indomani, però, non le interessa più. Riempie quel borsone con cose a caso per un periodo indefinito, manda un messaggio a Criss chiedendole di poterla raggiungere e restare da lei per la notte, poi ruba le chiavi della Mercedes di famiglia e si lascia casa alle spalle.

Aveva già provato a scappare di casa tre volte. Nessuna era andata bene, per i motivi più disparati.

Quella volta però sentiva che sarebbe stato diverso.

Quella volta, suo padre non l'avrebbe ricorsa.

Quella volta, aveva Max.


<<Ginevra>>

È buio. Il cuore batte così forte da farle male. A malapena riesce a respirare.

<<Ginevra>> la richiama la voce, maschile e familiare, con un marcato accento francese.

<<Gin, apri gli occhi>>

Probabilmente sta gridando, ma la ragazza ha le orecchie ovattate e nonostante la potenza della voce sembra comunque appartenere ad una presenza lontana. Finché non si sente afferrare entrambi i polsi.

Respira, si dice. Respira e apri gli occhi. La seconda cosa è decisamente più facile della prima.

Oltre la coltre che le appanna gli occhi riesce a scorgere Pierre Gasly, accucciato davanti a lei con l'espressione preoccupata e le mani che le stringono la pelle.

<<Gin che succede?>> domanda, ma la voce sembra aver abbandonato il suo corpo come ogni prospettiva di stabilità futura.

Richiude gli occhi.

Trema.

Dietro le palpebre le compare il corpo di Daniel che sovrasta Max, le loro labbra incastrate. Nella testa sente i loro respiri.

Tira le gambe a sè e stringe i pugni, portandoli con rabbia a coprirle gli occhi, pensando che neanche strappandoseli riuscirebbe a cancellare quell'immagine.

L'aria continua a mancarle.

<<Vado a chiamare Max>> dice Pierre, ma Ginevra scuote vigorosamente la testa. No, griderebbe se solo riuscisse a parlare. Non vuole che Pierre la lasci ma, sopratutto, non vuole che Max la trovi.

Un altro suono irrompe nella scena, la suoneria di un cellulare.

<<Cate>> mormora il ragazzo, lasciandole andare un polso per afferrare il telefono <<Amore non posso raggiungerti ora, dove sei?>>

Silenzio.

<<Sei con Charles?>>

Un leggero squittio dall'altro capo del telefono.

<<Ok, sono a pochi passi dall'ingresso del paddock, dove la mattina mettono gli stand del merchandising. Venite qui.>>

<<Gin dimmi cosa posso fare>> dice poi, evidentemente avendo chiuso la chiamata.

Ginevra vorrebbe reagire, vorrebbe alzarsi e liberarsi di quel peso sul petto che le impedisce di respirare, ma tutto ciò che riesce a fare è portare una mano a coprirsi il viso mentre comincia a piangere.

Pierre, a quel punto, si sporge verso di lei e le circonda il busto con le braccia in uno scomodo e impacciato abbraccio.

<<Tenetemi lontana da Max>> riesce a singhiozzare qualche momento dopo, con la fronte poggiata sulla spalla del pilota francese <<Tenetemi lontana da Max>>

Non ci vuole molto perchè diversi passi comincino a farsi sempre più vicino a loro.

La ragazza salta, spaventata al solo pensiero che possa essere Max, o Daniel.

<<Ei, ei, ei, che succede>> la voce è invece quella di Charles Leclerc, mentre il rumore delle suole sull'asfalto si fa improvvisamente più veloce. <<Gin che hai?>> quando lo chiede, la sua voce appare così vicina, molto più di come le era sembrata quella di Pierre. Quest'ultimo la lascia andare, anche se subito dopo un altro paio di mani la sfiorano.

Respira Ginevra. Fallo per loro. Fallo per non spaventarli.

Apri gli occhi.

<<Serve qualcosa?>> domanda una voce femminile che Ginevra non riconosce, insieme ad altre frasi sulle quali non riesce a concentrarsi.

<<Guardami, Gin>> sussurra invece Charles, mentre le sue dita afferrano la mano con la quale lei si tiene gli occhi coperti. Lentamente la tira via. <<Ti dico un segreto. Sai cosa aiuta me? Contare i respiri>> sussurra.

Il ragazzo sposta le loro mani sul suo petto.

<<Conta i miei respiri Gin>>

Uno.

Due.

Tre.

Ginevra apre le palpebre, sbattendole più volte per cacciare le lacrime e mettere a fuoco il viso che le sta davanti ora, così diverso da quello di Pierre.

Quattro.

Cinque.

Sei.

Charles la guarda con un mezzo sorriso che vuole ostentare tranquillità, ma che proprio per questo Ginevra sa essere forzato. Charles non sorride mai davvero.

Sette.

Otto.

Nove.

Anche se è difficile, anche se fa male, la ragazza si sforza di copiare i respiri di Charles, si impone di smettere di singhiozzare.

Lui le passa la mano libera sulle guance, asciugando le lacrime con il pollice.

<<Ci alziamo?>> dice morbido, quasi con esperienza, come fosse abituato a trattare quelle situazioni. O forse è talento naturale, lo stesso talento con il quale sta smuovendo orde di fan.

Con quella voce, e con quegli occhi, avrebbe potuto conquistare il mondo.

Ma Ginevra non è ancora pronta ad assecondarlo, non subito, non senza la certezza che le gambe la reggano. Continua a respirare, con la mano ancora sul petto di Charles, rubando un po' della sua tranquillità.

Quando la vista non è più appannata e gli arti sembrano aver smesso di tremare annuisce leggermente, aggrappandosi alla felpa di lui all'altezza della spalla e lasciandosi tirare su.
L'attimo dopo non deve neanche pensare a reggersi sulle sue gambe che già le braccia di Charles la circondano e la tengono stretta contro di lui.

Da dietro la sua spalla Ginevra incrocia gli sguardi di Pierre e della ragazza, per poi richiuderli dalla vergogna.

<<Mi dici cosa è successo Gin?>> dice Charles, come in un soffio.

<<Non voglio vedere Max>> riesce a rispondere lei, ma persino pronunciare il suo nome è un pugno nello stomaco così forte da provocarle un conato di vomito. <<Tienilo lontano>> la voce le si spezza e Charles stringe un po' più forte la presa sul suo corpo.

<<Lo terrò lontano>> risponde quest'ultimo, e Ginevra vorrebbe che questo bastasse a cacciar via il panico, e l'immagine di Max su quel letto, e tutte le brutte sensazioni che le si bloccano in gola e le fanno venir voglia di piangere, e gridare. Ma non basta. E presto, è di nuovo l'oblio.

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