Capitolo 5
Tornavo finalmente a casa mia, stanco più che mai, avevo fame e sonno.
«Ermes! Ermes! Santissimi Dei, sei davvero tu??»
Strizzavo gli occhi, cercavo di mettere a fuoco, ma la mia vista era appannata, forse per la stanchezza o forse per la fame.
Vedevo una figura nera, alta, molto simile alla mia.
«Ermes, sei tu!» Gridò, muovendo le mani in cenno di saluto.
I suoi capelli erano simili ai miei, lisci e castani, ma i suoi erano molto più lunghi, arrivavano sino al collo.
Aveva le labbra gonfie, piene di cicatrici e un sopracciglio castano tagliato. I suoi occhi azzurri, più scuri dei miei, erano profondi, speranzosi e angosciati allo stesso tempo.
Era mio fratello, sembrava diverso, molto diverso.
«Themis, fratello mio! Cosa ci fai qua a Roma? Cosa ti è successo?» Gridai abbracciandolo.
Non lo vedevo da prima della guerra, mi era mancato così tanto e vederlo qua mi faceva sentire davvero bene.
«Ermes, è tutto uno schifo, questo mondo dico!» Disse dandomi delle pacche alla schiena. «Sei scomparso, una settimana dopo è arrivata la notizia che la guerra è stata persa, che tutti sono stati uccisi e che pochi di voi sono riusciti a sopravvivere, nostro padre diceva che tu eri uno di questi, almeno ne era convinto.
Abbiamo saputo che il Villaggio del Sud è stato saccheggiato e che hanno preso diversi schiavi» Disse con le lacrime agli occhi.
Non avevo mai visto mio fratello piangere, era sempre stato più forte di me, sia con le donne, sia con i sentimenti, era più grande e lo ammiravo troppo.
«Si ho camminato diversi giorni senza magiare e bere Themis, legato con una corda, ma molti non sono riusciti a sopravvivere.» Dissi guardando il cielo, osservando le grosse nuvole scure.
«Themis, sono uno schiavo, ma fortunato perché sono trattato meglio di altri, dico davvero. Appena avrò l'occasione scapperò. Ma dimmi» dissi togliendomi il mio pensante e peloso giaccone. «Cosa ci fai qua fratello mio?» continuai a dire.
I suoi occhi erano umidi e rossi, e le sue labbra fremevano.
«Sono andato a cercarti appena mi è arrivata la notizia fratello mio, stavo male, non dormivo e mangiavo da giorni. «Nostro padre è venuto a trovarmi, insieme a Jane che voleva sapere di te, mi dicevano di stare tranquillo e che tu saresti tornato perché eri furbo, più di tutti.
Mia moglie ogni giorno si preoccupava per me, mi preparava del cibo buonissimo per farmi mangiare, mi stuzzicava con del buon sesso, ma io l'ho lasciata insieme a mia figlia. Mi sono solo allontanato un paio di giorni..» Disse, con la faccia irrigata dalle sue lacrime grosse, le quali scorrevano veloci.
«Come le hai lasciate? Non erano a casa?» Chiesi. Non riuscivo a capire nulla, era tutto così confuso maledizione!
«Sono andato a cercarti» disse con la bocca e il naso umido «Quando sono tornato lei.. lei, mia moglie, era a terra, in un lago di sangue e la mia bambina, la mia bellissima figlia, la hanno presa! Sono qua per cercarla, siamo alcuni uomini venuti per cercare molti di voi, vieni con noi fratello! Non posso perderti ancora» Disse sfregandosi gli occhi.
Stavo pensando di tornare con lui, dovevo rientrare in patria, dalla mia gente, ad aiutarla.
Ma lui aveva perso sua figlia, così anche altri, i quali avranno perso pure la propria donna.
«Non posso Themis, io vi servo così, da schiavo, ma il mio padrone è ricco, posso riuscire a capire dove siano stati portati gli schiavi e tua figlia» Dissi mettendogli sopra la mi grossa giacca pelosa, serviva più a lui che a me.
«Bene Ermes, ci vediamo fra tre giorni qua, io sono in un accampamento nascosto fra gli alberi, ti porterò appena ci vedremo.» disse stringendomi in un caloroso abbraccio.
«Perfetto Themis, il mercato degli schiavi si trova alla faglia del colle davanti a noi, quando il sole è alto. A presto fratello mio.»
Il cane del mio padrone era più fastidioso del solito oggi, lo vedevo poco perché usciva sempre con lui e quando rientrava, mi disturbava in continuazione.
«Ermes» disse la figlia del mio padrone.
La guardai.
Indossava un'armatura rossa e dorata, una gonna e degli stivali intrecciati coperti da due parastinchi dorati.
Teneva in una mano un arco con delle frecce argentate.
La sua treccia metteva in evidenzia il suo collo, sembrava morbido e sicuramente molto profumato, ma indossava una strana collana: aveva una particolare foglia verde, conteneva delle incisioni.
«Dobbiamo partire subito» disse lanciandomi la mia vecchia armatura, quella che indossavo quando sono stato portato qua.
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