Capitolo 14
3 mesi dopo...
Dopo il ritrovamento della vittima, purtroppo, non ci furono molti altri sviluppi sulle indagini.
Neanche aver passato il capodanno e il primo dell'anno chini su pile e pile di documenti aveva dato modo di trovare qualche indizio in più, qualcosa che li facesse uscire dalla situazione di stallo che vivevano da tre mesi a quella parte.
Silas era seduto sulla poltrona girevole della propria scrivania, nell'ufficio che condivideva con Andrea e Damian che erano seduti sul divanetto di pelle nera posto in fondo alla stanza.
Tutti e tre stavano sfogliando pagine e pagine di documenti riguardanti i pochissimi sviluppi che avevano compiuto riguardo l'indagine.
La vittima, il cui nome era Daisy Moss, era una ragazza di 19 anni, studentessa di scienze naturali presso l'università di Washington: secondo il rapporto del coroner, a giudicare dal livor mortis -il modo in cui il sangue si deposita nel corpo quando il cuore si arresta- l'uccisione della studentessa sembrava essere avvenuta tra le 22 di sera del 19 e le 2 del mattino del 20 ottobre e la causa del decesso era verosimilmente per asfissia, non per dissanguamento come le ferite da arma da taglio sul corpo della vittima volevano far intendere.
A quanto pareva, il killer aveva utilizzato una sbarra di metallo o un tubo per strozzarla, rompendole così la trachea.
Gli occhi verdi di Damian rileggevano più volte il sommario delle indagini preliminari che il medico legale Jack Trambley aveva inviato a loro.
-Quel figlio di puttana avrà avuto tutto il tempo per finire il suo lavoro e telefonarci- disse, esprimendo ad alta voce i propri pensieri.
Gli sguardi degli altri due agenti si posarono sulla figura di Damian, che li guardò con fare interrogativo.
-Beh? Che c'è?- chiese, quasi nervoso.
Silas inarcò un sopracciglio.
-Nulla, Damian, ma... vorresti rendere partecipe anche noi delle tue supposizioni? Grazie- gli rispose, con il medesimo tono.
Andrea, a quel piccolo battibecco, roteò gli occhi, stufo e arcistufo dei suoi due colleghi che si punzecchiavano un minuto sì e l'altro pure: durante quei tre mesi, oltre ad aver indagato assieme a loro sull'omicidio della signorina Moss, aveva avuto modo, tra un'uscita con Ashton e l'altra, di indagare un pochino riguardo Silas.
Non aveva scoperto chissà cosa, in realtà: tutto ciò che sapeva era ciò che già conosceva, cioè che lavorava come consulente alle indagini per il signor Peterson, che era il migliore amico di Ashton da una vita, gli piaceva lo scotch e non usciva spesso a divertirsi.
L'unico dubbio che martellava la sua testa era uno soltanto: perché, prima di quel momento, sembrava non esserci mai stata alcuna traccia di Silas Morgen? Che so, tipo che università aveva frequentato, o dove lui e Ashton si fossero conosciuti; oppure, cosa più assurda, perché Ashton non gli parlava mai del suo passato?
Eppure uscivano da un po', non che fosse diventato chissà cosa di serio, ma insomma, almeno un minimo cenno alla sua vita passata avrebbe potuto farlo.
Sembrava come se la loro esistenza fosse iniziata a Seattle, o in qualche modo ricominciata, come se il passato non esistesse o non dovesse essere scoperto da nessuno, come se nascondesse un segreto enorme.
-Andrea? Mi stai ascoltando?!- tuonò Silas, per l'appunto.
-Eh? Amico, scusa, non ho sentito. Puoi ripetere?- chiese, grattandosi la nuca con fare imbarazzato: perché, nonostante i dubbi che aveva su di lui, i segreti che sembrava nascondere e che non vedeva l'ora di scoprire, il signor Morgen continuava ad intimorirlo e non poco.
Silas si strinse il ponte del naso e sbuffò, irritato dalla domanda dell'agente che, da qualche settimana a quella parte, sembrava sempre preso nelle nuvole.
-Ho detto che, mentre rileggevo altre scartoffie, ho riflettuto sul fatto che sulla scena del crimine non sono stati rinvenuti gli effetti personali della vittima —segno che— chiunque l'abbia uccisa, se ne potrebbe essere appropriato. Ciò mi ha fatto pensare alla suddivisione tra killer organizzati, che conservano oggetti personali della vittima come trofei per commemorare un successo, e killer disorganizzati che li conservano come souvenir per alimentare le loro fantasie. Tralasciando un attimo il fatto che la distinzione tra le due cose sia solamente una sfumatura semantica , questo può significare che, probabilmente, il killer vorrà continuare ad aggrapparsi a questa sensazione momentanea di trionfo- spiegò.
Damian sbarrò di poco gli occhi a quella spiegazione, e si allacciò subito al discorso del consulente.
-Certo, Silas!- esclamò con un sorriso, sorprendendolo -Ciò significa che, per quanto ne sappiamo, magari sta seguendo il caso attraverso i media, oppure conserva ritagli di giornale o... potrebbe ADIRITTURA tornare sulla scena del delitto correndo un grosso rischio personale!- continuò, con il medesimo tono alto di voce.
Andrea ci rifletté un momento e poi disse la propria opinione.
-Beh, non avete tutti i torti, in effetti. Ma, ciò non toglie che comunque non abbiamo ancora nessun sospettato. Abbiamo anche interrogato la famiglia e gli amici della vittima, e mi sembra assurdo che ancora non abbiamo niente-
Silas sbuffò.
-Sempre positivo eh, signor Davis?- gli rispose, sarcastico.
Ma, purtroppo, Andrea non aveva torto.
Avevano interrogato chiunque, perfino i suoi colleghi di corso all'università: nessuno sembrava sapere alcunché, a parte il fatto che non riuscissero a rintracciare la vittima in nessun modo.
Cosa altrettanto strana era il fatto che, dopo quarantotto ore dalla scomparsa della giovane, nessuno aveva sporto denuncia: questo era ancora un quesito da risolvere.
Sarebbe stata un'altra lunga serata per i tre agenti.
~~~
-Silas, amico mio! Che ci fai qui?- esclamò Ashton, intento a pulire il bancone del The Bank, il pub dove lavorava.
Silas finì di bere il bicchiere di scotch e lo posò sul ripiano bar.
-Beh, è da un po' che non ci vediamo noi due e, inoltre, non sono solo. Ho invitato qualcuno- gli rispose, chiedendogli con un cenno del capo un altro bicchiere di whisky.
Ashton annuì e glielo riempì.
-Ah, sì? E dimmi, chi sarebbe?- gli domandò, con un sorrisino sghembo sul volto.
Silas ghignò e con gli occhi gli indicò la figura dell'uomo alla sua destra, che lo raggiunse e prese posto sullo sgabello a fianco al suo
-Perché mi hai invitato qui, Silas?- chiese, nella voce un pizzico di irritazione.
Silas inarcò un sopracciglio e si voltò nella sua direzione.
-Per fare due chiacchiere con te, Damian.- gli rispose.
Gli occhi di Ashton si sbarrarono e capì: l'altro uomo che gli sedeva di fronte, con i suoi capelli corvini tenuti su dal gel, gli occhi verdi come giade, la mascella pronunciata e quello sguardo corrucciato altri non era se non Damian, la preda preferita dal suo migliore amico Silas, che ogni notte continuava a dargli buca per dissetarsi da lui.
-Ti porto qualcosa?- chiese il barista all'agente, che si voltò nella sua direzione e annuì.
-Una birra, per piacere. Qualsiasi tipo abbiate va più che bene- disse, più calmo.
Ashton annuì, si abbassò e da sotto il bancone prese una Heineken, la stappò e la porse a Damian, che ringraziò con un cenno del capo.
-Dimenticavo le presentazioni. Ashton, lui è Damian Williams, agente dell'FBI e mio collega del dipartimento- spiegò Silas.
Ashton sorrise e porse la propria mano in segno di presentazione a Damian, che la accettò e la strinse.
-Io sono Ashton. Ashton Cavendish, piacere- disse, sorridendo lievemente.
Damian annuì con il capo.
-Piacere mio-
La sua attenzione fu riportata poi sul consulente che, davanti a lui, era intento a finire l'ennesimo bicchiere di scotch che il barista continuava a riempire ogni volta che si svuotava, come se il suo corpo non sentisse affatto gli effetti dell'alcool.
-Allora? Mi hai fatto venire qui per presentarmi il tuo amico barista, o cosa? Non capisco, e io detesto non capire- gli disse, scandendo bene le parole finali.
Nonostante i rapporti tra lui e Silas fossero nettamente migliorati rispetto a tre mesi prima, ciò non significava affatto che erano diventati improvvisamente migliori amici o cose simili.
Ma doveva riconoscere che, dopo l'avvenimento di quel 20 ottobre, quando avevano ritrovato il cadavere della vittima e, in contemporanea, aveva percepito il proprio corpo cambiare, sentiva che anche la totale mancanza di fiducia verso il consulente si stava mano a mano affievolendo.
Inoltre, da un paio di mesi a quella parte non sentiva più dolori, perdita di equilibrio e forti emicranie: anzi, tutto ad un tratto sembrava essere ancora più in forze di prima, si sentiva più attivo, aveva spesso voglia di uscire e divertirsi, come se dovesse dar sfogo a qualsiasi desiderio ed istinto, liberandosi totalmente dei freni inibitori.
Damian fino ad allora non si era reso conto di quanto, ultimamente, quel bisogno di liberarsi da ogni limite, si fosse fatto mano a mano sempre più intenso: o, almeno, non ci fece caso prima di quella sera.
Silas incurvò le labbra in un'espressione più simile a un ghigno che a un vero e proprio sorriso.
-Non scaldarti tanto, Damian. Volevo semplicemente fare due chiacchiere con te riguardo a quello che è successo l'altra sera- spiegò, sorseggiando il liquore ambrato e facendo tintinnare i cubetti di ghiaccio all'interno del bicchiere.
L'agente si irrigidì immediatamente, al ricordo di quella sera: il dolore lancinante alla mascella, alla testa, la scoperta che c'era uno strano legame tra loro, e poi... il sangue, così tanto sangue che l'odore ferroso gli inondava le narici, stordendolo.
Questa volta, però, non sarebbe scappato: avrebbe chiesto ogni cosa, a riguardo.
-Spiegami.- rispose solamente.
Nel dirlo, scoccò un'occhiata furtiva ad Ashton: aveva notato già da un po' che l'uomo, seppur preso dal suo lavoro, sembrava prestare molta attenzione alla loro conversazione.
-Tranquillo, è a posto- gli rispose Silas, riferendosi al suo amico.
Posò il bicchiere sul banco e si voltò verso Damian.
-Come va la testa? Ti ho dato una botta parecchio forte-
Damian lo guardò stranito.
-Che razza di domande fai? E poi, non mi hai dato una cazzo di botta, mi hai afferrato per i capelli e mi hai sbattuto la testa contro il muro!- esclamò. -Potevo rimanerci secco, e che diamine!-
Silas ridacchiò e roteò gli occhi.
-Come sei drammatico- gli rispose.
-Io sarei drammatico? Ma dico io, scherziamo? Non riesco a capacitarmi di come non sia dovuto andare all'ospedale! Quello che è successo l'altra sera non era per niente normale, Silas.- affermò l'agente.
Il consulente inarcò un sopracciglio e scrollò le spalle.
-Beh, posso solo dirti che tutti i torti non li hai. Non posso dirti nulla, almeno per il momento, ma sono certo che i cambiamenti li saprai riconoscere da te, una volta che avverranno. Sia quelli positivi, che negativi-
Damian continuò ad osservare l'altro con fare dubbioso, per nulla appagato da quella risposta vaga.
-Sai, Silas? Dai proprio delle risposte del cazzo. Ad ogni modo, fanculo tutto, sono stufo di parlarne.- gli rispose, ordinando con un cenno del capo ad Ashton di fare un altro giro di bevute per entrambi.
-Ascoltami bene- proseguì poi -sto passando sopra la questione solamente perché questa sera voglio divertirmi. Ma questa conversazione non finisce di certo qui. Ciò che è successo non è affatto normale. I tuoi comportamenti sono assurdi, ciò che mi è successo lo è altrettanto, sia il malessere che avevo nei giorni passati e sia...questa sensazione di soffocamento che ho adesso. Mi sento costretto da delle catene immaginarie, è come se qualcosa dentro di me stesse cercando di...-
-Uscire? Come una belva costretta in gabbia?- finì per lui Silas.
Gli occhi di Damian si sbarrarono per un istante.
-Sì...- sussurrò, sconvolto. - Come diavolo fai a saperlo?- domandò, quindi, con un pizzico di irritazione. Iniziava a sentirsi preso per i fondelli.
-Diciamo che ne so qualcosa, ho avuto un'esperienza simile. Ma se ti dicessi quando, probabilmente avresti una crisi di nervi e, ad ogni modo, neanche mi crederesti- affermò il consulente.
-Lasciamo perdere. Come non detto. Se proseguiamo questa discussione finirò per prenderti a pugni- gli rispose Damian.
Prese un sorso del liquido ambrato e osservò Silas di sottecchi, come se lo stesse guardando per la prima volta: a primo impatto, i tratti fanciulleschi del consulente gli davano un'aria sbarazzina, facendolo sembrare più giovane di quanto non fosse realmente, ma ogni volta che i loro occhi si incrociavano, Damian percepiva una forza e una determinazione tali da spazzare via quell'impressione.
-Ti piace, quel che vedi?- ironizzò Silas, che lo aveva beccato ad osservarlo.
Damian grugnì infastidito.
-Ma piantala, coglione- gli rispose.
-Non ci sarebbe nulla di male- disse l'altro, passandosi la lingua sulle labbra.
-Neanche se fossi l'ultima persona sulla faccia della terra, grazie- proseguì l'agente -Parlando di cose serie, cosa ne pensi del caso?- gli domandò poi, troncando così la discussione precedente che stava girando in una direzione decisamente spigolosa.
Silas sbuffó, come se fosse annoiato.
-Che palle che sei, Williams. Ad ogni modo, ho una teoria, tra le tante, ma sembra che siamo comunque in un vicolo cieco- affermò.
Damian si mordicchiò il labbro inferiore, riflettendo.
-Dimmi la tua teoria, magari arriviamo a capo di qualcosa-
Silas si voltò totalmente verso l'agente, in modo tale che fossero l'uno di fronte all'altro.
-Allora, sappiamo perfettamente come, nella televisione, al cinema e nei romanzi, i serial killer siano ritratti come geni perversi o bruti privi di voce e sentimenti, che scelgono le loro prede in modo così casuale e contorto da richiedere un mago del computer o un veggente, quasi, per svelare i loro progetti ma, come ben sappiamo, la realtà è molto lontana da tutto ciò. Le vittime sono persone normali, tanto quanto appaiono i loro killer : tra loro ci sono donne e uomini di tutte le razze, ricchi e indigenti, colti e analfabeti, vagabondi, ragazze alla prima uscita, a volte anche qualche persona famosa. L'unico tratto comune che hanno è il momento in cui diventano il centro della fantasia perversa del killer- spiegò.
Damian annuì, in totale accordo con lui.
-Sì, fin qui ci siamo. Dunque, come abbiamo visto, il killer vuole "prendere" le sembianze di un mostro, come quello che ci propinano nelle serie televisive?-ipotizzò.
Silas annuì.
-Sì, o qualcosa del genere. Il sangue che la sera del 20 ottobre imbrattava il muro di quel vicolo, non era altro che sangue suino, non come quello trovato attorno alla vittima che, invece, le apparteneva. Inoltre, il fatto che l'abbia uccisa utilizzando uno strumento e non le proprie mani, indica che non volesse totalmente macchiarsi del crimine.- proseguì nel suo ragionamento e Damian si collegò subito al suo discorso.
-Certo, perché altrimenti avrebbe utilizzato le mani per strangolarla, così da avere pieno controllo della vita e di quando avrebbe abbandonato il suo corpo. Se prendiamo in esame una ricerca fatta dagli analisti, sappiamo che una buona percentuale di killer utilizza armi da fuoco, mentre altri, usano oggetti contundenti o armi da taglio. Sappiamo anche che, coloro che tendono ad usare pistole o simili, desiderano più ardentemente riaffermare (in che senso?) i loro crimini, perché sparare è un atto più distante, e ad esso manca totalmente il contatto fisico, quindi non c'è una sorta di soddisfazione nell'atto. Dunque..-
-Dunque, il killer ha ucciso di nuovo con una tempistica relativamente breve, rispetto al primo omicidio- proseguì Silas - Per cui, o vuole farci andare fuori strada, dandoci un' immagine di lui che poi non è, oppure in realtà teneva alla vittima e si è dovuto servire di uno strumento per toglierle la vita-
Damian annuì, concordando con lui.
-Sì, qualcosa del genere. Per poterle rompere la trachea si deve essere trovato sopra il corpo della vittima, perché se l'avesse presa di spalle l'impatto non sarebbe stato tanto forte. Dobbiamo interrogare di nuovo i suoi amici, quelli più stretti. Sono certo che tra Daisy e Victoria c'è un collegamento, una persona che conoscevano entrambe o qualcosa di simile-
Silas finì il suo bicchiere di scotch.
-Quando domani torniamo in centrale, vediamo di parlarne anche con l'agente Davis, in modo tale da riguardare le scartoffie e vedere cosa troviamo- suggerì.
-Perfetto- rispose l'altro. Quando vide Silas alzarsi dallo sgabello e sistemarsi il completo scuro che portava, fece altrettanto.
-Te ne vai?- gli domandò.
Silas lo guardò da sotto le sue ciglia folte e nere.
-No, pensavo di andare a ballare. Ti andrebbe?- gli chiese, divertito.
Damian, per la prima volta da quando aveva a che fare con lui, si trovò a disagio: ciò, però, non gli impedì affatto di accettare.
-Certo, perché no- rispose, poi si voltò verso Ashton, che osservava la scena con un sorrisino sghembo sul volto, in direzione di Silas.
-Ciao, Ashton, grazie per i drink e buon lavoro- gli disse, con gentilezza
Ashton annuì.
-Non c'è problema, amico, quando vuoi- gli rispose per poi rivolgersi a Silas, sporgendosi verso di lui.
-Non avrai intenzione di ucciderlo proprio ora, vero?- gli sussurrò.
Gli occhi ambrati si Silas si velarono di macabro divertimento.
-No, Ashton, non ancora. Ciò non mi impedisce, però, di divertimi un po'- rispose.
Ashton roteò gli occhi e sbuffò una risata.
-Quante volte ti ho detto che non si gioca con il cibo?-
Silas ridacchiò di rimando
-Capirai, come se tu non stessi facendo altrettanto con l'agente Davis.- gli rispose, spiazzandolo completamente.
Gli occhi di Ashton si sbarrarono.
-Come diavolo fai a saperlo?-
Silas rise di gusto, attirando l'attenzione di Damian.
-Perché ti conosco. So perfettamente che ti sei invaghito dell'agente Andrea Davis. Prima lo capirai e meglio sarà. Ora, amico mio, come vedi devo andare- gli disse, facendo per andarsene ma, prima di raggiungere definitivamente Damian, si voltò di nuovo nella direzione del barista.
-Ah e... Ashton, rimango sempre dell'idea che il mare è pieno di pesci, come dissi tempo fa(,) ma... se dovessi decidere di legarlo a te, pensa bene a ciò che ne conseguirà- gli disse, per poi voltarsi definitivamente. Alle sue spalle sentì Ashton borbottare un "senti chi parla" e non poté fare a meno di sorridere.
Damian, che lo aspettava poco lontano dal bancone, aveva assistito alla loro conversazione, seppur senza riuscire a cogliere ogni parola: sapeva soltanto che percepiva un qualche legame particolare tra loro due, come se fossero più che semplici amici, quasi come due fratelli.
-Beh? Che fai lì impalato? Andiamo- gli disse Silas, una volta che gli fu davanti.
Damian spostò il suo sguardo dal barista a Silas: lo osservò per un breve istante, come se cercasse di sondare la sua anima alla ricerca di qualche risposta che, ovviamente, non avrebbe ricevuto.
Scrollò le spalle e annuì.
-Niente, ti aspettavo. Sei lento, come al solito. Muoviamoci ad andare in pista, altrimenti ci ritroveremo schiacciati come sardine a causa della calca di gente- asserì, afferrando il consulente per un lembo della giacca e trascinandolo in pista.
Silas rise, forte e di gusto.
-Oh, Damian, io sarei lento? Hai ancora così tante cose da scoprire su di me- gli rispose, alzando la voce di un paio di toni per sovrastare la musica.
-Credimi, Silas, non vedo l'ora. Sei un enigma che intendo risolvere- gli rispose Damian, urlando a sua volta.
Silas con gli rispose con uno dei suoi soliti ghignetti sarcastici: entrambi, poi, lasciarono che la musica occupasse ogni loro pensiero.
NOTE AUTRICE:
Genteeeee rieccomi!
Un nuovo capitolo è, finalmente, arrivato 😂
Scusatemi per l'attesa ma beh, ahimè, la vita è sempre frenetica e piena di cose da fare! Spero vivamente che vi sia piaciuto!
Ringrazio come sempre la mia fantastica amica e beta reader Schwertmaid per il suo aiuto nella correzione e sistemazione del capitolo! Grazie ancora di cuore per l'aiuto che mi dai 💙
Bella gente, grazie di seguirmi e di non mollare questa storia anche perché, piano piano, stiamo arrivando ai momenti più clou 😍
Ci si vede al prossimo capitolo!
Vostra,
BlueIrys 🦋
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