10- Your secret place
5 Settembre 2023
Elizabeth's P.O.V
Dicono che la strada per l'inferno sia lastricata di buone intenzioni.
E forse è vero.
Forse è davvero facile commettere errori credendo di fare la cosa giusta, perdere la retta via e non essere più in grado di tornarvi.
È quello che penso guardando quelle scale del seminterrato per la millesima volta in questa settimana.
Da quella cena Matthew non ha fatto altro che essere più scostante del solito. E non capisco proprio il perché.
Pensavo ci fossimo avvicinati, eppure con lui a ogni passo avanti ne corrispondono altrettanti indietro.
Ha passato intere giornate rinchiuso in questo seminterrato non permettendoci di avvicinarlo. Ci ha vietato l'ingresso e questo non ha fatto altro che stuzzicare maggiormente la mia curiosità.
E ora lui non c'è.
E io sono qui, a fissare queste scale chiedendomi se davvero dovrei entrare, fregandomene delle sue volontà.
Decido di rischiare. Uscirò prima che lui possa accorgersene.
Scendo uno scalino, in punta di piedi, seguito poi da un altro e un altro ancora. Sono davanti alla porta, ma è chiusa a chiave. Impreco ma decido di non darmi per vinta. Ci dovrà pur essere un doppione da qualche parte in questa casa. Ma c'è solo un posto dove posso trovarlo. Camera sua.
Forse questo è un segno del destino, dovrei lasciare perdere, ma non ho ancora intenzione di farlo.
Entro così in camera sua, e inizio a cercare dappertutto. Nei comodini, sulla scrivania, ma nulla. Sto per rinunciarvi, quando il mio sguardo ricade sul suo letto, completamente sfatto. Quasi come se avessi avuto un'illuminazione, alzo uno dei cuscini, con trepidazione, ma senza ottenere il risultato sperato.
Non ancora del tutto decisa a rinunciare, decido di alzare anche l'altro cuscino, per sicurezza.
Ed è lì che finalmente la vedo.
Guardo quella piccola chiave metallica con un nodo alla gola. Spero che questa sia la risposta che cerco.
Rimango quindi stupita, quando mi accorgo che quella stanza, che sarebbe dovuta essere la risposta a tutte le mie domande, si presenta come un normale magazzino.
Mi guardo intorno alla ricerca di qualcosa che giustifichi tale mistero. Ci sono una serie di oggetti sparsi alla rinfusa, senza un vero senso logico.
Al centro della stanza un grande sacco da boxe, dall'aspetto vissuto, rovinato in più punti.
Lo osservo domandandomi solo ora se Matthew possa praticare qualche tipo di attività sportiva. Certo, qualche volta mi è capitato di vederlo con piccoli lividi ed ematomi, ma nulla di così tanto importante.
Vorrei chiedergli di più, ma dubito che riuscirò mai ad avere una conversazione normale con lui.
Poco più avanti, nascosta da tutti quegli oggetti, c'è una macchina di quello che deve essere un vecchio modello di Ford, a giudicare dalla targa. Tuttavia sembra completamente tirata a nuovo, in tutte le sue parti, nonostante la coltre di polvere che l'avvolge. La soffio via con il fiato per riuscire a vedere meglio gli interni, anche essi perfettamente conservati. La guardo incuriosita.
Mi chiedo cosa se ne faccia Matt di una macchina del genere se non guidi praticamente mai.
Continuo a guardarmi intorno. Questa volta ad attirare la mia attenzione è un bellissimo violino guarnieri del Gesù, dal colore ambrato.
Guardo quel violino abbandonato a se stesso, insieme ad un ammasso di libri sparsi in giro e non posso fare a meno di avvicinarmi, come attratta.
C'è qualcosa in questo strumento. Una luce, una vitalità che sopravvive anche alla polvere di questo posto oscuro.
Forse è solo la mia mente a giocarmi brutti scherzi.
Non suono un violino da così tanto tempo. E mi manca così tanto.
Ne tocco le corde piene di polvere, con delicatezza, come se lo strumento potesse sparire da un momento all'altro.
Premo con maggiore vigore su di esse, per produrre un suono.
Il suono non è armonico, lo strumento appare scordato, ma funziona ancora.
Inizio ad ascoltare le note provenienti da ogni singola corda con l'intento di accordarlo, e in quel momento il suo sguardo mi brucia la pelle.
✨️✨️✨️✨️
È un attimo e i ricordi tornano a farsi vividi, con violenza, penetrando nella mia mente, fino alla profondità della mia anima.
Sono di nuovo lì, in quell'aula di musica. Ne guardo ancora le pareti e gli strumenti in dotazione della scuola. Suono con estrema accortezza, stando attenta a non sbagliare neanche una nota. Mi rivedo con malinconia in quella ragazza e nella sua innocenza.
"Chi sei tu?" Mi chiese una voce. Alzai lo sguardo. Due paia di occhi blu mi incantarono, gli stessi occhi blu che sono ancora in grado di farmi lo stesso effetto a distanza di anni.
Era bello anche allora, con i suoi ricci costantemente disordinati e il viso giovane, senza il minimo accenno di barba.
"Mh...sono nuova. Piacere Elizabeth." Gli dissi riscuotendomi in fretta e porgendogli la mano che però lui non afferrò.
"E così suoni." Fu una pura constatazione la sua, così mi limitai ad annuire.
"Si, anche tu?" Gli chiesi per essere gentile. Infondo ero nuova, mi ero trasferita in questa scuola a metà dell'ultimo anno e non avevo amici. Dopo tutto quello che mi era accaduto, ero convinta che un amico in più non avrebbe guastato.
"No, io no."
"Non è un bel posto per suonare questo." Mi disse soltanto guardandosi intorno.
"E perché mai?" Gli chiesi sinceramente curiosa.
"Diciamo soltanto che la gente di questo posto sa che non deve occupare quest'aula. Ci sono 5 aule di musica in questa scuola. Và da qualche altra parte." Mi disse, il tono di voce asciutto, gli occhi di ghiaccio.
E per quanto ne fossi attratta, non potei che storcere il naso di fronte a una tale richiesta.
"È una minaccia questa?" Gli chiesi incrociando le braccia al petto.
"È un consiglio." Disse storcendo le labbra un un ghigno.
"E se non volessi seguirlo?" Continuai imperterrita.
"Potresti soffrirne." Continuò facendo un passo verso di me. I suoi occhi torreggiavano sui miei.
"Questo lo vedremo." Cercai di reggere il confronto.
"Non mi hai ancora detto come ti chiami." Lui ci riflettè su qualche secondo in più del dovuto prima di rispondere
"Sono Matthew." Disse infine, porgendomi la mano che prontamente afferrai.
Non potevo sapere che avrebbe avuto ragione allora.
Che avrei sofferto a causa di quella decisione.
Ma anche che avrei amato, avrei vissuto.
Quello fu il giorno in cui tutto cambiò, ancora.
"Ti hanno mai detto di non toccare gli oggetti che non ti appartengono?" Mi dice venendo verso di me. Istintivamente ripongo il violino nella custodia, nell'esatto punto in cui era posizionato poco prima.
"Scusa, non era mia intenzione." Gli dico, in soggezione dal suo sguardo accusatorio. Ha tutte le ragioni del mondo questa volta per essere arrabbiato.
Sono entrata senza permesso dove non sarei dovuta entrare, iniziando a toccare cose che non avrei dovuto toccare. Probabilmente sarei arrabbiata anche io.
"Già, non lo è mai. Ma chissà come mai non riesci mai a farti i cazzi tuoi. Devi sempre mettere le mani dove non ti riguarda, ficcanasando tra le mie cose. Chi cazzo ti credi di essere?" Inizia a urlare.
"Non iniziare ad urlare con me." Mi difendo.
"E tu rispetta la mia privacy. Se io ti chiedo di non entrare in un posto si da il caso che tu non ci debba entrare o ti riesce così tanto difficile da capire?" Dice forse urlando ancora più forte. Odio le persone che urlano per cercare di far prevaricare le loro idee.
"Forse se non fossi così scostante lo farei, ma tu non mi lasci altra scelta."
"La scelta che ti sto chiedendo di rispettare è di lasciarmi in pace. Siamo solo coinquilini costretti a vivere insieme per mia grande sfortuna, ma nulla di più. Perciò sta lontano da me e dalle mie cose." Mi chiede mentre io cerco di non fargli vedere quanto le sue parole mi abbiamo ferita.
Ecco cosa siamo. Solo coinquilini, avrei dovuto immaginarlo.
A uno come lui non importa di noi. Non so perché ci abbia creduto tanto.
"Ok Matt, hai vinto. Ti lascio in pace." Gli dico cercando di non guardare nella sua direzione e lasciando in fretta la stanza.
Decido di andare a prendere un bicchiere d'acqua in cucina per cercare di calmarmi.
"Eli, cosa succede?" Mi dice una voce dietro di me. Non gli do retta, ancora troppo scossa per poter parlare con qualcuno.
"Ma stai piangendo?" Continua venendo verso di me. Cerco di asciugarmi in fretta le lacrime, ma ormai già le ha viste. Cam viene in fretta verso di me e le sue braccia forti mi cingono la vita, cullandomi dolcemente.
"Perché lui è così, Cam? Cosa gli abbiamo fatto?" Mi sfogo iniziando a piangere senza sosta. E non vorrei, non vorrei apparire così debole, ma sono così stanca di fingermi forte.
"Niente Eli, niente. Lui è fatto così."
"Allora perché con te non lo è? Perché tu sei qui per lui, giusto? Allora dimmi perché, perché tu si e noi no?" Lo accuso. Lui mi guarda dolcemente, piegando la testa di lato e sorridendomi, per poi asciugarmi una lacrima con il pollice.
"Non c'è un perché. Non puoi costringere qualcuno a volerti bene. E va bene così. A volte bisogna solo accettare che le cose vadano in un certo modo." Mi spiega mentre io scuoto la testa, non riuscendo a darmi pace.
"Ascolta, vogliamo andare su? Stiamo io, te e Violet e giochiamo a qualcosa. Quello che volete voi." Mi dice cercando di consolarmi.
"E Matt?"
"Aspetterà. Non è lui la mia priorità adesso." Mi spiega mentre io lo guardo commossa. Forse non sarà molto, ma apprezzo molto le sue parole adesso.
"Ok." Gli dico tirando su con il naso, per poi prendergli la mano e salire con lui al piano superiore.
"Dove sta la mia piccola peste?" Dice ad alta voce per fare in modo che Violet lo senta. Lei apre la porta, per poi fare la linguaccia a Cam che invece la guarda divertito.
Cam si avvicina a lei che richiude la porta dietro di sé, quasi come se fosse offesa. Pare che abbia preso da me la permalositá.
Rido e per un secondo dimentico le parole di Matt e il suo sguardo. Decido quindi di concentrarmi solo su di loro.
"Dai, scherzavo." Dice aprendo la porta e andando verso di lei.
"Stai ancora dipingendo le pigne trovate al parco?" Dice guardando la stanza piena zeppa di pigne colorate. Ne ha dipinte di tutti i colori, dal rosa, al rosso, all'azzurro. Lei annuisce facendogli vedere la sua ultima creazione fiera. È una pigna colorata nei toni del rosso e del giallo. Sembra quasi uno strano fiore. È senza dubbio, tra tutte quelle che ha dipinto, la più diversa. Cam cerca di fingersi entusiasta della sua creazione per non offenderla mentre io trattengo a stento le risate di fronte alla sua buffa espressione. E mi ritrovo a stupirmi del fatto che non sappia affatto mentire.
"Dipingi con me." Gli chiede mentre lui si gratta la testa imbarazzato.
"Non potremmo fare qualcos'altro che non riguardi i colori?" Le chiede, probabilmente per non rischiare di rovinarsi la maglia, ma lei incrocia le braccia al petto arrabbiata.
"Ho un'idea, che ne dici se giocassimo al gioco della torre alta?" Le chiedo per farle capire che si tratta di jenga. Lei mi guarda, guarda i miliardi di colori sparsi alla rinfusa sulla scrivania e alla fine annuisce.
"Prima però sistema tutti questi colori." Le ordino sotto il suo sguardo contrariato. Odia rimettere in ordine. Se fosse per lei lascerebbe tutti quei colori lì per settimane.
"Sono fortissimo in questo gioco." Dice Cam entusiasta, dopo aver vinto per la terza volta in dieci minuti mentre io e Violet lo guardiamo arrabbiati.
"Direi di qualizzarci contro di lui." Dico a voce alta a Violet che mi batte il cinque furba.
"Andiamo, non si fa così. Bisogna ammettere la sconfitta." Dice lui cercando di convincerci a desistere.
"Questo non accadrà mai." Gli dico prendendo un mattoncino di legno da uno degli slot più in basso sapendo che dopo di me toccherà a Cam.
"Vorrà dire che saranno i fatti a parlare per voi." Ci dice prendendo con estrema delicatezza un altro mattoncino dal basso e riposizionandolo in cima.
Violet lo guarda sconsolata studiando la torre, traballante a ogni singolo movimento.
"Hai scoperto chi sono i bambini che le hanno fatto quello?" Dice sottovoce indicandomi con un cenno il braccio ancora fasciato, approfittando della sua concentrazione sul gioco.
"Vorrei, ma no. Sono andata dalla polizia, ma non mi è stata di grande aiuto. Ho aspettato per ore che mi dessero almeno un indizio, ma nulla.
Sapevo che sarebbe accaduto questo, ma speravo di no. Probabilmente in quella zona ricevono milioni di denunce, non hanno tempo di occuparsi singolarmente di ognuna." Gli spiego e lui annuisce con tristezza.
E avrei voluto che almeno per una volta, la giustizia trionfasse.
Che i colpevoli venissero presi e gli venisse dato loro quello che meritavano.
Per la mia bambina.
Ma in questo mondo imperfetto non sempre esiste giustizia.
"In compenso ci ha fatto visita l'assistente sociale." Cambio in fretta discorso, per evitare di alterarmi maggiormente.
"E come è andata?" Chiede con apprensione.
"Credo bene. Se c'è una cosa che Matt è in grado di fare divinamente, quella è fingere. Per fortuna ha incantato anche lei."
"Eli, solo cerca di non dare troppo peso a qualsiasi cosa ti abbia detto Matt."
"Lo stai difendendo adesso?"
"No, non lo sto facendo, non sarei qui altrimenti. Ma quel posto, quel seminterrato è veramente importante per lui. Per anni non ci sono potuto entrare neanche io, nè nessun altro. "
"È solo che non capisco proprio il perché."
"Non hai mai avuto un posto tutto tuo? Quello è il suo posto." Mi spiega mentre io cerco di calmarmi.
Perché infondo ce l'ho avuto anche io un posto del genere.
Una piccola insenatura del fiume hudson completamente sperduta e lontana dai rumori della città.
Riuscivo solo a sentire il rumore lento e costante del fiume scorrere e quello della mia musica. Solo lì potevo fingere di essere chi volevo. Ed era così perfetto.
"Ok." Mormoro soltanto.
"Dai, me lo fai un sorriso ora?" Mi dice quindi tirando su con le dita le mie guance per simularne uno. Alzo gli occhi al cielo, ma sorrido per il suo modo di fare.
"Vedo che c'è molta intimità fra di voi." Dice una voce dietro di noi, interrompendo bruscamemte il nostro contatto.
"Non è come credi." Dice Cam alzando le mani.
"Non ho nulla da credere, semplicemente non mi interessa."
"Ti chiamavo prima. Dobbiamo andare." Continua serio. Lui mi guarda indeciso sul da farsi, ma io gli faccio cenno di andare.
"Puoi andare. Io starò bene." Gli confermo sorridendogli. Mi ha fatto davvero bene stare con lui, ma non posso trattenerlo oltre.
E poi ho bisogno che Matt vada al più presto via da qui oggi. Meno lo vedo e meglio mi sento.
🥀🥀🥀🥀🥀
Guardo l'orologio che segna ormai le dieci di sera.
Ormai sono ore che Matthew è fuori casa e non è ancora tornato.
Non è mai successo che stesse fuori così tanto senza darmi una spiegazione.
E la cosa mi preoccupa.
Perché, per quanto finga di volerlo lontano dalla mia vita, non so cosa farei se gli succedesse qualcosa.
Dopo altri svariati minuti, finalmente il rumore della serratura mi fa emettere un sospiro di sollievo.
In fretta mi nascondo in cucina, aprendo il freego e fingendo di essere lì per caso.
Dopo pochi secondi, sento i suoi passi vicino a me. Mi giro, cercando di ignorarlo, ma il suo viso tumefatto attira la mia attenzione.
Ha il labbro spaccato, un occhio nero e un grosso ematoma sulla guancia.
"Matthew si può sapere che cosa hai fatto?" Gli chiedo preoccupata, mandando così al diavolo tutti i miei buoni proposti di ignorarlo.
"Questo non è importante." Mi dice schivo e io, con convinzione scuoto la testa.
"Qualsiasi cosa ti riduca il viso così lo è. Dovresti mettere del ghiaccio." Gli dico avvicinandomi a lui e toccando con il dito l'ematoma che si sta già iniziando a formare sulla guancia.
"So farlo anche da solo. Ricordi, sono un medico." Mi chiede ironicamente provoncandomi un sospiro esasperato.
"Ogni tanto fa bene essere aiutati." Gli spiego prendendo dal frigorifero dei cubetti di ghiaccio, per poi avvolgerli in un panno asciutto.
"Io proprio non ti capisco Elizabeth.
Faccio di tutto per tenerti lontana. Quindi perché cazzo sei così gentile con me?" Mi chiede dopo un pò, prendendo dalle mie mani il ghiaccio e posizionandoselo sulla guancia.
"Forse sono solo masochista." Ammetto in un sussurro mettendo le mie mani sulle sue. Le mie mani calde sulle sue mani fredde mi provocano tanti piccoli brividi, come scosse elettriche sulla mia pelle.
"Ma credo che tu sia solo tanto bravo a fingere."
"E se non fosse così? Se fossi solo quello che vedi all'esterno?"
"No Matt. Perché in queste settimane ho imparato ad osservarti da lontano e tu non sei solo quello che vuoi far credere. Perché dici delle cose, ma me ne dimostri delle altre. Ho visto come guardi Violet quando sei sicuro che lei non ti guardi, e poi le hai comprato il gioco, le stai pagando l'istruzione.
Una persona davvero senza cuore non lo farebbe, ma tu si." Gli dico puntando i miei occhi nei suoi, cercando un minimo segno di vacillamento, di incertezza.
"E perché mai dovrei fingere?"
"Questo non lo so, dimmelo tu. Perché ti comporti così Matthew? Che cosa ti è successo?"
"La vita è una gran bastarda, te l'hanno mai detto?"
"Hai intenzione di fare il poeta maledetto adesso?" Gli dico sperando in realtà che si spieghi meglio. Ho bisogno di risposte.
"Diciamo solo che quando ti fidi veramente di qualcuno e poi lui se ne va, finisci per non fidarti più di nessuno." Ammette alla fine.
"Chi ti ha fatto soffrire così tanto?" Gli chiedo allo stremo della curiosità. Lui sembra così assorto nei suoi ricordi.
"Non importa ora." Mi dice, ma so che importa. Gli importa davvero, altrimenti non avrebbe evitato il mio sguardo, tirandosi indietro i capelli.
Ma so che per quanto provi a forzare la mano, non otterrò le risposte che cerco.
"Elizabeth, mi dispiace per oggi. Ho reagito di impulso vedendoti suonare quel violino. Non intendevo essere così brusco con te." Mi dice dopo attimi di silenzio.
"Grazie per la scuse. Le apprezzo tanto. Credo di aver reagito di impulso anche io. Non sarei dovuta entrare in quella cantina e non avrei dovuto toccare quel violino, ma da quando non suono più mi manca." Ammetto alla fine, sospirando sconfitta. Forse non dovrei mettermi a nudo di fronte a lui, ma non posso che essere sincera questa volta.
"Io lo odio. Odio con tutto me stesso quel violino Elizabeth. Ne odio l'aspetto, il profumo, il suono. Ma ho bisogno che resti lì e soprattuto che tu non lo tocchi." Mi spiega e rimango stupita dal fatto che forse per la prima volta si stia confidando con me.
E vorrei chiedergli di più, ma ho paura di rovinare questo momento. Ho paura di allontanarlo da me, ancora, perciò faccio l'unica cosa che so che non lo farà. Gli prendo la sua mano fra le mie e la porto all'altezza del mio cuore.
"Non lo farò Matt. Hai la mia parola. Non toccherò più quel violino." Gli prometto sincera.
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