9- picture of you

31 Agosto 2023

Elizabeth's P.O.V

Oggi è l'ultimo giorno d'estate.
Quel giorno che sa tanto di vita nuova, che poi tanto diversa non è mai. Perché continuiamo, quasi con affetto, a portarci gli stessi vecchi demoni, che sembrano quasi invecchiare e fare radici con noi, proprio come un virus, troppo radicati e difficili da estirpare.
Il giorno in cui la nostalgia di quello che si è vissuto o che non si è avuto il coraggio di vivere, sembrano prendere il sopravvento.
Il giorno in cui tiriamo le somme, stiliamo i primi bilanci.
Il giorno in cui ci rendiamo conto, nella maggior parte dei casi, che abbiamo solo lasciato il tempo scorrere, aspettando un momento che alla fine non è arrivato mai.
E cosi facciamo nuovi progetti, creiamo nuove attese, ci convinciamo che il meglio debba ancora venire. E alla fine, nella continua attesa, il meglio ce lo lasciamo proprio sfuggire.
E questo solo perché spesso l'oggi spaventa più del domani.
Perché immaginare un domani incerto, ma diverso e potenzialmemte migliore, è più piacevole che vivere un presente certo, ma deprimente, in cui bisogna fare i conti con sé stessi.

"Eli, mi stai ascoltando?" Richiama la mia attenzione Marie. Da quel giorno il suo comportamento è cambiato. È diventata decisamente più socievole, almeno solo con me.

"Scusa, ero sovrappensiero, dicevi?"

"Meglio il vestito rosso o quello blu?" Mi dice mentre passa rapidamente in rassegna i due abiti.

"Stai bene con entrambi." Gli dico sincera. Marie mi guarda come se l'avessi offesa.

"Così non mi aiuti affatto. Dovrai pur avere una preferenza."

"Quello blu ti mette in risalto la pelle." Dico alla fine, con l'unico intento di andare via da questo centro commerciale. Da quando le ho detto che avrebbe sfilato per me ha iniziato a girare in lungo e largo alla ricerca dell'abito perfetto. A nulla è servito dirle che sarei stata solo io a vederla e che non c'era bisogno di comprare abiti nuovi.

"Si, ma quello rosso è in pendant con i miei capelli." Dice toccandosi i suoi lunghissimi capelli ramati.

"Allora scegli quello."

"Ma anche il blu mi piace." Continua mentre io la guardo esasperata.

Quasi venti minuti dopo, siamo finalmente dirette verso casa sua con il nuovo abito rosso alla mano.

"Sei una pessima compagna di shopping." Si lamenta.

"Vorrà dire che non dovrò più subire una simile tortura?" Dico non nascondendo il mio entusiasmo.

"Tutto al contrario. Vorrà dire che ti porterò più spesso con me. Subirai la mia influenza."

"Oh mio dio, no." Le dico sedendomi su una delle panchine fuori al centro commerciale, esausta da questa giornata. Guardo il sole tramontare inorridita, non posso credere che abbiamo davvero passato così tanto tempo in un posto del genere.

"Eli, guarda." Richiama la mia attenzione Marie, poco più distante indicandomi un volantino affisso alla sua auto.
Mi alzo di controvoglia, mentre lei continua a guardarmi eccitata.

"Non vedo come possa interessarmi un volanti..." Le dico, fermando il discorso a mezz'aria, dopo avergli dato una rapida occhiata. Sul volantino vi sono raffigurati una serie di strumenti musicali. Leggo incuriosita la locandina.
《Scuola di musica di Manhattan. Aperte le iscrizioni per l'anno 2023-2024. Per maggiori informazioni chiamare o scrivere al numero in sovrimpressione o alla mail di riferimento.》

"È la tua occasione."

"Non posso." Le dico distogliendo in fretta lo sguardo.

"È per tua figlia, vero?" Mi chiede, mentre io annuisco velocemente.

"Eli, ricordo come guardavi incantata ogni musicista ogni volta che veniva a suonare al bar e ti ho vista prima, mentre fissavi gli strumenti musicali affissi in vetrina. Capisco che tu voglia dare il meglio a tua figlia, ma solo ogni tanto impara a metterti al primo posto, perché potresti svegliarti un giorno rimpiagendo quella che saresti potuta essere."

"Dove è finita la ragazza timida della settimana scorsa?" Le chiedo ironica, non sapendo come rispondere. Lei arrossisce, dando un pò di colore alle sue guance pallide.

"Sono timida solo quando devo parlare con gli estranei. Con le persone di cui mi fido sono molto più loquace." Mi dice mentre io la guardo commossa. Non posso credere che si fidi di me in così poco tempo.

"Promettimi che ci penserai, ok?" Mi chiede poi, mettendomi il volantino nella tasca posteriore della borsa, mentre io annuisco titubante.

Il viaggio in macchina è silenzioso. Perché per quanto non voglia ammetterlo, so che ha ragione. Vorrei darmi una possibilità e forse me la merito dopo tutti quegli anni spesi a rincorrere quel sogno, il mio sogno. Ma non credo che sarebbe la cosa giusta. Violet merita la possibilità di avere almeno un genitore presente e io non posso rischiare.

"Siamo arrivati." Mi dice Marie fermandosi in quello che deve essere un quartiere di brooklyn, data la fantastica vista dal suo ponte che si erge maestoso contro il cielo notturno di New york. Le luci dei grattacieli in lontananza rendono lo spettacolo ancora più mozzafiato.
Continuiamo a camminare a piedi mentre non riesco a staccargli gli occhi di dosso.

"Bello, vero?" Mi dice mentre io sento di aver perso completamente la voce di fronte a tale bellezza. Continuiamo a camminare e l'odore dei bagel si fa spazio nel mio stomaco, provocandomi quasi istantaneamente un vuoto alla bocca dello stomaco.

"Cosa mia è proprio qui." Dice indicandomi un vicolo a pochi metri da noi. Entrando, si viene accolti da uno spazio molto piccolo, ma accogliente.
Una zona giorno con un piccolo divanetto e un tavolo da pranzo adornato con un vaso di fiori freschi.
Una serie di quadri affissi alle pareti rendono l'ambiente vitale e colorato.
Gli scaffali sulle pareti sono riempiti da libri e cornici di famiglia rappresentanti due figure femminili. Una bambina dai capelli ramati e piccoli spruzzi di lentiggini a contornarle il viso, e una più adulta, ma estremamente somigliante alla più piccola. Guardo quelle foto con trsitezza. Deve essere così bello avere una madre che tiene più a te che al suo titolo.

"Vuoi qualcosa da bere?" Mi chiede venendo verso di me. Scuoto la testa educatamente prima di parlare.

"Avanti, fammi vedere quello che sai fare." La incito prendendo posto sul divano.

"Mh...devo proprio?" Mi chiede, tornando nuovamente a balbettare; cosi le faccio un cenno di rassicurazione nel tentativo di darle maggiore maggiore

È incredibile come la paura possa trasformarci nella versione peggiore di noi stessi.
Ombre di quello che potremmo davvero essere se solo ci lasciassimo davvero andare.
Amanti di una sterile sicurezza per non dover fate i conti con le diverse sfumature di un'incognita.

Marie torna pochi secondi più tardi dal bagno con indosso quel fantastico abito rosso di raso, con uno scollo a cuore che rende ancora più evidenti le sue già generose forme, e dei tacchi bianchi a spillo che rendono ancora più slanciata la sua forma. È davvero bellissima.
Tuttavia sfila verso di me senza alcun tipo di sicurezza o di espressione sul volto, con andatura traballante finendo addirittura per perdere l'equilibrio un pio di volte.

"Come sono stata?" Mi chiede imbarazzata, coprendosi il volto con le mani.

"Credo tu abbia bisogno ancora di molta pratica." Le dico non riuscendole a mentire.
"Ma credo che tu possa farcela." Le dico alzandomi dal divano e avvicinandomi a lei.

"Non ri coprire e non avere paura Marie, perché sei bellissima." Le dico spostandole le mani dal viso.

"Sei una persona fantastica. Grazie Elizabeth." Mi dice e questa volta sono io a cercare di coprire il rossore evidente sulle mie guance. Credo che non mi abituerò mai a ricevere complimenti.

"Non mi ringraziare. Piuttosto riproviamo. Ho ancora un altro pò di tempo prima di dover andare via." Le dico invitandola a riposizionarsi sul luogo improvvisato, designato come palco.

Marie riprova, ma questa volta forse in maniera ancora più grezza. La guardo, ha la faccia completamente terrorizzata.

"Ascolta, non pensare che ci sia io sul palco come spettatrice. Immagina di essere da sola, di essere nella tua stanzetta a provare o perché no, immagina che sul palco ci sia qualcuno di cui hai estrema fiducia, qualcuno che ti supporta. Dai, riprova." Le chiedo ancora, trasmettendole tutta la mia determinazione mentre lei annuisce, ma anche in questo caso, purtroppo non riesce.

"Proviamo l'ultima volta. So che ce la puoi fare perché sei una ragazza in gamba."

"Non è vero." Mi dice lei, sull'orlo delle lacrime.

"Forse dovrei abbandonare questo sogno, forse non sono tagliata per fare la modella."

"Io credo solo che tu abbia bisogno di una dose massiccia di autostima. Vieni, sfiliamo insieme." Le dico alzandomi e posizionandomi al punto di partenza.

"Asciughiamoci queste lacrime, non servono." Le dico asciugandogliele con il pollice, mentre lei tira su con il naso.

"Ora ripeti in mente con me mentre cammini 《c'è la posso fare, ce la posso fare》 con sicurezza e vedrai che andrà meglio." Continuo il mio discorso prendendole la mano.
Sfiliamo così, mano nella mano, io in tuta e lei in vestito da sera, io senza un filo di trucco e lei senza una riga fuori posto, nel salotto di una semplice casa. Unite da quello che sembra essere l'inizio di un legame speciale. E per la prima volta, dopo tutti gli svariati tentativi, riesco a percepire una maggiore sicurezza nei suoi occhi. Non sarà molto, ma è pur sempre un inizio.

"Visto? Sei già migliorata." Le dico entusiasta, abbracciandola per la gioia.

"Ed è tutto merito tuo." Sussurra stringendomi più forte.

"Io non ho fatto nulla. Hai fatto tutto tu. Continua così e vedrai che sarai prontissima per la tua prima sfilata." Le dico staccandomi dall'abbraccio e guardandola con sicurezza.

"Ora devo andare prima che Violet e Matt mi diano per dispersa." Le dico prendendo la borsetta.

"Ti accompagno." Afferma sicura prendendo le chiavi dell'auto.

"No. Non c'è bisogno."

"Insisto."

"E va bene allora." Le dico, aspettando che si spogli.

Passiamo il viaggio in macchina a chiacchierare del più e del meno, facendo zapping da una stazione televisiva all'altra, con molta più tranquillità.

"Puoi fermarti qui." Le dico indicandole la villa.

"Wow, io...cioè, non pensavo che questa fosse casa tua." Mi dice, completamente sconvolta.

"È davvero una lunga storia, ma no, effettivamente questa non è casa mia." Le spiego.

"La prossima volta che ci vedremo voglio i dettagli." Mi dice curiosa, mentre io sorrido contenta del fatto che abbia dato per scontato che ci sarà una prossima volta.

"Amore, sono a casa." Annuncio, ma questa volta ad accogliermi non ci sono solo Carol e Violet, ma Matthew e una signora in giacca e cravatta che mi squadra da capo a piedi. Deglutisco agitata mentre mi domando chi sia la strana donna nel salotto di casa.

"Lei deve essere la signora Lancaster." Mi chiede atona.

"Sono io, piacere." Le do la mano, che lei prontamente afferra. La sua stretta di mano è forte, sicura, il braccio rigido. Cerco di ricambiare con la stessa intensità.

"Dove è stata tutto il giorno?"

"Lavoro in un albergo qui vicino."

"Questo lo sappiamo. Ma sappiamo anche che il suo turno lavorativo finiva esattamente due ore e mezza fa." Non mi da neanche il tempo di elaborare una risposta che riprendere subito a parlare.
"Per cui dove è stata tutto questo tempo?" Mi chiede, agitandomi. Perché lo vuole sapere con così tanta insistenza?

"Ero..." Comincio a parlare, indecisa se dire o meno la verità.

"A fare la spesa." Risponde Matthew al posto mio.

"Si, i borsoni sono in macchina." Continuo per dare credibilità alla sua bugia.

"E comunque basta un genitore con la bambina, non entrambi, mia cara assistente sociale." Continua Matt a difendermi, rimarcando l'ultima parola per aiutarmi a capire.
Trasalisco spaventata, non riuscendo a fermare il battito accelerato del mio cuore e il tremolio delle mie gambe.
Vorrei sedermi, ma ora non posso. Devo dimostrarmi forte.

"Si calmi, non era un accusa la mia, ma una semplice domanda."

"E la mia una semplice risposta." Risponde lui tenendole testa. E se sono sicura di una cosa è che lei non vincerà, non contro quello sguardo.

"Sapete già dove iscriverete la bambina a scuola?" Continua a raffica con le domande. Faccio per parlare, ma vengo interrotta da Matthew.

"Si, alla William T. Sherman, qui vicino." Risponde mentre io lo guardo a metà tra il confuso e l'arrabbiato.
Non ne avevamo mai parlato e non ha il diritto di dire una cosa del genere senza prima aver sentito la mia opinione. Lei annuisce prima di avvicinarsi a Violet che la guarda impaurita.

"Tu come stai piccolina, ancora dolore al braccio?" Le chiede mentre lei scuote la testa timidamente.

"Le stiamo cambiando la medicazione a giorni alterni, come suggerito dal dottore. Settimana prossima torneremo in ospedale per vedere se la situazione è migliorata e, nel caso, per rimuovere i punti." Le spiego nel frattempo che lei continua a prendere appunti.

"Ci sono conflitti o tensioni tra di voi?" Chiede ancora guardandoci attenta.

"Assolutamente no. Andiamo d'amore e d'accordo." Dico usando il tono di voce più falso che ho, mentre Matthew trattiene a stento le risate.

"Come trascorri il tempo piccolina?" Le chiede ancora. Violet si avvicina al televisore, indicandoglielo con la manina, probabilmente ancora terrorizzata per parlare. 

"Guardi solo la televisione tutto il giorno?" Le chiede furba. Viole scuote la testa in segno di diniego.

"Disegno." È costretta a dire a quel punto facendole vedere le manine ancora sporche di pittura.

"Va bene allora." Ci dice continuando a scrivere soddisfatta.
"In tal caso ripasserò più avanti per vedere come vanno le cose." Ci dice intanto che Matthew le fa strada per uscire. Solo quando la sento andare via riesco a tirare un sospiro di sollievo. Sembra che sia andata bene, almeno per ora.
Sto per ringraziarlo, quando il suo sguardo furente mi costringe a desistere.

"Non lasciarmi mai più in questa situazione, Elizabeth." Grida avvicinandondosi pericolosamente a me.

"Non era mia intenzione. Ma vedo che te la sei cavato favolosamente dando addirittura all'assistente informazioni false." Gli urlo di rimando alternandomi anche io mentre Carol porta di sopra Violet.

"Si, per proteggere te. E questo è il ringraziamento?"

"Non solo su quello. Il William T. Sherman, Matthew. Non ne abbiamo mai parlato, non sai neanche se a violet piacerebbe andarci."

"È una bambina, non sa cosa sia meglio per lei."

"Credo che lo sappia molto più di certi adulti qui presenti invece."

"È una delle migliori scuole di Manhattan, Elizabeth." Continua a sostenere la sua teoria mentre io mi altero sempre di più

"Tu sei cresciuto in una delle migliori scuole del paese, ma non mi sembra che abbiamo fatto un buon lavoro con te."

"Ci sei cresciuta anche tu e mi sembra che almeno con te abbiano funzionato." Dice squadrandomi dall'alto in basso, quasi cattivo, per poi continuare a parlare.
"Si può sapere quale è il tuo problema? Se le volessi davvero bene le permetteresti di avere un futuro migliore di quello che ha adesso."

"Non azzardarti a parlarmi così." Vado verso di lui come una furia, puntandogli un dito contro il petto.
"Tu non sai tutto quello che abbiamo dovuto passare in questi anni."

"No, non lo so. Ma so che adesso avete la possibilità di riscattarvi. Per cui ti consiglio di smettere di fare la martire e di accettare il mio aiuto."

"Non ho intenzione di accettare il tuo aiuto quando l'unica cosa che sai fare è aprire il portafogli. Lo farò quando capirai che ci sono anche cose più importanti che non possono essere pagate." Continuo a urlare, intanto che lui invece pare calmarsi. Il suo sguardo si addolcisce prima di parlare.

"Elizabeth, per un secondo sii realista. I soldi servono. Hai davvero intenzione di iscrivere Violet in una scuola di un quartiere malfamato solo per non accettare il mio aiuto?"

"Se serve si." Affermo imperterrita.
"Questo ti crea problemi?" Continuo poi a sfidarlo

"No, a me no. Ma a rimetterci in un modo o nell'altro sarà comunque lei. Pensaci." Mi fa riflettere.
Ero così presa dal fargli capire il mio punto di vista che non mi ero resa conto di quanto la cosa avrebbe potuto fare del male alla mia bambina. Mi accascio a terra, rendendomi conto solo adesso di quanto abbia potuto rischiare oggi.
Per quanto io non voglia accettare il suo aiuto, so che ne abbiamo bisogno. Ed è per questo che non posso iscrivermi a quell'accademia. Non è il momento. Forse non lo sarà mai.

"Grazie dell'aiuto, Matt. Se non ci fossi stato tu non so come sarebbe potuta finire oggi." Ammetto alla fine, nello stesso istante in cui lui mi fa un leggero sorriso.

"Senti, so che non vuoi fare il padre, non lo comprendo, ma lo capisco. Ma ti andrebbe almeno di rimanere a mangiare stasera qui con noi? Mi hanno detto che so fare una pizza davvero buona." Mi autoelogio nel tentativo di convincerlo. Lo sento sospirare.

"Non mollerai, vero?" Mi chiede, probabilmente esasperato dalla mia insistenza.

"No."

"E va bene. Vada per questa cena, ma solo per questa volta. Portare quella donna a spasso in giro per casa e dover mentire solo per te mi ha fatto venire una gran fame."

"E quando mai tu non hai fame." Lo prendo in giro. Lui mi fa il dito medio, divertito quanto me.

"Sarà meglio che sia davvero buona altrimenti la userò per pulirti la faccia." Continua a scherzare.

"Cosa hai detto?" Gli dico prendendo un pomodorino dalla credenza e puntandoglielo come se fosse un'arma

"Quello che hai sentito." Dice prendendo l'altro pomodorino e lanciandomelo in pieno viso.
Matt ride come un matto mentre io cerco di togliere tutti i pezzi residui rimasti intrappolati tra i ricci.

"Adesso me la paghi." Gli dico inseguendolo per tutta la cucina con ancora in mano quel pomodorino.

"Dai, non ti faccio niente." Lo rassicuro avvicinandomi, ma lui questa volta prende una padella dietro di lui e me la punta contro.

"È la tipica frase che il cattivo dice nei film prima di uccidere la povera vittima." Cerca di assumere un tono serio.

"E tu saresti la povera vittima?" Rido per ciò che ha detto. Lui è tutto fuorché una povera vittima.

"Hai ragione. Io sono il protagonista furbo e intelligente che uccide il cattivo." Si vanta.

"Tu furbo e intelligente?" Dico cominciando a ridere divertita.
E proprio quando sto ridendo, lui ne approfitta per saltarmi addosso, facendomi cadere, per poi farmi il solletico.

"Smettila ti prego, farò qualsiasi cosa." Lo supplico, sperando mi dia retta.

"Qualsiasi?"

"Entro certi limiti"

"Vediamo...voglio che tu dica che io sono l'uomo più intelligente e furbo che tu abbia mai conosciuto." Dice continuando la mia dolce tortura.

"Tu sei l'uomo..." Comincio a dire guardandolo negli occhi mentre con la mano gli lancio il pomodorino completamente sui capelli.
"Più stupido sulla faccia della terra." Continuo finalmente soddisfatta.

"Te l'ho già detto che sei una stronza?" Mi dice arrabbiato toccandosi i capelli ora completamente zuppi di pomodoro.

"Tante volte, ma oggi non ancora." Gli rispondo con il sorriso sulle labbra. Lui inizialmente sembra arrabbiato, ma poi scuote la testa, come se non potesse credere davvero a quello che è accaduto. E in tutta onestà neanche io.

Ma quando sono con lui sento come se il tempo svanisse.
Come se gli anni in cui siamo stati lontani non possano reggere il confronto con l'oggi, con questo momento, in cui contano solo i nostri cuori che sembrano battere all'unisono e i nostri occhi che non smettono di guardarsi.
Vedo solo due ragazzi, ormai cresciuti, ma con ancora tanta voglia di riscatto.

"Vado a farmi una doccia. Spero che quando sarò di ritorno sarà pronta questa pizza." Mi urla dalle scale mentre, nel frattempo lo guardo divertita andare via. Forse non sarà molto, ma sento di aver fatto un piccolo passo verso di lui.

E così, dopo altri quaranti minuti siamo finalmente tutti a tavola davanti alle nostre pizze.

"Allora piccolina, oggi cosa hai disegnato?" Le chiedo per iniziare una conversazione mentre Violet prende una fetta di pizza.

"Queta casa." Mi risponde con ancora il cibo in bocca aprendo le braccia per sottolineare la grandezza della casa. Dalla sua prospettiva deve essere ancora più grande. Forse è per questo che continua a disegnarla da giorni.

"Finisci prima di masticare. Non si parla con il cibo in bocca." La rimprovero sotto le risate sommesse di Matthew che non aveva ancora aperto bocca prima d'ora.

"Lasciala respirare." Il suo tono di voce roco risuona nella stanza.

"Potrebbe essere pericoloso mangiare e parlare."

"Sei stata tu a farle domande." Dice mangiando e parlando contemporaneamente anche lui, probabilmente per alterarmi maggiormente. Questa volta è Violet a ridere.

"Siete buffi." Ci dice e noi ridiamo con lei.

"Ho disegnato anche te." Dice poi indicando Matt sotto il mio sguardo stupito.

"Ah, davvero. E come sono?" Le risponde sinceramente curioso.
Violet ci pensa per qualche secondo, poi guarda Matt, guarda la sua pizza ormai finita e corre di sopra.

"Torna qui Violet." Le urlo arrabbiata, ma lei ormai è già infondo alle scale.

Guardo confusa Matthew che invece continua a mangiare come se nulla fosse.
Pochi minuti dopo Violet torna come se nulla fosse con un disegno fra le mani porgendolo poi a Matthew.

È raffigurata la camera d'ospedale con lei a letto e io e Mahttew vicino a lei. Lei che guarda la ferita al braccio e Matthew che la accarezza. Il volto non è visibile proprio perché lui è concentrato sulla ferita, ma un ammasso di ricci dorati non lascia molto spazio all'immaginazione. Le sue mani sembrano così delicate. È incredibile quello che i suoi disegni riescono a trasmettere.

"È bellissimo, sei davvero bravissima." La elogia Matthew senza fiato, scompigliandole con una mano i capelli. La guarda negli occhi e per un secondo penso che finalmente sia pronto, che Violet ci sia riuscita, ma invece distoglie in fretta lo sguardo.

"Ora devo andare." Dice soltanto alzandosi dal tavolo e non dandomi neanche il tempo di replicare.

"Non gli sono piaciuti i miei disegni?" Chiede preoccupata Violet.

"Nono, era contentissimo invece. Ma ha un sacco di cose da fare adesso." Cerco di giustificarlo quando l'unica cosa sensata che vorrei fare è ucciderlo.

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