Prey

Capitolo XXXIV

"Non innamorarti della notte così follemente 

da non riuscire più a trovare la strada."

(Lestat)

La brezza del vento filtrava dalla finestra semichiusa, in ventate fragili sulle nostre figure. Pareva adularci gentilmente, un piacevole gesto calmante contro i nostri corpi in tensione. Un sedativo per la nostre anime sperdute.

Ariana era ancora chinata su di me e così erano strette le sue mani sui miei polsi.

Ancora mi guardava e ancora i suoi occhi sfidavano le mie orbe. Una lotta silenziosa e senza nome. Un combattimento non contro carne ma contro spirito e anima.

Il tempo sembrava non esistere e nemmeno erano i nostri corpi intenzionati a muoversi.

Sembravamo diamanti incastonati nella roccia. Intrappolati nella pietra.

E poi, avvicinò la sua fronte alla mia, socchiudendo gli occhi, lasciando che i suoi capelli lunghi mi solleticassero la pelle.
i suoi respiri in contrasto con i miei. Mischiati con i nostri odori.
Tutt'ora  apparivo scioccato e confuso dalle sue parole infestate.
Pertanto, non sapevo se parlare o se lasciare che il silenzio prendesse il trono.
E per quanto fossi propenso a cedere il trono, il suono invece mi incitava a riprendere la corona.

-Follies... Tu emergi come un qualcosa di bizzarro. Come un viandante che parla un verbo strano. Una lingua morta...-

Socchiusi le palpebre a mia volta, percependo solo i nostri respiri.

-Le tue parole sono strane Follies... Tutto di te non sembra comune.-

Lei sollevò la testa dalla mia, sfiorando la mia fronte con le sue labbra.
La sua bocca morbida sulla pelle.
Simile a un fuoco vivo sulla mia carne.

-Forse ho sbagliato a formulare la domanda...- continuai.

Ariana appariva persa in qualche altra dimensione. La sua presenza era lì ma non la sua mente.
Ogni tanto i suoi occhi si soffermavano su di me, per poi tornare a guardare altro.

Alzai una mano, liberandola dalla sua stretta ormai affievolita, appoggiandola sulla sua guancia.

Tale atto sembrò risvegliarla. Destarla da qualunque luogo remoto fosse andata a visitare con il pensiero.

-E quindi, te lo chiederò di nuovo. Perché hai scelto me? Perché ai tuoi occhi sono la vittima? Perché io, dal momento che non faccio parte della tua persistente vendetta?-

Ariana scosse la testa piano, un sorriso divertito agli angoli della bocca. Non mi rispose subito. Anzi, prese tutto il suo tempo, osservandomi attentamente. I suoi occhi fermi, e la sua mano ancorata sulla mia.

-Non mi risponderai?-

Insistetti leggermente, non volendo metterle troppa pressione.

Lei posò una mano all'altezza delle mie clavicole, percorrendole con un dito, marcando il percorso più volte.

-Hai mai visto un cacciatore a lavoro? Quando va a caccia?-

Il tono della sua voce privo di emozioni o qualunque nota famigliare.

Annuii, ricordando mio padre, durante le nostre permanenze in campagna, in mezzo alla flora.

Quando da bambino lo accompagnavo a cacciare alcuni conigli.

-Ebbene, non lo vedi forse caricare il fucile? Aguzzare la mira? Adocchiare il bersaglio in cerca del primo animale?-

Ariana scese con le dita sul mio petto, tastando i muscoli pulsanti, nascosti dal tessuto della camicia bianca. Consapevole dei miei respiri ora ansimanti , dal momento che ella era pur sempre una donna che toccava un uomo. E sebbene, per lei fosse solo un'esplorazione, per me invece, era un'ardua tortura.
Dal momento che il mio corpo rispondeva ai suoi tocchi con leggeri tumulti. Per come minacciava di impazzire.
E per come volesse più di quello che professava.

Ciò nonostante, gli occhi di lei rimasero su di me: la postura semi sdraiata, sul fianco.
Lo sguardo inabissato e vigilante. L'orecchio attento al cambiamento del mio respiro.

-Non vedi come anche l'arciere, tende il bersaglio pronto a scoccare la sua freccia?-

Quasi come se volesse farlo apposta, Ariana spalmò completamente il palmo della sua mano sul mio torace.

-Ecco, loro non scelgono una vittima in particolare. Non vanno a cercare un animale specifico. Non ci sono categorie quando devono cacciare. Lo fanno e basta-

Brividi di piacere, tremiti inaspettati attraversarono il mio corpo, costringendomi a bloccare la mano di Ariana, la quale si stava spingendo troppo in là, verso la cintura dei miei jeans scuri.

-E qualunque animale che intenzionalmente, entra nel loro bersaglio. Diventa la preda-


[ALCUNE ORE DOPO]

-Ci spieghi chi è questo demente! Questo pezzo di-
Accigliai lo sguardo, rivolgendo un'occhiata di disapprovazione nella sua direzione.
Hansel alzò gli occhi al cielo astenendosi dall'usare termini inappropriati.
-Okay... Gentilmente mi dici chi è questo Uriel?-
Avevamo cominciato l'interrogatorio molto presto, non appena ero uscito dalla stanza di Ariana. 
Hansel aveva insistito di svolgerla immediatamente. E ora ci trovavamo nello studio della signorina Vincént.
Stavo cominciando a provare malinconia per casa mia. Per Seattle e la mia famiglia.
Adoravo Parigi, mi correggo, amavo la Francia, ma il mio habitat si trovava tra le persone a me care.
- Un conoscente di vecchia data.-
Ariana era seduta dall'altra parte del tavolo, di fronte a me e Hansel.
Un bicchiere di champagne intrappolato tra le sue dita. Ultimamente aveva cominciato a trovare un certo piacere nello champagne. E spesso finiva per bersi più di quattro bicchieri al giorno.
-E... Perché sbuca soltanto adesso?-
Ariana si morse leggermente il labbro inferiore, inchiodando lo sguardo sulla bevanda frizzante nel bicchiere.
- Mi stava cercando. Ovvero, mi ha cercata per molto tempo-
Hansel strinse i pugni.
Io nel frattempo continuai a scarabocchiare indizi.
Un lavoro che mi usciva piuttosto bene. Dato che amavo cogliere i dettagli.
Il registratore appoggiato sulla scrivania, pronto ad afferrare qualsiasi confessione uscisse dalla bocca di Ariana.
-E come ti ha trovato?- intervenni, spostando gli occhi dal foglio verso la donna sadica seduta dinanzi a noi.
Evitai di guardarla direttamente negli occhi, dal momento che non mi ero ancora ripreso emotivamente.
Tutt'ora provavo forti fitte di piacere tra le gambe e nello stomaco.
Ariana sorrise per qualche secondo. Un sorriso malizioso e furbo.
- Sono andata io da lui-.
Io e Hansel imprecammo all'unisono, scambiandoci occhiate di dissenso.
-E per che cazzo di motivo andresti da... ! -
-Hansel! Cribbio, stiamo registrando, evita parole volgari!- lanciai un altro sguardo verso di lui, il quale fece spallucce irritato.
-Follies perché hai sentito il bisogno di tornare da qualcuno come lui? Insomma, eri al corrente delle sue intenzioni?-
Domandai, appoggiando la penna sul tavolo.
Le braccia ora incrociate sul mio torace.
-Sì-
Hansel imprecò di nuovo, appressando una mano sulla faccia. In uno stato di totale smarrimento e rabbia.
-Scusa Castiel, ma non ce la faccio!-
Non potevo dargli torto. Anch'io ero un tantino adirato. Ma non abbastanza da deformare la mia professionalità.
In pratica Ariana aveva appena confessato di essersi buttata nella fossa da sola, pur sapendo che Uriel voleva farle del male.
E non solo, pertanto, indifferente alla grande preoccupazione che aveva generato nelle nostre menti e nel nostro cuore.
A lei non fregava proprio niente della frustrazione altrui.
-Perché Anastasia!?-
Hansel aveva alzato il tono della voce di qualche livello, costringendomi a fermare il registratore.
-Hansel calmati!- lo ripresi di nuovo, posando una mano sulla sua spalla.
Ariana, al contrario, se ne stava lì composta. Le mani attorno al bicchiere e un sorriso divertito sulle labbra.
Per lei era tutto così divertente! Tanto da irritarti e farti perdere le staffe.
- Perché no?-
La sua risposta azzardata, bruciò l'ultimo residuo di autocontrollo del mio collega. Il quale balzò in piedi, uscendo con un accendino e una sigaretta fuori dalla porta principale. Ma questo, non prima di frammentare il bicchiere di vetro sul pavimento.
Lo champagne di Ariana andò a sprecarsi sulle piastrelle di marmo, assieme alle schegge di vetro sparate ovunque.
Hansel era infuriato: a dispetto della diretta interessata la quale era rimasta comodamente seduta sulla sua sedia, senza tanti rimpianti.
- Follies perché...? Perché sei andata da lui?-
Ariana mi guardò per un secondo, per poi distrarsi con i pezzi di vetro sul pavimento.
Mi alzai dal tavolo, lasciando la mia postazione in favore della sedia di fianco alla sua.
- Follies cosa vuole da te?- cercai di essere gentile e comprensivo.
- Per caso c'è un conto in sospeso tra di voi?-
Ariana andò avanti a non rispondere. Gli occhi oscurati e inespressivi.
- Per favore! Abbiamo bisogno del tuo aiuto per arrivare a qualcosa Follies! Non puoi continuare a ignorarci...-
Alle mie suppliche sembrò irrigidirsi. Il corpo stizzito e scosso da impercettibili spasmi.
-Ariana tutto apposto?-
Osservai le sue sopracciglia corrugarsi e le labbra curvarsi in una smorfia sinistra.
Ecco che faceva riemergere di nuovo quel lato oscuro e inquietante; tanto da metterti i brividi e allarmarti di scappare.
Posai una mano sulla sua spalla, per un attimo, liquidando la mia coscienza che invece mi diceva di andarmene via.
Il buon senso mi persuadeva di comprendere che Ariana era arrabbiata e non in vena di essere toccata.
Tuttavia, lasciai la mia mano sulla sua spalla.
Troppo stupido per cogliere il pericolo, o forse troppo compassionevole per lasciarla da sola.
In un gesto repentino afferrò la mia mano sulla sua spalla, intrappolandola nelle sue mani.
La velocità nella quale si mosse mi spaventò, per qualche secondo, e questo non perché fosse una cosa disumana, ma perché non ero stato in grado di prevederla.
Come d'altronde il resto delle volte.
-Follies... che c'è?-
Il mio tono cauto e perplesso.
Lei andò avanti a fissare la mia mano nella sua, mentre con l'altra mano libera, prese a frugare qualcosa nelle tasca dei suoi pantaloni.
Che cosa cercava adesso?
Studiai la sua espressione e la mano nella tasca, socchiudendo gli occhi nel mentre.
Il capo leggermente inclinato verso di lei, nel disperato tentativo di capire cosa stesse cercando.
-Follies?....-
Fu solo quando la sua mano cominciò a sfilare un qualcosa di luminoso, che realizai cosa stesse per fare.
- Ariana no!-
Allontanai il braccio in tempo, ma non abbastanza da evitare il colpo inaspettato.
Una parte della scheggia era riuscita a tagliare la superficie della mia mano.
Niente di grave, ovvero, era soltanto un leggero taglio in superficie.
Eppure, preoccupanti erano le sue intenzioni.
I suoi scatti d'ira improvvisi.
Mi alzai dalla sedia, prendendo le distanze, spostandomi dall'altra parte della stanza.
Non ero nella capacità di parlare.
Almeno non in quel momento, non quando tutto quello che volevo fare era riempirla di insulti e ricoprirla della mia rabbia.
-Lui vuole quello-
Ariana parlò, dopo avermi osservato abbastanza a lungo.
-Cosa? Che cazzo significa?-
Il suo parlare in codice, in questo momento, non mi stava per niente aiutando. Peggio, la mia frustrazione appariva aumentare sempre di più.
Lei puntò la mia ferita con il dito.
La sua attenzione catturata dal taglio che mi aveva inflitto.
Guardai la mia mano e poi di nuovo lei.
-Sangue...?-
Ariana annuì, pulendo la scheggia di vetro sulla sua maglietta bianca.
- Cristo! E non potevi dirmelo come una persona normale?!- digrinai i denti, guardandola in cagnesco.
Lei sorrise compiaciuta. Dilettata dalla mia espressione corrucciata nei suoi confronti.
Sospirai rumorosamente, di proposito, spostando le ciocche ribelli davanti agli occhi, contando fino a dieci con l'intento di calmarmi e placcare l'ira.
Non aveva senso arrabbiarsi con qualcuno che traeva gusto in tali cose.
Tempo sprecato.
-E perché vorrebbe il tuo sangue?-
Avanzai verso la cabina del pronto soccorso, cercando una garza con cui avvolgere il palmo.
- Non proprio il mio...-
Mi voltai verso di lei interdetto, lo sguardo frustrato e tormentato.
Ariana rilasciò un altro sorriso. Stavolta carico di mistero e sadismo.
- E di chi allora?-
Hansel fece la sua entrata proprio in quel momento, calamitando i nostri occhi su di lui.
Hansel?
Il sangue di Hansel...?

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