Lo Specchio

Un modesto commesso londinese

Stravolto, dopo l'ennesima notte insonne, Steven Grant solleva il capo pesantemente incassato nelle spalle gravate dall'inerzia del proprio peso corporeo. Le dita artigliano il bordo del lavabo della toilette, nello scarno appartamento londinese – l'unico che un modesto impiegato dal salario base, nel negozio di souvenir della sezione egizia del British Museum, possa permettersi. È già tanto aver trovato un lavoro in un posto tanto prestigioso, per uno come lui.
Non ha guardato l'orario, prima di alzarsi dal letto. Sarebbe stato inutile; il canto degli uccelli notturni indica l'approssimarsi di una nuova alba a colorare delle sue pennellate aranciate il cielo indaco di una notte di plenilunio.
La scia lattiginosa dell'astro che presiede l'oscurità si fa strada tra la patina di nubi grigiastre; come uno spettro amorfo, dai vetri della piccola finestra, essa si allunga a lambire le coperte del talamo che non reca riposo a Steven Grant.
Lo scorrere del tempo gli è nemico giurato.

Si è diretto in bagno spinto da improrogabili impellenze fisiologiche. Nel gesto di lavarsi le mani, porta il viso dritto davanti a sé; si sforza di focalizzare l'immagine che la superficie riflettente dovrebbe restituirgli. Le labbra serrate e distorte in una espressione di disgusto, cerca il coraggio che gli manca. Con timore solleva gli occhi vacui, incavati in scure e profonde occhiaie, una mano verso l'alto a cercare l'interruttore per fare luce.

Non riesce più a distinguere i sogni dalla vita vera, Steven.
Cerca la propria immagine riflessa nel vetro. Ne ha paura e nel contempo è necessario: deve capire il perché della perenne sensazione extracorporea che lo pervade e gli suggerisce che qualcun altro viva la sua esistenza.

C'è ma non esiste, Steven.
Respira fuori dal suo io, come lo spettatore di un copione scritto da sconosciuti. Il sentirsi estraneo a se stesso è l'unica certezza, molto poco rassicurante, che possiede e lo accompagna nei vuoti di un passato che ha perso.
Lo specchio gli rimanda un caleidoscopio allucinogeno di visioni sconnesse.

È solo frutto della tua mente, Steven!

L'insonnia ti sta rendendo pazzo.

Lo specchio parla; rimbalza di immagini animate di vita propria.
La luce scura e bluastra del neon, nel bagno cieco, sfarfalla convulsamente in un'intermittenza psichedelica.

Lo specchio è un portale su mondi sconosciuti: nei momenti in cui il buio cala nella stanza, esso riflette due occhi luminescenti, accecanti. Non riesce a discernere la realtà, Steven. La figura che gli appare, a sprazzi, in quella che sembra una manifestazione psicogena, reca sulla testa un copricapo simile a un nemes. Sul petto scintilla una falce metallica dalle punte acuminate, imporporate di una sostanza scura e vischiosa.

Steven non può vedere la smorfia di puro terrore dipinta nei propri occhi perché, nel buio, le immagini si rincorrono a una velocità che toglie il fiato. Nello specchio, ora, alle spalle del commesso, un'altra entità d'imponente altezza reca seco un bastone avente il sembiante di un ankh. I flash di luce pulsante gli mostrano un cranio allungato dal becco di uccello. Dal rostro ossuto echeggia un ghigno spettrale; la creatura nello specchio lo chiama per nome: «Steven!»

Quella voce, nella sua testa, notte e giorno, l'impiegato la conosce bene, insieme alle proiezioni che vi si sovrappongono, tormentandolo ogni qualvolta incroci lo sguardo con una superficie riflettente. Nella metro, al lavoro, nelle teche a protezione delle opere d'arte presenti nel museo, nelle vetrate dello stesso.

Il sonno fugge, la paranoia aumenta di momento in momento. È impossibile concentrarsi, distinguere se le visioni siano allucinazioni dovute alla mancanza di sufficienti ore di riposo.
È complicato anche solo rimanere svegli durante il giorno. Un'impresa portare a compimento i piccoli gesti della vita quotidiana come scendere alla fermata stabilita per arrivare al lavoro puntuali, perché Grant crolla, si addormenta sui mezzi pubblici perdendo la cognizione del tempo. Pura utopia avere un aspetto decoroso; glielo ha detto anche la sua responsabile – Che delusione che sei. Sei veramente inutile, Stevie.

Non conduce vita sociale, l'uomo nello specchio. I suoi colleghi non ricordano nemmeno il suo nome. Perché dovrebbero? Chi è Steven Grant che se ne abbia riguardo? L'uomo che non c'è. Una persona anonima, metodica, senza velleità di alcun tipo. Un tassello di troppo tra gli otto milioni di anime che turbinano nell'ingranaggio del miglio quadrato, incastrandovisi alla perfezione.
L'errore di elica, la deviazione della linearità del dente rispetto all’angolo previsto.

Ho un disturbo del sonno. Ha chiamato un centro per la cura da privazione del riposo. Steven Grant compie anche questo passo. La sua vita è un inferno. Da un tempo che non riesce a quantificare si sente uno straccio. Anzi lo è. Un vecchio panno logoro. Il ciocco tarlato, sommerso nel mucchio di un fastello inservibile; sente di possedere la stessa utilità di un vecchio oggetto impolverato, dimenticato in una soffitta dal tanfo stantio e il pavimento rigonfio, assemblato in assi di legno marcio.
Questo è Steven Grant. E la sua responsabile ha pienamente ragione.

Molti anni prima, a Chicago... Lo Spettro

C'è un bambinetto nella sala da pranzo. Non avrà più di undici anni e questa è una sera speciale: la notte di Hanukka. L'odore fragrante dei latkes si fonde con quello dolciastro dei sufganiot e solletica le narici del piccolo come anche il suo stomaco. Se ne sta seduto, gambe dondolanti, sulla comoda old america realizzata in robusto legno di noce, al tavolo da pranzo, pregustando le prelibatezze che sua madre prepara per lui. Il rabbino Spector, suo padre, è di ritorno in anticipo dalle incombenze che la sinagoga impone e aiuta amorevolmente la mamma. Suo padre è passato a prenderlo da scuola, di ritorno verso casa. Lo ha aspettato all'angolo di un vicolo defilato però; suo figlio sta crescendo e non è intenzione di un padre saggio metterlo in imbarazzo. Tuttavia il rabbino Spector è preoccupato. Suo figlio non va a scuola volentieri. Nel quartiere la loro famiglia è presa di mira, del resto sono ebrei; la guerra è finita, Hitler è morto ma l'antico odio antisemita non si placa. È un sobborgo difficile alla periferia di Chicago, quello dove vivono. Sono i ragazzi tra i tredici e i sedici anni i più pericolosi. Il rabbino cerca di difendere se stesso e suo figlio dalle vessazioni che subiscono per strada, in modo pacifico, ma molte volte l'unica alternativa è subire.

Yhwh ci difenderà – è la frase che l'uomo ripete a suo figlio, ogni benedetto giorno mentre sperano di rendersi invisibili nel tragitto alternativo verso la scuola per aggirare le gang, le quali sembrano però intercettarli ovunque, neanche avessero le potenzialità di un ragno dotato di molti occhi.

Invisibile, ecco cosa vorrebbe essere il figlio del rabbino Spector.

Le braccia conserte appoggiate sulla tovaglia di candido filato bianco, rigato di blu – un grande tallìt che adorna la tavola apparecchiata con cura dal ragazzo – egli gusta la tranquillità del focolare domestico quasi come potesse sentirla sotto il palato. Sa dell'odore del legno di noce dei mobili di foggia antica; profuma dei cibi squisiti che le amorevoli mani materne preparano, e non solo la sera di Hanukka.

Lontano dalle paure, il bimbetto ha chiuso fuori il mondo reale con le sue brutture, almeno fino alle otto dell'indomani mattina. È festa, stasera, e il piccolo Spector caccia via i brutti pensieri. Nella sala da pranzo la luce tremula delle fiammelle scintilla davanti alle grandi pupille scure di un ragazzino riccioluto, dalla tipica carnagione olivastra a rivelare le sue origini. Si sente così diverso dai bianchi yankee americani, lui. Invidia la loro pelle diafana, i tratti androgini, i capelli color oro. Hanno visi delicati, occhi limpidi e anime scure, i ragazzi che lo stringono in cortile durante la ricreazione o dopo pranzo. Il figlio del rabbino li teme. Hanno visi d'angelo e lo spirito di demoni efferati dagli sguardi torvi. Eppure lui non ha mai fatto niente per attirare la loro attenzione. Si limita a respirare. Non socializza, risponde solo se interrogato dai professori, e con fatica anche.

Il bimbetto solleva lo sguardo nello specchio, fissa la danza delle fiammelle nel lungo rettangolo posto al di sopra della della madia color noce scuro. Il riflesso del vetro restituisce, agli occhi rapiti del pargolo, il volteggiare delle sottili strie fumose che si ergono dalle lingue di fuoco sulla menorah che sostiene le candele. Lo sguardo del ragazzo indugia sul gioco di luci che fa luccicare oltremodo l'ottone del candelabro a nove bracci.

Lo specchio restituisce pure la finestra alle spalle del ragazzo. Sono quasi le 5:30 di un pomeriggio di fine novembre e i colori cupi della notte hanno già disteso il loro manto nel cielo serale. La luna piena fa capolino in un angolo, in alto. L'astro, l'ottone e le fiammelle dorate giocano nelle pupille curiose del ragazzetto che lascia guizzare il proprio sguardo da un elemento all'altro.

L'ottone della menorah si fa liquido, all'improvviso. Muta forma in una mezzaluna dalle punte rovesciate verso l'alto. Il fusto del candeliere si allunga in un lungo bastone d'oro. Al di sopra delle punte aguzze la luna riflessa nello specchio si allunga verso il basso. I suoi crateri si fanno grandi cavità poste in maniera speculare sui lati di quello che appare chiaramente come il teschio di un uccello. Dal rostro ossuto echeggia un ghigno spettrale; la creatura chiama il nome del bambino nello specchio.

La voce cavernosa rimbomba nelle tempie del ragazzo che si porta le mani alla testa, lasciando cadere la kippāh, in un disperato tentativo di scacciare l'immagine orrenda del teschio; strizza forte gli occhi e urla con tutto il fiato che ha in corpo. Tuttavia non è la sua voce quella che sente. Il piccolo Spector invoca i suoi genitori in un grido sordo ma l'unica eco che torna alle sue orecchie è il richiamo da una dimensione extraterrena.

Marc, Marc. Marc, ci senti? Apri gli occhi.

È una voce familiare a cui non sa dare nome l'ultima parte del sogno dal quale Steven si sveglia, schiena sulle mattonelle fredde del bagno nel suo piccolo appartamento londinese. È svenuto, o forse ha ceduto al sonno che incombe senza preavviso, per lo sfinimento che gli attanaglia i muscoli stanchi.

Chi è Marc?– se lo chiede spesso il commesso del negozio di souvenir. Sogna sovente un bambino impaurito e i suoi genitori. Hanno voci e volti che sente familiari eppure Steven Grant non sa niente di loro.

Il bambino, Marc, giace anch'egli sul pavimento, probabilmente ha perso conoscenza quando il teschio di uccello lo ha chiamato per nome.

Torna a letto Steven Grant. Nella sua routine metodica assicura il chiavistello alla porta e, adagiatosi sul materasso, serra una manetta alla sua caviglia. Essa è fissata alla testiera del letto da una catena.
Me ne dia una piuttosto robusta – ha chiesto al ferramenta dal quale l'ha acquistata, dovendo vincere la vergogna provata per l'espressione sorniona che il negoziante gli ha indirizzato, accompagnata da un ghigno di compiacimento del tutto fuori luogo. Chi mai starebbe con uno come Steven Grant?
A malapena è capace di prendersi cura di sé e non inanellare un fallimento in fila all'altro mentre tenta con tutte le proprie forze di lavorare per permettersi un tetto e la sopravvivenza.

Fissa il soffitto, Steven, la sveglia è impostata. Spera di riposare un po'. È sfatto. Ha paura di se stesso, per questo  ultimamente si lega al proprio giaciglio. Strani ricordi, oltre a quelli del bambino di Chicago, affollano la sua mente sovrabbondante di immagini. Nella notte fredda si ritrova, a volte, nel cuore di un deserto, in una tenda termica e gli occhi gentili di una ragazza, coperti da qualche ciocca ritorta di capelli scuri, gli fanno compagnia. Quella non è una visione. Sembra reale e non è spaventosa. La ragazza è sua amica, parla con lui, è gentile. Ha la pelle di bronzo e gli occhi sinceri; lei non lo evita come tutti. Lo chiama per nome, lo conosce: gli ha svelato che devono portare al sicuro un prezioso cimelio trovato tra gli scavi di una tomba antica.

È sveglio Steven, oppure sogna. Non lo sa. Le palpebre si fanno pesanti, richiudendosi piano.

Non riesce più a distinguere i sogni dalla vita vera, Steven.

Note

Nemes è il nome del copricapo indossato dai sovrani egizi nell'antichità. Ne esistono anche le varianti: consiste in una cuffia di stoffa di lino spesso, che avvolgeva il capo aprendosi lateralmente a esso in due ampie ali per poi ricadere sul petto e sulle spalle

Ankh è un antico e sacro simbolo egizio che essenzialmente simboleggia la vita. Gli dèi sono spesso raffigurati con un ankh in mano, o portato al gomito, oppure sul petto

Miglio Quadrato è uno dei modi nei quali viene chiamata Londra a causa della sua estensione di 1,12 miglia quadrate (2,90 km²).

"Non riesco più a distinguere i sogni dalla vita vera" è la citazione pronunciata da Steven Grant che apre il primo ciclo di fumetti su Moon Knight

Hanukka [si pronuncia hanukká]: la Festa delle Luci, ricorrenza ebraica tra le più importanti.
Hanukkah (si scrive in vari modi) commemora la consacrazione dell'altare nel nuovo Tempio di Gerusalemme e la riconquistata libertà dal giogo degli Ellenici, nel secondo secolo Avanti Cristo.
Ad Hanukka viene acceso il candelabro a nove bracci: la menorah; otto bracci più quello centrale per accendere le luci degli altri, uno per ogni sera, durante la celebrazione della festa che dura appunto una settimana.

Latkes frittelle di patate sono il cibo più popolare di Hanukkah, sono serviti con panna acida e salsa di mele.

Sufganiot sono ciambelle dolci, ugualmente fritte.

kippāh è il tipico zucchetto ebraico indossato dagli uomini nella sinagoga e durante le celebrazioni delle festività stabilite. I più osservanti lo portano di consueto. Esso indica rispetto verso Yhwh .

Spazio Autrice

Eccoci con questo primo capitolo nella speranza di avervi incuriosito abbastanza da continuare questo viaggio nella mente confusa di un uomo provato.

Tenete a mente la parola invisibile perché sarà una delle peculiarità ricorrenti durante la storia.

I particolari non chiari sono volutamente omessi e/o troveranno spiegazione nei capitoli successivi.

L'immagine in apertura di capitolo è una fan art di @schmap_design, artista che potete apprezzare su IG, opportunamente editata per me da Marina_Romano che ringrazio ❤.

Il presente lavoro partecipa al contest La Pasticceria Creativa di ciambella198
Per regolamento, sarà pubblicato, per intero, tra pochissimo, nonappena avrà inizio la fase delle valutazioni.

Moon Knight, la serie, in streaming ora su Disney+

A prestissimo, figli della vendetta.

Nives🌙.

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