Capitolo 10


L'interrogatorio del barista Weston Bouchard stava andando avanti da una buona mezz'ora.

Il consulente —Silas Morgen— osservava attentamente la scena e scrutava il ragazzo che aveva davanti: percepiva ogni volta che il suo cuore accelerava o il respiro si spezzava, svelando stupore, paura o menzogne.

Damian era agguerrito, assetato di conoscenza: teneva il sospettato sotto torchio.
-Cristo, Buchard!- esclamò l'agente, battendo con forza il pugno sul bancone del bar, facendo tintinnare i bicchieri e le bottiglie che vi erano sopra.

Il ragazzo sobbalzò.
-Che cosa vuole ancora da me, agente? Le ho detto tutto ciò che sapevo!- tuonò in risposta.

Andrea roteò gli occhi e spense il mozzicone di sigaretta sul portacenere accanto a lui.
-Non dire cazzate, bello. Possiamo sbatterti dentro per un nonnulla data la zona dove lavori, sono stato chiaro? Ora, fai il bravo e non rompere il cazzo. Dicci ciò che sai- ribadì.

-Le ho detto ciò che so: Killian veniva qui, di tanto in tanto, con la sua ragazza Victoria. Eravamo buoni amici, diamine! Non le avrei mai fatto del male- rispose Weston.

Poi sospirò, sfinito, per il lavoro e per la situazione.
-Sentite, Killian mi dava solo un po' d'erba, ok? Non sono un assassino o un pervertito. Mi serve qualcosa per rilassarmi da tutto questo schifo- disse a mo' di spiegazione, indicando con la mano lo spazio dietro di loro: gente ubriaca che giocava; alcuni si spintonavano, altri parlavano e toccavano in modo osceno donne ridotte ancor peggio di loro.

Damian, frustrato, si passò una mano tra i capelli.

Di nuovo, un vicolo cieco.

Finché...

-Scusate se interrompo il vostro interrogatorio, agenti- iniziò Silas, il consulente alle indagini -Ma vorrei porre anch'io un paio di domande- disse con voce decisa, quasi perentorio.

Andrea annuì immediatamente, Damian invece gli scoccò un'occhiata titubante: non si fidava molto di quell'uomo; ogni singola cellula del suo corpo vibrava quando lui proferiva parola e l'agente si domandava ancora come diavolo potesse causargli questo strano effetto.

Era snervante.

Sbuffò e grugnì una risposta d'assenso.
-Va bene, Morgen. Vediamo che sai fare- lo schernì, prendendo poi un sorso dalla sua birra.

Silas li ringraziò con un cenno del capo, come un gesto d'altri tempi: si sbottonò il cappotto, e dopo esserselo sfilato di dosso, lo poggiò sopra uno sgabello accanto al bancone.

Si schiarì la voce e, dopo che i due agenti gli ebbero fatto spazio in modo tale che si potesse trovare di fronte al sospettato, i suoi occhi d'ambra si incatenarono a quelli azzurri del giovane: il ragazzo assunse un'espressione dura, corrugando le sopracciglia e cercando di intimidire l'uomo davanti a sé.

Silas sbuffò inevitabilmente una risata: ridicolo, vuole provare davvero ad intimidirmi? pensò.

-Signor Buchard, come lei sostiene, la notte nella quale la signorina Victoria è stata brutalmente assassinata, lei era qui. Giusto?- domandò.

La sua voce risultò morbida e vellutata alle orecchie del giovane barista.
-S-sì. Esatto- rispose, un po' incerto.
Un lieve sorriso incurvò leggermente le labbra del consulente.

-Bene. Ora mi dica, è possibile trovare i dei testimoni, per questo? Oppure devo indagare per conto mio?- riprese.

Il giovane si passò con fare agitato e nervoso una mano tra i cortissimi capelli biondi.
-No, ma vede, glielo giuro! Io ero qui. E lei, poi! Come si permette di insinuare che io stia mentendo?!- esclamò di colpo, urlando contro il viso di Silas, che però non si scompose affatto.

-Ora lo fa nero, a questo qui.- sussurrò Andrea all'orecchio di Damian; quest'ultimo roteò gli occhi.
-Non siamo al cinema, Andry! Smettila di fare lo scemo!- lo ammonì sommessamente.

Andrea sbuffò, irritato.

Silas, approfittando della breve distrazione dei due agenti poco distanti da lui, cambiò : i suoi occhi ambrati diventarono cremisi per un breve ed insignificante istante.

Il giovane sbarrò i propri a quella vista: un brivido di paura, primordiale e antica, lo inchiodò sul posto.

Sudore freddo iniziò ad imperlargli la fronte, il battito si velocizzò e il respiro divenne più affannato: l'ansia e il terrore lo stavano inghiottendo.
-Riproviamo, Weston. Va bene?- riprese Silas, facendo al ragazzo una domanda retorica alla quale non si aspettava risposta.

-Va bene!- esclamò Weston, di colpo.
Andrea inarcò un sopracciglio, stupito dalla scena.

Gli occhi di Damian si ridussero a due fessure, dubbiose e diffidenti.

C'era sotto qualcosa, lo percepiva sottopelle.

-Prego- lo spronò Silas con un gesto teatrale della mano.
La voce di Weston si ridusse ad un sussurro, in modo tale che potessero sentirlo solo loro.
-Oltre a Killian, c'era un altro ragazzo, con loro. Bazzicava sempre qua in giro, fumavamo assieme e faceva spesso commenti osceni su Vicky. Si chiama Hunt Archibald, è un riccone del cazzo. Non so altro- disse mentre si guardava intorno con fare circospetto.

Andrea si appuntò il nome sulle note del telefono.

-Grazie, Weston- disse pacato Silas, carezzando volutamente il nome del ragazzo.

A quelle parole, le guance del ragazzo s'imporporarono leggeremente.
-Prego. Si figuri- rispose il giovane, ora più rilassato.
-Volete da bere?- chiese.

Andrea annuì entusiasta.
-Certo!-
Poi si rivolse al consulente.
-Silas, amico, sei una forza!- gli disse, dandogli l'ennesima pacca sulla schiena, poi si avvicinò al bancone e bevve il primo shottino di tequila offertogli dalla casa.

Silas digrignò leggermente i denti a quel contatto, ma si rilassò subito dopo: doveva mantenere un certo contegno e calma, altrimenti gli avrebbe seriamente staccato la testa.

~~~

Damian continuava ad osservare il loro collega con fare indagatorio, come se non fosse convinto di ciò che aveva di fronte.
-Tutto bene, Damian?- chiese Silas, mellifluo.

Damian annuì.
-Sì, certo. Sono solo stupito. Sai, prima che gli parlassi tu sembrava non voler collaborare e poi, di punto in bianco, il collaboratore parla e diventiamo i suoi migliori confidenti- rispose con un pizzico di sarcasmo.

Silas ridacchiò.
-Comprendo che puoi non fidarti di me, agente. Ma sono certo che riusciremo ad andare d'accordo. Ora sediamoci, e godiamoci il restante della serata- decretò, quasi perentorio.

Damian scrollò le spalle e si sedette accanto ai suoi colleghi, imitandoli e prendendo uno shottino di tequila dal bancone.

~~~

La serata procedette bene, i tre agenti chiacchieravano tranquilli, anche se per lo più Damian si limitava ad ascoltare, piuttosto che proferire parola.

La tequila iniziava a far effetto e si sentiva più leggero: rideva alle battute stupide di Andrea e alle frecciatine che Silas gli lanciava in risposta.

Quando percepiva lo sguardo di quest'ultimo su di sé, si sentiva stranamente accaldato: avvertiva che il suo corpo reagiva al suo sguardo in modo strano, percepiva perfettamente il calore irradiarsi su tutto il corpo e al tempo stesso una strana sensazione di appagamento si faceva strada dentro di lui.

Come se fosse felice, quasi estasiato, al pensiero che Silas avesse spesso e volentieri occhi unicamente per lui.

Sentiva i suoi sensi più acuti: l'alcol aveva disteso i suoi nervi, i freni inibitori erano quasi del tutto sciolti, e percepiva come se il controllo di sé andasse a dissolversi sempre di più, lasciando spazio a qualcosa di nuovo.

Come se si sentisse, per la prima volta in tutta la sua vita, vivo e ricettivo per davvero.

-Vogliate scusarmi, vado un attimo al bagno- disse Silas, alzandosi ed avviandosi alla toilette.

Damian rimase ancora un po' seduto sullo sgabello chiacchierando con Andrea, ma poi la curiosità prese il sopravvento.

Si alzò e si scusò con l'amico, avviandosi anche lui alla toilette.

Una volta al suo interno, vide Silas intento a lavarsi le mani e ad asciugarsele poco dopo con dei tovaglioli di carta posti accanto al lavabo.
-Comodo, vero?- iniziò Damian, la voce ridotta ad un sussurro.

-Non capisco a cosa tu ti riferisca- rispose l'altro, osservandolo dal riflesso nello specchio.

-Intendo, la tua posizione. Te ne stai lì, dall'alto del tuo trono immaginario che ti sei creato, ad osservare gli altri e squadrarli. Sono in tua compagnia da poche ore, ma l'ho capito, sai? Ti credi il Re del mondo, ma invece indovina un po', Silas: non sei nessuno.- gli disse l'agente con voce tagliente, sputando quelle parole con tutta l'intenzione di provocarlo.

L'altro inarcò un sopracciglio e si voltò nella sua direzione: le sue iridi erano due fessure cariche di rabbia che cercava inutilmente di sopprimere.

-Ah, è così, allora. Pensi questo di me, Damian?- gli chiese, provocandolo a sua volta.

Damian digrignò i denti e grugnì di rabbia.

Mi sta prendendo per il culo? pensò.
-Sei sordo, per caso? Certo, che penso questo! Non mi fai paura, Silas. Non me ne frega un cazzo se ti credi Dio sceso in terra, non ti voglio nelle mie indagini!- esclamò con rabbia, perentorio.

Silas ridacchiò, dapprima sommessamente, poi la sua risata divenne squillante.
-Seriamente, Damian? Sei ridicolo-gli rispose solamente.

Poi avanzó, tentando di raggiungere l'uscita per andarsene, ma l'agente lo fermò: a quell'insulto velato, Damian aveva preparato un destro diretto alla sua guancia, e Silas dovette afferrare prontamente il suo pugno per evitare di essere colpito, sbattendo con rabbia il corpo dell'agente contro il muro.

Damian sibilò di dolore per il forte impatto, il respiro mozzato e le iridi sbarrate.

-Stammi bene a sentire, ragazzino. Non sputare sentenze a caso su persone che neanche conosci, e soprattutto non ti azzardare mai più a farlo con me.- sibilò all'orecchio dell'agente, che tentò di divincolarsi senza successo dalla sua presa ferrea.

-Non dirmi cosa devo fare, dispotico del cazzo- gli rispose, rabbioso e prepotente.

Silas ringhiò: l'oscurità, il mostro, graffiava le membra dentro di lui, smanioso di essere liberato e dare una lezione quell'uomo.

Ma non avrebbe ceduto, non ancora.
Inchiodò le proprie iridi ambrate in quelle verdi dell'agente e la notò: la paura e la sorpresa nascosti in esse.

Lo aveva sentito.

~~~

Damian ne era certo: era un fottuto ringhio quello che aveva sentito uscire dalle labbra dell'uomo che gli stava davanti.

Un brivido gli percorse la colonna vertebrale, una paura primordiale crebbe dentro di lui ma non demorse: strinse i denti e cercò di dimenarsi, di nuovo.
-Levati di dosso, animale!- gli ringhiò contro, muovendo le membra più forte che poteva per liberarsi dalla sua presa.

Silas, di colpo, lo liberò: Damian, così, si ritrovò a scivolare sul pavimento umido della stanza e cadde a terra con un tonfo pesante.

Gli occhi di giada, ridotti a due fessure colme di rabbia, guardavano la figura di Silas torreggiare trionfante sopra di lui, con un ghigno beffardo sul volto.

Si abbassò leggermente, giusto per afferrare il mento dell'agente e avvicinare il suo volto al proprio.
-A quanto pare, mio caro Damian, sono destinato a squadrarti dall'alto al basso, dalla mia posizione di prestigio- gli sibilò, ad una spanna dal volto, soffiando le parole sulle sue labbra e prendendosi volutamente gioco di lui.

Poi si alzò , lo guardò un'ultima volta e uscì dalla toilette, lasciando l'agente a terra e intento ad issarsi.

-Brutto stronzo del cazzo- sibilò Damian, una volta in piedi e poggiandosi sulle fredde mattonelle del muro.

Una cosa era certa, Silas gliel'avrebbe pagata a qualsiasi costo.

Nessuno doveva farsi beffe di lui in quel modo.
Nessuno.

~~~

Ashton stava creando cocktail alla velocità della luce: quella serata era piuttosto movimentata al pub dove lavorava, e i clienti sembravano aumentare sempre di più mano a mano che la serata proseguiva.

Una ragazza che conosceva bene si puntellò coi gomiti sul bancone, osservandolo con fare annoiato mentre attendeva che le preparasse il drink ordinato: in quel viso delicato, le iridi blu, i capelli castani e la carnagione olivastra, riconobbe Liz, la sorella di Andrea.

-Ecco qui- le disse il barista, porgendole il Martini e incurvando leggermente le labbra all'insù in un sorriso.

-Grazie- gli rispose Liz, ricambiandolo.

Ashton la osservò di sottecchi: i suoi occhi lapislazzuli guardavano distrattamente la folla di persone avvinghiate le une alle altre al centro della pista da ballo.

Il suo viso era poggiato sulla mano, piccola ed elegante, le cui unghie erano smaltate di un bel rosso rubino: stessa tonalità che contornava le labbra morbide e carnose.

-Tutto bene?- chiese Ashton, gentilmente.

Liz non si scompose più tanto e poggiò semplicemente lo sguardo sul barista.
-Sì, ma mi annoio- disse, la voce delicata e gentile come il sommesso piagnucolio di una bambina che fa i capricci.

Ashton sorrise teneramente: per certi versi, gli ricordava proprio Andrea, seppur avesse visto quella ragazza solamente due volte.

-Non penso che a una bella ragazza come te manchi la compagnia- le rispose, intento ad asciugare alcuni bicchieri.

Liz ridacchiò lievemente a quella risposta.
-Che c'è, ci stai per caso provando con me?- domandò con fare civettuolo, la voce diventata di un tono più acuta rispetto a prima.

Ashton scosse la testa in segno di diniego e sul suo volto comparve un largo sorriso.
-No, my lady.- rispose, divertito.

Liz si accigliò e il barista si affrettò a spiegare.
-Credimi, sei veramente bella, ma vedi... Ho altri gusti- specificò.

La ragazza, a quel punto, rise di gusto.
-Diamine, non è proprio la mia serata eh? Forse Andrea, il mio fratellino, sarebbe più fortunato-

Ashton, a quel nome, sussultò impercettibilmente.
-Ah, si?- chiese, curioso.

Liz annuì, poggiando la coppa Martini, oramai vuota, sul bancone.
-Sì, direi proprio di sì. Lui è un ragazzo...particolare. Dice sempre quello che pensa, e sono certa che un tipo come te attirerebbe la sua attenzione- gli raccontò, poi ordinò un altro Martini.

Ashton iniziò a prepararlo.
-Se lo dici tu, ti credo!- disse, con fare amichevole.
La curiosità, poi, prese il sopravvento.
-Che fa nella vita?- le chiese.

Liz sembrò rifletterci per un breve istante, forse per via dell'alcool.
-L'agente dell'FBI. È un lavoro così noioso! È per colpa di questo, che ora sono qui tutta sola- rispose, riducendo di nuovo il suo tono di voce a quello di una bambina capricciosa.
-Se ne sta sempre con il suo amico, Damian. Da quando si sono conosciuti, ogni volta che torno qui a Seattle dall'Italia, non ha mai tempo per me!- proseguì, prendendo un sorso del Martini che il barista le aveva appena dato.

Sentendo quel nome, Ashton sentì una morsa all'altezza dello stomaco: qualcosa che era simile ad una fitta, e che puzzava di gelosia.
-Capisco...- sussurrò a denti stretti, e in quell'istante si accorse che i suoi canini si erano leggermente allungati e diventando più appuntiti.

Merda, stiamo scherzando, vero?
Neanche fossi un novizio alle prime armi, cazzo!

Era conscio del perché il suo corpo aveva reagito così: da quando, quel giorno, mentre erano nel letto e si concedevano ai piaceri della carne, si era dissetato con il suo sangue e aveva fatto utilizzo della malia per confondere i sensi dell'umano, il mostro che risiedeva dentro di lui lo reclamava come proprio.

Andrea, per la bestia feroce e assetata del suo sangue, era suo.
Ma, per Ashton?

Non era da lui, fare distinzioni tra il suo sé umano e il suo sé vampiro.

Non sono mica Dr. Jekyll e Mr, Hyde, diceva sempre.

Però, in quel contesto, sentiva il bisogno di fare una distinzione: sapeva che desiderava mordere la sua morbida carne, all'altezza della carotide, e abbeverarsi con il suo sangue.

Ma c'era di più.

Non sapeva se fosse amore, o semplice affetto, ma era certo che fosse qualcosa di profondo e vero.

Ma dove finiva il desiderio di sangue, e iniziava quell'indistinto sentimento che sentiva crescere dentro di sé, insistente e pulsante?

-Ashton! Vieni qui, abbiamo bisogno di te!- la richiesta impartitagli da un suo collega, interruppe il flusso dei suoi pensieri.

-Arrivo!- gli rispose, poggiando i bicchieri che aveva asciugato.
Riportò poi il suo sguardo su Liz, e notò che si era persa a guardare chissà cosa sul suo smartphone.

-Beh, io vado. Spero che la tua serata migliori, my lady- disse, con fare gentile e mimando un inchino formale, d'altri tempi.

Liz lo guardò e ridacchiò.
-Grazie bel ragazzo- gli rispose, poi aggiunse -se non sapessi che ciò è impossibile, penserei che tu provenga da un'altra epoca- disse, riferendosi al gesto del ragazzo.

-Di che sciocchezze parli?- le rispose bonariamente il barista, girandosi e facendo per raggiungere il collega.

-Ehi, barista! Aspetta!- lo fermò la ragazza, urlando per farsi sentire da sopra la musica che era diventata più chiassosa e insistente di prima.

-Si?-il ragazzo si voltò.

-Come ti chiami?- chiese Liz.

-Ashton. Mi chiamo Ashton- le disse, sorridendole un'ultima volta per poi andare verso il suo collega e lasciandola lì, seduta sullo scomodo sgabello e poggiata svogliatamente sul bancone del piano bar.

Aprì la porta del ripostiglio e vide Jace, un suo collega, intento a recupare casse di birra da poter portare nel locale.
-Ehi, Jace- disse al suo collega, la voce morbida e ammaliante.

Il ragazzo si voltò in sua direzione.
-Dimmi, Ashton- chiese, un po' spazientito.

Poi, accadde.

Ashton si avvicinò al collega, e prima che questo potesse capire cosa stesse succedendo, utilizzò la malia e prese possesso della sua mente, confondendola.

-Ora, fa' il bravo. Ci penso io, a te- gli sussurrò all'orecchio, con voce roca e graffiante.

Jace annuì impercettibilmente, troppo confuso, il corpo fattosi molle, alla completa mercè del suo assalitore.
Dell'incubo divenuto carne e sangue, dinnanzi a lui.

Ashton ghignò trionfante: aveva catturato la sua preda.
I suoi occhi chiari divennero cremisi mentre si avvicinava al collo del giovane: vi poggiò delicatamente la lingua, una languida carezza volta al mero scopo di far reclinare la sua testa all'indietro, mentre un ansito soffocato usciva dalle labbra sottili e rosee.

Fu un attimo: la bestia prese il sopravvento, le zanne scattarono in un istante e irruppero prepotentemente nella carne del ragazzo.
Rivoli di sangue scesero rapidi, sul suo collo e lungo il mento di Ashton, che beveva sempre più avidamente, assetato come non mai, raggiungendo quasi il punto di non ritorno.

Ashton, però, non era uno sconsiderato, sapeva come fare una cosa.
Si staccò lentamente dal collo del giovane, leccandogli la ferita e facendogliela rimarginare in breve tempo: incatenò i suoi occhi castani con i propri, ridandogli il pieno controllo della mente e interrompendo la malia.

Jace sbatté le palpebre, destandosi da quello stato confusionario.
-Ehi, Ashton, che aspetti a dirmi ciò che devi? Queste casse di birra non si alzeranno da sole!- esclamò, visibilmente frustrato.

Ashton gli sorrise, tranquillo, genuino e umano.
-Oh, nulla di che, Jace! Certo, dammi qua!- gli rispose, porgendogli le mani e facendosi passare una cassa di birra.

Si voltò ed entrò di nuovo nel locale, riprendendo a lavorare come se nulla fosse successo.

~~~

-Ehi, ragazzi! Ci avete messo una vita, là dentro!- esclamò Andrea, quando Silas, seguito poco dopo da Damian, lo raggiunse.

-Già, il bagno era mezzo rotto-spiegò il consulente, scuotendo le spalle con fare indifferente.

Damian non rispose, ancora visibilmente furioso per la discussione avuta con Silas poco prima.

-Beh? Che cos'è quel muso lungo, Dam? Beviamo, su!- gli disse Andrea, il tono squillante, amichevole come sempre, e un po' biascicato per via dell'alcol.

Damian roteò gli occhi, e quando il suo migliore amico fece per dargli una pacca sulla spalla, lui fu più rapido e afferrò di colpo il suo polso, bloccandolo a mezz'aria: gli occhi colmi di rabbia e un sibilo spezzato tra i denti.

Andrea spalancò lo sguardo, quello di Silas si assottigliò, compiaciuto.
-Lascia stare, Andry. Me ne torno a casa- gli rispose secco, lasciandolo andare bruscamente.

-Oh, amico, andiamo! Che sarà mai, un'altra bevuta? Hai paura di rifare lo stesso errore?- gli domandò: la sua mente era sì abbastanza offuscata dall'alcol per non aver notato il gesto dell'amico—decisamente troppo veloce per un comune umano— e dunque rammaricarsene, ma era abbastanza lucido, a quanto sembrava, per ricordare perfettamente la sera precedente.

Ogni dettaglio.

Damian, per tutta risposta, si passò una mano sul volto e fin sopra i capelli, con fare stanco: era davvero stufo di quella situazione non ancora chiarita.
-Senti, Andry, non è per quello che non voglio bere. Ho semplicemente sonno, voglio tornare a casa- gli rispose, la voce ridotta ad un sussurro glaciale e atono.

-Se il signor Williams è stanco, dovremmo lasciarlo andare- propose Silas, puntando le sue iridi ambrate in quelle blu di Andrea.
-Non crede, signor Davis?- domandò, infine, mellifluo.

Andrea si perse per un istante in quello sguardo ambrato che gli trasmetteva conforto e calore: annuì distrattamente, mentre l'altro sogghignava.

Adorava utilizzare la malia.

Damian, notò questo scambio di sguardi con la coda dell'occhio —oramai si era quasi abituato alla sua vista, che diventava sempre più acuta, mano a mano che il tempo passava, e gli offriva una visuale nitida anche di ciò che normalmente il suo occhio umano non avrebbe dovuto percepire—e si voltò in loro direzione: ringhiò, questa volta al limite, e afferrò con rabbia il colletto della camicia di Silas, che fu costretto a voltarsi in sua direzione.

-Che cazzo gli stai facendo?- gli sibilò, furioso, ad una spanna dal volto.

-Io? Nulla. Di che parli, Damian?- rispose l'altro, con voce innocente, facendo schioccare la lingua sul palato e accarezzando il suo nome come una dolce melodia.

Damian assottigliò ancor più lo sguardo e aumentò la stretta sulla camicia: l'ira si era irradiata come fuoco nelle sue vene, percepiva una strana sensazione come se stesse precipitando nel vuoto ma, al contempo, una forza viva e pulsante lo teneva ancora a sé per non farlo cadere.

Silas scoccò un'occhiata fugace ad Andrea, che si destò da quella strana sensazione di stordimento e strabuzzò gli occhi, vedendo la scena che aveva difronte.
-Ehi, Ehi, Ehi! Bei maschioni, che cazzo fate? Damian, lascialo andare! Che ti è preso?!- esclamò, avvicinandosi all'amico e scuotendolo per fargli mollare la presa.

Damian la trattenne ancora per un breve istante.
-Scoprirò che cosa nascondi, Silas. Stanne certo- gli sibilò, lasciando bruscamente la presa sulla camicia e facendolo incespicare all'indietro.

-Oh, Damian. Me lo auguro davvero- gli rispose, sogghignando e sistemandosi il colletto.

Damian gli scoccò un'ultima occhiata piena d'odio, e salutò con un breve <<ciao>> il suo migliore amico: poi, uscì dal locale a grandi falcate, sbattendo la porta mentre la richiudeva dietro di sé.

-Mi spiace, amico. Non so cosa gli sia preso- cercò di giustificarlo, Andrea, ma Silas scosse le spalle con aria indifferente e ridacchiò.

-Si figuri, può capitare una giornata no. Ma, mi dica, che rapporto avete di preciso, voi due?- domandò, mellifluo, offrendo all'agente l'ennesimo shottino .

Ne prese uno anche lui e lo bevve tutto d'un fiato.

-Beh, è una storia davvero lunga- gli rispose l'agente, poggiando il bicchierino vuoto sul bancone e ordinando un altro giro.

-Oh, mi creda, signor Davis. Ho tutto il tempo del mondo- gli rispose, un lieve sorriso gli increspò le labbra.

Andrea ricambiò il sorriso e iniziò a raccontare come lui e Damian si erano conosciuti.

D'altronde, come poteva essere altrimenti?

Anche la semplice voce di Silas, se lui lo desiderava, poteva diventare un potente mezzo per ottenere ciò che voleva senza ricorrere all'uso della malia, decisamente molto più complicata poiché richiedeva più sforzo fisico, da ambo le parti: cacciatore e preda.

Perfetto, pensò mentre l'altro era impegnato a raccontargli ogni cosa.
Così, potrò finalmente capire cosa minaccia il mio piano, e se dovrò sbarazzarmi di te o meno, rifletté, sorseggiando il Bourbon che risplendeva, caldo e ambrato, all'interno del bicchiere da poco consegnatogli dal barista: intanto, la voce di Andrea Davis non lasciava mai le sue orecchie, concentrato più che mai a conoscere tutto.

In fondo, un buono stratega deve avere a disposizione tutti gli elementi disponibili all'interno della scacchiera per potersi muovere agilmente, si disse mentalmente.

Comprendendo quanto fosse forte l'amicizia che legava i due agenti—forse quasi al pari della sua con Ashton, con l'unica differenza che loro due si conoscevano da secoli—una cosa gli fu subito chiara: l'agente che aveva di fronte sarebbe stata un'ottima pedina, utile a raggiungere il suo scopo.

C'era solo una domanda che però lo infastidiva, poiché non era certo della sua risposta.

Quell'agente, sarebbe riuscito a muoversi sulla scacchiera senza costituire un pericolo per la riuscita del suo piano e, a non far scacco matto a Damian, il Re?

Oh, beh, pensò.
Lo scoprirò molto presto.



NOTE AUTRICE:

Prima di tutto, ringrazio COME SEMPRE, la mia amica e beta Schwertmaid per il suo PREZIOSO aiuto nella revisione di questo capitolo💙💙💙

Ecco il nuovo capitolo online!

Spero vivamente che vi piaccia perché a breve la situazione inizierà a farsi ANCOR PIÙ INTERESSANTE ;)

Non dico altro, sennò finisco per rivelare cose che non vorrei!

Al prossimo capitolo,

Un abbraccio,

BlueIrys!

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