BAKU MEANS DRAMA
TRACK 25: I NEEDED YOU, Blackbear
fact is
when I needed you the most,
I needed you
I fucking needed you the most
Un bacio.
Ginevra fa per allontanarsi, ma Max la trattiene. Non lascia che le sue labbra si stacchino da quelle di lui. Lei ride, un po' impacciata, poi passa una mano tra i suoi capelli corti sulla nuca. Le loro bocche ancora attaccate.
Quando apre leggermente gli occhi intravede l'ingresso dell'aeroporto alle spalle di Max, la scritta Nice che ormai è diventata familiare, quindi li richiude e lo bacia ancora.
E ancora.
Finché un clacson non attira la loro attenzione.
<<Almeno trovatemi un bel pilota con cui intrattenermi la prossima volta>> grida Criss dalla macchina con i finestrini aperti accostata al marciapiede.
Max ridacchia mentre Ginevra si gira per fulminare l'amica con uno sguardo.
<<Non credo che mio fratello sarebbe d'accordo>> dice ad alta voce, per farsi sentire.
Il ragazzo nel frattempo lascia cadere le braccia dal bacino di Ginevra e comincia a racimolare i bagagli, gettandosi il borsone su una spalla e allungando la maniglia del trolley.
<<Non sarebbe d'accordo neanche a vedervi sbaciucchiare in quel modo>> risponde l'altra, sporgendosi dal finestrino <<non è che potete litigare di nuovo?>>
<<Non ne ho voglia per niente>> controbatte il ragazzo, passandosi la mano libera dietro il collo con fare imbarazzato. Lui e Criss non hanno ancora avuto il giusto tempo per conoscersi e mentre lei sembra non avere bisogno di confidenza per parlare senza peli sulla lingua, lui si trattiene non volendo fare brutte figure.
<<Scusala>> mormora Ginevra, tornando a dare le spalle alla macchina con dentro l'amica e portando le mani a tirare i laccetti al cappuccio della felpa di Max. Il ragazzo scuote la testa.
<<A parte gli scherzi>> ne approfitta poi lui, abbassando lo sguardo <<Sei sicura di non essere più arrabbiata?>>
<<Se me lo chiedi un'altra volta cambio idea>> controbatte la ragazza, rimanendo con gli occhi sul viso assorto di Max finché anche lui non si decide a guardarla. Quando le loro iridi si incontrano, lui sorride.
<<Sei stato abbondantemente perdonato, Max Emilian. Non c'è bisogno che sorridi in quel modo>> lo sfotte Ginevra.
<<Non si è mai certi abbastanza>> risponde lui, avvicinandosi di nuovo al suo viso <<e poi lo sappiamo entrambi quanto adori il mio sorriso>>
La bacia nuovamente prima che lei possa lamentarsi o controbattere e si costringe a lasciarla andare solo quando Criss decide nuovamente di suonare il clacson, attirando diversi insulti contro di lei e, ovviamente, parecchia attenzione su di loro. Come se Max da solo non ne avesse abbastanza.
<<Vai, prima che orde di fan comincino a braccare te e linciare me>> gli dice Ginevra, facendo un passo indietro.
<<Ti scrivo quando arrivo, ci vorrà un po'>> risponde Max.
Il ragazzo allunga una mano verso Criss per salutarla e si sistema un'altra volta il borsone sulla spalla, questa volta pronto ad andare.
<<Vedrai la gara?>> domanda poi, prima di salutare Ginevra.
<<Vedrò addirittura le qualifiche>> afferma lei, con tono scherzosamente esagerato.
<<Allora magari è la volta buona che faccio la pole>>
Max allunga una mano verso di lei, le accarezza la testa, come se fosse una bimba, e stampa nella sua testa quell'immagine. La porterà con sé per farsi forza, perché ne avrà bisogno.
Si gira e con il trolley al seguito comincia a camminare verso l'ingresso dell'aeroporto di Nizza e poi oltre, alla ricerca del suo imbarco.
Gli occhi di Ginevra sono ancora dietro le sue palpebre.
Se avesse potuto l'avrebbe portata con sé, come uno scudo contro tutti i mali. Lei prende una brutta giornata, anche la peggiore, e la trasforma in bei momenti. Che poi è una mezza bugia, considerando che le vere giornate brutte di Max non le ha mai viste. Non ha mai assistito ad uno dei suoi attacchi, non l'ha mai visto al peggio. Quello è il ruolo di Daniel.
Si domanda se sarebbe capace anche di gestirlo in quei momenti.
Nel frattempo stringe le palpebre e serra le mani sulla maniglia del trolley.
Non pensare, non pensare, non pensare.
Daniel cerca sempre un modo di insinuarsi nella sua testa, crudele. Max lo respinge con tutte le sue forze, respinge la rabbia, la delusione, tutto un pacchetto di emozioni che ha scritto su con un pennarello Dan.
Non è la scena che lo perseguita, anzi quasi non la ricorda. È facile pensare che fosse un sogno a quell'ora della notte. Ha davvero baciato Daniel? Non lo sa. Non vuole saperlo. Per questo ha smesso di sentirsi in colpa nei confronti di Ginevra, per questo è tornato da lei. Le sensazioni di quel momento però, quelle sono un'altra storia.
<<Max Verstappen? Posso chiederti un autografo? Sei il mio pilota preferito!>> lo interrompe una voce. Solo allora si rende conto di avere ancora gli occhi chiusi.
Davanti ha un ragazzino, forse qualche anno più piccolo di lui, armato di sorriso e cappellino. Accanto a lui ci sono altre quattro o cinque persone, pronte con il telefono in mano per fare una foto.
Max approfitta del momento per farsi prendere da qualcosa che non sia il suo flusso di pensieri, anche se Daniel è sempre lì, come un tarlo. Perché Max non è mai divertente con i fan come lo è quando è con Daniel.
Una mezz'ora dopo è finalmente seduto sull'aereo. Decolla, sente quell'odiosa sensazione all'altezza dello stomaco e pensa che forse mettendosi in macchina riuscirà davvero a non pensare a niente. E sinceramente, non vede l'ora. Con Baku poi ha un conto in sospeso.
Il circuito cittadino di Baku è, segretamente, uno dei circuiti preferiti di Max. Segretamente perché quando confessi al pubblico che un circuito ti piace, il pubblico si aspetta che tu vada bene, Max invece a Baku ha sempre e solo combinato casini. Il che non implica che non adori guidare lì.
Baku è adrenalina pura. Baku è rischiare ad ogni passaggio di mandare tutto all'aria. Baku è imprevedibile. Tutti ingredienti per un gran premio divertente.
E' suo padre ad andare a prenderlo dall'aeroporto, è arrivato in Azerbaigian quella mattina con la sua nuova compagna. C'è qualcosa che lo turba, Max nota, ma non dice niente e chiacchiera con leggerezza durante il tragitto in macchina.
Passano dall'albergo dove è sistemato il team giusto il tempo di lasciare i bagagli, darsi una sciacquata e indossare la tshirt della RedBull. Quando richiude la porta della sua camera, Max butta un'occhio su quella accanto chiedendosi se con la stessa facilità con la quale è sparito, Daniel abbia chiesto anche una camera lontana dalla sua. Sempre che sia già arrivato.
E' la prima volta, da quando sono andati a vivere a Monte Carlo, che atterrano ad un Gran Premio separati e la cosa lo spiazza leggermente, ma per fortuna il tempo di pensare viene risucchiato dai mille impegni di quella giornata, primo fra tutti la conferenza stampa. E no, Daniel non sarà lì.
Per la gioia di Max, in realtà, Daniel non sembra essere da nessuna parte. Non lo incontra nei box dopo la conferenza stampa, dove i meccanici sono già al lavoro su entrambe le macchine. Non lo incontra in giro per il paddock, né con nessun giornalista. Quando arriva il tramonto sul circuito cittadino di Baku e di Daniel non c'è neanche l'ombra, la tachicardia nel petto di Max passa da essere causata dalla possibilità di incontrarlo alla lieve preoccupazione.
Durante tutto il tempo, suo padre lo osserva di sottecchi. La cosa comincia a puzzargli in modo non indifferente.
Con nonchalance, Max prende a camminare per il paddock fino a raggiungere il box Ferrari. Quando Charles lo vede smette di osservare i meccanici lavorare sulla sua SF90 e lo raggiunge, pacato ed elegante come al solito. È stata la prima persona che gli è venuta in mente, al di fuori delle del loro team, che magari avrebbe potuto sapere qualcosa del suo compagno di squadra. Come Max avrebbe dovuto immaginare però Charles neanche lo nomina Daniel, cominciando piuttosto un soliloquio sul circuito, sulla sua macchina e sulle sue speranze. A volte, pensa Max, Leclerc raggiunge un'età mentale di cinque anni, ma chi è lui per distruggere il suo castello fatto di sogni, speranze e unicorni rampanti?
Si libera del principino in rosso dopo una quantità di tempo che non riesce neanche a quantificare, il tramonto è ormai inoltrato e sarà presto ora di cena. Prima di tornare in albergo però fa un giro nell'hospitality RedBull, firma qualche autografo all'esterno e quasi inconsapevolmente sale le scale fino al secondo piano, dove c'è la sala riunioni e la stanza di Christian. Christian, che da quando è arrivato avrà visto si e no per cinque minuti.
La mancanza di Daniel e Christian non poteva essere casuale.
Il silenzio e la staticità del corridoio che Max attraversa quasi con timore vengono disturbati dalle grida indistinte dietro ad una porta. Considerando che quella della sala riunioni è aperta e sembra vuota, è difficile sbagliarsi sulla loro provenienza.
Max si ferma, sentendo un improvviso peso sul petto.
Poi la porta dell'ufficio di Christian si spalanca.
Il primo ad uscire è Daniel, a testa bassa e con i pugni stretti. Non si accorge minimamente di Max, troppo impegnato a combattere qualche guerra interna. Subito dietro di lui, il loro team manager si affaccia nel corridoio.
<<Tu azzardati a farlo e io...>> grida quest'ultimo, il viso rosso e aggrottato in modo che quasi fa paura. Christian non sembra più Christian ma un demonio.
<<Ho già deciso>> lo interrompe Daniel, lanciandogli un'ultima occhiata distratta prima di muovere il primo passo nel corridoio, allontanandosi dalla porta dell'ufficio.
E' in quel preciso momento che i suoi occhi, spenti, catturano quelli di Max.
Un lampo intercorre tra i due, li scuote, energia pura che si sprigiona dal contatto visivo di due occhi che forse hanno passato troppo tempo senza guardarsi.
<<Maxie>> mormora Daniel, attirando anche l'attenzione di Christian. L'australiano ha le labbra spalancate e l'espressione di chi è stato colto in flagrante.
Sono tante, troppe, le cose a cui Max pensa in quel momento. Si chiede di cosa stessero discutendo, insulta Daniel per non aver avuto il coraggio di farsi vedere prima, lo odia per essere sparito tutti quei giorni. Ma sopratutto, ora che è di nuovo in carne ed ossa a pochi passi da lui, i ricordi dell'altra sera riemergono. Ripensare a quella scena come fosse un sogno sembra ormai una possibilità lontana.
Con le poche forze che gli rimangono Max gira su sé stesso e ripercorre i suoi passi, scendendo al piano inferiore dell'hospitality e quasi correndo fuori nel paddock.
Stringe i pugni per non crollare, respira a malapena e cercando di fingere calma si trascina fino all'albergo. Solo una volta chiuso nella sua camera si lascia scivolare contro la porta con la schiena, fino a toccare terra.
Pensava di aver passato la parte peggiore, che essere sopravvissuto alla sua totale assenza, al suo silenzio stampa, l'aveva reso forte abbastanza da superare tutto. E invece era solo l'inizio, e lui era come sempre debole.
E la cosa più stupida, è che avrebbe messo tutto da parte per chiedergli cosa non andava con Christian.
Non lo fa, ovviamente.
Non scende neanche a cena, chiedendo che i pasti gli vengano serviti in camera.
Più tardi, quella notte, qualcuno va a bussare alla sua porta. Max non apre, anche se per farlo deve conficcarsi le unghie nei palmi della mano.
I giorni successivi sono un'altalenarsi di gioie e delusioni in pista. Nelle prove libere il pilota numero 33 riesce a cavare qualche bel risultato, ma le qualifiche non vanno come si sarebbe aspettato. O meglio, Q1 e Q2 sono un disastro. Max riesce ad entrambi i turni a passare solo all'ultimo giro disponibile, la pista si migliora tanto e lui non ha lo spunto giusto per conquistarsi un posto sufficientemente buono da poter stare tranquillo. Ovviamente tutti i team si sono resi conto di quanto convenga fare il giro all'ultimo, cosa che comporterà un gran bel casino in pista.
Max è nervoso. Stringe le dita attorno al volante mentre fermi nel box attendono il momento giusto per uscire, sbatte più volte le palpebre mentre gli occhi sembrano essersi appannati.
Se va bene oggi, pensa, se va bene oggi sono un campione.
A qualche minuto dall'inizio del Q3 lo fanno uscire per fare un tempo, ne vien fuori secondo ma sanno che è una posizione più che provvisoria.
Come previsto, negli ultimi tre minuti escono quasi tutti insieme dai box, il che significa che gli ultimi che riusciranno a chiudere il giro saranno i più avvantaggiati. Le Mercedes sono tra i primi del trenino, ma tutti hanno la sensazione che riusciranno comunque a prendere la prima fila.
Max crede in sè, Max ci crede sempre.
Tra il credere e il fare tuttavia, nella Formula 1, esiste Lewis Hamilton.
Glie lo dicono via radio, non appena chiude il suo giro: Hamilton prende anche a Baku la pole position, facendo uno dei suoi tempi record.
Ovviamente, dietro di lui, non poteva mancare Bottas. Questa volta poi anche Charles Leclerc gli dà uno schiaffetto, arrivando terzo con pochi millesimi meno di lui. Max quarto. In terza fila, Sebastian e Daniel.
Il ragazzino torna ai box, leggermente sconsolato. Quarto è buono, ma non è dove vuole stare.
Frettolosamente, mentre si sfila la parte superiore della tuta, si lascia illustrare dal suo ingegnere di pista i punti sui quali dovrà lavorare l'indomani per essere impeccabile. Josh invece, il telemetrsita, gli mostra i fogli neri pieni di schizofreniche strisce colorate. Max li osserva con fare superficiale, sa che a Baku non è avere una macchina perfetta che ti salva, sono i nervi saldi e l'essere totalmente fuori di testa a farti arrivare davanti.
Raggiunge suo padre dopo poco e insieme camminano verso l'albergo, andando a mettere fine ad un'intensa giornata.
Mai, neanche per un attimo, Max si è girato a guardare il pilota nel box accanto a lui. E forse è stato proprio questo a consentirgli di sopravvivere.
Convince suo padre a portarlo a mangiare una cosa fuori quella sera, così da evitare qualsiasi contatto con il resto del team, quindi con Daniel. A quell'ora, abituati a vedere Dan e Max ridere e scherzare per tutto il weekend di gara, chiunque avrà capito che qualcosa non va. Nessuno però si azzarda a chiedere niente, figuriamoci suo padre e tantomeno Christian, che sembra ancora incazzato dall'altro giorno tanto da esprimersi solo a monosillabi.
Anche quella notte qualcuno bussa alla porta di Max. Due volte, a distanza di qualche minuto. Anche quella notte Max decide di non aprire.
La domenica arriva ed è per Max una piccola parvenza di aria fresca. Ama quella sensazione dell'attesa, l'adrenalina che gli scorre in corpo già da quando l'alba sorge su Baku. Osserva il cielo farsi rosso poi arancione sempre più pastello dalla sua camera d'albergo mentre si prepara.
Una volta lavato e vestito RedBull di tutto punto, esce sul terrazzino che affaccia sul circuito per godersi gli ultimi istanti di quell'alba.
<<Sapevo di trovarti sveglio>> mormora qualcuno, poco di stante. Max sobbalza, non era preparato all'eventualità di incontrare qualcuno lì fuori.
C'è Daniel invece, a due balconcini di distanza dal suo. Indossa una delle sue solite felpe larghe con il cappuccio e un paio di pantaloncini della tuta che lasciano intravedere metà del tatuaggio sulla coscia. In quei colori tenui la pelle sembra ancora più scura, più dura, i ricci formano come un buco nero contro il cielo ora celeste e rosa.
Max avrebbe dovuto rispettare il suo programma: ignorarlo del tutto. Il cuore però gli batte forte nel petto e l'alba lo rende fragile, melanconico.
<<Io non sapevo tu fossi uno stronzo>> risponde quindi, senza riuscire a fermare quelle parole cariche di dolore, e rabbia, e forse cattiveria. Max voleva fargli male, come Daniel ne aveva fatto a lui scappando.
<<Maxie>> lo richiama l'altro, camminando per il balcone verso di lui fino a che la ringhiera non gli consente un altro passo se non un salto nel vuoto <<Non era mia intenzione ...>>
<<Prova a non tamponarmi quest'anno>> sbotta Max in risposta, interrompendolo. Non sente il resto del discorso di Daniel perché subito dopo torna in camera serrando le finestre. Racimola le sue cose e nel giro di due minuti è già in corridoio, direzione paddock.
L'adrenalina per la gara torna a farsi sentire più tardi, quando gli spalti si riempiono e i giornalisti lo rincorrono per le interviste, più forte di qualsiasi altra cosa.
Ha passato un po' di tempo con qualche pilota prima di tornare al box, ogni scusa buona per non condividere l'aria con il suo compagno di squadra. Norris e Sainz poi, quando vogliono, sono dei grandi intrattenitori.
Con il suo ingegnere di pista rivede le strategie possibili, ovviamente solo ipotizzabili considerando il caos che regnerà sovrano tra poco meno di un'ora. Va poi ad infilarsi la tuta con tutta la calma del mondo, aiutato da suo padre, mentre la compagna di lui è già seduta nel box con le cuffie sulla sediolina che di solito spetta a sua madre. Solo un altro tassello di un weekend da dimenticare. L'unica cosa che potrebbe tirarlo su sarebbe vincere.
Quando finalmente le macchine sono in griglia, Max si infila nella monoposto e percepisce quel brivido lungo la schiena che lo fa sentire più a suo agio, che gli ricorda perché è lì, qual è il suo obiettivo.
Il suono del motore acceso è poesia per le sue orecchie.
E quando partono, non c'è spazio per nessun altro pensiero.
Come immaginava la sua posizione in griglia non lo aiuta a stare davanti. Considerando poi che ultimamente le partenze non sono il suo forte, Leclerc ci mette poco e niente a cominciare a mettere secondi tra loro. Per non parlare di Hamilton e Bottas, due schegge invivibili già dal quinto giro.
Max riesce a fare i suoi tempi senza brillare eccessivamente, però gli piace il modo pulito in cui sta guidando. Con Leclerc davanti è una molla, riesce ad avvicinarsi per qualche giro, poi si allontanano, poi di nuovo quasi si attaccano senza però mai riuscirci davvero.
Dopo venti giri non c'è stata ancora una safety car, cosa strana per Baku e che sopratutto lascia tutti in pista nella speranza che arrivi per poter dimezzare i tempi del pit stop.
Dopo trentacinque giri e una sosta fatta, Max realizza che per la prima volta Baku sarà una gara tranquilla. Non sa precisamente quanto tempo dopo quel pensiero, Charles Leclerc davanti a lui va a schiantarsi contro il muro del castello, squarcio caratteristico del circuito.
Max cambia traiettoria, riuscendo a non prenderlo, ma la perdita di tempo fa si che Vettel subito dietro di lui cominci ad essere particolarmente vicino. Il pilota della RedBull cede all'unica Ferrari rimasta in pista la terza posizione, uscendo a montare le ultrasoft per andare a riprenderlo in quegli ultimi quindici giri.
In effetti, la strategia sembra vincente. Vettel è davanti a lui, con le gomme usurate. Max è dietro e arriva come un leone.
Finché a dieci giri dalla fine non compare la scritta Yello Flag sul display del suo volante. Poi Virtual Safety Car.
<<Dan è out>> dice il suo ingegnere di pista nella radio <<problemi alla power unit>>
<<Copy>> risponde Max, che quasi vorrebbe dare una testata al volante <<fuck>>
Dan racimolerà 0 punti in quella gara, ma per colpa sua Max si è giocato la rimonta su Vettel e di conseguenza il terzo gradino dal podio. Giornata buia per le RedBull, un weekend che si conferma nero per Max.
Quando più tardi torna in albergo, l'olandese fiuta il pericolo già uscendo dall'ascensore, nel corridoio del suo piano.
Gira la testa verso sinistra, dove si trova la sua stanza, e ci vede Daniel seduto per terra. La schiena poggiata contro la porta di Max.
Non appena l'australiano cattura la sua presenza balza in piedi, mettendosi sull'attenti.
Il più piccolo resta immobile, al centro del corridoio, scandagliando le possibilità. Potrebbe scappare, fare un passo indietro e tornare in ascensore. Lasciare Daniel lì, da solo, ad attendere in vano. Ma no, quello è ciò che Daniel ha fatto a lui. Max non è così.
E poi, con tutta la rabbia repressa della gara che ancora non è riuscito a sfogare, ha proprio voglia di un confronto.
<<Dobbiamo parlare>> gli dice Daniel, passandosi una mano tra i ricci non appena Max è vicino abbastanza. <<Mi fai entrare?>>
Il biondino scuote la testa.
<<No dai, parliamo qui>> lo sfida, gli occhi iniettati di rancore <<Sempre che tu ne abbia il coraggio. O forse vuoi svignartela? O magari pubblicare un post su Instagram, che so>>
Daniel sospira, poi torna a poggiarsi con la schiena contro la porta e incrocia le braccia sul petto. La t-shirt della RedBull che indossa ha le maniche arrotolate e lascia vedere il guizzo dei suoi muscoli tesi delle braccia. Non c'è niente, in quel ragazzo, che ricordi a Max del Daniel spensierato e felice con il quale è abituato a vivere.
<<Quel video...>> comincia, poi sembra come perdere il filo del discorso <<Volevo che tu sapessi che ti stavo pensando. E che sapevo di averla fatta sporca, sapevo che non l'avresti presa bene>>
<<cosa nello specifico?>> incalza Max, il quale si fa più vicino per sembrare più minaccioso ma poi torna indietro. Non è ancora pronto a stare davanti a Daniel, a sentire il suo profumo, a rischiare di poterlo sfiorare <<il fatto che tu mi abbia rifiutato o che tu sia sparito nel nulla subito dopo?>>
Daniel cambia lentamente espressione, spalancando le labbra con genuina incredulità.
<<È questo che pensi? Che io ti abbia rifiutato?>> mormora Daniel, marcando sull'ultima parola. Per un attimo, solo un attimo, nel suo sguardo apatico e corrucciato Max intravede un briciolo di dolcezza.
Ma non gli importa.
<<Io ti ho baciato>> sussurra Max a denti stretti, come se stesse pronunciando la peggiore delle bestemmie. I suoi occhi in quel momento sono tempesta. <<Io ti ho baciato e tu mi hai fatto sentire sbagliato>>
A quel punto, Daniel lascia fuoriuscire una risatina isterica che fa rizzare i peli di Max.
<<Se ti avessi lasciato fare...>> mormora e deve mordersi il labbro per smettere di ridere <<oddio, se fossimo andati oltre...>> si batte una mano sulla fronte <<tu non te lo saresti mai perdonato, nè saresti più riuscito a guardarmi in faccia. Non avrei potuto raccattare i pezzi. Guarda solo per un bacio cosa sta succedendo... un. bacio. Immagina se fossero stati due, se fosse stata tutta la notte, se...>>
<<Non è per quello>> taglia corto Max, anche se una piccola parte di lui sa che Daniel ha ragione. Che forse tutta questa rabbia, tutto il marasma di sensazioni negative che gli opprimono il petto, non è solo per Daniel in sè. Ma saperlo è una cosa, ammetterlo un'altra. E sono argomenti che non è pronto ad affrontare neanche con sè stesso. <<È perché te ne sei andato>>
<<L'ho fatto per te>> replica lui. <<Come tutto ciò che faccio da tre anni a questa parte. Prendo le scelte giuste per te, mai quelle che farebbero felice me>>
Silenzio.
<<E l'ho fatto per Ginevra>> aggiunge Daniel.
<<Tieni fuori Ginevra>> lo aggradisce Max, sentendo di non poter più reggere quella situazione. Vuole andarsene, dare le spalle a Daniel e correre via. Tornare a casa. Tornare da Ginevra, lasciare che lei gli lecchi le ferite.
<<Mi hai deluso>> mormora il più piccolo, scrollando le spalle e sentendosi improvvisamente indifeso <<E visto che quando avevo più bisogno di te tu sei scappato, credo che potremmo fare a meno l'uno dell'altro per un po'.>>
Con quell'ultima frase, Max gli fa segno di spostarsi dalla porta. Daniel lo fa, ma non prima di tirarci un pugno sopra. Il rumore sordo riecheggia nel corridoio desolato, e fa eco nel petto vuoto di Max.
Sente che Daniel vorrebbe dire qualcosa, ma si trattiene e va via. Lui passa la chiave magnetica sulla serratura e si chiude in camera.
Anche attraverso le pareti che li separano è percepibile il gelo.
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