Capitolo 11
-Due settimane, cazzo! Sono passate due fottutissime settimane da quel cazzo di interrogatorio, e voi osate venirmi a dire che ancora non avete un'altra pista su cui lavorare?!- tuonò, furioso di rabbia, il signor Peterson.
Damian e Andrea erano dinnanzi alla scrivania, immobili e silenziosi.
Silas era accanto al loro capo, li scrutava ed era in attesa di una qualsiasi reazione, che poi non tardò ad arrivare: c'era solo un problema, ciò era avvenuto in un modo che lui non aveva affatto previsto.
Il petto di Damian aveva iniziato ad alzarsi e abbassarsi ad un ritmo rapido e costante, e con esso il respiro diventava sempre più affannato:le labbra erano increspate in un'espressione colma di rabbia, come se stesse digrignando i denti pronto a far spuntare le zanne.
La postura del corpo era rigida, tesa, sembrava composta ma era tutt'altro che così: fremeva, di rabbia e nervosismo, teneva le braccia lungo il corpo e i pugni erano chiusi, talmente tanto da far sbiancare le nocche.
Silas era perfettamente conscio del fatto che le emozioni potessero provocare una reazione, una debolezza, e quello ne era la prova: Damian, provato mentalmente e fisicamente, stava lentamente abbandonando il suo corpo agli istinti primordiali, come, ad esempio, alla pura, cieca e irrazionale furia che animava le sue membra in quell'istante.
Poteva sentirla chiaramente la sua progenie che minacciava di uscire fuori e provocare una strage, banchettando con il loro sangue.
Un sorriso sornione si fece strada sul suo volto e attese ancora, aspettando l'inizio della fine, che però non arrivò: bastò una lieve carezza sul palmo chiuso di Damian, proveniente dalla mano di quel buono a nulla di Andea Davis, per spezzare tutto l'incantesimo.
Dannazione, devo proprio ammazzarti allora, pensò tra sé e sé mentre l'agente prendeva parola.
-Signore, io capisco perfettamente il suo disappunto, tuttavia stiamo cercando di fare del nostro meglio per...-cercò di spiegarsi, ma non ci riuscì perché Silas lo interruppe.
-Non abbastanza, signor Davis. Non state facendo abbastanza. Lo capisce, vero, che c'è un assassino a piede libero e che continuerà a mietere vittime se non lo incastriamo?!- gli rispose, alzando la voce.
Andrea inarcò un sopracciglio.
-Ma dai, Silas, non mi dire. Non me ne sarei mai accorto senza la tua brillante mente e, inoltre, per quale cazzo di motivo ti stai comportando da stronzo con noi? Dovresti essere dalla nostra parte!- sbottò furioso.
Imbecille impertinente, appena il mio piano sarà completo e non mi servirai più ti taglierò la lingua e ti farò soffrire così tanto che mi implorerai di ucciderti, pensò il consulente per poi rispondere.
-Non ho mai detto di essere vostro amico o collega, signor Davis. Non siamo alle elementari, veda di smetterla con questo atteggiamento infantile e vada a fare il proprio lavoro dal momento che, a quanto vedo, non sta andando proprio bene, mi sbaglio?- disse, con malcelato sarcasmo e una sottile ironia nella voce.
Andrea assottigliò ancor di più le iridi blu a quella risposta e iniziò a detestare il consulente con tutto il suo cuore.
-Andiamocene- sussurrò Damian, lievemente ma abbastanza forte da farsi sentire: si girò e lasciò l'ufficio senza proferire parola o saluto.
Andrea rimase sul suo posto per qualche secondo di più, poi scoccò un'occhiata furtiva al suo capo, che lo congedò con un veloce cenno della mano.
A quel punto, l'agente si voltò per raggiungere Damian, chiudendosi la porta dietro di sé e lasciando in ufficio un capo furioso e un sorridente e compiaciuto Silas Morgen.
Che situazione di merda, ora chi cazzo lo sente Damian? pensò, mentre raggiungeva l'ascensore, convinto di trovare il suo collega di fronte alle ante; rimase sorpreso, però, nel constatare che non era affatto così.
Damian se ne era andato.
~~~
Damian correva a perdifiato lungo il percorso che lo avrebbe portato a casa.
Passo dopo passo, era scosso da brividi, sudore freddo e, al contempo, una strana sensazione di calore : era bruciante, si faceva strada nel suo corpo, veloce e letale.
Si sentiva morire, letteralmente.
Un rantolo di dolore uscì dalle labbra mentre quel bruciore non accennava a diminuire.
-Cazzo...- pronunciò con voce sfiatata, una volta raggiunta l'entrata del condominio dove viveva: si appoggiò al portone e vi si aggrappò, come un naufrago disperato che tenta di non affogare.
Prese le chiavi dalla tasca del cappotto con enorme fatica e, allo stesso modo, fece scattare la serratura: entrò nell'atrio arrancando, lottando per rimanere in piedi e non accasciarsi al suolo.
Una volta in ascensore, si appoggiò su una parete con un tonfo sordo.
Poi, il nulla.
Quando l'ascensore raggiunse il piano, Damian non arrancava più, il bruciore era scomparso e il silenzio regnava nel suo corpo.
Gli unici rumori udibili erano il battito frenetico del suo cuore e il respiro pesante, ansante e spezzato: era terrorizzato da sé stesso e dal suo corpo.
Una volta dentro l'appartamento, si sfilò le sneakers e si lasciò cadere sul divano a peso morto senza togliersi neanche il cappotto: ebbe giusto il tempo per tentare di regolarizzare il suo respiro, che il suo cellulare prese a suonare.
Era Andrea.
-Ehi, amico. Tutto bene? Te ne sei andato senza dire una parola e, una volta fuori dall'ufficio, non ti ho più visto. Che fine hai fatto?- chiese l'amico, dall'altro capo del telefono.
Damian sospirò.
-Sì Andry, sto bene. Mi sono sentito poco bene e ho preferito tornarmene a casa. Ci vediamo domani?- gli chiese.
Andrea mormorò un mugugno di assenso non molto convinto.
-Non sono certo che tu stia dicendo la verità ma...farò finta di crederci- gli disse, sospirando-Ci vediamo domani Dam, cerca di riguardarti. Sai che mi preoccupo...-
Damian dovette sforzarsi di non sbuffare.
Quella strana situazione che aleggiava tra di loro, indisturbata ma al contempo fastidiosa, non accennava a cambiare di una virgola: dopo l'interrogatorio a Weston Buchard, e dopo che se ne era andato lasciando il suo migliore amico nelle grinfie del consulente Silas Morgen, erano stati tutta la giornata successiva, e quella dopo ancora, a discutere.
La mattina seguente all'interrogatorio, si erano visti al solito bar e all'inizio si erano messi a parlare del più e del meno; dopo però, Andrea si era stufato di girarci attorno e gli aveva chiesto chiaramente se provasse qualcosa per lui.
Damian non era stato molto gentile, in effetti: aveva sbuffato, sentendosi improvvisamente nervoso e scontroso, aveva iniziato a muoversi sulla sedia come se non stesse aspettando altro che alzarsi di lì e andarsene; gli aveva poi risposto un semplice e secco -No-.
Andrea aveva sbarrato gli occhi, non aveva fiatato ma si era spostato all'indietro, facendo raschiare le gambe della sedia sul pavimento del locale e producendo un gran chiasso: si era alzato e stava per andarsene, quando però Damian gli aveva afferrato un polso.
-Aspetta- gli aveva detto, con voce flebile e gracchiante.
Andrea si era voltato verso di lui e aveva scrutato le iridi verdi del suo amico: Damian lo aveva preso come un invito a proseguire.
Aveva deglutito rumorosamente, incapace di trovare le parole; poi, si era fatto coraggio e gli aveva parlato.
-Ascolta, io... Non penso di provare qualcosa per te, e credimi quando ti dico che questo mi uccide dentro-
-Pensa a quello che causa a me, invece. Sto una meraviglia, non mi vedi?- gli aveva risposto l'altro, con pungente sarcasmo.
Damian aveva spostato il suo sguardo dagli splendidi occhi blu di Andrea al ripiano del tavolino: si sentiva un completo stronzo, ma se lo avesse lasciato andare, sapeva che qualcosa si sarebbe rotto tra loro e, questa volta, per sempre.
Aumentò la presa sul polso dell'amico, come per aggrapparsi a qualcosa ed infondersi coraggio.
-Posso soltanto immaginare cosa ti sto facendo passare ma... Andrea, io credo di avere un problema di salute. Sto male, da giorni. Ho sbalzi d'umore continui e...devo solo capire cosa voglio, come devo comportarmi...- tentò di spiegarsi ma, nuovamente, l'altro lo interruppe.
-Sicuramente non comportandoti da stronzo e grandissima testa di cazzo come stai facendo ultimamente- gli sputò, velenoso e ferito.
Damian incassò il colpo, un lieve sorriso amaro increspò le sue labbra.
-Hai ragione, certo. Per questo ti sto dicendo che...ho bisogno del tuo aiuto. Quando avrò questi momenti dove prendo e scappo, dove sono sfuggente tu...tu dovrai aiutarmi. Per favore...- chiese con voce tremante, debole, implorante.
Andrea assottigliò lo sguardo, scrutò a fondo il viso del suo migliore amico e, infine, annuì: quando lo fece, Damian che fino a quel momento era teso, si rilassò di colpo.
-Va bene, Dam. Ti aiuterò, ma solamente perché ci tengo a te e perché per la prima volta hai detto esattamente come ti senti. Ciononostante, questo non cambia quello che penso di te, ovvero, che ti sei comportato da stronzo. Non baci il tuo migliore amico a caso, te ne rendi conto o no, Damian?- gli domandò, ancora visibilmente irritato.
Damian annuì.
-Sì, ne sono consapevole è solo che... Non so davvero come spiegartelo. Ma ti prego di fidarti quando ti dico che non era mia intenzione ferirti e che, qualora i miei sentimenti per te dovessero cambiare, beh...sarò il primo a dirtelo. Va bene?- domandò, sentendo come se stesse per avere una crisi isterica da un momento all'altro.
-Va bene, Dam. Ho capito, e sì, mi fido di te ma...sono davvero molto preoccupato. Vai da un buon medico, non il solito di sempre. Va bene?- gli disse, perentorio.
Damian non poté far altro che annuire e cercare di calmarsi.
Andrea si risedette, l'aria tra loro era meno tesa e iniziarono a parlare più sereni e tranquilli: parlarono dell'interrogatorio, delle indagini e di quanto il suo amico adorasse Silas Morgen, a differenza sua che lo detestava a morte.
Poi, il giorno dopo, erano punto e a capo: Damian era arrivato in ritardo a lavoro, aveva l'aria di chi non avesse affatto dormito ed effettivamente era così: disse che non era riuscito a prendere sonno durante la notte, ma solamente alle prime luci dell'alba ed era per questo che aveva fatto ritardo.
Andrea lo aveva accompagnato al bagno, gli aveva fatto sciacquare la faccia e Damian si era innervosito, urlandogli praticamente addosso e dicendogli che non aveva bisogno di una babysitter: l'amico lo aveva mandato a fanculo, era uscito dal bagno sbattendo forte la porta e Damian si era sentito una merda nei suoi confronti, di nuovo.
Non si erano parlati fino a che la loro giornata lavorativa non era giunta al termine: si erano trovati in ascensore insieme, e Damian aveva tirato il corpo di Andrea contro il proprio, rapido e senza preavviso.
Il respiro di Andrea si era spezzato e Damian lo aveva recepito come un permesso: aveva avvolto le proprie braccia attorno la vita dell'amico e aveva affondato il viso nell'incavo del suo collo.
Quando il suo collega aveva gracchiato il suo nome e i palmi si erano posati sulla sua gabbia toracica spingendo per allontanarlo, Damian aveva emesso un singhiozzo sommesso: stava piangendo.
Lacrime umide e calde si posarono sul collo di Andrea, che rabbrividì un istante a quel contratto: il suo cuore scoppiava di emozioni contrastanti, gioia e sofferenza.
Adorava stare tra le sue braccia ma, al contempo, gli spezzava il cuore vedere Damian stare così male: lui, che era sempre stato un ragazzo sulle sue, con rigide abitudini di vita, il suo essere stacanovista, sempre vigile e pronto senza perdere mai di vista il proprio obbiettivo, in quel momento era così debole e fragile tra le sue braccia che sembrava si potesse spezzare da un momento all'altro e finire in mille pezzi.
Strinse a sua volta il corpo dell'amico con il proprio, avvolgendogli le braccia attorno al collo.
-Andrà tutto bene, Damian. Credimi, ci sono qui io con te- gli aveva sussurrato dolcemente e prendendo a carezzargli delicatamente i capelli corvini.
-Mi stai ascoltando?- gli domandò l'amico, facendolo tornare bruscamente al presente, interrompendo i suoi pensieri.
Damian sbatté le palpebre per un istante: si era perso nei ricordi di due settimane addietro.
-Sì sì, ci sono Andry, scusa. Dicevo...non devi preoccuparti più di tanto, prometto che andrò da un nuovo medico a breve. Appena avremo un'altra pista su cui lavorare e io sarò più tranquillo- sancì.
Per un secondo ci fu il totale silenzio dall'altro capo del telefono, finché Andrea non gli rispose.
-Mh, va bene, amico. Dai, cerca di riposare ora, ci vediamo domani. Per qualsiasi cosa chiamami, mi raccomando- si raccomandò,
Damian annuì per abitudine.
-Sì, Andry, grazie mille. Ci vediamo domani- gli rispose, per poi chiudere la telefonata.
Poggiò la nuca sullo schienale del divano e guardò il soffitto: chiuse gli occhi e respirò lentamente, fino a che non si addormentò.
~~~
Silas era ancora in centrale con il signor Peterson: si trovavano nel suo studio e stavano discutendo sulle possibili piste da seguire, fino a quando il telefono del capo non suonò e il fastidioso trillo interruppe la loro conversazione.
-Sono il signor Peterson, capo alle indagini dell'FBI Seattle Division- rispose mentre Silas lo guardava, apparentemente tranquillo: in realtà stava ascoltando ogni cosa.
La voce dall'altra parte del telefono era modificata, e per quanto si sforzasse, non riusciva a captare il timbro originale: anche i vampiri avevano i loro limiti.
Si concentrò per sentire ancora più chiaramente le parole dell'interlocutore: era il serial killer, che rideva e si vantava di aver da poco ucciso la vittima.
Spiegò che aveva lasciato il cadavere in qualche vicolo buio di Seattle ed esortava il capo delle indagini e il suo team a cercarlo e, se sarebbero stati così furbi da riuscirci, a trovarlo.
Peterson digrignò i denti e non proferì parola: quando si sentì l'inconfondibile suono della chiamata appena terminata, sbatté con forza la cornetta sulla scrivania.
-Cazzo!- urlò, furioso.
Silas lo osservò: il volto paonazzo per la rabbia, le sopracciglia corrugate e gli occhi iniettati di sangue.
-Morgen, chiama immediatamente Davis e Williams! Che si mettano IMMEDIATAMENTE al lavoro! Dobbiamo trovare il cadavere e prendere quel figlio di puttana!- tuonò.
Silas si alzò immediatamente dalla poltrona posta davanti alla scrivania del proprio capo.
-Certo Peterson. Lo prenderemo- sancì, per poi uscire dall'ufficio e dirigersi verso l'ascensore: una volta dentro, prese il proprio cellulare e telefonò prima a Damian, così, per il gusto di farlo innervosire.
Quando l'agente gli rispose, la sua voce roca irruppe nei suoi delicati timpani.
-Morgen. Che vuole?- chiese.
Silas ghignò.
Sempre il solito indisponente, pensò.
-Devi venire in centrale. Il killer ha volutamente telefonato per comunicarci il suo ultimo operato, facendosi beffe di noi e sfidandoci a trovare la vittima- spiegò, e poté sentire chiaramente il ringhio di frustrazione emesso da Damian.
-Arrivo subito- gli rispose solamente, interrompendo di colpo la telefonata.
Arrivato agli uffici del piano inferiore, avanzò verso quello di Andrea Davis e bussò: quando l'altro gli disse di entrare, lo fece e lo avvisò subito dell'accaduto, informandolo che Damian li stava raggiungendo.
Andrea aveva annuito e stretto i pugni lungo al fianco, prima di mettersi al pc per stampare una mappa dettagliata di Seattle e segnarvi sopra il luogo del ritrovamento della precedente vittima: dopo, si chinò ancor di più sulla cartina e cercò di segnare i plausibili posti dove potesse trovarsi il nuovo cadavere.
Silas non poteva essere più entusiasta di così: in realtà, non aveva chissà che reale interesse nella cattura del killer, ma non vedeva l'ora di assistere ai movimenti di Damian in proposito.
Dentro di sé, sentiva che qualcosa sarebbe cambiato, da quel giorno in poi: il suo intuito, che raramente sbagliava, gli suggeriva che sarebbe stata una svolta radicale.
Con un ghigno in volto, si avvicinò ad Andrea e cercarono di elaborare un piano d'azione: i loro pensieri e le loro supposizioni furono interrotte una mezz'ora dopo dall'arrivo di Damian, che irruppe nell'ufficio come una furia, sbattendo forte la porta.
-Allora? Cosa abbiamo?- chiese, osservando le figure dei due uomini, chini e concentrati su un'enorme cartina geografica.
Silas si alzò e lo osservò per un breve istante, poi si schiarì la voce.
-Siediti, forse abbiamo una pista ma...non so quanto possa essere plausibile, anche se...- iniziò, ma Damian lo interruppe bruscamente.
-Taglia corto, Morgen. Non ho tempo per queste cazzate. Devo trovare questo figlio di puttana e fargliela pagare- disse, la voce ridotta quasi ad un ringhio rabbioso.
Silas si umettò leggermente le labbra.
-Prego, avvicinati- gli disse, facendogli spazio per fargli osservare meglio la cartina, piena di segni rossi e punti interrogativi neri.
Sarà proprio un vero spasso, mio caro Damian, pensò, impaziente di mettersi all'opera.
Ma Silas poteva conoscere Damian come essere umano, non come efficiente agente dell'FBI: ancora non poteva saperlo, ma l'agente che lui aveva scelto, lo avrebbe lasciato sconvolto e a bocca aperta.
Non aveva idea delle qualità che Damian possedeva, quando le sue capacità deduttive erano al massimo e la sua concentrazione era solo per il caso, ma presto, ne avrebbe avuto un piccolo assaggio.
NOTE AUTRICE:
GENTE! Eccomi qua!
Sono tornata!
Dopo aver passato un periodo di riposo post intervento medico, sono finalmente tornata con un nuovo capitolo!
Certo, non mi sono ancora rimessa del tutto ma, per fortuna, posso riprendere a leggere —seppur con moderazione e senza sforzarmi troppo—e a scrivere, dunque ecco un nuovo capitolo fresco fresco!
Spero vivamente che possa piacervi!
Ringrazio come sempre la mia cara amica e beta-reader Schwertmaid per l'aiuto nella revisione e correzione del capitolo 💙💙
L'aggiornamento sarà sempre una vota a settimana/massimo 10 giorni!
Un abbraccio e al prossimo capitolo,
Vostra,
BlueIrys!
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