Trust me


Capitolo VIII

So che è solo il "solitario" noi,
Giuro che non sono solo io
-Fool (Refs)-

Mi svegliai molto presto quel giorno,
immerso nella luce tenue del mattino.
Inabissato tra cumuli di documenti e fogli svolazzanti; nel forse vano tentativo di smascherare Ariana Clark.
Accesi una sigaretta, girando i suoi documenti di nascita tra le mani.
Nata a Stanford, California; col nome di Anastasia Stuart.
Ultima di quattro fratelli, tra cui genitori biologici: Rebecca e Dean Stuart.
Adottata anni dopo da una vedova di nome Diana Clark.
Dalle informazioni che avevo potuto vedere, la famiglia Stuart aveva deliberatamente scelto di metterla in adozione all'età di otto anni.
Perché?
Perché tenere gli altri tre figli e metterne in adozione solo una?
- Buongiorno Sherlock! -
Mia sorella spuntò dalla cucina con in mano due enormi tazze di Caffè.
Aggrottai la fronte.
- Quando ti sei svegliata?-
Paris scosse la lunga chioma bionda ereditata da nostra nonna, tra cui l'unica bionda in una famiglia di mori.
- Eri troppo occupato con la tua indagine e non mi hai visto passare- mi passò la tazza di caffè,
- avanti dimmi di che tratta- aggiunse sedendosi sul pavimento insieme a me.
- Will non te l'ha detto? Di solito ha un tempismo imbattibile- commentai sarcastico.
Mio fratello si era sempre divertito nel presentarmi ai nostri parenti come un individuo asociale, amante solo del giallo e del mistero; che non faceva altro nella sua vita dalla mattina fino alla sera.
- Ha detto qualcosa di te che lavoravi con una paziente demenziale-
Alzai gli occhi al cielo.
Come non detto. Quando mai chiuderà la bocca quello?
- Quindi? -
Paris si intrufolò nei miei fogli, cercando di strappare qualche informazione.
- Innanzitutto non è una paziente demenziale, anzi è la più disposta nell'intero manicomio a collaborare per aiutarci a spiegare gli omicidi - spiegai, posando la sigaretta nel posacenere e passando al caffè bollente.
- Uhm quindi questa Anastasia Stuart centra con gli omicidi? -
Mia sorella mi confiscò i documenti di mano, analizzando i dati attentamente.
Ci fu una breve pausa alla quale seguì un sussulto.
- Perché mai una madre darebbe via sua figlia!? -
Sgranò gli occhi sul foglio con aria incredula.
- Non lo so, me lo sono chiesto anch'io...Di sicuro qualcosa è successo...- affermai, portando un dito sul labbro inferiore. Voltai la testa in tempo per vedere mia sorella balzarmi sopra, quasi rischiando di farmi rovesciare il caffè.
- Ti vedo molto più teso e stressato con questo caso, perché?-
I suoi occhi verdi fermi su di me.
- Sono sempre così, con tutti i casi!- protestai, cercando di togliermela di dosso.
- Non è vero! Non parli con nessuno ultimamente, e sei sempre occupato- obiettò Paris con lo scopo di farmi confessare.
- Guarda che ti faccio sollettico- alzò le mani con un ghigno divertito inciso sulla bocca.
- No Paris! Non ci provare! Ti sbatto fuori di casa- la minacciai, mentre già tentavo la fuga.
- Se stai correndo via significa che stai mentendo!- disse lei, alzandosi a sua volta.
- Ma che stupida teoria è quella?? Non è perché sto mentendo ma perché odio il solletico!-
La schivai di striscio salendo ai piani superiori.
- Tanto ti prenderò comunque!-
Il suo ghigno se non peggio, si ampliò ancora di più.
Adesso non l'avrebbe più fermata nessuno.

Follies'Pov

- Apri la bocca -
La dottoressa Carly passò una mano sotto il mio mento.
Mi stava imboccando come se fossi una bambina incapace d'intendere e volere.
Infilandomi la medicina in bocca e portando il bicchiere d'acqua alle mie labbra.
Deglutii, ingoiando la pastiglia amara insieme all'acqua tiepida.
- Brava, oggi sei piuttosto tranquilla! - esclamò soddisfatta, afferrando la spazzola e cominciando a pettinarmi i capelli con cura.
Ero furiosa in verità.
Tremavo dalla rabbia in maniera impercettibile, cercando di non farla insospettire.
Adirata a causa sua, mossa a provocazione al solo pensare a lui.
Non aveva inteso le mie parole, anzi le aveva praticamente deformate e storpiate.
Doveva avere paura di me! Doveva perché... Finché non riacquistavo la mia memoria, non potevo capire che razza di persona fossi.
E se io non mi capivo per prima, non c'era nessun modo che l'avrebbero potuto fare gli altri.
Castiel doveva avere paura di me, ma ciò non significava che dovesse allontanarsi da me. Non volevo una parete tra me e lui.
Come diamine ero arrivata a essere così presa da un qualsiasi essere umano?
In fondo, era un uomo come tutti gli altri.
Quindi, perché mi importava se mettesse distanza tra di noi?
Forse, era solo attrazione fisica.
Si, sicuramente.
Stai mentendo a te stessa.
Ti piace non è vero?
No! Non mi piaceva e non sarebbe successo nulla di più.
Volevo che sparisse dalla mia mente, che dannazione! Mi lasciasse respirare.
Era sempre nei miei pensieri quando mi svegliavo e quando mi coricavo.
- Follies stai bene?-
Alzai lo sguardo sulla dottoressa Carly, dimenticandomi che lei era lì.
- Stai rompendo la veste che ti ho appena dato-
Guardai le mie mani, osservando il grosso strappo sulla fine del tessuto.
- E stai tremando...Hai freddo?- chiese Carly, avvolgendomi una coperta attorno alle spalle.
No non avevo freddo, volevo lui.
Cazzo.
Volevo mettergli le mani addosso, spogliarlo di tutto quello che era e che avrebbe potuto essere.
Chiusi gli occhi sospirando.
Sveglia Follies! Che cosa stai facendo? Non farti abbindolare da un perfetto sconosciuto.
La mia coscienza mi tormentava da ieri sera.
E forse avrei dovuto assecondarla.
Darle retta.
Castiel non era nessuno.
- Oh Salve Detective! -
La voce squillante di Carly mi riportò alla realtà, obbligandomi ad alzare gli occhi sul mio incubo peggiore.
Il mio incessante tormento.
- Buon pomeriggio dottoressa-
La sua voce risoluta e formale.
Abbastanza da farmi capire che era ancora irritato. Si scambiarono delle informazioni sottovoce, convinti che io non potessi comprendere.
Sciocchi nel credere che io non sapessi di cosa stessero parlando.
Ero sicura che Castiel aveva frugato nel mio passato.
- Buon pomeriggio Follies-
Si sedette a una certa distanza da me non gradita.
- Ci vediamo dopo- annunciò Carly, lasciando la stanza con molta fretta.
Cosa gli aveva chiesto stavolta?
Riportai la mia attenzione sulla sua figura.
Una gamba accavallata sopra l'altra, le mani intrecciate sul ginocchio.
Lo sguardo serio e lontano.
- Vorrei sapere se ti sei ricordata qualcosa del tuo passato?-
Un tono privo di sentimenti, usato con il solo scopo di sottolineare la sua ira nei miei confronti.
Inchiodai lo sguardo su di lui; sterrando e solcando con ardua persistenza le sue orbe verdi. Passai dagli occhi alle sue mani, dalle sue mani al suo torace.
Valutando il suo respiro e movimenti del suo corpo.
Mi stava respingendo.
- Follies, per favore vuoi rispondere alla mia domanda?-
Mi alzai presa da una collera improvvisa, scattando dal letto e avanzando verso di lui.
- Follies no, torna a sederti!-
Lo ignorai sedendomi sulle sue gambe, arrivando a un centimetro dal suo viso.
- Ho preso in considerazione quello che hai detto- disse a denti stretti, portando le sue mani sul mio stomaco con l'intenzione di spingermi via.
Mi morsi le labbra a sangue.
Non poteva permettersi di respingermi, non così facilmente.
- Follies se non vai a sederti...-
Lo interruppi stropicciando la sua camicia ben stirata nel mio pugno.
- Cosa fai! Chiami la sicurezza?- rovesciai tali parole con il fine di schernirlo.
- Cosa? Non riesci a liberarti di una donna da solo? O è perché in verità non vuoi liberarti di me!-
Potevo sentire il suo cuore rispondere sotto la mia mano.
Battere a un passo accelerato.
Era nervoso quanto afflitto.
- Anastasia Stuart ti ricordi cosa è successo nel tuo passato?-
Mi fermai di colpo al pronunciare di quel nome da me ormai dimenticato.
Sotterrato sotto strati di terra.
Anastasia Stuart?

- Mamma dove andiamo? Perché papà e gli altri non sono con noi?- La signora Stuart trascinò sua figlia, ignorando le sue domande.
Evitando d'incrociare il suo sguardo, per non farsi veder piangere.
- Mamma ti porta dalla zia, farai una breve vacanza come regalo del tuo compleanno, i tuoi fratelli ti raggiungeranno dopo-

Mia madre non era più tornata a prendermi da quella vacanza dalla zia, e mia zia mi aveva tranquillamente consegnato all'assistente sociale.
- Dunque? Ora che mi hai fatto ricordare qualcosa del mio passato cosa vuoi ottenere?-
Non ero in me in quel momento. Non dopo quel breve flashback.
Inclinai la testa di lato, sfoderando un perfetto sorriso malato.
Castiel trasalì sotto di me, spalancando gli occhi leggermente.
Ora aveva paura.
- Follies va a sederti-
L'ordine lasciò le sue labbra in un suono soffocato.
Mi inarcai con la schiena, avvicinandomi ancor di più fino a toccarli la punta del naso con il mio.
- Adesso ti spavento... ?-
Fece per distogliere lo sguardo ma riportai la sua attenzione su di me serrandogli la mascella tra le unghie. Il suo respiro incalzato.
L'odore dell'esitazione nei suoi occhi era plateale. Un dolce spettacolo.
Rimase in silenzio scrutando i miei occhi velocemente, cercando per la quarta volta di allontanarmi.

Doveva avere il mio odore ovunque: sotto le unghie, sui capelli e sui vestiti.
Ogni cosa di me doveva dominare la sua mente, i suoi pensieri. Non doveva poter respirare, nello stesso modo in cui io non potevo spirare.

- Follies! Non possiamo ogni volta finire così, non mi fai fare il mio lavoro!-

Ero troppo egoista per fregarmene.
Castiel socchiuse gli occhi con aria contemplativa.
Alzai una mano infilandola nei suoi capelli folti, attorcigliando le sue ciocche attorno al mio dito; e osservando con lieto piacere, la sua espressione in agonia.
Lui sospirò prima di parlare.
- Follies, per caso ricordi di avere dato fuoco alla casa della famiglia Stuart? Ho trovato una foto, che riportava una ragazzina di fianco a una casa in fiamme -

Valutai la sua domanda, sommergendomi nei miei innumerevoli pensieri.
L' avevo fatto veramente? E quando? Come?
Spostai velocemente gli occhi su di lui, intento a fissarmi con occhi diversi.
Mi sorpresi a schiudere le labbra, aprendo gli occhi per la rivelazione immediata.

- Tu già credi che potrei averlo fatto?-

Se la mia rabbia era scesa a causa sua, ora era pericolosamente risalita.
Mi alzai, allontanandomi verso la finestra che dava sulla strada.
In quel momento ogni particella e cellula nel mio corpo voleva disperatamente affliggerlo e recargli dolore.
Mi aveva appena giudicato

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