1- perfect strangers

1 agosto 2023

Elizabeth's P.O.V

Guardo per la milionesima volta in questo massacrante turno di lavoro l'orologio affisso alla parete, sperando forse così che il tempo passi più in fretta.
Sono esausta.

Non ho mai visto il Donovan's Tavern così pieno in vita mia.
Cerco di dimenarmi tra la folla, nella speranza di non far cadere il piatto strapieno di roba da mangiare e superalcolici.
Sarebbe un gran bel guaio altrimenti.

Ho bisogno di questo lavoro.
Non posso permettermi di fallire.

"Tavolo 23, ecco a voi." Dico mostrando il mio sorriso più falso agli uomini di fronte a me. Odio il modo in cui mi fissano il culo ogni volta, reso ancora più evidente da questa sottospecie di uniforme che lascia davvero poco spazio all'immaginazione.

"Bellezza, te l'avevamo chiesto tempo fa." Si lamenta il più vecchio di loro. Che grande bugiardo. Sono qui da neanche dieci minuti.

"Mi scusi, le prometto che non accadrà più." Sto al gioco. Ho capito che in certe situazioni ribattere potrebbe solo farti finire maggiormente nei guai.

"Potresti sempre farti perdonare in un altro modo." Dice leccandosi i baffi, mentre io lo guardo chiaramente infastidita.

"Eli, c'è un ordine per te al tavolo 17." Urla Marie dall'altro lato del negozio prima che io possa spaccargli la faccia e perdere il lavoro.

La guardo visibilmente confusa per il suo strano atteggiamento. Generalmemte è una persona molto timida che non parla molto.
Preferisce restare in disparte persino durante la pausa pranzo, nascondendosi nel suo pranzo a sacco. Avrà intuito la gravità della cosa per esporsi tanto. Dovrò ricordarmi di ringraziarla più tardi.

È una persona bellissima, dai tratti delicati, la pelle lattiginosa, resa ancora più unica dalle sue lentiggini e dalle macchie della vitiligine che si distribuiscono in maniera casuale sul suo viso e sulla sua pelle, come una specie di mosaico unico nel suo genere. I suoi occhi, verdi come gemme preziose emanano grazia, dando maggiore risalto al suo viso angelico e ai suoi capelli, lunghi e rossi.

Vengo distratta dai miei pensieri dal volto arrabbiato del proprietario del locale, che mi guarda con le braccia incrociate e il sopracciglio alzato. Sospiro e guardo ancora l'orologio. Sono passati solo cinque minuti. Sarà una lunga giornata.

                      🥀🥀🥀🥀🥀

Tre lunghe ore più tardi, posso finalmente tirare un sospiro di sollievo. Anche questa giornata è giunta al termine.

Mi guardo allo specchio del nostro spogliatoio e ciò che mi trovo davanti per un attimo mi fa ribrezzo.
Sono un disastro. I miei lunghi capelli ricci e castani raccolti in uno chinon trasandato. Le guance rosse per il caldo della giornata e la maglietta imperlata di sudore. Il mio incarnato tremendamente pallido, nonostante sia piena estate, rende ancora più visibili le mie occhiaie. Avrei dovuto usare un correttore più coprente.
I miei occhi, messi in risalto dalla fioca luce della lampadina del bagno, anche se brillano di un verde intenso, sembrano aver perso di vitalità.
Sospiro frustrata, lavandomi la faccia per cercare di svegliarmi il più possibile.
La giornata è ancora lunga.

Mi cambio, indossando pantaloni lunghi cargo e una maglia bianca semplice.
Non posso dare nell'occhio.
Non in questo quartiere.
Non a quest'ora.

Esco, tenendo la borsa saldamente stretta al corpo, ma cercando di non mostrarti troppo spaventata.
Attirerei solo maggiormente l'attenzione su di me.
Se un paio di anni fa mi avessero detto che sarei finita a vivere a Mott haven, nel bronx, probabilmente avrei riso di gusto, mentre adesso questa è l'ultima opportunità che ci resta.
Comtinuo a camminare, cercando di ignorare la sguardo dei passanti e l'afa della sera.

Dopo svariati minuti, finalmente riesco a tornare a casa. Ad accogliermi Carol, l'anziana babysittet di mia figlia, seguita da Violet che mi corre incontro.

"Allora, come ti sei comportata oggi signorina?" Le dico scompigliandole i capelli biondi.
A volte rimango quasi pietrificata dell'estrema somiglianza di Elizabeth con suo padre.
Ha gli occhi do un blu intenso come lui e il suo stesso nasino all'insù. Dubitarei quasi che fosse mia figlia se non fosse per i suoi lunghi capelli castani.
Lei annuisce, mostrandomi le fossette, poi mi prende la mano tra le sue, portandomi nella sua stanza e mostrandomi il suo nuovo disegno.

Violet è una bambina molto sensibile, non parla molto e preferisce esternare le sue emozioni disegnandole.
In tutti quei anni ho sempre cercato di proteggerla da questo quartiere, dal mondo che ci circondava la fuori, dalla cattiveria, dall'assenza.

Meriterebbe di meglio di quello che ho da offrirle.

"È davvero bellissimo." Le dico orgogliosa, guardando il ritratto di noi due abbracciate davanti a un paesaggio mozzafiato.
Ammiro il fatto che lei riesca sempre a trovare il lato positivo nei suoi quadri, io ultimamente non ci riesco più.

Prima di mettermi a letto, esausta per la giornata appena trascorsa, vado in cucina preparando qualcosa da mangiare per Violet.
Dopo un'ora di cottura, finalmente la pizza è pronta per essere mangiata.
La guardo, sembra buona.
La annuso, ha un buon sapore
L'assaggio, l'impasto è ottimo.
Ma mi fermo lì.
Non faccio un altro morso, non vado avanti. Non ho abbastanza fame.

Cerco di distogliere lo sguardo dell'intonaco rovinato o dalle pareti ricoperte di crepe e chiazze di muffa, ma il mio occhio ricade subito sul pavimento danneggiato dell'usura, quasi a volersi sbeffeggiare di me, di noi.
Mi avvicino alla finestra con l'intento di prendere un pò d'aria, ma il vetro crepato attira subito la mia attenzione.

È per Violet che sopporto tutto questo.
Esclusivamente per lei.
Quest'anno andrà alle elementari e non ho alcune intenzione di farla andare in una scuola del bronx.
Non importa quanto mi costerà a quanti sacrifici dovrò fare.
Non ho alcuna intenzione di mollare. Prendo il telefono fra le mani.
Il numero di Matt è ancora fra la lista dei contatti telefonici.
Scorro con le dita fino a trovarlo e fisso quelle dieci cifre, aspettando qualcosa, una specie di segno forse, ma non arriva nulla.
So che dovrei chiamarlo, ma la paura del rifiuto a volte può essere più convincente delle migliori speranze.

Il suono della sua fragorosa risata risuona ancora nella mia mente e anima i miei incubi peggiori. Il giorno un cui l'ho chiamato mi sarei aspettata qualsiasi reazione da parte sua, Urla, strepitii, rabbia, ma quella risata ha avuto il potere di spezzarmi il cuore.
Il tono con cui mi ha chiesto se fossi sicura della sua paternità ne ha fatto a brandelli ogni singola maceria e il tono strafottente con cui ha chiesto di abortire mi ha tolto ogni dubbio.
Non l'avrei mai dovuto far entrare nella mia vita.
A volte vorrei tanto che si fosse assunto le sue responsabilità, non per me, ma perché Violet si merita di avere un padre e non un ragazzino fuggito alla prime difficoltà.
Ma so che non sarà mai così.
E fissare il suo numero non cambierà le cose miracolosamente.

Potrei sempre chiamare i miei genitori.
Ma in cuor mio so che non mi aiuterebbero.
Non sono stati dei cattivi genitori.
Ma preservare il loro nome è sempre stata la loro priorità.

Alla fine decido di Raggiungere Violet in camera sua, intenta a guardare i cartoni animati. Mi unisco a lei, abbracciandola da dietro. Le scompiglio le trecce, mentre lei piagnucola.

"Si è fatto tardi. È ora di andare a dormire." Le dico cercando di sembrare autoritaria, mentre lei incrocia le braccia al petto.

"Ma io voglio vedere i cartoni." Dice facendomi gli occhioni dolci.
Dannazione.

"Li guarderai domani." Non demordo.

"Li guarderai anche tu con me?" Chiede speranzosa mentre io scuoto la testa.

"No amore, domani la mamma deve lavorare." Dico mentre lei mette il broncio.

"Sei cattiva. Tu non ci sei mai." Dice e i suoi occhi si fanno lucidi.
Lo so amore, lo so.

"Ti prometto che la prossima settimana la tua mamma starà con te tutto il tempo che vorrai." Cerco di convincerla.

"Me lo prometti?" Mi chiede speranzosa.

"Giurin giurello." Le porgo il mignolino che lei subito accetta. Le sorrido cercando di nascondere il vuoto alla bocca dello stomaco. Non so se sarò in grado di tenere fede a questa promessa e questo mi spezza il cuore.
Vado a dormire con la stessa costante sensazione alla bocca dello stomaco e con una nuova promessa. Domani farò meglio di oggi.

                       🥀🥀🥀🥀🥀

2 Agosto 2023

La mattina seguente vengo svegliata dal trillio incessante della mia sveglia. Mi copro le orecchie con le mani. Se potessi abolire dalla mia vita la sveglia mattutina.
Amo dormire, seppellire per qualche ora i miei problemi e sostituirli con i sogni più bizzarri.
Emetto un mugulio disperato. La mia testa pulsa come se 100 elefanti ci stessero ballando sopra la macarena, tuttavia a malincuore decido di alzarmi lo stesso, sperando che questa orrenda sensazione passi in fretta.
Vado in camera di Violet lasciandole un amorevole bacio sulla fronte. Non voglio svegliarla.

Aspetto Carol sulla soglia della porta di casa, tenendomi il volto tra le mani. Quando arriverò al locale prenderò un antidolorifico. Alla fine, dopo aver salutato la donna, mi allontano a passi incerti dall'abitazione.
Tuttavia, non riesco neanche a fare qualche passo prima che un dolore sordo mi attanagli le viscere;

                        🥀🥀🥀🥀

Un dolore asettico e pungente mi invade le narici. Mugulo di disgusto, cercando di coprirmi le narici con la mano per attutirne l'odore.

"Si è svegliata signorina Lancaster." Mi dice una donna in tono amichevole.

Apro gli occhi, cercando di riconoscere la sua figura, ed è solo in questo momento che mi accorgo dell'uniforme medica. Mi guardo intorno. Di fronte a me solo una grande stanza dalle pareti completamente bianche e una piccola finestra al lato opposto del letto.
Mi guardo il corpo. Sono sdraiata su un letto, le braccia completamente distese, una di queste attaccata a una flebo. Sono costretta a strizzare più volte gli occhi per capire a fondo la situazione. Sono in un ospedale. Almeno credo.

"Le vado a chiamare il dottore." Dice la donna dileguandosi e non dandomi modo di porle alcun tipo di domanda.

Pochi minuti dopo, un uomo sulla quarantina compare dinanzi a me, seguito da quelli che devono essere i suoi specializzandi, suppongo.

Non ho neanche il tempo di osservarli per bene che il suo sguardo mi brucia la pelle. Ed è solo allora che alzo lo sguardo su di lui.
Di scatto mi tiro su a sedere, come a volermi accertare che tutto questo sia reale. Adesso riesco a vedere anche il camice bianco che gli fascia perfettamente l'addome.
Lui è davvero qui, in carne ed ossa. Risalgo con lo sguardo sul suo viso, cercando di non mostrargli quanto la sua presenza riesca a scombussolarmi.
Siamo occhi contro occhi adesso.

Ed è strano come le vite di due persone possano ricongiungersi in modo tanto casuale, mistico forse.
Il battito d'ali di una farfalla e di incanto sei di nuovo lì, a combattere contro i tuoi demoni. E contro il dolore.

Mi perdo un attimo a disegnare la curva perfetta del suo viso angelico con la mia mente.
Gli zigomi alti che danno al suo volto un aspetto scolpito, le sue labbra, rosee, piene, carnose ed incredibilmente soffici, come nuvole. Il nasino all'insù che gli incornicia perfettamente il viso e quegli occhi.
I suoi occhi. Profondi zaffiri, brillano di un blu intenso, sotto il mio sguardo intimorito, riuscendo a spogliarmi di tutte le mie emozioni, tutte le mie paure, tutti i miei desideri.
Risalgo con lo sguardo sui suoi capelli, di un biondo lucente, ricci e scompigliati come sempre.
Sorrido malinconica al ricordo delle mie mani che ci giocavano costantemente, attratti come una falena dalla luce, ma cerco di scacciare il più velocemente possibile quel pensiero.

Il medico mi osserva prima di rivolgersi ai tre specializzandi.

"Foster, vuole presentare lei il caso?" Dice rivolgendosi a Matt. Matt scuote la testa per poi sorridere beffardo, mostrandomi le sue fossette.

"Certo. Elizabeth Lancaster. 24 anni. Ricoverata al lincoln Medical and Mental healt center per astenia grave e disidratazione. Le abbiamo somministrato delle soluzioni reidratanti per reintegrare gli elettroliti perduti ed eseguito un emocromo completo, con coagulazione, PCR, VES. Attendiamo i risultati." Dice Matt non staccandomi neanche per un secondo gli occhi di dosso.

La sua voce, calda e roca, è in grado di penetrare le note più profonde della mia anima, richiamando alla memoria tutte le volte in cui è riuscita a farmi ridere o a calmarmi dopo una crisi isterica.
Vorrei essere in grado di ricordare anche tutte quelle volte in cui invece mi ha arrecato dolore, ma la mente sembra sbeffeggiarsi di me in questo momento, incantata e stordita dalla sua presenza a pochi passi da me.
Basterebbe alzarmi per poter sentire ancora il suo profumo o per sentire il calore del suo corpo.

"Eccellente Foster, come sempre. Il caso è tuo." Dice il medico prima di andare via con gli altri due specializzandi, lasciandomi sola con lui.

Vorrei parlargli, urlargli quanto la sua assenza mi abbia spezzato il cuore in questi anni, ma le parole si perdono in un silenzio carico di nostalgia, carico di sguardi nascosti, di parole sussurrate al vento e di occhi che non hanno mai smesso di cercarlo come se fosse la prima volta.

Matt si avvicina a me, non staccando monache per un secondo i suoi occhi dai miei, disponendo poi le sue mani sulla mia spalla.
D'istinto trasalisco, facendo per allontanarmi, ma lui aumenta la forza della sua presa.

"Sei stata affidata a me, Elizabeth." Mi dice sicuro. Lo giardo di traverso, alzando un sopracciglio.

"Non sono uno stupido premio, Matt." Incrocio le braccia al petto.

"Più uno stupido scherzo del destino direi." Sospira.

"In ogni caso avvicinati. Devo controllare che tu non abbia riportato contusioni."

"Ma non ci penso proprio." Mi lamento.
Non posso credere che sia finita in questa situazione. Lui sbuffa frustrato, ma prova nuovamente ad avvicinarsi a me.

"Non puoi far venire qualcun altro dei tuoi colleghi?"

"Non fare la bambina. Ho bisogno di questo posto e tu hai bisogno di cure. Direi che ci guadagniamo entrambi." Cerca di convincermi.

"È solo una questione di guadagni per te, vero?" Cerco di nascondere l'evidente delusione nei miei occhi.

"No Elizabeth, ho fatto un giuramento prima di essere ammesso in questo ospedale. E non ho intenzione di infrangerlo." Mi dice, il tono solenne.

"Che genere di promessa?" Gli chiedo curiosa. Lui sembra rifletterci qualche secondo in più del previsto.

"Che avrei fatto tutto ciò in mio potere per aiutare le persone in difficoltà. E tu in questo momento mi sembri decisamente in difficoltà. Perciò ora alza la maglia e fatti controllare." I suoi occhi mi implorano di fidarmi di lui e almeno questa volta metto da parte tutto il rancore. Sospiro, ma mi arrendo lasciandogli scoperta la schiena che lui esamina in modo estremamente professionale, nonostante tutto, sotto il mio sguardo paonazzo.
Subito dopo vi colloca una specie di strumento. Il contatto dello strumento freddo sul mio corpo bollente mi provoca una scarica di brividi lungo tutto il mio corpo.

"Ora respira lentamente." Mi dice. Riesco a sentire il suo respiro caldo bruciarmi la pelle della schiena.
Deglutisco a fatica, tamburellando le dita sulle ginocchia e spostando lo sguardo furiosamente da un punto all'altro.

"Non vuoi proprio saperne di collaborare vero?" Lo sento sorridere.
Mi giro verso di lui guardandolo con aria di sfida.

"Preferirei morire piuttosto." Dico ad un centimetro dal suo viso.

"È chiaro però che dovrai farlo se vuoi uscire al più presto da qui. Hai il respiro irregolare, la frequenza cardiaca alta, sei disidratata e stanca. Da quanto non mangi un pasto decente?" Mi interroga mentre io cerco di sfuggire al suo sguardo, ancora.

Vorrei mentirgli. Dirgli che tutto va bene. Che le sue ipotesi sono completamente fasulle, che non c'è nulla che non vada in me.
Vorrei guardarlo e avere il coraggio di dirgli tutto quello che non sono mai stata in grado di dirgli per tutti questi anni.
Vorrei riversargli tutta la mia rabbia fino a farlo tacere.
E lo farei, se solo riuscissi a sfuggire a quello stupido sguardo, il suo sguardo.
Lo farei se i miei occhi non ne fossero completamente stregati.
Lo farei se solo il mio cuore smettesse di battere così forte, anche solo per un secondo.

"Non sono anoressica." chiarisco.

"Beh, è chiaro che non raggiungi l'apporto calorico giornaliero." Mi dice, il rimprovero nella sua voce.

"È stata solo una settimana stressante." Svio il discorso.
Direi più un anno stressante.

"Cosa succede principessa, il papino non ti ha ancora comprato l'ultimo modello di stradivari?" Mi prende in giro.

Mi rabbuio, ma cerco di nasconderlo con il mio migliore sorriso.
Ho indossato così tante volte un sorriso falso per nascondere il mio dolore, che mi sembra quasi di non ricordare cosa si provi a ridere di gusto.
Ho indossato il mio dolore con così tanta maestria da diventare parte di esso.
E ora mascherata di dolore e rabbia, cerco solo un briciolo di speranza.

"Riprova. Ci sei quasi." Gli rispondo ironicamente, cercando di alzarmi dal letto e interrompendo il nostro scambio di sguardi. Faccio qualche passo, ma perdo l'equilibrio.

"Non ne vuoi proprio sapere di stare ferma, vero?" Mi dice prendendomi poco prima che cada.

"Tu non capisci. Io devo andare via da qui." Gli dico usando il tono più commuovente che conosco. Non posso permettermi di restare in questo posto un minuto di più. Non ho abbastanza soldi.

"Ascolta Elizabeth, non so cosa ti sia successo, ma se c'è qualcosa che non va dimmelo. Posso aiutarti." Dice e per un secondo sono davvero tentata di dirgli tutto, di raccontargli del mio lavoro, della mia vita e di nostra figlia. Ma invece resto li, a guardarlo insistentemente, cercando le parole giuste che forse non troverò mai.

"Vuoi davvero aiutarmi?" Desisto alla fine. Infondo non se n'è mai interessato prima, non vedo perché dovrebbe farlo proprio ora. Lo sfido con lo sguardo.
Lui annuisce, sembrando sinceramente interessato.

"Dici ai tuoi superiori che sto bene, che non c'è alcun bisogno di trattenermi qui." Matt scuote la testa energicamente.

"Tu mi stai chiedendo di mentire riguardo la tua salute medica. Questo non lo posso fare."

"Io ti sto chiedendo di omettere dei particolari." Mi impunto, portando le braccia al petto.

"È la stessa cosa." Ribatte seccato, probabilmente esausto quanto me da questa situazione.

"Matthew, almeno questo me lo devi dopo il modo in cui vi siete tutti presi gioco di me, non credi?" Punto sulla pietà. Sorride beffardo.

"Non credo di doverti affatto qualcosa. Forse mon avrei dovuto illuderti, ma tu non ti saresti dovuta fidare così facilmente, le cose si fanno in due Elizabeth. E mi sembravi d'accordo quanto me." Sto per prenderlo a sberle, arrabbiata e delusa dal suo tono di scherno, ma continua a parlare prima che riesca a farlo.

"Ad ogni modo ti propongo un patto. Se i valori delle tue analisi risulteranno tutti nella norma ti lascerò andare." Propone mentre io annuisco senza pensarci due volte.

"Ma dovrai tornare a farti visitare, voglio accertarmi del tuo benessere."
Matthew allora mi porge quello che sembra essere un biglietto da visita. Lo guardo esterrefatta.

"Mi stai dando il tuo biglietto da visita?"

"Ti piacerebbe." Dice con un ghigno sarcastico nello sguardo.

"È il numero di un mio collega. Digli che ti mando io, mi deve qualche favore." Solo allora noto la calligrafia ordinata, completamente opposta a quella del ragazzo a pochi passi da me, e il nome in rilievo:
Dott. Andrew Anderson.

"Matthew, grazie." Gli dico, non cercando di nascondere l'entusiasmo nella mia voce. Vorrei abbracciarlo per fargli capire quanto mi sia stato utile il suo gesto, ma decido di non farlo.
Lo guardo. Mi perdo nella sue iridi e per un attimo mi lascio andare. Per un attimo scelgo di dimenticare tutto il resto e di lasciar parlare solo il cuore.

Mi avvicino, ma questa volta è lui ad allontanarsi, come a voler ristabilire quella distanza di sicurezza che io stavo cercando incautamente di optrepassare. Si dirige verso la porta, lentamente, ma prima di andare via gira lo sguardo.

"Elizabeth, riguardati ok?" Mi chiede. Un promessa di un forte intensità la sua, nonostante tutto, che mi sta chiedendo di mantenere.

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