He Asks Of Me (1/2)


Capitolo XLIII

"Un sognatore è colui che può solo trovare la sua strada al chiaro di luna, e la sua punizione è che egli vede l'alba prima del resto del mondo."

-Oscar Wilde-

Fu la luce del sole a svegliarmi.
A smuovermi dalla trappola del sonno.
A ricordarmi che non ero a casa mia, che non ero al sicuro.
Lontano da quella quiete ancestrale e dalla pace che amavo.
Sbattei le ciglia più volte, osservando il cielo aldilà del vetro. La libertà al di fuori della mia portata. E penso che Ariana si fosse sentita così quando stava al Meghan Hospital.
Rinchiusa, bloccata all'interno delle quattro mura che componevano quell'inferno.
L'atroce realizzazione di non poter scappare, pesava come un macigno sull'anima.
Mi sembrava di agonizzare, di essere privato dell'ossigeno nei polmoni.
Come se fossi sott'acqua e stessi affogando.
- Buongiorno Stella del mattino... -
Abbassai lo sguardo sul mio torace, incontrando gli occhi chiari di Nairobi.
L' espressione assonnata intrisa di furbizia e desiderio.
Aguzzai la vista, attraversato da un profondo senso di vergogna e colpevolezza.
Non solo per me stesso ma anche nei confronti di Ariana. La quale non sarei sicuramente riuscito ad affrontare. Non dopo quello che avevo fatto.
Lei alzò il capo dal mio torace, sostenendo la testa con un braccio.
- Ieri notte... Mi sono davvero divertita-
Mi infilai le mani nei capelli.
Frustrato e sconvolto.
Nairobi stava nuda contro di me, sotto le lenzuola. I lunghi capelli sparsi sulla schiena diafana.
- L'unica pecca, è che mentre facevano sesso hai ripetuto il nome di "Ariana" molte volte. -
Ero stato drogato ieri sera, dopo che Geyser mi aveva riportato indietro. L'avevano fatto contro la mia volontà per evitare un'altra fuga.
Una volta drogato, avevo perso la testa.
In alcuni momenti ero in me è in altri ero completamente fottuto.
Mi sentivo così male che arrabbiarsi non sarebbe portato nulla.
Urlarle addosso avrebbe solo aggravato le cose, e di essere drogato una seconda volta...
Non volevo nemmeno pensarci.
Solo che... Ora mi sentivo interamente sporco.
Un traditore e un disertore.
-Voglio sentire il mio nome la prossima volta... -
La prossima volta...?
Sgranai gli occhi, guardandola in cagnesco.
- Ma che cazzo! Con chi credi di avere a che fare? -
La spostai dal mio corpo, afferrando un lenzuolo per coprire la mia nudità.
Lei sorrise maliziosamente, scuotendo la testa divertita.
- Avanti ti ha fatto bene. Insomma, dopo una giornata del genere, era il minimo che potessi desiderare... -
Ero esterrefatto se non scioccato dalle sue parole insensate.
- Non vi bastano le cose orribili che fai tu! E tuo fratello! Ti devi anche giustificare?!-
Mi veniva da vomitare per il disagio che sentivo nello stomaco. E per i forti giramenti della testa.
Mi appoggiai alla parete, legando il lenzuolo attorno alla vita.
- Va bene che sei un ospite diverso dagli altri, ma non devi permetterti di alzare la voce con me-
Il tono era decisamente troppo tranquillo, ma la luce nei suoi occhi gridava tutt'altro che tranquillità.
- Ospite? Per voi siamo ospiti...? Oh signore, quante cazzate- commentai senza scrupoli.
Se non morivo per mano di Uriel, sarei sicuramente deceduto per le maree d'idiozie che sparavano dalla bocca.
- Non mi temi proprio eh? -
Nairobi si alzò dal letto, avvolgendosi all'interno della sua vestaglia ricamata.
- Dovresti Castiel, io non sono sempre gentile -
Si avvicinò alla mia figura spalmata contro la parete.
- Dovresti ritenerti onorato di avermi trovata così generosa nei tuoi confronti-
Si alzò sulle punte, lasciandomi un bacio fuggiasco sul collo.
- Fa come se fossi a casa tua, ti ho fatto preparare la vasca e dei nuovi vestiti-
Struscicò le sue dita sul mio petto, tastando i muscoli sotto la pelle.
- Ci vediamo più tardi-
Con un sorriso lussureggiante abbandonò la stanza.
Restai fermo per altri secondi, per poi prendere il muro a pugni, in preda a una rabbia frustrante. Un forte senso d'impotenza.
Un profondissimo senso di niente.

[...]

Mi ero sbucciato le nocche a furia di prendere il muro a pugni, e ora bruciavano.
Insieme alle garze sulle gambe, ormai quasi sfasciate e tinte di sangue.
Qualche ferita si era riaperta.
Nonostante il bruciore mi immersi nella vasca, con l'intenzione di cancellare l'odore di quella donna dalla mia pelle.
L'unico profumo che volevo sul mio corpo era quello di Ariana. L'emanazione di gelsomino e lavanda che spesso lasciava sui miei vestiti.
Sfregai il sapone su di me con parecchia frenesia. Ovunque le sue mani perverse mi avevano toccato.
Mi mordicchiai il labbro, scacciando indietro la tristezza che minacciava di trasformarsi in rugiada. Le lacrime di rabbia che tentavano di evadere dai miei occhi.
Non potevo crollare in questo modo. Dovevo essere forte. Darmi un contegno e resistere in questo fosso di dannati.
- Hey signorino! Uriel chiede di te? -
Mi voltai di scatto verso i colpi sulla porta.
No no no! Non di nuovo...
Riconobbi il vocione di Geyser.
Eppure non osai rispondere.
Perché chiedeva di me? Aveva scoperto che avevo cercato di fuggire?
L'ansia si addossò su di me come un ancora infondo al mare. Mi era difficile persino parlare.
- Hey Castiel? Tutto okay? -
Mi sembrava di andare alla ghigliottina.
Ero sbiancato e il terrore riposava nei miei occhi.
Perché Uriel mi faceva così paura? Era lui che temevo davvero o quello che avrebbe potuto farmi...?
- Castiel hai pochi secondi per uscire dal bagno. Ti esorto a non farlo attendere-

🔹 FOLLIES🔹

Il sole non mi era mai parso così grigio.
E l'aria inquinata di sostanze chimiche, logorava la mia anima di nero.
Stavo impazzendo, dando di matto.
Non riuscivo a controllare i sentimenti, le voci e ogni più infima sensazione.
Ero stata abituata ad avere quello che volevo quando lo esigevo. A sapermi al sicuro.
Ma per la prima volta, ciò che volevo non era a mia disposizione. La mia libertà non mi aveva resa partecipe. E i miei sentimenti mi strappavano la pelle.
Mi incolpavano di aver perso la mia poesia...
E con disperata afflizione, lieta malinconia, mi chiedevo com'era possibile...?

Come poteva essere che Castiel era diventato poesia ai miei occhi?

- Lui dov'é? -
Mi chinai all'altezza della donna, una delle tante spie di Uriel.
- Non lo so... Mi devi credere! -
Ero furiosa. Altamente provocata dalle loro menzogne. Perché ogni singola persona di loro conosceva Uriel, eppure si comportavano come se stessimo parlando di un estraneo.
- Lasciala andare! -
Il suo fidanzato se ne stava in piedi, tutto tremante, con una pistola puntata nella mia direzione.
L'avevo guardato con discreta attenzione, un sorriso compiaciuto sulle labbra.
Perché persino lui sapeva che non avrebbe premuto il grilletto. Aveva troppa paura di Uriel.
Jane aveva le mani alzate in segno di resa, la lama del mio coltellino premuta sulla sua gola.
- Ti diremo tutto quello che sappiamo! Ma per favore lasciala andare! -
Scossi il capo, sfoderando un mezzo sorriso.
- Prima mi dirai cosa sai -
Kevin abbassò la pistola, mettendosi una mano tra i capelli. L'ansia trapelava da tutti i pori e la tensione, pareva solcante.
- Hanno portato Castiel fuori città, ai confini di Seattle! Ma non sappiamo dove, davvero! Ci devi credere! -
Anche la ragazza annuì, in preda alla stessa ansia frenetica di lui.
Guardai il ragazzo e poi di nuovo lei.
E senza preavviso premetti la lama con più decisione, abbastanza da lasciarle una riga di sangue.
Kevin abbandonò la pistola avvicinandosi a noi
- E' la verità! Per favore! -
Gesticolava ampiamente con il tentativo di persuadermi a lasciarla andare.
- Ho sentito che volevano portarlo in un magazzino fuori dalla città! Tutto qui! Davvero non sappiamo nulla! -
Le informazioni mi bastavano.
- Spero di non incontrarvi più, perché se dovesse succedere... Stavolta non esiterò-
Lasciai andare la ragazza, avviandomi verso l'esterno. Mostrando una pietà che non avrei dovuto donare, dal momento che nessuno di loro aveva dimostrato compassione nei confronti di Castiel.


🔸 CASTIEL🔸

- Perché chiede di me? Cosa ho fatto stavolta? -
Mi ero vestito con i nuovi indumenti che mi avevano lasciato sul letto.
E non avrei voluto farlo, ma se non lo facevo, sarei morto di freddo.
E volevo morire.
Volevo tanto che tutto questo finisse; Però, allo stesso tempo, sapevo che non era la cosa più intelligente da fare.
Non quando tutti erano sulle mie tracce e mi stavano cercando.
E che razza di sorpresa gli avrei dato se mi fossi lasciato morire?
- Castiel, devi capire che qui non devi per forza aver fatto qualcosa... -
Geyser mi diede le spalle camminando spedito.
-... Forse fai parte di qualcosa-
Sospirai, cercando di stare al suo passo.
Una parte di me ancora occupata ad arginare la confusione nella mia mente.
La vista mi si annebbiava per le mancate ore di sonno unite ai residui della droga nel mio sistema.
- Che devo fare? -
Ci eravamo incamminati per un vasto corridoio, illuminato da numerose lampade a olio. Un lungo tappeto rosso sotto i nostri piedi.
Mi avevano detto che questa galleria conduceva alle stanze private di Uriel, nell'ala est della villa.
- Non puoi fare altro che lottare. Tuttavia non contro la carne, ma contro ciò che è invisibile-
Aggrottai la fronte, perplesso per l'ennesima volta.
-Che significa?-
Geyser allentò il passo, permettendomi di raggiungerlo.
- Non temere chi può uccidere la carne, temi invece chi può annientare l'anima. L'uomo non ha alcun potere. Neppure i demoni nella nostra testa. Non farti abbindolare da loro...-
Alzai gli occhi su di lui, i lineamenti spigolosi e gli occhi vispi.
Una grossa cicatrice attraversava la sua guancia destra, dandogli quella falsa apparenza da tamarro. Eppure, era una persona per bene.
- Ricorda Castiel... "L'amore perfetto sopporta ogni cosa"-

"L'amore perfetto scaccia via ogni paura".

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top