Flaws II

Capitolo XXIX

"... non è per l'illusione di un momento di governare la scelta di una vita."

Pierre A.F. Choderlos de Laclos, Les Liaisons dangereuses

(Le champs elysees, Paris-France)

Successe tutto troppo in fretta, troppo velocemente.
Tanto da mandarmi in subbuglio e innescare l'adrenalina.
Il medico che Hansel aveva mandato in camera mia stava lì morto sul pavimento e il suo sangue riversato sul suolo. Tutt'ora non mi ero ristabilito ed ero ancora sotto il giogo dello shock. Qualcuno era entrato con l'obiettivo di sparare me o Hansel, e aveva mancato il bersaglio.
Non sapevo se di proposito, ma nel frattempo qualcuno era morto. Hansel si era subito lanciato all'inseguimento con la sua pistola, lasciandomi con il morto nella stanza, tornando solo dopo una ventina di minuti frastornato.
-Oh Dio, Castiel sei ancora così! Vestiti subito ed esci subito di qui!-
Avevo alzato lo sguardo verso la porta, trovando Hansel in compagnia di Ariana, il suo braccio attorno ai suoi fianchi, in un gesto di protezione.
-Vestiti! Prendi Anastasia e scappate!-
L'aveva condotta da me, poggiando lo sguardo sul medico disteso a terra.
-Cosa?! E tu? Non dovremmo chiamare la polizia? Non puoi fare tutto da solo!-
In vano avevo protestato, ignorando la sua espressione spazientita, nel tentativo di essere d'aiuto.
-La chiamerò non preoccuparti ma tu comincia a portarla via! Qualcuno ci vuole morti-
Allora mi ero alzato con fatica dal letto, barcollando nel processo.
-E dove andiamo??-
Avevo in seguito posato lo sguardo su di lei, sulla figura assente di Ariana. Paralizzata e ferma sul sangue del morto.
-Raggiungete la stazione. Salite sul treno e scendete alla prima fermata, vedrete una casa gialla all'uscita della stazione-
Così aveva detto Hansel con molta fretta.
-Chiedete di Cecile De crayon, e ditele che vi manda Hansel Jagger-
Detto questo ci aveva imposto di lasciare la stanza e di non destare sospetto.

***

E ora eravamo qui, seduti sul treno, uno davanti all'altro, nell'attesa della nostra angosciante fermata. O almeno per me, dal momento che Ariana non sembrava assolutamente smossa dalla vicenda.
-Tutto okay Follies?-
Non mi rispose subito, anzi pensò bene di ignorarmi per altro tempo ancora. E io in tutto questo mi irritai.
-Non penso di aver fatto una domanda così complessa- protestai, leggermente risentito.
Ariana non mi rispose nemmeno questa volta, ignorandomi completamente.

Stanco, lasciai perdere, portando lo sguardo fuori dal finestrino. Era notte fonda, e l'orologio sul mio polso segnava le 2.00 di mattina.
-Stiamo per arrivare- la informai, alzandomi con difficoltà dal sedile. Il mal di testa si stava facendo sentire sempre di più. Ariana mi seguì in silenzio, continuando a perseverare con il suo mutismo fastidioso.
-Anastasia...?-
Usai quel nome di proposito, volendo infastidirla.
Ariana alzò lo sguardo verso di me, bloccando i suoi pozzi neri sulla mia figura.

-Non chiamarmi così-
La sua voce tagliente.

-okay ma dimmi qualcosa! Non startene in silenzio-

Distolse gli occhi dai miei, per qualche minuto, guardando i dintorni piuttosto che la mia faccia corrucciata.

-Qualcosa-

Alzai gli occhi al cielo indignato, stavolta accettando la sua testardaggine.

-Ecco la casa gialla-

Una piccola casa gialla sorgeva, fuori dalla stazione, a qualche metro dalle strisce pedonali.
E fu una donna giovane, sulla trentina ad aprirci la porta.
Una statura minuta e aggraziata.
-E voi chi siete?-
Gli occhi da cerbiatta e lo sguardo assonnato.
Se Hansel aveva avuto un qualche affare con questa donna non lo biasimavo, era difatti carina.
-Sono il detective Castiel e lei è...- esitai per qualche secondo in più, non sapendo sotto quale identità nascondere Ariana.
-Mia sorella.- conclusi.
Notai la faccia interdetta di Ariana, e le labbra increspate in un mezzo sorriso sinistro.
Forse... Non avrei dovuto dirlo.
-Ci manda Hansel Jagger-
Al suono del suo nome, i suoi occhi castani parvero brillare.
-Oh certo, entrate pure-
La casa era accogliente e calda e un piacevole tepore aleggiava all'interno di essa. Diversamente dall'aria umida e fredda che soffiava all'esterno.
-Accomodatevi pure qui-
La donna ci fece sedere sui divani bianchi nel piccolo soggiorno per poi sparire ai piani superiori.
Come sua abitudine, Ariana mantenne lo sguardo fisso sul punto dove la donna era sparita, schiudendo gli occhi nel contemplare qualcosa d'invisibile.
Non poter sapere cosa stesse pensando in quella testa misteriosa, era abbastanza frustrante.
Fin troppo frustrante.
Lei andò avanti a ispezionare l'ambiente circostante. La mia presenza simile a quella di un fantasma. Sembravo non esistere.
Sbuffai lasciandomi andare contro lo schienale del divano, chiudendo gli occhi a causa dei forti giramenti.
Portai la mente lontano dal presente, dal caso, da Hansel e da Dave. Da tutto quello che andava storto in quel momento; cercando un sottile spiraglio di quiete. Una quiete ancestrale che sapeva diffondersi durante le tempeste più nere, bramando un po' di sollievo per il mio cuore; volendo essere riempito fino in fondo, proprio come la pioggia, quando riempiva i buchi vuoti nei marciapiedi.
Rimasi per un po' in quella ferma e sorda posizione.
Riannebbiato dal senso di calore che era in me: La febbre, la quale lentamente avvolgeva il mio corpo e il senso di malessere e stanchezza. Una Fredda sudorazione e un leggero tremolio.

Non mi accorsi della vicinanza di Ariana, fino a quando non percepii il peso del suo sguardo.
Aprii lentamente gli occhi incontrando quel nero petrolio, quel colore scuro che da sempre caratterizzavano i suoi occhi. Abissi senza fondo. Firmamenti senza stelle. Era seduta alla mia destra, con il capo indirizzato verso il mio.

- la febbre ti dona...-

Ancora quel parlare codificato.
Quale persona normale vedeva una persona ammalata e le diceva che la malattia le donava?
Ero troppo stanco per arrabbiarmi, ma non abbastanza vulnerabile da esserne infastidito.

-Smettila, se non hai nulla di sano e incoraggiante da dire, non dire niente-

Ariana scosse la testa piano, sollevando una mano per giocare con i suoi capelli lievemente arricciati dall'umidità della notte.

- E' bella, poiché per un breve attimo spezza l'uomo, lo rende debole e instabile, a tal punto da privargli delle forze necessarie che lui tanto sostiene di avere-

A volte fallivo nel comprendere le motivazioni dietro le sue parole, fallivo nel capire che cosa volesse insinuare. E non sempre parlava con cattiveria ma, esprimeva soltanto quello che pensava.
Rimasi in silenzio di nuovo, non volendo più
parlare, socchiudendo gli occhi solo per aprirli di nuovo al rumore di uno sparo in lontananza.
Balzai subito in piedi, nonostante il malessere, afferrando la mano di Ariana nella mia.
-Che succede?!-
Portammo lo sguardo verso le finestre, osservando i dintorni e le strade deserte.
-Detective! Detective!-
La signora Cecile venne giù di corsa dalle scale, tutta trafelata e spaventata. A momenti con il cuore in mano.
-Scappate! Dovete uscire di qui!- disse tutto d'un fiato. Il panico nella voce e l'espressione gentile deformata in una di terrore.
-Ho ricevuto un messaggio da un numero sconosciuto! Qualcuno è qui fuori!-
Ero troppo scioccato per fare un passo, tanto che fu lo strattone di Ariana a farmi rinvenire.
-Uscite dalla porta sul retro! Sbrigatevi!-
Non me lo feci ridire, trascinando Ariana dietro di me verso la cucina, attraversando la porta sul retro che portava nel piccolo giardino dietro la casa. La signora Cecile richiuse la porta a chiave una volta fuori, sventolandoci un veloce saluto prima di abbassare le tapparelle.

A quel punto, io e Ariana eravamo completamenti da soli. Avvolti dalla notte umida e l'aria fredda.
Il mio cuore batteva all'impazzata e la mia mente non era ancora riuscita a mettere insieme tutti i pezzi.
- Sta arrivando... -

Ariana era intenta a fissare l'ombra di una sagoma proiettata sull'erba verde.
-Vieni -
Prima che potessi replicare o pensare di tirare fuori la pistola dalla giacca a vento, Ariana mi agguantò il braccio trascinandomi nella sua direzione, camminando di soppiatto come una vera ladra professionista. Voltammo l'angolo della casa allontanandoci dal giardino, imboccando un piccolo viale tra i cespugli. Ariana controllava la sagoma dell'uomo in lontananza e la nostra posizione.
Lo sguardo concentrato e imperturbabile. Freddo e insensibile alla paura del momento. Nessuna emozione traspirava dallo sguardo di lei. E nessun segno di adrenalina nei suoi occhi.
-Seguimi, conosco una posto dove possiamo nasconderci-
Mi guidò per un'altra strada nascosta dagli alberi, arrivando a una distesa piana e verde, dove alla fine della verde campagna sorgeva una baracca, o meglio più un ripostiglio per falegnami e addetti all'agricoltura.
-Come conoscevi questo posto?-
Avevo troppe domande, così tante da non riuscire a contenerle.

Come faceva Ariana a conoscere questo posto? A conoscere la strada prima di tutto? E chi era quell'uomo che ci stava dando la caccia?

C'erano tante cose che avevo sottovalutato in questo caso, e una di queste stava proprio nel chiedere aiuto. Avrei dovuto chiedere aiuto sin dall'inizio.

Ariana chiuse la piccola porta di legno alle nostre spalle, andandosi a sedere nell'angolo della casetta, vicino agli attrezzi da lavoro. Lontano da dove stavo io.

Feci per avanzare nella sua direzione quando lei alzò la testa di scatto verso di me.
-Non avvicinarti!-
Un ringhio sommesso lasciò la sua bocca assieme alle parole, obbligandomi a rimanere sul posto.
-Che ti prende adesso?-
Mi sentivo davvero troppo male per discutere. E la mia voce pareva gentile anziché severa.
-Nulla, devi solo starmi lontano per un pò-
Avrei voluto ribattere qualcosa ma non trovai le parole, anzi sconfitto e avvilito andai a sedermi nell'angolo opposto al suo.
Una volta seduto, ogni cosa si fece sentire il doppio, tanto da farmi sfuggire un gemito involontario dalle labbra. Il mal di testa era insopportabile e così anche l'appesantimento della massa corporea.
Stavo decisamente per crollare a terra o perdere i sensi.
Portai la schiena contro la parete, appoggiandovi tutto il peso del corpo in lotta, In bilico, in duello tra lo stare sveglio e l'abbandonarsi.
- Mon chéri?-
La sua voce parve lontana, quasi un sussurro. Se non erravo vi era persino una nota di preoccupazione. Impercettibile ma esistente.


🔸Follies🔹

Potevo leggere la sua disposizione, il suo atteggiamento distaccato. Diverso. Differente dal principio, dalla voglia e la foga di mettersi in gioco, di scoprire chi ero e da cosa sorgevo.
-Mmm...?-
Castiel sedeva contro la parete legnosa della baracca, con aria esausta e malata. La febbre sembrava non dargli tregua.
Gli occhi erano chiusi e la fronte imperlata di sudore. La camicia bianca sbottonata e le mani appoggiate sulle sue ginocchia.
-No, niente...-
Mi arrestai, rimangiando le parole che stavo per formulare per un altro momento. Un momento in cui la mia arte bianca non si andava consumando.
- Avanti dimmelo...-
Abbassò la testa, lasciando che la chioma setosa gli ricadesse sul viso pallido, sottraendo le sue orbe verdi al mio incantesimo. Alcune ciocche appiccicate alla fronte e davanti agli occhi.
Mi limitai a inclinare la testa di lato, osservandolo ancora un po', analizzandolo, assorbendo il suo smarrimento mentale. La confusione nei suoi pensieri. Il profumo della paura nascosta nel suo cuore indomabile.
-Hai paura?-
Castiel rise piano. Una risata breve e ironica.
-Se si può dire così-.
Mantenne lo sguardo sul pavimento, appoggiando la fronte sulle ginocchia.
-Insomma, chi l'avrebbe mai detto che sarebbe successo tutto questo?-
Andò avanti a parlare.
-A volte penso di non farcela. Proprio come ora capisci?-
Mi avvicinai alla sua figura addossata contro la parete, alla quale avevo di proposito voluto allontanare. Almeno fino a quando non mi fossi ripresa. Neanche poche ore fa ero ancora determinata a infliggergli dolore e molto di più; e per questo gli avevo chiesto di starsene in disparte.
Gli avevo chiesto di non parlarmi e di non toccarmi, di non fiatare fino a quando non ero più o meno tranquilla. Mi fermai sul pavimento davanti a lui, attirando la sua attenzione, il quale sollevò la testa dal suolo. Mi feci avanti allargando le sue gambe e posizionandomi al suo interno. Entrambi intrappolati l'uno nell'altro. Non disse nulla se non spostare gli occhi dalle mie gambe verso di me.

-Tu hai paura di ciò che non conosci, e quindi di conseguenza hai paura anche di me, perché non mi conosci -

Castiel rimase turbato dalle mie parole. E prese a scrutare i miei occhi con insistenza, cercando qualche risposta diversa da quella che avevo emesso. Rimasi in silenzio, sporgendomi con il corpo presso di lui, ascoltando il suo respiro e percependo il calore della sua pelle in fiamme.

Mon art blanc, mon chéri...

Alzai le mani posandole ai lati della sua faccia, appressando la sua fronte alla mia.
-Va bene avere paura Castiel, Io ho paura di me stessa...-
Le sue mani si posarono sulle mie e poi, si accasciò contro di me.
Privo di coscienza.
Spostai con cautela la sua testa sulla mia spalla, stringendo le braccia attorno al suo corpo inerme; affondando il naso nei suoi capelli, inalando l'odore di muschio e sandalo.
Aveva un buon odore persino quando ammalato.

E chissà il sangue... Chissà la carne squarciata dalla lama di metallo? Quale inebriante sensazione sentire il cuore impazzito dal timore di morire?

Strinsi gli occhi cercando di combattere i forti impulsi viscerali. L'improvvisi assalti che rischiavano di smuovere il mio istinto omicida. L'enigmatica sete di vendetta che usurpava la mia sanità. Era tremendamente difficile resistere quando la vittima ce l'avevi sotto il naso e ne potevi persino sniffare l'odore. Ancor più atroce, quando era Castiel la ragione dell'insopportabile violenza che manipolava il mio equilibrio e la mia essenza.
-Anastasia!-
La porta della lugubre baracca si spalancò e Hansel comparve sulla soglia, seguita da una donna bionda.
-Come state?! Cosa è successo a Castiel??-
Scossi il capo stringendo le mie braccia con possessività attorno a lui.
-Nulla, è svenuto- spiegai, voltando lo sguardo verso la donna preoccupata.
-Chi è lei?-
Fui subito invasa da un senso di odio, nel vedere una estranea vicino a noi.
-Anastasia è qui per aiutarci, è un medico, non vuole farci male-
Hansel cercò di persuadermi ad abbassare la guardia.
-Non toccarlo-
Lui sospirò portandosi una mano tra i capelli.
-Per favore Anastasia, non è il momento-
La donna sussultò alle mie parole, cercando Hansel con lo sguardo.
-Davvero non ha cattive intenzioni- disse lui, facendo un cenno alla donna di avvicinarsi.

Mi arresi, lasciando che Hansel prendesse il corpo dormiente di Castiel, osservando la donna venirgli in soccorso.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top