D1 - Casa
Mi risveglio riverso sul pavimento dell'atrio, al buio, il ricordo del dolore pulsante ancora vivo nella testa a disperdere i frammenti della mia mente andata in pezzi. Non so bene come spiegare la sensazione che ho provato, semplicemente un mal di testa mai avuto prima, come se il mio stesso cervello si stesse contorcendo su se stesso. È durato un attimo, un tempo più che sufficiente a stendermi senza che potessi fare nulla.
Sono ancora qui, a terra, con la faccia sul tappeto consumato dell'atrio di casa mia. Non ho idea di cosa sia successo esattamente né perché, ma fortunatamente le pareti hanno smesso di girare.
Mi tiro su appoggiandomi all'antico mobile a cassettoni, gentile dono di nozze di mia suocera. Temo che non sarebbe stato saggio far notare quanto l'amato pezzo di antiquariato della nonna di Ellen fosse tragicamente distante dallo stile di casa nostra, quindi eccolo là, esiliato nell'atrio assieme all'attaccapanni, al portaombrelli e ad una bassa scarpiera. Scusa ufficiale: perché così tutti gli ospiti avrebbero potuto ammirarlo subito; in realtà era per isolarlo da tutto il resto per evitare l'indesiderato effetto pugno-in-un-occhio.
Manca però qualcosa, lo svuotatasche con le chiavi è sparito e non c'è neanche lo specchio all'interno della cornice ovaleggiante adornata da piccole foglie dorate. Questo è molto strano.
È notte, chissà quanto a lungo sono rimasto svenuto. I sensori di presenza non sembrano funzionare, quindi provo a premere l'interruttore per accendere le luci manualmente, ma neanche questo funziona.
«Elly...» provo a dire a fatica lanciando il nome verso il salotto immerso nelle tenebre. Nessuna risposta.
«Ellen!» grido, stavolta trovando le forze. Ancora silenzio, un silenzio quasi irreale.
Provo ad aprire la porta d'ingresso alle mie spalle, ma è bloccata, probabilmente richiusa dopo il mio svenimento.
Com'è possibile che io sia entrato dall'ingresso di casa mia venendo da quel posto? Che sia un falso, un inganno? Il Nokia che ho in tasca esiste, è reale, quel che è successo è reale.
Supero la mia giacca lunga appesa all'attaccapanni ed entro immediatamente nel salotto. Dal largo finestrone ad est entra luce dall'esterno quanto basta da permettermi almeno di distinguere le forme dell'ambiente.
A sud, ovvero alla mia sinistra, il mobiletto basso dove teniamo le tovaglie ed i copritavolo, con sopra il bel vaso stile Ming, proprio al lato dell'ingresso aperto della cucina, mentre ad ovest, la porta scorrevole, vicina all'armadio a muro bianco e nero con le ante a scomparsa. Per sceglierlo abbiamo mandato nel panico un intero reparto dell'Ikea, penso che ormai abbiano le nostre foto segnaletiche all'ingresso.
Al centro della stanza, il divano-letto di pelle e la mia fidata poltrona, rivolti verso nord, dove si trovano la tv, la porta per raggiungere il bagno di servizio ed il garage, il termocamino chiuso ed una piccola libreria in fondo a fare angolo con la finestra. Fuori l'oscurità è totale, senza energia elettrica i lampioncini non vanno e la casa è su una strada privata non raggiunta dall'illuminazione pubblica.
Il rumore dei miei passi frettolosi riempe stanza, nonostante la luce scarsa quel che riesco a scorgere è esattamente come e dove ricordavo che fosse. Non può essere un trucco.
"Ho sempre tenuto una torcia nel cassetto delle emergenze" penso dirigendomi in cucina, dietro al bancone. Effettivamente è lì.
L'accendo soddisfatto, dandomi mentalmente una pacca sulla spalla per l'idea del cassetto. "Ormai nel duemilaventisette non va più via la luce, bla, bla. Certo, come no."
Il raggio luminoso attraversa la stanza posandosi prima sul piano cottura multifunzione, poi sul forno a vapore, sul termostabilizzatore alimentare, sul frigo, sul bancone. Tutto è in ordine, tutto è pulito. Mia moglie è una maniaca della pulizia, questo significa che la casa non è vuota da tantissimo tempo. Il mio sguardo cade sulle lancette dell'orologio sulla parete ad est, sono circa le undici e venti, è davvero tardi.
«Ellen!» grido di nuovo benché convinto che la casa sia deserta, lo sento in un qualche modo inspiegabile, ma un brutto presentimento mi attanaglia ugualmente le viscere.
"Magari è dai genitori" penso aprendo la porta a sinistra del termocamino. Voglio controllare se la sua macchina è nel garage, ma la spessa porta di metallo per l'autorimessa è chiusa saldamente a chiave. Il bagno di servizio accanto è vuoto, la lavatrice ancora rotta mi ricorda un mucchio di faccende trascurate sotto lo sguardo ammonitore dell'infausta doccia assassina.
Torno indietro e spingo via la porta scorrevole. La stanzetta di Dean immediatamente sulla sinistra è anch'essa vuota, abbandonata alla gelida perfezione dell'ordine della cassetta dei giochi, quindi imbocco il corridoio verso la camera da letto in fondo, a sinistra supero prima lo studio e poi il bagno, degnati appena di uno sguardo veloce e disinteressato, a destra le riproduzioni dei quadri di Rembrandt preferiti di mia moglie.
«Ellen!» spalanco la porta disturbando il silenzio anche di quest'ultimo locale. "Non c'è davvero nessuno" tiro un sospiro di sollievo.
Ovviamente anche qui tutto è perfettamente ordinato, il letto fatto, la bottiglia piena e l'orologio digitale sul comodino, sui mobili e sulla tv neanche un granello di polvere, niente è fuori posto. L'armadio e la cassettiera sono pieni, quindi forse Ellen non ha intenzione di trattenersi via a lungo.
Guardo il grande quadro sopra la spalliera del letto, una coppia circondata di polvere dorata stretta in un abbraccio, cercando un'intuizione, un'idea sensata a quello che sto passando, ma l'unica cosa che sa fare quel dipinto è nascondere la cassaforte. "Meno male che non ti ho scelto io" gli rimprovero con il pensiero.
Vorrei telefonare, ma ormai tutti i telefoni domestici si appoggiano alla rete e senza elettricità non funziona niente. Dovrei controllare il pannello elettrico in garage, ma la porta è chiusa ed il mio mazzo di chiavi non c'è al solito posto.
Prendo il Nokia e riprovo ad usarlo per telefonare, ma come mi aspetto non accade nulla. Anzi no, dopo qualche secondo qualcosa accade.
"Da: Marta
Ciao, Dave. Bentornato a casa, è bello rivederti di nuovo in piedi. Non preoccuparti per l'incidente di prima, l'avevo previsto, adesso va tutto bene. È un bel po' che non ritornavi qui, se non sbaglio, goditela. Mi farò risentire io."
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Capitolo molto descrittivo, non è vero? Il nuovo ambiente chiedeva di esservi presentato ma tra poche righe scoprirete che nulla è stato fine a se stesso. Spero comunque che vi sia piaciuto e che l'atmosfera vi intrighi.
Ah, e perdonatemi se ci sto mettendo un po' a rilasciare i capitoli ma il momento delicato della storia mi obbliga a pensare bene a cosa scrivere. Adesso dovremmo aver passato i capitoli di "raccordo" tra atto secondo e atto terzo, quindi dovrei poter velocizzare molto. Sapete che adesso tornerete protagonisti? Esatto, adesso. Da qualche parte c'è la chiave per il garage. Questo non è un enigma nel vero senso del termine, è più una caccia al tesoro, consideratela una variazione sul tema.
Dove saranno le chiavi? Il posto dove si trovano è nominato nel capitolo, quindi cercate e pensate.
PS: non fatemi la lista di tutto quello che trovate, non ve la faccio valere, dove credere nella vostra risposta! Usate l'intuito! Ricordate, scrivete A: Dave prima di inviare il vostro suggerimento.
E, come sempre, vi lascio il salotto. Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo, se volete. Anche se non posso parlare leggo con grandissima curiosità ed interesse le vostre teorie!
PS: come sempre se il capitolo ti è piaciuto non dimenticare di votarlo, è un piccolo modo di farmi capire che il mio impegno viene apprezzato. Grazie mille!
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