Campi d'Oro


«Marc, stai bene? Per amore del cielo» chiede Layla, nella concitazione del momento, afferrandolo per le braccia come a riscuoterlo dallo stato di trance nel quale è caduto.

«I-io credo di sì, Layla. Sant'iddio ma ch'è successo?»

Intorno a loro è un'ecatombe. Gli uomini di Harrow e Bushman sono stati falciati via da una furia sovrumana. Marc si porta la mano a una tempia ferita e il viso gli si contorce in una smorfia di dolore mentre una fitta gli trapassa il cranio da parte a parte.

«Sanguini, Marc. Appoggiati a me.»
Ha il corpo ancora fasciato nelle bende del Cavaliere della Luna, quando il mercenario sente le gambe cedere e la vista offuscarsi intanto che, in preda a forti vertigini, fatica a reggersi o camminare. Layla riesce a stabilizzarlo, facendolo sedere in terra, schiena contro il marmo del sarcofago.

Marc è in evidente stato di shock, trema in maniera convulsa, madido di sudori freddi. Biascica, cercando di ricostruire insieme a Layla cosa sia accaduto.
Lo scenario intorno è desolante e Spector, vinto dall'orrore che i suoi occhi gli restituiscono, immerge il viso tra le proprie mani attanagliato dal rimorso. «Sono un mostro. Un mostro.» Oscilla su se stesso, avanti e indietro, recitando l'atto di dolore che si autoinfligge ogni volta che il burattino alle dipendenze del becco parlante assolve il suo compito con diligenza.

«Giustizia è fatta, Marc Spector, finisci il lavoro!» tuona il dio degli spaventi. Un assordante silenzio è l'unica eco che torna in risposta alla divinità della luna.
«Ti ho detto, finisci il lavoro» intima Khonshu minaccioso, stringendo a pugno la mano di bende intorno al suo bastone mentre, con la punta del becco, si pone a pochissima distanza da un uomo accartocciato su se stesso.

«Smettila! Marc è libero di scegliere e non combatterà più le tue inutili guerre, Khonshu. Fatti da parte. Lo hai consumato. È colpa tua se sta così male.»

«Ingrati! Tu e lui. Gli ho salvato la vita e dato il mio potere perché proteggesse i deboli. Te compresa, piccolo scarabeo

«Proteggere i deboli, dici? Al prezzo della vita di tutta la gente che Marc ha ammazzato in tuo nome? Questa la chiami giustizia?»

«Non debbo spiegazioni a una mortale. Alzati, servo! E compi il tuo dovere.»

Le pupille di Marc tornano a sfolgorare e piano si ridesta. Le macchie di sangue che hanno intriso le fasce attorno alle sue membra s'addensano fino a scomparire. Il processo di automedicazione conferitogli dal flusso di energia di Khonshu si completa. Il sudario di stracci ricopre il suo viso e, issatosi in piedi, si dirige verso il centro della sala ipostila, dove Harrow si trova in fin di vita, boccheggiante. Il Cavaliere della Luna estrae la falce uncinata dalla sua armatura, pronta a conficcarla nel petto dello storico nemico.

«È giunta l'ora di pagare la tua parcella, dottore» esala greve al di sotto delle bende.

Arthur Harrow non ha più un briciolo di forze. La voce è prigioniera in fondo alla gola chiusa. Gli occhi implorano pietà e trasudano terrore. La mano di Marc è pronta a colpire. Carica il colpo che sta per sferrare con un movimento secco del gomito, che punta indietro. Sudario e nemes scendono a scoprire il viso. Lo vuole guardare negli occhi mentre lo finisce.

«Non posso aiutare qualcuno che non vuole essere salvato, Doc, ricordi? Lo hai detto tu. Mettiamo fine a questa storia.»

«Marc, no! Tu sei più di ciò che gli altri hanno fatto di te. Puoi scegliere. Non devi per forza continuare a subire la loro rabbia.»

C'è sempre una scelta. Le parole che Layla gli urla sono la potente voce della coscienza che non s'è mai sopita in fondo al cuore dell'ex marine. Il giogo dell'odio si spezza solo mettendo da parte la vendetta.
Accanto ad Harrow, sui gradini insanguinati che portano al mausoleo profanato di Alessandro Magno, giace supino il corpo di Bushman. Marc ne contempla sgomento i resti mortali privati del volto, che gli ha letteralmente staccato con la falce metallica uncinata, poco prima. Riprende la rincorsa verso il petto di Harrow che, atterrito, emette un urlo afono. Sta per colpire quando si blocca e cerca gli occhi di Layla.

«Finiscilo, buono a nulla!» intima Khonshu ma Marc getta l'arma in terra.

«Arrangiati da solo, becco. Tic-tac, Khonshu, tempo scaduto. Non sarò più il tuo spettro

«Vuoi la libertà, Marc Spector? E sia.»

La potente armatura, intrisa di poteri mistici, si ritira sul corpo del mercenario. Egli ne osserva, per l'ultima volta, le bende dalle proprietà taumaturgiche essere risucchiate all'interno del bastone della divinità.

«Commetti un errore, Cavaliere. Addio.» Khonshu lo congeda dopo averlo redarguito in tono paternalistico e avergli riservato un ultimo sguardo di severo disappunto dalle cavità senza fondo del suo cranio. Un rapido sbuffo sabbioso lo sottrae alla vista dei due mortali.

«Marc, ti porto via di qui. Harrow è legato stretto con una delle funi da discesa di scorta che avevo nello zaino. Inoltre, malmesso com'è, potrebbe morire per le ferite riportate. Non andrà da nessuna parte. Quaggiù non lo troveranno i suoi uomini. Una volta lontani, chiamerò le autorità perché questo criminale sia assicurato alla giustizia.»

Marc non dice niente, incapace di formulare pensieri che scorrano in ordine. Segue con lo sguardo rosa del deserto approssimarsi all'aguzzino di Abdullah El-Faouly. Lo sguardo rigido della donna, colmo di lacrime e rabbia, fissa il pusillanime lupo travestito da agnello che giace esangue, immolato sull'altare del suo fanatismo. La rabbia che monta dal petto dell'archeologa vorrebbe esplodere in una fiumana di parole cariche di disprezzo all'indirizzo dell'assassino, ma non una sillaba riecheggia in quella tomba che è tornata a spalancare le sue fauci per ingoiare la canaglia di energumeni asserviti al dio danaro.

Assicurato Marc in una fortezza inespugnabile da qualsivoglia sicario, Layla, appellatasi alle sue fidate conoscenze al Cairo, fa in modo che Harrow riceva le cure necessarie, nelle mani della giustizia e, qualche tempo più tardi, l'estradizione negli Stati Uniti dove il sedicente guru sarà equamente processato e condannato per crimini internazionali dalla Corte Suprema, grazie alle prove raccolte dalla dottoressa Aralune durante gli anni di servizio prestati presso il Putnam Psychiatric Hospital. Ennesima fortuna del santone sarà l'ergastolo in sostituzione della pena di morte prevista di consueto, e da poco abolita, nello stato dell'Illinois.

«È tutto così silenzioso» osserva Marc, scorrendo il palmo delle mani sulle festuche del canneto d'oro nel quale si ritrova.

«La bilancia è in equilibrio. Il tuo cuore è pieno, non più diviso, Marc. Il tuo viaggio è finito» asserisce serafica Taweret, la dea protettrice delle madri e dei bambini. «La pace che volevi, e che non hai mai avuto, la stai manifestando. Non c'è pericolo, solitudine o dolore.»

«Dov'è finito Steven?» chiede, sgomento Spector.

«Non c'è più. L'ha preso la Duat. Ti prego, goditi questo riposo, Marc.»

«Io non lo posso lasciare lì» insiste il mercenario.

«Lui non ti è più necessario. Devi andare oltre il passato» la dea cerca di convincerlo.

«Quindi a me tocca la beatitudine mentre lui, invece, rimarrà bloccato nelle sabbie? No, a me non sta bene.»

«Se decidi di tenerlo ancora con te, non sarai mai libero. E se torni nell'ignoto dell'oltretomba, potresti non fare più ritorno nei campi di Aaru. Aspetti la pace mai conosciuta da tutta la vita, non permettere che la paura te la porti via ancora.»

«È un rischio che voglio correre. Non lascio indietro Steven, non lo merita. Lui è sempre stato al mio fianco.»
Marc arretra, deciso, verso i cancelli che conducono nell'aldilà egizio, fino a oltrepassarli per tornare tra i mortali. Steven è poco distante, immobile sulle proprie ginocchia, intrappolato nelle sabbie della perdizione eterna della Duat, in attesa che qualche mostruosa divinità ne divori il corpo trattenuto come la preda nella tela di un ragno. Il braccio teso in avanti del commesso del negozio di souvenir, nell'ultimo tentativo di restare aggrappato a Marc, alla vita. Il polveroso vento desertico abbatte le sue raffiche rabbiose persino sulle sabbie della Duat, a voler impedire al mercenario di raggiungere Steven ma egli avanza a grandi falcate, seppure in movimenti sempre più farraginosi a causa dell'infido fondale che lo trattiene tentando di ingoiare anche lui. Ha poco tempo, Marc. Sente le gambe pietrificarsi mentre, chinatosi verso Steven, cerca in un ultimo disperato tentativo di ridiventare un tutt'uno con lui.

«Oh, Steven. Non hai una bella cera. Non so se puoi sentirmi. Da quando sei arrivato, tanto tempo fa, eravamo piccoli, e tu mi hai salvato. Sono vivo perché non ero più solo. Tu c'eri sempre, pieno di vita, di speranza, tutte cose che non ho saputo difendere. Non ti ho protetto. Però tu non mi hai mai abbandonato, mai. E anche se quei campi sono la pace che ho sempre cercato, non ti lascio per niente al mondo. Tu sei l'unico supereroe che mi ha sempre aiutato a sopportare le botte e tutti gli orrori che mi sono toccati. Tu, Steven, sei il fratello che ho perso troppo presto perché non ho saputo avere cura di lui. L'unico mio amico. Steven, mi senti? Ti prego, non mi lasciare. Non sono pronto.»

Calde lacrime tracciano una scia tra la polvere e il pietrisco che oramai ricoprono per intero il corpo di Marc Spector fino al viso, scorrono sulle sue mani intrecciate su quella tesa di Steven Grant. Come in un miracolo esse disciolgono la presa statuaria che intrappola le due sagome, costringendo alla ritirata le sabbie della Duat. Il calore delle lacrime di un uomo profondamente solo e fragile sono il miracolo dell'amore che spezza la più forte delle catene: la morte.

I corpi di Steven e Marc riprendono vita e calore. Nel palmo delle loro mani un unico cuore trasparente come l'alabastro pulsa di vita. I due si guardano increduli fino a che il commesso del negozio di souvenir non getta le braccia intorno al collo dell'ex marine.

«Marc, non posso crederci. Sei tu? Sei tornato per me?»

«Non ti avrei mai lasciato!» Spector stringe forte a sé il commesso londinese, scompigliandogli la chioma riccioluta.

«Forza, andiamocene di qui, Steven. Ti porto al sicuro.»

Arrancando nelle sabbie trascinanti, i due giungono alle porte dei campi d'oro che iniziano però a serrarsi. Vorrebbero correre ma a ogni tentativo di affrettare il passo, il terreno risale verso le loro gambe a guisa di tentacoli. Taweret sfreccia dinnanzi ai fuggiaschi, al timone della barca solare e impedisce la chiusura totale del pesante portone garantendo la salvezza ai due uomini che, finalmente, varcano la distesa aurea che si staglia dinnanzi ai loro occhi, lasciando indietro gli spaventi della Duat.

Lo scintillio del cielo riflette la tonalità cromatica delle alte spighe smosse, in una ondulazione perpetua e ipnotica, da una carezzevole brezza. La magia del silenzio è infranta solo dal lieve fruscio del vento che solletica il mare di frumento che biondeggia, a perdita d'occhio, fin dove non sembra esserci anima, a parte le due indissolubili metà di uno stesso cuore: Marc e Steven che si guardano intorno e poi tra di loro. Stupiti, si interrogano in un silente scambievole dialogo di sguardi fino a che una voce li richiama con dolcezza.

La sua eco cristallina è simile al fragore delle acque, al tintinnio di miriadi di cristalli. I due uomini si voltano in direzione dell'irresistibile richiamo. Una figura eterea incede verso di loro avvolta in una tunica risplendente di un bianco folgore. I lunghi capelli ondeggiano liberi dietro le spalle. Mentre si avvicina a Marc e Steven sembra fluttuare tra le messi. Sul capo porta un diadema che riluce della tonalità perlacea dell'adularia: la pietra lunare. E infatti la forma che circonda le tempie della creatura è sagomata come uno spicchio di luna.
La veste opalescente, invece, risplende sui tratti del volto di una donna dall'incarnato olivastro. I capelli lisci e scuri incorniciano il volto ancora giovane, dai grandi occhi scuri scrigno di un inenarrabile dolore.

«Marc, bambino mio» esala la donna in un soffio di voce spezzata.

Marc Spector non risponde. Non può. Il suo cuore ha smesso di battere nel momento in cui ha realizzato chi gli stesse parlando.
Steven, gli occhi pieni di lacrime, sussurra «Mamma,» allungando una mano verso di lei.

«Marc,» la donna lo chiama ancora muovendo un altro passo verso il figlio perduto tanti anni prima, ma lui non riesce a risponderle.

«Di' qualcosa, ti supplico, Marc. Lo so che non ho diritto di parlarti ma ti prego, ascoltami.»

La donna non sente Steven, perché è lui in realtà a parlarle, ma lei sembra non percepire la sua presenza.

«Che cosa fai tu qui?» finalmente Marc trova qualcosa di sensato da dirle.

La donna abbassa gli occhi, cerca il modo di parlare al cuore del bambino ferito che lei ha rigettato. «Sono venuta a scontare le mie colpe.»

«Non mi risulta spetti pace a chi rinnega il suo sangue.»
Marc deglutisce arsenico e ricaccia le lacrime in fondo alla gola mentre glielo dice.

«È nostra madre, Marc. Non merita anche lei il perdono, com'è stato concesso a te? Non l'hai atteso da sempre questo momento? Non hai pregato ogni singolo giorno che lei venisse a bussare alla porta di camera tua per stringerti al suo petto e cantarti una canzone per addormentarti? Non hai sognato, ogni istante, che sedesse ancora a tavola con noi, dopo la morte di Randal? Che ci preparasse le sufganiot per il nostro compleanno?»

«Diavolo d'un grillo parlante» gli urla Marc con gli occhi divenuti l'argine rotto di un torrente di dolore, in piena, che sgorga da un cuore al colmo dell'amarezza. Ha sempre ragione l'altra parte di lui. Sempre. Dall'età di otto anni, Marc non ha vissuto un solo secondo senza sognare che il bruciore lasciato sulla sua pelle dilaniata dalla cintura di cuoio, con la quale veniva percosso, fosse lenito e, per magia, guarito dalle tenere carezze delle mani morbide di ìmma. Non un singolo attimo, uno solo ancora, nel quale non ha sognato di respirare il profumo buono dei capelli di seta della sua mamma.

«Marc, è solo colpa mia tutto quello che hai passato, ma quando l'ho capito era troppo tardi. Tuo padre se n'era andato, anche Randal, e il peso da portare si era fatto troppo grande. Ho continuato a pensare a quanto male ti avessi fatto. Sei diventato l'agnello innocente che ho sacrificato per lo strazio insopportabile che non riuscivo ad affrontare. Sono io che ti ho fatto ammalare. Poi, un giorno, presa dai sensi di colpa, ti venni a cercare al Putnam Hospital, volevo tentare di riparare ai miei errori. Volevo salvarti dalla prigione a cui ti avevo condannato da bambino e tu sei scappato via anche da me. Perché avresti dovuto restare accanto alla responsabile di tutto l'orrore che hai dovuto subire? Marc, amore mio, sei impazzito di dolore per Randal e a causa mia. Eri un piccolo angelo e ti ho rinchiuso all'inferno.»
La donna singhiozza, accasciata sulle ginocchia con le mani adagiate in grembo.

Marc si china verso di lei prendendola per le spalle, «Mamma, te lo ripeto, perché sei qui, nei campi di Aaru?»

La donna torna a fronteggiare il suo bambino, una mano allungata per carezzare il volto, ormai adulto, dell'uomo che ha preso il posto del piccolo sul quale Wendy Spector sfogava tutta la sua frustrazione. I suoi occhi tristi sono pozze senza fondo di una sofferenza inestinguibile. Gli stessi di quell'anima martoriata da una madre che gli urlava - è tutta colpa tua. Sopraffatta, in un gesto irruento, Wendy trae a sé Marc, stringendolo. Lo sente tremare tra le sue braccia. Tenendogli il viso tra le mani, gli sposta i capelli dalla fronte per posarvi un bacio che poi si trasforma in altri cento, mille, discendendo sulle ciglia salate. Baci che asciugano l'amaro di lacrime dense come gocce di sangue. Piange Marc, soffoca i singhiozzi che lo scuotono con forza, stretto a sua madre in un bisogno disperato.

«Ìmma, perdonami. Non gli volevo fare male. Non volevo farne neanche a te. Lo amavo, te lo giuro. Non è vero che ero geloso, credimi. E tu... ti sei tolta la vita perché non potevi più andare avanti senza di lui. Mi dispiace così tanto.» Piange lacrime di aria Marc, i suoi occhi riarsi hanno dato fondo a tutto il dolore mentre Steven osserva commosso la scena. Mamma non può vederlo ma il commesso, l'altra parte di Marc, la vede. La osserva con tenerezza prendersi cura di quell'uomo che torna a essere bambino. Le carezze di Wendy riportano indietro le lancette di un orologio fermo a trent'anni prima. Riparano le crepe di un cuore puro, spezzato troppi anni fa. Ricuciono ferite di una esistenza in catene, fatta di fibbie di cuoio, punture di aghi e scariche elettriche ad alto voltaggio, pillole di vari colori, allucinazioni, deliri psicotici. Il baratro di una dimensione oscura dalla quale sembrava non ci fosse uscita ma in fondo al buio dei suoi anni più tristi Marc Spector trova una luce e un senso e, per la prima volta, se stesso.

«Sono morto, mamma? Siamo di nuovo insieme? Possiamo cercare Randal e abba, adesso.»

«No, non sei morto, bambino mio. Tu meriti di vivere. Una vita vera e piena, come non lo è mai stata. Hai ancora cose importanti che ti aspettano. Ci rivedremo, te lo prometto, ma tra molti anni. Sii felice, Marc.»
La donna disappare allo sguardo sgomento di Marc e Steven, dopo aver baciato suo figlio sulla fronte per l'ultima volta.

Marc viene risvegliato dolcemente sulla chaise longue dello studio della sua migliore amica e confidente, dopo una seduta di ipnosi. «Caro, come ti senti?» il tono gentile della dottoressa Aralune riporta il mercenario, pian piano, alla realtà. L'ennesimo viaggio nella sua mente lo ha turbato. Attilia lo ha visto rapito da un delirio febbrile, mentre era addormentato, per poi destarsi più sereno.

«Attilia, lei era lì, nei campi di Aaru. Mamma. Pensi sia solo una proiezione della mente? C'era anche Steven.»

«No, Marc, sono certa che hai potuto davvero ricongiungerti con lei, per un momento. Cosa vi siete detti? Lo ricordi?»

«Era come in un sogno... c'era solo il fruscio del vento tra le spighe di grano. Lei mi abbracciava e potevo sentire il suo odore, il suo calore» a Marc trema la voce nel riferire del suo incontro con ìmma. «Era come se il tempo non fosse mai passato. Lei era come prima della morte di Randal, con me.»

«Che vuol dire - come prima della morte di Randal?- com'era?»

«Dolce, affettuosa e io non avevo paura di lei. Come si può avere paura delle mani di una...» Marc non riesce a finire la frase per l'emozione e abbassa gli occhi.

La mano di Attilia lo raggiunge, accarezzandogli il viso. «Ti ha chiamato a sé per chiederti perdono. Anche lei non aveva pace. Si può morire di dolore, sai?» continua la dottoressa.

«Siamo morti tutti, quando Randal è annegato. La nostra famiglia è stata spazzata via con lui. Nel quartiere, i gruppi neonazisti che ci prendevano di mira, si rallegravano che gli sporchi ebrei fossero stati puniti dal loro dio malvagio.»
Le parole gli muoiono in gola nuovamente e il suo petto si innalza e si abbassa in ampi sospiri.

Attilia lo carezza lungo le braccia per tranquillizzarlo «Marc, è tutto a posto. Sei giunto a incontrarla. Voleva farti sapere che sta bene e che nulla di ciò che è capitato ha un colpevole.»

Alzatosi dal divano, Marc si liscia la stoffa dei pantaloni e prende il suo giubbetto posato su una delle sedie della scrivania dello studio della professionista e amica fidata.

«Allora hai deciso, Marc? Parti?»

«Sì, Attilia. Ho un appuntamento a Londra per un affare. Da qualche parte devo ricominciare e a Chicago ho troppi ricordi spiacevoli.»

«Ti auguro buona fortuna, tesoro» la psicoterapeuta gli lascia un bacio sulla guancia. «Mi raccomando, chiamami se non dovessi sentirti bene. Hai fatto molti progressi in questi mesi. Sono fiera di te, Marc.»

«Ti devo molto, Attilia. Sei come una madre per me. Ti ringrazio di non avermi accusato della morte di Jeremias. Gli volevo bene. E grazie di avermi aiutato a ricostruire gli eventi. Per merito tuo ho potuto affrontare presente e passato.» Marc abbraccia sentitamente la donna, prima di lasciare il suo studio per dirigersi verso il monolocale dove vive, in affitto, da qualche tempo.
Sistema gli ultimi effetti personali in valigia e volge un'ultima occhiata, in giro per controllare di aver preso tutto. Davanti allo specchio del bagno si fissa e un uomo sorridente, dal fare decisamente più gioviale del suo, gli rivolge il simpatico saluto di arrivederci che sono soliti scambiarsi, quello che Marc, Randal e ìmma si rivolgevano sempre.

«Laters, Gators, uomo nello specchio, fai buon viaggio» lo saluta Steven.

«Ci vediamo presto, Grant, non fare danni fino al mio arrivo a Londra. Ciao, ciaoino» ricambia Spector accennando un miracoloso sorriso al commesso del negozio di souvenir. D'un tratto sente suonare il campanello della sua abitazione. Si guarda intorno con circospezione, non attende visite. Dischiuso l'uscio, con prudenza, si ritrova davanti taballur jips.

«Non avrai davvero creduto di esserti liberato di me in questo modo?»

«Layla,» la abbraccia d'impulso per poi accarezzarle il viso, «io non vorrei mai liberarmi di te per niente al mondo. Perché non mi hai avvisato che eri in città? Sono in partenza, avremmo potuto pranzare insieme. Come hai saputo il mio indirizzo... Attilia, vero?»

«Da quando chiacchieri tanto, brontolone? Parto con te. Ho preso un biglietto per il tuo stesso volo. E sì, Attilia è una risorsa eccezionale.»

«Credevo non volessi più vedermi. Insomma se mi avessi avvisato mi sarei» si gratta la nuca, mostrando chiaramente il disagio che prova ma la determinazione della dottoressa El-Faouly fuga ogni dubbio e con un lungo bacio chiude una conversazione inutile che sta durando anche troppo.

Spazio Autrice:

Ciao, figli della vendetta, mi credevate dispersa nelle sabbie della Duat? E invece ecchime qua 😄.
Perdonate la lunga assenza, ma tra impegni della vita reale e maledizioni delle potenti divinità egizie che hanno innalzato le temperature estive al limite della liquefazione, sono giorni difficili.
Siamo alla fine della nostra avventura: solo l'epilogo ci divide dalle scelte finali di Marc.
Che ne pensate? Che farà Spector della sua vita?
Come sempre vi lascio un piccolo glossario, a fine capitolo, per meglio comprendere alcuni termini.
A presto 🤍🌙.

Duat: oltretomba egizio, dimora delle anime impure destinate a perdizione. Esse venivano divorate dalle divinità che se ne cibavano, dopo essere rimaste intrappolate.

Campi di Aaru: eterno riposo delle anime pure, nell'aldilà egizio. Il defunto coltivava queste distese di grano, godendo eterna beatitudine.

Sufganiot: frittelle dolci tipiche pietanze ebraiche (si veda glossario cap.I).

Wendy e Randal Spector: rispettivamente la madre e il fratello minore di Marc, morto in un incidente, da piccolo.

Ìmma e Abba: rispettivamente: mamma e papà in ebraico.

Putnam Psychiatric Hospital: manicomio di Chicago dove Marc viene rinchiuso dagli undici ai diciassette anni, secondo il fumetto.

Curiosità: il volto che viene staccato a Bushman da Moon Knight è un elemento inserito da canone. La fine che Moon Knight riserva a uno dei suoi più crudeli aguzzini.
La pena di morte è stata realmente abolita, nello stato dell'Illinois.

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