Let me( 1/2)

Capitolo XLV

" Poiché la mia libertà finiva dove cominciava la tua...".

- M.L.King-


Hansel si era intrufolato nella mia stanza, alle undici di sera. Accompagnato dalla sorella di Castiel. La quale rimase sorpresa quanto me, quando i nostri sguardi si incrociarono.
- Ti posso spiegare Ana! Non è come pensi!-
Lui tentò di spiegarsi, gesticolando ampiamente; cercando di spostare la mia attenzione dalla donna insicura alle sue spalle.
- Ho cercato di fermarla ma non...-
Lo interruppi alzando una mano.
- Nessun problema Hansel, anzi sono contenta di fare la sua conoscenza- replicai, studiandola con assidua insistenza.
Gli occhi verdi mi guardavano stupiti, leggermente intimoriti dalla mia presenza.
La lunga chioma bionda le incorniciava il viso in maniera graziosa; tanto da conferirle quell'aria innocente e seduttiva.
Paris era ben vestita, con abiti firmati ed eleganti. Una donna che sapeva come apparire davanti al pubblico.
Eppure, ciò che catturò la mia attenzione furono invece i lineamenti armoniosi.
Simili a Castiel. Uguali a quelle sue sfumature celestiali. A quelle sue fattezze angeliche, che sapevano suscitare sensazioni soavi e miti, sul fondo del mare.
E qualcosa nella sua persona, mi strinse il cuore in una morsa dolorosa.
- Come ti senti cara?-
Spostai lo sguardo sull'espressione nervosa di Hansel. Ancora mortificato per aver permesso a Paris di venire con lui.
- Sto bene... Meglio di prima- affermai.
Inclinai la testa di lato, socchiudendo gli occhi. E poi avanzai di qualche passo verso la sua figura slanciata.
- Che hai fatto?-
Notai un taglio sulle sue labbra, e senza troppi pensieri, allungai una mano sotto il mento di lui sfiorandone i contorni.
E per un attimo, venni inondata dai vecchi ricordi del passato. Quando in giorni bui, mi era parso piacevole prendermi cura di lui.
- Prima di tutto sono stata io a curarlo, e non vedo perché tu debba arrivare sino a tanto!-
L'intervento di Paris ci lasciò di stucco. Abbastanza da lasciarmi con la bocca semichiusa.
Hansel boccheggiò appena, non sapendo come giustificarla.
Pertanto, meravigliato dall'improvvisa manifestazione di gelosia.
La fissai per qualche secondo in più, e poi, mi sciolsi in un sorriso divertito.
- Mi scuso Hansel, non dovevo toccarti così inappropriatamente.-
Alzai le mani in segno di resa, indietreggiando.
- Non voglio mancare di rispetto a
nessuno - aggiunsi. Lo sguardo guizzante di malizia.
Hansel guardò Paris accigliato, la confusione nei suoi occhi chiari.
- Che c'é?- sbottò lei, aggrottando la fronte.
Le braccia sul petto e il volto deformato da una lieve ma evidente gelosia. Quasi amabile da vedere.
Sorrisi di più.
E così un altro agnello si stava invaghendo del lupo.
Quanti agnelli imprudenti e sventati.
Che fosse una maledizione... Una accerrima maledizione caduta su di noi.
Nella quale i fratelli Smith parevano essere la nostra condanna; Soggetti che non riuscivano a vedere il pericolo e non sapevano evitarlo.
Dentro e sino in fondo, all'interno della melma. I fratelli Smith preferivano toccare l'estremo. Scavalcare la linea di confine.
- Scusami Ana...- disse Hansel, con lo sguardo ancora fisso sulla donna bionda.
- Di che?-
Mi sedetti sulla poltrona invitandoli a sedersi sul divano.
- Allora come procede? Hai avuto notizie di Castiel?-
Hansel fu il primo a parlare. Una gamba accavallata sopra l'altra. Lo sguardo improvvisamente serio.
Anche Paris, sembrò catturata dalla nostra conversazione, dal momento che comunque si parlava di suo fratello.
- Ho parlato con alcune spie di Uriel, e mi hanno detto che si trova in questa zona, nascosto da qualche parte-
- Ma dove??-
Paris si allarmò. Gli occhi sgranati e pieni di amarezza.
- In un magazzino fuori città... Sento di essere vicina- risposi.
Lei sospirò lasciandosi andare contro lo schienale. Hansel le riservò uno sguardo dispiaciuto, stringendole la mano.
- Perché non stiamo avvisando la polizia?-
Paris portò l'attenzione su di lui, ma stavolta arrabbiata. Spazientita.
- Hansel potremmo chiamare la polizia! Loro possono trovarlo in fretta! Non possiamo aspettare lei!-
I suoi occhi imploranti cercavano di persuaderlo, di farlo ragionare. Di portare Hansel dalla sua parte.
- Paris per favore, non cominciare...- asserì lui.
Le mani sulle spalle di lei; con il tentativo di calmarla.
- No invece!-
Lei si alzò di scatto dal divano, ergendosi di fronte a me.
- E' tutta colpa tua! É soltanto colpa tua! -
Il suo dito puntato sul mio petto. Gli occhi furenti e stanchi.
E sapevo benissimo che non aveva senso ribattere. Nemmeno scusarsi.
Poiché era la disperazione a parlare. Era il suo dolore a sfogarsi.
- Paris stai esagerando-
Hansel si alzò a sua volta, stringendola a sé, allontanandola da me. Le sue braccia ancorate sulle sue.
- Hansel lasciami! Devo dirle quello che penso!-
Sì divincolò dalla presa di lui, soltanto per essere riacciuffata.
- No invece, ora mi aspetterai in stanza va bene?-
Hansel la condusse fuori dalla porta.
- Vatti a riposare, torno subito-
Le diede in mano un mazzo di chiavi, incoraggiandola a salire le scale.
E infine lei cedette, scegliendo di ascoltarlo.
Una volta sparita, Hansel tornò a sedersi con me.
- Ana mi dispiace...-
Scossi il capo, interrompendolo subito.
Non aveva senso scusarsi.
Insomma come facevi a scusare il dolore?
Come facevi a chiedergli di tacere, quando faceva così male?
- Sì invece, mi scuso per quello che ti ha detto- insistette lui. Gli occhi su di me.
Sfoderai un mezzo sorriso, scuotendo nuovamente la testa.
- E cosa mi ha detto?-
Hansel si rabbuiò, tornando di nuovo serio.
- Anastasia non è colpa tua okay?-
Rimasi ferma a fissarlo nelle orbe chiare.
La mente sommessa e il cuore occupato.
Confusa dalle sue inaspettate parole.
Del perché a volte, sembrasse voler consolarmi.
E come un buon samaritano, persisteva nel voler rimuovere i miei pesi. I miei fardelli incastonati nel fondo del mio cuore.
- E' colpa mia Hansel...- risposi piano.
- Dividi la colpa con me, allora. Lascia che la prenda anche io.-
Parlava sul serio.
Dischiusi gli occhi, inclinando di poco la testa. Ancora più confusa dal suo parlare.
Dal forte sentimento che stava di nuovo professando.
- No Hansel...-
Distolsi lo sguardo, spostando la mia attenzione sulla luce lunare che giocava con le ombre degli oggetti.
- Non metterò le mie catene su di te, io voglio che tu sia libero-
- Ma Anastasia...-
-Hansel...! Sii libero.-


🔹CASTIEL🔹

Mi avevano spedito nello scantinato.
Stavolta, neppure Nairobi era riuscita ad aiutarmi. Anzi, anche lei si era spaventata.
Scossa dalle minacce di suo fratello nei suoi confronti. Così Geyser mi aveva portato qui, rifornendomi di cibo, acqua e coperte; persino di un kit di pronto soccorso.
E tutto questo l'aveva fatto di nascosto, lasciandomi sorpreso.
Meravigliato.
E questo perché non ero nessuno, lui non mi doveva niente eppure, mi stava aiutando.
Una volta arrivato, mi ero seduto sul freddo cemento. E così ero rimasto.
La schiena contro il muro di pietra. Gli occhi rivolti verso le piccole finestrelle a croce greca; situate ai lati delle pareti.
Il soffitto era così alto da non riuscire a contenere il calore. E difatti sembrava di essere in inverno. In mezzo alla neve.
Chiusi gli occhi rattristato, sognando di essere altrove. Lontano da quel posto tremendo.
E fu mentre me ne stavo lì in silenzio, che udii piagnucolii sommessi.
- Aiutatemi...-
Un singhiozzo dopo l'altro.
Mi alzai in piedi troppo velocemente, per poi cadere di nuovo sulle ginocchia.
Il mio corpo non si era ancora ripreso dalle scariche di elettroshock.
Tuttavia, non potevo starmene lì. Non potevo lasciarmi schiacciare dal retrogusto della sconfitta.
Tentai di nuovo, e con l'aiuto delle pareti mi incamminai verso la voce angosciata.
Camminando, notai una porta di legno. Nascosta dietro una grossa colonna portante.
E senza troppe pretese spinsi giù la maniglia; trovandomi presto dinnanzi a una scena sconcertante.
Una ragazzina, sicuramente sui tredici anni, intenta a tenere tra le braccia, un corpo inerme.
Un'altra ragazza identica, ricoperta di lividi e ferite.
E fu solo in quel momento che compresi le parole di Geyser.

"Fidati che è meglio passare la notte con una donna che essere torturato. Tu non hai idea di cosa succede agli altri ragazzi in questo posto. Devi sentirti fortunato se Uriel ha preferito mandarti da lei".

Lo stomaco mi si strinse in una morsa glaciale.
Tanto che dovetti sorreggermi contro la parete.
- Vi prego! Aiutate mia sorella!-
I suoi occhi scuri erano grondanti di lacrime copiose. E la seconda pareva priva di sensi.
Mi avvicinai immediatamente, accostando l'orecchio al battito del suo cuore e premendo i polsi. Nella speranza di sentire il cuore palpitare. Dopo qualche secondo di puro silenzio, fui in grado di intuire una debole palpitazione.
- È viva...- dissi tra un respiro e l'altro.
Un barlome di speranza parve scintillare all'interno delle sue iridi; contenta di sentire l'unica bella notizia, in un luogo, dove potevi aspettarti solo brutte notizie.
- aspettami qui, torno subito-
Mi alzai di nuovo, per andare a raccogliere il kit e tutte le altre cose che Geyser mi aveva lasciato.
Dovetti fare due viaggi, tant'è che quando terminai, le forze mi stavano già abbandonando.
- Stendila sul pavimento- ordinai.
E sotto gli occhi delle sorella cominciai a pulire e cucire le ferite con ago e filo. Meticoloso come non mai, non volendo infettare i tagli già infetti.
-Come vi chiamate?- chiesi, cercando di distrarla dalla situazione sotto ai nostri occhi.
Il volto era sporco di terra e lacrime, i capelli neri altrettanto. Per non parlare degli indumenti larghi e stracciati.
- Io Ariana, e lei Anastasia...-
Alzai la testa di scatto, l'espressione sbalordita.
I pensieri nella mia testa urlavano un nome alla quale non volevo dare ascolto.
- E chi vi ha dato quel nome?-
Un groppo in gola. Quasi facevo fatica a parlare. La voce spezzata.
- Nostro padre...-
Abbandonai per un attimo l'ago nella scatola.
Il mio corpo arrestato, fermo come una statua di sale.
- E chi è vostro padre?-
La tensione dominava ogni molecola nell'aria ed ero certo di soffocare.
- Uriel...-

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