11- The first day
7 Settembre 2023
Elizabeth's P.O.V
"Dai Violet, è il momento di andare." Esclamo esausta alla mia bambina che da stamattina non fa altro che rimirarsi allo specchio, sistemandosi il grembiulino sul suo corpicino minuto.
Infondo la capisco.
Ricordo ancora l'ansia, la paura e la felicità di incontrare per la prima volta dei nuovi compagni di classe.
Il doversi mettere in gioco, non sapendo cosa potrebbe accadere.
"Ma mamma, non sono ancora pronta."
"Si che lo sei." Dico prendendole la manina e costringendola di forza ad allontanarsi da quella stanza.
"Ma ho fame mamma."
"Hai mangiato dieci minuti fa, non puoi avere fame." Mi lamento, ben sapendo che in realtà è possibile con lei.
"Perderemo l'autobus se continui così." La rimprovero e lei mi guarda con occhi lucidi.
"Falle mangiare tutto quello che vuole, ci penserà Alfred ad accompagnarci." Ci dice Matthew venendo verso di noi, stiracchiandosi. Ha le occhiaie, il viso stanco e la voce più bassa del solito. Probabilmente non deve aver chiuso occhio stanotte in ospedale.
"Vieni anche tu?" Dico, sinceramente sorpresa.
"Sei stata tu a chidermi di venire." Dice come se questa fosse una risposta sufficiente.
Perché si, sono stata io a chiedergli di venire, ma non pensavo che avrebbe accettato.
Pensavo che avrebbe reclinato questo invito come tutti i precedenti.
E non posso fare altro che sorridere di fronte a questo cambio di programma.
Violet sorride trionfante di aver guadagnato altro tempo, scendendo con me e Matthew al suo seguito in cucina.
"Vuoi che ti faccia un pò di caffè? Non ti reggi in piedi." Lo prendo in giro intanto che lui mi fa il dito medio.
"No grazie. Anche in queste condizioni sarei in grado di prepararne uno migliore del tuo." Ribatte a tono.
"Ma finiscila. Non ci vuole un'abilità per preparare un pò di caffè."
"E già queste parole dimostrano di per sè quanto ti sbagli." Dice e in tutta risposta prende la caffettiera iniziando a riempire la caldaia di acqua, per poi sistemare con cura estrema il caffè macinato.
"Posso avere anche io il caffè?" Chiede Violet curiosa mentre io scuoto la testa.
"È il cibo dei grandi. Ai bambini fa male." Le dico prendendole dal freego un pò di estathè alla pesca, che so che adora.
"Tieni, questo è un vero caffè." dice porgendomene una tazza e io lo guardo, forse ancora più stupita di prima.
"I tuoi pazienti non dovrebbero farti dormire più spesso se questo è il risultato."
"E chi ti dice che non sia stata una strutturata a non farmi dormire?" Mi domanda sornione mentre un'ondata di gelosia involontaria mi pervade.
"Non credo. Non sei così moralmente sporco per fare una cosa del genere."
"E questa è una certezza o una speranza?"
Una speranza.
"Una certezza." Gli dico guardandolo negli occhi con sicurezza.
"In ogni caso non mi interessa. Puoi perdere il tuo tempo con chi vuoi." Continuo, ricordando tutte le volte in cui i ruoli sono stati opposti.
"Non ti agitare tanto principessa. Forse farti bere il caffè a quest'ora non è stata una mossa tanto furba." Riflette mentre io lo incenerisco con lo sguardo.
"Andiamo prima di fare troppo tardi."
E prima che possa essere arrestata per omicidio. Si, decisamente il caffè non mi fa bene.
🥀🥀🥀🥀
Guardo con meraviglia l'enorme palestra di fronte a noi, dove sono presenti giochi di ogni tipo e dove sono ora raccolti tutti i bambini per l'accoglienza di inizio anno, felice che Violet sia iscritta in una scuola del genere e non in una di quelle del bronx. Per quanto odi ammetterlo, devo dare ragione a Matt, non accettando il suo aiuto avrei precluso alla mia bambina un'opportunità del genere.
"Ci sono tanti bambini." Dice Violet guardandosi intorno spaventata.
"Farete tanti giochi insieme. Proprio come fai con noi." Le dico intanto che lei scuote la testa.
"E se i bambini fanno i cattivi?" Ci chiede iniziando a piangere.
"I bambini non fanno i cattivi." La rassicuro, ma con scarsi risultati.
"Si. I bambini sono cattivi." Dice guardandosi la piccola cicatrice, ora meno evidente sul braccio, spezzandomi il cuore. La guardo senza riuscire più a parlare.
"Se i bambini fanno i cattivi ci pensiamo noi grandi a dargli una lezione." Dice Matt al posto mio, scompigliandole i capelli. Tuttavia lei non sembra ancora tanto convinta.
"Ma se i bambini fanno i cattivi posso chiamare la mamma?" Gli chiede poi, puntando i suoi grandi occhi azzurri nei suoi. Lui le sorride.
"Certo che puoi." Le dice nel frattempo che io annuisco, per rassicurarla ulteriormente.
"Ho paura." Continua imperterrita, cominciando a piangere. Matt la guarda, preso forse alla sprovvista per la prima volta in vita sua.
"Ma non devi averne, non succederà nulla." Sono io questa volta a parlare.
"Facciamo così. Se fai la brava e vai con la maestra e gli altri bambini a giocare, oggi pomeriggio andiamo dove vuoi tu." Le prometto. Lei mi guarda, grattandosi la testa indecisa sul da farsi, per poi tornare a guardare curiosa Matt.
"Vieni anche tu?" Gli chiede poi, rivolgendosi a lui con voce molto piu dolce del solito. Che bambina astuta.
"Si, vengo anche io." Le risponde Matt non potendo dire di no ad una simile richiesta.
"E ora vai." La incito per poi abbracciarla. Lei si avvicina timidamente alla maestra che le sorride calorosamente e agli altri bambini, tutti forse incuriositi e spaventati tanto quanto lei.
La osserviamo un altro pò in quella palestra prendere posto vicino a loro, fino a quando non si allontanano verso le varie classi.
"Grazie per oggi, davvero." Gli sussurro sincera, una volta usciti dalla palestra.
"Non dovresti ringraziarmi. Non credo di star facendo la cosa giusta." Mi dice mantenendo un tono neutro.
"Perché?"
"Credo che le farò più male che bene standole vicino." Ammette e per la prima volta riesco a vedere un briciolo di emozione in quello sguardo, una malinconia forse da togliere il respiro.
"Io credo che tu sia molto bravo a sottovalutarti a volte. Perché per una volta non credi che le cose andranno bene?" Gli propongo speranzosa.
"Come vuoi tu." Mi risponde solamente, continuando a seguirmi.
"Senti, per quanto riguarda dopo, non sei costretto a venire con noi. Sarai stanco." Gli propongo anche se in realtà vorrei davvero che restasse. Non voglio però che si senta costretto.
"Questo lo so, ma verrò." Mi risponde stupendomi per la seconda volta nella stessa giornata. E vorrei davvero solo essere contenta del suo cambio di atteggiamento in così poco tempo, ma non riesco a non pensare che potrebbe essere tutta l'ennesima fregatura.
"Perché tutto ad tratto sembra importarti?" Gli espongo i miei dubbi, fermandomi di colpo in mezzo alla strada.
"Perché nonostante tu avessi tutte le ragioni del mondo per essere arrabbiata con me quel giorno, mi sei stata vicino. Credo di dover ricambiare il favore. Ci proverò Elizabeth." Mi dice, la sicurezza nello sguardo che mi riempe gli occhi di commozione.
"Ma ho bisogno di altro caffè." Mi dice per smorzare la tensione, stropicciandosi gli occhi stanchi.
"È un invito a prendere un caffè con me?" Lo prendo in giro.
"Sentiti onorata che te l'abbia proposto. Devo essere davvero disperato." Continua a prendermi in giro, mentre io sbatto i piedi per terra come una bambina.
"Sei troppo buffa quando fai così." Dice piegandosi in due dalle risate.
"Prenditelo da solo il caffè." Gli dico allontanandomi a grandi passi da lui.
"Come siamo permalose, principessa." Continua a prendermi in giro, seguendomi.
"Smettila di chiamarmi principessa." Gli urlo ad un centimetro dal viso, esasperata da quello stupido soprannome, provocandogli ancora più risate.
"E va bene, la smetto." Mi dice alzando le braccia in alto, in segno di resa, probabilmente stanco di seguirmi.
"Ma scelgo io dove prendere questo benedetto caffè." Mi dice chiamando poi Alfred per venirci a prendere.
"E perché mai?"
"Perché con i tuoi gusti di merda saresti in grado di avvelenarmi." Mi prende nuovamente in giro, guadagnandosi un'altra occhiataccia da parte mia.
"Io davvero ti uccido." Gli dico a quel punto venendo verso di lui come una furia. Il nostro battibeccare viene interrotto dal ronfo di un motore proprio dietro di noi.
"Un giorno, quando avrò la patente, me la farai guidare?" Gli chiedo speranzosa guardando la solita ford fiesta rossa avivicinarsi a noi. Lui mi fulmina con lo sguardo.
"Neanche nella prossima vita." Mi risponde serio.
"Guastafeste." Metto il broncio per il suo atteggiamento costantemente burbero. Ho sempre sognato avere la patente e saper guidare una macchina.
"Buongiorno Alfred." Saluta Matt cordialmente, avvicinandosi al finestrino. L'uomo all'incirca di mezza età, con i capelli brizzolati e lo sguardo allegro, ci fissa curioso.
"Buongiorno signorino."
"Quante volte ti ho chiesto di non chiamarmi così?" Si lamenta Matthew mentre io trattengo a stento le risate.
"Sta zitta." Mi intima Matthew nello stesso momento in cui con le labbra mimo la parola 'signorino' diverita, aprendo poi la portiera dell'auto dal lato dei passeggeri.
Matthew si sporge in macchina per indicare la destinazione da raggiungere, ma io lo fermo con il braccio.
"Se ti chiedessi per una sola volta di fidarti di me?" Gli chiedo, cercando di convincerlo.
"E perché mai dovrei farlo?" Controbatte, ma riesco a scorgere la curiosità nei suoi occhi. Si sta chiedendo che cosa voglia fare. E in verità non lo so bene neanche io.
"Io lo sto facendo con te." Ribatto indispettita.
"Non dovresti farlo infatti. Sei ingenua." Ammette tremendamente serio.
"Però facciamo che per una volta mi fido." Mi dice e il mio sorriso si allarga visibilmente.
Cerco di non far trapelare alcuna emozione mentre la macchina sfreccia davanti a tutti i posti che hanno fatto parte della mia vita per tutta la mia infanzia.
Probabilmente questa cosa farà più male a me che a lui, ma ho bisogno che capisca, forse solo così potrò fargli capire davvero quanto è importante per me quello che sta facendo.
"Dove siamo?" Mi chiede Matt, una volta usciti dalla macchina, guardandosi intorno.
"Questa è Inwood. Che te ne pare?" Gli chiedo guardandomi intorno insieme a lui mentre una profonda malinconia mi attanaglia lo stomaco. È cambiata così tanto in questi anni.
Alcune delle villette storiche del quartiere sono state rimodernizzate per adattarsi alle altre già presenti.
I vecchi localini tipici della città sono stati demoliti e sostituiti da discoteche e bar e molta della vegetazione che tanto ammiravo è stata abbattuta, solo per far spazio a nuovi palazzi.
Cerco di non far trapelare il nervosismo nell'apprendere dei cambiamenti, continuando comunque a vagare senza una meta ben precisa.
"Perché siamo qui?" Mi chiede Matt riscuotendomi dai miei pensieri.
"Perché voglio mostrarti una cosa." Gli dico facendo cenno di seguirmi. Continuo cosi a camminare fino ad arrivare al cancello immenso che porta a quella che un tempo era casa mia. La casa si erige sontuosa ai nostri occhi, perfettamente tinteggiata nei colori del bordeaux e del grigio. La scalinata di ingresso, curva e maestosa conduce all'enorme portone di ingresso.
Allungandomi, riesco ad intravedere la fontana che mi divertivo ad ammirare d'estate e l'immenso giardino perfettamente tirato a lucido, sicuramente dai giardinieri.
"Ecco vedi, questa è la casa dei miei genitori." Gli spiego sussurrando e cercando di farmi notare il meno possibile.
Non sono ancora pronta per rivederli. Non reggerei il confronto.
"Non è cambiata di una virgola." Sussurro forse più a me stessa che a lui, sotto il suo sguardo attento che aspetta pazientemente che io continui a parlare.
"Da piccola, quando nevicava, mio padre mi portava in un posto che diceva fosse speciale, tutto nostro. Era un posticino tranquillo, tra le sponde del fiume Hudson che le temperature fredde di Dicembre e la neve che attecchiva al suolo, rendevano caratteristico." Racconto sedendomi sul marciapiede poco distante quella casa, la mia casa e indicandogli con lo sguardo un posto ora completamente nascosto dalla fitta vegetazione. Matt alza lo sguardo con me verso quella direzione, confuso.
"Per lui ero la principessa della neve, un pò come Elsa, perché senza paura di congelarmi le mani, anche senza guanti, giocavo con la neve. Era una specie di magia per me. E ci volevano ore per farmi uscire da lì perché non ne avevo mai abbastanza."
"Ma se tu odi il freddo." Constata, ricordando probabilmente tutti i momenti in cui arrivavo a scuola incappottata completamente dalla testa ai piedi.
"Si beh, da adolescente." Sono costretta a dargli ragione.
"Ma da bambina non ero affatto così." Sorrido malinconica al ricordo.
"Mio padre si metteva poco più lontano da me e mi osservava con la coda dell'occhio e intanto dipingeva, ed era davvero bravo, credo che Violet abbia preso da lui la passione per l'arte. A volte stava fuori per intere giornate, mia madre pensava che avesse un amante, ma un giorno lui mi confessò che era sempre alla ricerca di posti nuovi per poter immortalare in un singolo istante tutta la bellezza del mondo." Riprendo il mio discorso imperterrita.
Mio padre mi manca.
La mia famiglia mi manca.
Vorrei che fosse qui con me, che mi avesse sostenuto quando gli avevo detto di voler tenere il bambino, che mi avesse stretto in un abbraccio e mi avesse detto che andava tutto bene, che c'erano loro con me.
"Io non capisco proprio dove vuoi arrivare." Dichiara confuso, ma io lo fermo con la mano, continuando a parlare.
"Vedi Matt, non li vedo da sette anni e sono queste le cose che davvero mi mancano, momenti speciali che condividevamo solo io e lui. Piccole cose che rimangono scolpite nella mia mente nonostante tutto il dolore." Gli spiego, cercando di arrivare al punto e guardando fissa la casa, ora vuota, dinanzi a me.
"E a volte non ti capita di pensare che sarebbe stato meglio non amarli affatto che convivere con questo dolore?" Mi domanda, guardando i miei occhi tristi.
"No Matt, perché è più facile vivere con il rimorso che con il rimpianto.
Tu prima hai detto che avresti fatto del male a Violet standole vicino, ma a mio parere niente le potrá mai fare cosi tanto del male come la tua assenza. Non avrà ricordi a cui aggrapparsi e passerà il resto della sua vita a chiedersi cosa ha sbagliato e cosa avrebbe potuto fare per cambiare le cose, e sarà questo a distruggerla davvero. Distruggerà entrambi." Gli spiego poggiando la mia mano sulla sua, mentre un cipiglio serio si fa largo sul suo volto.
"Perché non vai da loro?" Mi chiede poi, non interrompendo quel dolce contatto tra di noi.
"Perché non è il momento giusto ora.
Quando mi hanno cacciata di casa hanno cominciato ad urlare che me ne sarei pentita, che sarei finita sola e senza un soldo in tasca e che sarei tornata strisciando da loro. E tornando a casa ora dimostrerei solo quanto abbiano avuto ragione fin dall'inizio. Credo di dovergli dimostrare quanto sia in grado di farcela anche da sola." Gli espongo decisa.
Lui mi guarda contrariato, le sue labbra si curvano in un sorriso forzato prima di cominciare a stringere la mia mano. Sussulto per quel contatto tanto improvviso, ma per fortuna lui sembra non accorgersene.
"Ce la stai già facendo." Mi dice riempendomi il cuore di commozione.
"E comunque non devi dimostrare niente a nessuno. Smettila di preoccuparti di quello che pensano gli altri e per una volta pensa a vivere. Potresti non avere una seconda possibilità." Aggiunge, sussurrando le ultime parole e lasciandomi con un terribile vuoto alla bocca dello stomaco. Perché sembra così scoraggiato in questo momento da farmi quasi dimenticare di tutto il resto. Annuisco soltanto, attonita dalla forza di quello sguardo.
"E ora andiamo a prendere questo caffè prima che tu stramazzi al suolo." Gli propongo, alzandomi da quel marciapiede e cercando di smorzare la tensione, che sembra essersi tutto d'un tratto creata tra di noi.
🥀🥀🥀🥀
"Ci sono gli squali." Dice Violet, la voce stridula per l'emozione, mentre noi non possiamo trattenere una risata divertita di fronte a tale gioia. A giudicare dal suo sguardo, sembra essere andato tutto bene.
Alla fine, come promesso, siamo venuti sia io che Matt a prenderla fuori scuola e, dopo varie indecisioni, alla fine ha optato per l'acquario di Coney island.
"Che belli." Le dico, guardandoli a stento.
"Ma se ti fanno paura." Mi punzecchia Matt compiaciuto mentre io alzo gli occhi al cielo, esasperata dal suo continuo ribattere.
"A te piacciono?" Chiede poi a Matthew.
"Io li adoro."
"Ovviamente." Ribatto sottovoce sarcastica. Lui ignora la mia provocazione.
"Devi sapere in realtà che non tutte le specie di squali sono pericolose come crede la tua mamma." La istruisce. Poi guarda in alto, verso gli squali, indicandogliene uno.
"Guarda, quello proprio sopra di noi è lo squalo nutrice. Per quanto possa sembrare grande e grosso, in realtà é assolutamente innocuo e si nutre solo di piccoli pesci." Continua intanto che lei lo guarda sempre più interessata.
"E quello invece che squalo è?" Le chiede correndo verso la parte opposta dell'acquario.
"Oh, quello è inconfondibile, guarda come è fatto il suo corpo." Dice indicadogli le varie strisce bianche e nere che si susseguono.
"È uno squalo zebra." Continua guardandolo ammirato con noi.
"E anche questo tipo di squalo è inoffensivo."
"Come è grande." Dice allungando la e finale e guardandolo ancora più attentamente.
"Come fai a sapere così tante cose?" Gli chiedo a questo punto, curiosa. Non può davvero essersele inventate. Lui continua a camminare osservando le varie specie di squali, seriamente interessato.
"Mio nonno era un sub. Ha praticamente passato metà della sua vita nei fondali marini. Un paio di volte mi sono immerso con lui." Mi risponde infine dopo un pò.
"E...era?" Gli chiedo, sperando di non essere stata indiscreta.
"Non è morto, ma è andato in pensione un paio di anni fa, non aveva più l'età per immergersi in modo sicuro. Conoscendolo odierà restare a casa senza far nulla. Il mare è sempre stata la sua grande passione." Dichiaea, continuando a guardare quell'acquario e fingendo indifferenza.
"Da quanto tempo non vi vedete?"
"Quasi 10 anni. Ma chi li conta più ormai." Risponde, sarcastico come sempre.
"Dovresti andarlo a trovare qualche volta. Si vede che ti manca."
"In California?"
"Si, anche in Antartide se necessario."
"Non è così facile." Mi risponde, il rammarico nella sua voce.
"Che grande ipocrita che sei. Prima mi sproni ad andare a trovare i miei genitori e poi tu non sei disposto a fare lo stesso? Come è che hai detto? Potrei non avere una seconda possibilità, eh?"
"Non mi parlare così." Si irrigidisce.
"E poi ho i miei buoni motivi per non farlo."
"Che sarebbero?"
"Non sono disposta a parlarne con te." Mi dice superandomi e continuando a giocare con Violet come se nulla fosse.
Credo davvero che non sarò mai in grado di capirlo fino in fondo.
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