Reminiscence


Capitolo VIII

"Bisogna dare per perduto quello che si vede bene è perduto."

GAIO VALERIO CATULLO

Intrecciai le dita in quelle dell'uomo di fronte a me, e poi mi lasciai andare. Il suo corpo contro il mio, in una danza sensuale, invasa dall'odore di muschio e sandalo. Le ventate di calore del suo corpo. La stretta ferrea sul mio fianco.
Per come velocemente mi facesse piroettare per poi lasciarmi andare. Ballava con l'altra partner e poi ritornava da me, seguendo il ritmo della musica, i passi sicuri. I capelli biondi, sciolti e voluminosi; abbandonati appena sulle spalle.
Gli occhi chiari, di un azzurro quasi artificiale. Vivace e denso.
Aspettai che mi facesse ondeggiare, che riportasse il suo profumo così ben voluto contro le mie narici.
E stavolta quando riportò la mano sul mio fianco, mi feci avanti, premendo il mio corpo contro il suo.
Lui sussultò, il viso deformato da un'espressione di piacere o forse preoccupazione. Un senso di nervosismo e irrequietezza.
-Numero Nove, ci rincontriamo di nuovo...-
Si morse il labbro inferiore, quasi sorpreso. A momenti, come se non pensasse che lo avrei riconosciuto.
-Si ricorda di me?-
Alzai gli occhi al cielo. Poiché era vero che la notte nascondeva i volti ma non le loro sfumature. Non gli odori. E nemmeno le loro ombre.
-Che ci fate qui?-ignorai la sua domanda, procedendo con un'altra.
L'uomo di bell'aspetto, sospirò, scuotendo la testa di conseguenza.
-Io e miei compagni di stanza, siamo stati scelti per assistere e aiutare le sorelle Levain- spiegò, la sua mano ancora sulla mia vita.
-Non volevo ballare...-si voltò, guardando una ragazza bruna al nostro fianco, intenta a danzare con un altro partner.
-Ma quella ragazza era senza partner-continuò lui.
Mi fece fare una piroetta, riportandomi contro il suo torace. Gli occhi espressivi, i lineamenti dolci.
E per un secondo mi parvero famigliari. Così tanto da lasciarmi interdetta.
-E lei? Perché non balla con il suo partner?-
Sorrisi appena, alzando gli angoli della bocca.
-E chi è il mio partner? Lei lo sa?-
Dischiuse le labbra, solo per richiuderle di nuovo. L'espressione confusa.
-Non saprei...- rispose.
Mi abbandonò di nuovo, ricongiungendosi con l'altra ragazza.
Entrambi persi in qualche passo di danza. Lei avvinta, sedotta dalla sua persona. Completamente appressata contro di lui.
La danza tradizionale consisteva nel cambiare partner durante la danza per poi ritornare al proprio alla fine del ballo.
Per alcuni minuti i partner si scambiavano e ballavano con altri, e alla fine chiudevano il cerchio, tornando alla posizione iniziale.
Un danza molto gradita dalla famiglia Levain, i quali la praticavano ogni anno.
-Bhe, tutti sanno del figlio maggiore. E tutti sanno di te. Sanno che sei la sua amante-
L'uomo tornò, questa volta portando entrambi le mani sui miei fianchi.
Mi accigliai.
-Davvero? Dicono che sono la sua amante?-
Lui annuì.
Lo sguardo improvvisamente cupo.
Osservai la sua fronte corrugata. Le lunghe ciglia, che ombreggiavano sulle sue guance. E anche stavolta, fui attraversata da un senso di familiarità. E ora che lo guardavo bene, mi parve quasi di conoscerlo da tanto.
Il ricordo di una persona che cercavo di dimenticare.

Castiel...

Una sosia perfetta, se non per il colore dei capelli e degli occhi. Anche perché Castiel non poteva trovarsi qui. Non poteva essere lui.
Insomma, non era così tanto stupido da entrare nella tana del lupo. Non con Uriel che non vedeva l'ora di assasinarlo, e nemmeno con Nairobi, che si ostinava a professare un'infatuazione finta.

E specialmente, non dopo che avevo scelto di sacrificarmi per la loro sicurezza.

-Lei lo ama?-
Il mio flusso di pensieri, venne interrotto dall'inaspettata domanda del giovane che stava davanti a me.
Lo fissai di nuovo, meravigliata, ma anche stizzita. Per la leggerezza con la quale mi aveva fatto tale domanda.
-Non sono tenuta a risponderti-
Mi liberai dalla sua presa, decidendo che la mia partecipazione finiva qui. Non volevo più danzare.
-Buona continuazione, numero nove-
Lui si protese, riacciuffandomi di nuovo. La mano ferma sul mio polso. E poi con un leggero strattone, mi cinse di nuovo contro di lui.
-chiamami Clyde per favore- disse dolcemente. Persino il timbro della sua voce era simile. Tutto mi portava alla mente Castiel.
-Mi dispiace, non volevo alterarti... ma non andare,resta...-
Sembrava più una supplica sincera. Un implorazione che mi urtò il cuore. Abbastanza da risvegliare il sonno di Follies, ora agitata come una fiamma dentro di me. Voleva ferirlo, voleva rendere quest'uomo un'altra vittima con cui giocare. Un qualcuno da cui stare lontano, ed evitare come la peste nera. E finora, questa reazione l'avevo avuta solo con chi mostrava una certa generosità da far male.
Solo con chi rilasciava un senso di genuinità nell'aria. La stessa energia che emaneva Castiel.
Mi staccai di nuovo, guardandolo.
Il suo volto frustrato, perplesso.
-Non posso restare- replicai.

Il sicario non poteva restare con la vittima, così come il lupo con l'agnello.

🔸CASTIEL🔸

Avrei dovuto lasciar perdere, alla sua richiesta. Avrei dovuto cedere. Per via dell'identità che stavo coprendo, per il pericolo che avrei potuto rischiare. Eppure, la rabbia non faceva altro che consumarmi dall'interno. La frustrazione di dover fingere che non stessi crollando, che la distanza alla quale mi stesse sottoponendo, non fosse di per sé agonizzante.
Del perché si ostinasse a respingermi, e a trovare modi per sbarazzarsi di me.
-Perché?-
Ariana non rispose. I suoi occhi mi guardavano senza proferire parola. Un colore intenso da spezzare ogni alba sgargiante e recidere ogni cupo tramonto. Quel tipo di persona che camminava con il buio e sopprimeva le ultime luci. Menefreghista, avida, prepotente. Decisa, determinata e savia.
-La pregherei di farsi gli affari suoi, Clyde-
E con questo, fece per allontanarsi.
Mi sbilanciai afferrandola per la mano, in una morsa abbastanza forte da fare male. E poi la trascinai con me verso l'uscita della sala. Sotto gli occhi di alcuni invitati curiosi. Interrompendo l'ordine delle danze e creando scompiglio tra i passanti.
-Che sta facendo?-
Ariana sembrava infastidita, forse anche furiosa. Ma poco mi importava in quel momento.
Una volta lontani da quel caos, la spinsi dentro la prima stanza vuota che trovai.
-Mi hai rotto il cazzo-risposi, avvicinadomi alla sua figura. Ignorando i suoi avvertimenti, o la sua posizione difensiva. Invece, notai il luccichio della lama che nascondeva sotto la gonna, come un ammonimento. Un divieto che mi suggeriva di non avvicinarmi.
-Che cosa volete?- mi domandò. Il tono della sua voce particolarmente velenoso. Acido.
Digrignai i denti, stringendo i pugni. Le vene pulsanti sulle braccia e alla base del collo. La mandibola serrata.
-Mi chiedete cosa voglio?-
Sfidai i suoi occhi assassini. La luce sinistra che a volte riusciva a intimidirmi, tuttavia, non in quell'istante. Non in quel giorno.
E con pochi gesti veloci, la braccai contro la parete. Il mio corpo contro il suo. I gomiti appoggiati contro il muro.
-Sì Clyde, le sto chiedendo cosa vuole da me. Perché così tanta foga e impudenza?-
Fuga e impudenza? Seriamente?
Mi privava delle sue attenzioni e poi mi accusava di essere impudente?
Alzai la sua gamba, avvolgendola sul mio fianco, e poi feci la stessa cosa con l'altra. Sollevandola in modo tale che potesse guardarmi bene. In modo che potesse fissarmi bene negli occhi.
-Voglio la tua mente, il tuo cuore e il tuo spirito...-
Sfiorai le sue labbra con le mie, chiudendo ogni centimetro possibile tra me e lei.
-Voglio tutto questo Ariana Clark...-
Non c'erano più due occhi furiosi a fissarmi, ma un'espressione sorpresa e colta alla sprovvista. Uno shock accompagnato dalla paura. Un timore  che riposava nel fondo del suo sguardo
-...Dici che è tanto da chiedere?-

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