12- Stressed
16 Settembre 2023
Elizabeth's P.O.V
Rileggo per la milionesima volta la mail davanti ai miei occhi, sempre più confusa.
"Gentile sign. Elizabeth Lancaster, dopo un'attenta revisione delle registrazioni da lei effettuate, è stata accettata nella nostra prestigiosa accademia di arte e musica per l'anno 2023/2024. Si presenti il 25/9/2023 per l'inizio delle lezioni."
Non posso credere di essere entrata in un'accademia per la quale non avevo neanche fatto domanda.
E odio il fatto di esserne tanto entusiasta.
Non sarebbe dovuto accadere.
Arrabbiata, compongo i numeri dell'unica possibile responsabile, che risponde dopo un paio di squilli.
"Buongiorno Eli." Biascica, con la voce impastata dal sonno. Forse non avrei dovuto chiamarla alle 6 del mattino di sabato, ma non ho saputo resistere.
La voglia di risposte era troppa.
"Marie buongiorno, ho ricevuto una mail dall'Accademia di Manhattan. Non è che c'entri tu per caso?" Le domando, arrivando dritta al punto e cercando di mantenere un tono calmo.
"Assolutamente no, per chi mi hai presa." La sento mugulare assonnata.
"Che cosa dice?" Mi chiede subito dopo.
"Nulla di importante." Svio il discorso.
"Se ti sei presa il disturbo di chiamarmi a quest'ora del mattino vuol dire che lo è." Riflette.
"Oh mio dio, ti hanno presa." Urla soddisfatta.
"E tu come fai a sapere che mi hanno scritto per questo motivo?"
"Per quale motivo potrebbe scriverti un'accademia di musica?" Mi rimbecca. È davvero brava ad inventare scuse. Questo glielo devo riconoscere.
"Marie, risparmia il fiato, so che sei stata tu." La avverto, arrabbiata.
"Come diavolo hai fatto a farmi prendere?"
"Il tuo profilo instagram. Ci sono video dove suoni il violino."
"Ma sono di anni fa." Rifletto solo ora. Avrei dovuto cancellarli, ma non ne ho mai davvero avuto il coraggio. Infondo l'amore per la musica e il violino hanno fatto parte di buona parte della mia vita.
"Beh si, ho rimosso la data e tu non sei cambiata poi così tanto. Diremo che non eri truccata quel giorno e sarà tutto risolto."
"Frena frena, io non credo di avere intenzione di andarci." Obietto sincera. La sento sospirare, frustrata.
"Ascolta Eli, mi dispiace di averti iscritta senza il tuo consenso, ma sapevo che se fosse stato per te non li avresti mai contattati e avresti perso una grande opportunità. Non avere paura." Si scusa, scatenando forse maggiormente la mia rabbia.
"Qui non si tratta di avere paura, ma di fare le cose nel modo giusto. Ho una bambina a cui pensare nel caso in cui te ne fossi dimenticata."
"Questo lo so. Ma un paio di lezioni a settimana non le cambieranno la vita, ma potrebbero cambiare la tua." Cerca di farmi ragionare. Sta per continuare a parlare, ma il rumore della macchinetta del caffè fa sobbalzare entrambe.
"Pensaci. Lei ormai va a scuola, per cui è comunque impegnata tutta la mattinata. Non avrà neanche il tempo di sentire la tua mancanza." Espone dopo aver spento la macchinetta.
"E come faccio con i soldi?" Continuo ad interromperla.
"Hai un lavoro e non è tanto costosa questa accademia. Ce la farai a coprire le spese e questo lo sai anche tu."
"E se non dovesse funzionare? Se dovessi spendere un mucchio di soldi solo per rendermi conto che ormai è troppo tardi?"
Gli pongo una delle domanda che mi tormenta da stamattina. La sento sorridere comprensiva, come se aspettasse solo questa domanda dall'inizio della nostra telefonata.
"E se invece dovesse funzionare? Te lo sei mai chiesto questo?"
Certo che l'ho fatto.
E forse questo mi spaventa ancora più della prima possibilità.
E se non riuscissi più a farne a meno?se ne dovessi essere ossessionata?
"Ti prego, ti prego." Supplica.
"E va bene. Lo farò." Cedo alla fine, forse solo stanca di affrontare ancora questo discorso.
Tanto non funzionerà.
"Perfetto." Batte le mani allegra.
"Allora congratulazioni."
"In questo caso credo che dovrai accompagnarmi a scegliere un violino." La condanno per il tradimento, ma dal tono della sua voce è evidente che ne sia tutt'altro che dispiaciuta.
"Perfetto, andiamo allora." Dice subito facendomi strabuzzare gli occhi.
"Sono le sei del mattino, non troveremo nessun negozio aperto a quest'ora."
"Ah già, dimenticavo che mi chiami ad orari poco decenti." Si lamenta ancora.
"Non lo farò più, promesso." Mi scuso.
"Allora torno a dormire. Svegliami almeno fra qualche ora Elizabeth." Mi chiede, non dandomi neanche il tempo di salutarla a mia volta.
Davvero, che persona complicata. Non si fa problemi a tormentare me, mandando email anche contro la mia volontà, ma quando si parla di lei sembra perdere completamente tutto quel coraggio.
🥀🥀🥀🥀🥀
"Ma mamma, io non capisco." Si lamenta per l'ennesima volta Violet, guardando il quadernone.
"Possiamo giocare?" Propone, speranzosa.
"No, prima dobbiamo finire questi compiti." Impongo, indicando l'addizione con la matita.
È da stamattina che siamo in questo salotto e lei, invece che ascoltare, prova a corrompermi per non studiare.
"Allora ripetiamo, quanto fa 2+2?" La interrogo. Lei sbuffa e invece di risolvere l'addizione, o anche solo di provarci, inizia a fare disegni agli angoli del foglio.
"Violet, ti prego, è importante che tu capisca." Cerco di essere il più dolce possibile. Ho già provato con la cattiveria, ma non ha sortito alcun effetto. Lei sembra pensarci su, guarda il foglio con attenzione, iniziando a contare con le dita.
"5." Esclama contenta mentre io scuoto la testa disperata.
"No Violet, fa 4." Chiarisco e lei incrocia le braccia al petto, prima di cominciare a piangere.
"Non serve piangere, ascoltami." Cerco ancora di farle capire, ma lei continua a piangere.
"Odio questa matematica." Mormora tra un singhiozzo e l'altro, asciugandosi gli occhi dalle lacrime con le manine.
"Lo so, dopo faremo quello che vuoi tu, ok?" Offro. Lei si morde il labbro con insistenza prima di annuire leggermente.
Sto per spiegarle nuovamente l'addizione, quando sento una figura dietro di me ridacchiare.
"Lo trovi tanto divertente?" Mi volto verso Matt, alzando un sopracciglio alterata. Oggi risulta ancora più bello del solito, con quella dannata canotta bianca che lascia solo intravedere i suoi muscoli perfetti. Lui viene verso di noi, per poi sedersi sulla poltrona di fianco a me in tutta tranquillità.
Da quel giorno all'acquario, stiamo provando ad avere una convivenza pseudo pacifica e gliene sono profondamente grata.
"Credo che tu stia sbagliando approccio." Afferma guardandomi dall'alto con il suo solito tono di voce beffardo.
"E sentiamo, come dovrei fare?" Lo sfido. Lui si avvicina maggiormente a Violet che invece non lo osserva, troppo agitata.
"Allora Violet, basta con questa matematica, facciamo un gioco, ti va?" Le propone e lei immediatamente annuisce, battendo le mani, tutto d'un tratto contenta. Ancora più arrabbiata di prima lo richiamo a me.
"Si può sapere che stai facendo?" Sussurro.
"Fidati di me. Non ti ascolterà mai se tu continui a darle ordini."
"Piuttosto portami delle caramelle e della cioccolata."
"Chi è che sta dando ordini adesso?" Controbatto, ma ubbidisco comunque. Sono sinceramente curiosa di sapere cosa si inventerá.
"Scommetto che hai fame, vero?" Le chiede e lei annuisce senza esitazione.
"Allora facciamo così. Ogni volta che vinci a questo gioco potrai prendere le caramelle vicine a te senza che la mamma ti sgridi." Le propone furbo.
Matt prende alcune delle caramelle gommose che gli ho portato e le distribuisce equamente tra me e lui.
"Allora, io e la mamma abbiamo comprato delle caramelle stamattina.
Queste sono le caramelle che ha la mamma." Spiega indicandogliele con il dito.
"E queste sono quelle che ho io." Spiega mostrando le sue.
"Allora, quante caramelle ha vicino a se la mamma?"
"2." Esclama mentre io cerco di trattenere un sorriso. È un'idea cosi semplice eppure è geniale. Violet cerca di prendere le caramelle, ma Matt lo ferma.
"Non così in fretta, non sono vicino a te, ora." Chairifica, rimettendole al suo posto.
"Io quante ne ho?"
"2" risponde con più convinzione questa volta, e lui annuisce.
"E se io..." domanda, prendendo con estrema lentezza le caramelle vicino e se e avvicinandole a lei.
"E la mamma..." Ripete lo stesso gesto.
"Le diamo a te, tu quante caramelle hai vicino a te in questo momento?"
Violet studia con estrema attenzione le caramelle una ad una prima di rispondere.
"4." Esclama e io guardo Matthew ammirata. Non posso davvero credere che ci sia riuscito in così poco tempo.
"Si piccolina, è giusto." Dichiaro, baciandole la fronte, emozionata.
"Ora posso mangiarle tutte?" Mi implora lei, provocandomi una risata sincera.
"Si, tutte tue violet, tutte tue." Annuisco nello stesso istante in cui lei si avventa sulle caramelle.
Matt fa per andarsene soddisfatto, ma lo richiamo.
"Sei stato davvero geniale." Mi complimento con lui, forse per la prima volta in vita mia.
"Lo so." Asserisce, arrogante come sempre.
"Sei bravo con i bambini." Riconosco, guardando mangiare Violet, finalmente contenta.
"Sapevo solo come fare per aiutarla e l'ho fatto. La matematica non è intuitiva per tutti, a volte bisogna solo avere un incentivo." Replica, scrollando le spalle, come se la cosa non fosse tanto importante. Ma so che non è cosi.
In queste settimane ho imparato ad osservarlo.
Il modo in cui si tocca i capelli quando è nervoso o con cui gioca con le dita, il sorriso che tenta di mascherare ogni volta che è vicino a Violet.
E forse lo nasconderá per sempre, anche a sé stesso, ma gli importa, gli importa davvero della bambina che ha di fronte a sé e, probabilmente, è proprio questo il motivo per cui ne fugge, non appena lei tenta di avvicinarsi troppo.
"Toglimi una curiosità. A che ti serviva invece la cioccolata?" Gli chiedo cambiando discorso.
"Quella è per me. Sopportarti può essere davvero una rottura di palle." Replico con il solito ghigno sul volto.
Gli lancio un cuscino, arrabbiata, che lui schiva abilmente, prendendo poi la barretta dal tavolo.
"Ora devo andare. Ci vediamo Elizabeth." Mi imforma, allontanandosi a grandi passi dalla casa.
Fingo di essere arrabbiata, ma non riesco a trattenere un sorriso involontario per i suoi modi di fare.
E così, il resto della mattinata passa in fretta, tra compiti e giochi di ogni tipo.
Il caldo sole della mattinata lascia spazio ad un cielo chiazzato di nuvole. Lo osservo dalla finestra mentre aspetto, forse troppo impazientemente Marie, domandandomi se questa sia davvero la cosa giusta.
Dopo tanti anni sto ragionando solo con il cuore.
E mi chiedo dove mi porterà tutto questo.
Il continuo vorticare della mia mente viene interrotto dal suono del campanello. È arrivata Marie.
Emetto un respiro profondo.
Questo è probabilmente l'ultimo attimo che avrò per rinunciare.
Guardo Violet che continua a disegnare con tanto impegno. Sorrido, arrivata finalmente ad una conclusione; Non rinuncerò. E non lo farò proprio per lei. Merita di più di una madre che abbandona i suoi sogni per paura.
È ora di andare.
🥀🥀🥀🥀
"Allora, che cosa vorresti comprare per il tuo grande ritorno in pista?" Mi domanda Marie, forse più elettrizzata di me.
"Non ne ho idea sinceramente." Le rispondo, continuando a guardarmi intorno all'interno del David cage string instrument, affascinata.
Ci sono davvero strumenti di ogni genere, con violini, viole e violoncelli appesi sulle pareti rivestite di legno e ampie vetrine dedicate agli archetti, corde e custodie. È davvero fantastico.
"Andiamo, dovrai pur avere una tua idea? Non iniziare a fare la guastafeste adesso." Si lamenta.
"Credo fortemente nella teoria del 'lo saprò solo quando lo vedrò.' "
"E io già ti ho detto che è una sciocchezza." Protesta, continuando a camminare, senza prestare particolare attenzione agli strumenti dinanzi a sé, ma guardando solo le etichette segnaprezzi.
"Salve, posso esservi utile?" Domanda una commessa dal viso gentile.
"No." Rispondo decisa.
"Si." Risponde invece, imbarazzata Marie.
La fulmino con lo sguardo per fare in modo che stia zitta.
Marie finge così di non aver parlato, guardando con particolare attenzione uno strumento a caso mentre la commessa ci guarda visibilmente confusa.
"Cercate una chitarra?" Chiede poi, guardando la mia amica fissarla ancora. Sorrido, imbarazzata dalla figura appena fatta, prima di parlare.
"No, in verità cerchiamo un violino." Mi costringo a parlare.
"Mh..." ci riflette su, probabilmente ancora più confusa di prima.
"È la prima volta che acquisti uno strumento del genere?" Si informa.
"No, ma è come se lo fosse." Ribatto afflitta.
Riesco ancora a ricordare l'esatto momento in cui acquistai un violino con mio padre.
Avevo 10 anni ed eravamo alla ex music Row, una strada incantevole sulla 48th.
Avevo insistito per accompagnare mio padre a comperare dei nuovi pennelli per i suoi dipinti e rimasi incantata dagli artisti di strada. Volevo suonare come facevano loro. Guardavo con stupore ogni singolo negozio di strumenti e i bellissimi violini affissi e ne volevo uno, lo volevo così tanto. Così alla fine costrinsi papà a portarmi da Sam Ash, un bellissimo negozio di violini elegante e raffinato che ad oggi purtroppo non esiste più. Ne ricordo ancora gli odori e la gioia che provai quel giorno quando, dopo tante suppliche, riuscì a convincere papà a comprarmene uno.
Il mio primo violino, un violino artigianale fatto a mani da un abile liutaio solo per me.
Era stupendo, di un colore mogano acceso e di un suono armonico, con annesso il suo archetto e la custodia nera, elegante e raffinata proprio come quest'ultimo.
Mi iscrisse in una scuola di musica il giorno dopo.
E da allora non smisi più di suonare.
Era la mia passione, non pensavo ad altro.
Andavo con mio padre, tra le sponde di quel maledetto fiume e non facevo altro che suonare per cercare di migliorarmi.
Avevo le dita congelate dal freddo, ma non mi importava del dolore o della fatica.
Mi importava solo del mio sogno:
Quello di essere una violinista riconosciuta in tutto il mondo.
Con gli anni acquistai un altro violino, sempre fatto a mano, ma dal suono più limpido e preciso.
Stavo crescendo e i miei genitori volevano il meglio per me e per la mia musica.
E migliorai sempre di più le mie tecniche con l'avanzare degli anni.
"Quindi non è la prima volta che suona." Riflette la donna, riportandomi alla realtà.
"Vorrebbe qualcosa di semplice per ricominciare o qualcosa di più complesso?" Continua a domandare.
"Direi complesso." So che sarà più difficile ricominciare così, ma se ho davvero intenzione di darmi una possibilità, lo devo fare al massimo delle mie potenzialità.
"Ha una marca o un modello in particolare in mente?"
"Qualcosa di non troppo caro." Sussurro immediatamente, sperando che la commessa non ci guardi male.
"Allora venga con me." Mi guida facendosi strada all'interno del negozio, mentre io e Marie cerchiamo di starle al passo.
"Questi sono tutti i modelli di cui disponiamo." Si ferma, indicando la serie di violini affissi alle vetrine.
Li studio ad uno ad uno, osservandone la verniciatura, le rifiniture, le corde toccandole poi con delicatezza.
"Se desidera al piano di sotto li può provare." Mi informa facendomi scuotere il capo. Ho bisogno dei miei spazi per poterlo davvero provare. Lo devo sentire mio.
"Questo." Sussurro ad un certo punto, guardando un bellissimo violino Yamaha di fronte a me dai colori accesi, perfettamente tirato con delle minuziose rifiniture agli angoli. La cassiera mi sorride amichevolmente.
"Come vuole pagare?" Si informa la donna avvicinandosi alla cassa.
"Veramente io volevo chiedere se fosse possibile noleggiarlo al mese." Le propongo speranzosa.
"Certamente. Mi deve dare tutti i suoi dati però." Mi comunica, facendomi annuire di buon grado.
"Contenta?" Mi sollecita Marie, nascondendo un sorriso sotto i baffi, una volta usciti dal negozio.
"Credo che avessi ragione tu." Sono costretta ad ammettere per la seconda volta in una giornata.
"Non avrei mai contattato quell'accademia se non fosse stato per te. Credo che ne avessi paura."
"L'avevo capito. Ma Eli, paura di cosa? Tu sei bravissima." Mi elogia.
"Lo ero Marie, lo ero davvero." Sospiro.
"Venni presa alla juliard all'età di 15 anni." Le confesso mentre mi guarda stupita.
"Wow, perché non ci sei andata?"
"L'ho fatto invece. E mi ha distrutto. Per i due anni seguenti non ho fatto altro che mirare alla perfezione, dovevo essere all'altezza di quello che mi era stato garantito. E così non facevo altro che suonare e suonare. Arrivò un momento in cui la pressione fu troppa. Non dormivo, e ogni singola nota sbagliata era come una coltellata nel petto. Ma nonostante questo volevo di più. Così un giorno una mia vecchia compagna di classe mi propose di prendere un farmaco, l'adderall, per aumentare la concentrazione. Disse che mi avrebbe fatto stare meglio, ed ero così disperata che decidi di accettare."
"Oh mio Dio." Sussurra lei, mettendosi le mani davanti alla bocca.
"Sta tranquilla, è successo solo una volta." Le spiego e la sento tranquillizzarsi immediatamente.
"Ad ogni modo, lei sfruttò l'occasione per denunciarmi alla preside. Ero la migliore della scuola e aveva bisogno di liberarsi di me. E ci riuscii perché alla fine venni espulsa.
Ero completamente distrutta. Avevo deluso i miei genitori e il mio sogno era completamente andato in frantumi. Avrei fatto di tutto per tornare indietro e non prendere più quelle dannate pillole ma non era possibile." Mi rattristo al ricordo e così lei mi prende la mano dolcemente, in segno di conforto.
"Da allora mi riproposi di smettere con le competizioni, volevo solo suonare ed essere felice, proprio come lo ero da bambina. Poi cambiai scuola e tutto mutò ancora."
"Che cosa successe?"
"Conobbi il padre di Violet." La informo, riferendomi a Matt.
"Vedi Marie, tutto questo per dirti che non ho paura di suonare, ma di perdere il controllo." Completo il mio racconto mentre lei annuisce consapevole.
"Mi dispiace di aver insistito tanto." Si scusa, mordendosi il labbro con urgenza.
"No, hai fatto bene. Perché adesso ho capito che non serve a nulla rifugiarsi nel passato per non vivere il presente.
Suonerò ancora, ma questa volta lo farò per me, perchè mi rende felice e non per soddisfare le aspettative altrui."
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