Danger
Capitolo XI
"Le ho promesso il mio amore eterno e per un paio d'ore l'ho veramente pensato..."
( Dangerous Liaisons, 1988)
Il sangue colava come un rivolo d'acqua dal taglio sulla guancia fino a sotto il mento.
Perdendosi poi dentro il colletto della camicia umida.
- Giuro che non mi farò più vedere! Lasciami andare!-
Le urla della vittima imbrattavano il silenzio della notte, rimbobando tra le quattro mura della piccola stanza scura.
Sotto gli occhi dell'artefice di quella paura.
Dinnanzi alla responsabile di tale sventura.
- Ti prego! -
Follies estrasse una piccola lama dal borsone nero andando a incidere in superficie il braccio del giovane impaurito.
Ignorando le grida e continuando l'opera di tortura.
Istigando il ragazzo a sciogliersi in copiose lacrime di terrore.
- Cos'ho fatto di male!?-
Non c'era modo di liberarsi. Nessun modo per difendersi.
Legato a un palo con spesse e grosse catene di ferro; seduto davanti a occhi infiammati di un odio assordante.
Un odio viscerale e scalfente.
Dannoso e struggente.
- Anastasia! Non ho detto io a nostra madre di mandarti via!-
Follies non batté ciglio a quella fasulla affermazione, ne fu mossa a pietà.
Anzi con represso risentimento incise di nuovo la lama sull'altro braccio ancora intatto e privo di graffi.
Percorrendo la carne e risvegliando il sangue.
- Anastasia fermati!!-
Follies alzò con estrema lentezza lo sguardo sul giovane ragazzo, soltanto per vedersi a faccia a faccia con Castiel.
Non c'era più il suo odiato fratello a guardarla negli occhi, ma due orbe verdi.
Due disarmanti occhi verdi, sporchi di angonia e dolore, di terrore e sudore.
Follies abbandonò immediatamente la lama, lasciandola cadere sul gelido pavimento roccioso, seguita da un tonfo sordo e debole.
- Castiel...?-
Si guardò le mani sporche di sangue esterrefatta.
🔸🔸
Sobbalzai sul letto, svegliandomi nel cuore dell'alba con un groppo in gola.
Castiel! No no Castiel...!
Mi guardai le mani con furia e frenesia, cercando qualche traccia di sangue, per poi portare rapidamente lo sguardo sui miei indumenti.
Cercai le mie lame e ogni possibile segno di tortura.
La paranoia si era impossessata della mia mente.
Non vedi quale orrendo mostro sei diventata?
No! Non è vero era solo un sogno...
Un brutto incubo.
Non è forse quello che farai anche a lui?
In fondo non è quello che fai a tutte le tue vittime Follies?
Ma lui non è una vittima...
Ne siamo sicuri? Quanto tempo resta prima che la tua vera natura assassina si risvegli completamente?
Cominciai a gridare cercando di sopprimere le voci del passato.
Tappando le orecchie col fine di tenere alla larga la mia diabolica coscienza.
Non voglio fargli male.
Non voglio fargli male.
Non sono così.
Tu sei così!
- No!-
Il grido lasciò le mie labbra in un urlo disperato.
- Follies! Follies! -
La porta della mia stanza fu spalancata, rivelando la dottoressa Carly intenta a corrermi incontro, spaventata e stravolta dalle mie grida.
- Castiel...Sta bene? Dov'è?-
Carly mi fissò confusa, gli occhi turbati.
- Che cosa stai dicendo cara? Lui sta benissimo e sicuramente sarà in casa sua...-
Mi avvolse le coperte addosso, cercando di arrestare il mio corpo dal continuo oscillare come una foglia.
Sforzandosi di appianare i leggeri spasmi che invadevano la mia figura.
- Follies avrai avuto un brutto incubo, capita ogni tanto...-
La dottoressa mi stese di nuovo giù sulla brandina.
- Sta bene? Davvero?-
Non riuscivo ad ammettere a me stessa che era soltanto un incubo. Non quando ogni parte di me strillava che prima o poi l'avrei fatto.
- Sta bene Castiel, ti assicuro che domani sarà qui come sempre-
Il mio cuore non voleva smettere di battere avidamente contro la gabbia toracica.
Pertanto, nemmeno il mio corpo non voleva saperne di cessare di fremere.
- Fa lunghi sospiri Follies, Ispira e respira-
Le sue mani calde mi spostarono i ciuffi ribelli dalla fronte, sussurrandomi nel frattempo parole tranquille.
- Gabriella! Juliette! -
poco dopo entrarono due infermiere con evidente agitazione.
- Sì dottoressa Melodie?!- esclamarono all'unisono.
- Briella portami in fretta le sue medicine sul secondo scaffale nel mio studio, e Julie! Tu altre coperte e altri cuscini-
Chiusi gli occhi sbarrando ogni rumore.
Assorbendo le ceneri della mia esistenza solitaria.
Un lupo senza il suo branco.
Una pianta senza acqua accanto.
Spinta da un alta scogliera verso il vuoto.
Una caduta senza atterraggio.
Un atterraggio senza tonfo.
Abituata a muovermi da sola; a trovare piacere e consolazione nel l'infelice dolore di qualcun altro.
Non riuscivo a spiegare da dove sbocciasse il mio bisogno di fare male.
Nè comprendevo da dove crescesse questo primitivo desiderio di ferire.
Era forse l'abbandono? Il rifiuto?
Era forse perché ero davvero un tale abominio?
- Sta avendo un forte attacco di panico, sbrigatevi!-
La voce di Carly giunse alle mie orecchie in un suono confuso e lontano.
A momenti, un ovattato brusio.
Un tumulto represso e soffocato.
Stavo indubbiamente perdendo i sensi un'altra volta.
Una conseguenza che ultimamente avevo cominciato ad adottare ogni volta che finivo per avere un forte attacco di panico.
- Follies sei ancora con me?- ancora la voce sommessa della dottoressa Carly.
Non credo Carly.
Non credo di esserci mai stata.
°Castiel°
- Mamma mi chiedevo se...Insomma è possibile aggiustare qualcosa che tutti reputano distrutto?-
Appoggiai i gomiti sulla ringhiera del grande terrazzo, che dava sull'enorme giardino dei miei.
- No, certe cose non spetta a noi aggiustarle-
Mia nonna intervenne nel discorso, rubando la parola a mia madre.
Lei era Adeline Meredith Smith.
Una donna risoluta e severa, dalle impronta ancora aristocratiche e antiquate.
Occhi grigio chiaro e lunghi capelli bianchi; altezzosamente curati e legati in un acconciatura sofisticata.
Una donna forte e determinata.
Di poche parole ma di grande valore.
- Che cosa intendi nonna?-
Accesi una sigaretta posizionandola tra le mie labbra, portando tutta la mia attenzione sulla donna di età avanzata seduta sulla vecchia sedia a dondolo.
- Pensaci nipote, non sarebbe come sfidare gli dei dell'Olimpo? Non giocheresti forse allo stesso medesimo gioco di Odisseo?-
Scossi il capo, scoprendo una fila di denti bianchi.
Divertito dagli esempi metaforici che si andava a scegliere.
- Ancora...? Quando capirai che non viviamo più ai tuoi tempi?-
Mia nonna mi rivolse uno sguardo di disapprovazione.
- Giovanotto, invece di contestare le mie parole prova a pensare-
Mia madre alzò gli occhi al cielo spostando lo sguardo sulla macchina da cucito e sul maglione ancora incompleto. Manco lei aveva intenzione di salvarmi dalle grinfie di mia nonna.
- Quindi credi che le persone che pensano di poter aggiustare tutto, stiano solo giocando la parte di Ulisse?-
Corrugai la fronte passandomi una mano tra i capelli arruffati.
- Esatto, ogni uomo deve saper conoscere il proprio limite-
La sua voce dura come una roccia.
Composta.
Priva di ogni possibile debolezza.
- Vuoi dire che devo lasciare che certe cose restino distrutte?-
Una parte di me era evidentemente e chiaramente delusa da quell'affermazione.
E forse perché non volevo che rimanesse distrutta.
- Non ho detto questo Castiel, ma devi sapere che certe cose danneggiate, soltanto il tempo e l'amore possono ripararle, non spetta a noi-
Mia madre sorrise appena, cercando di nascondere gli occhi malinconici.
- Amor può molto più che né voi, né io possiamo- pervenne mia nonna, cogliendo cosa stesse per dire sua nuora da quel fioco sorriso.
Successivamente, scese un velo di silenzio tra di noi. Abbastanza remoto da mettermi in soggezione.
- Perché tuo figlio improvvisamente fa richiesta del genere Elena? C'è forse qualcosa che non mi stai dicendo?-
Perché adesso sta parlando in terza persona?
- Adeline, non so di cosa tu stia parlando, sono curiosa quanto te-
I loro occhi ora fermi su di me.
Entrambe invadenti e misteriose.
Abbandonai la sigaretta dimezzata nel posacenere, col tentativo di nascondere le mie mani nervose nelle tasche dei pantaloni.
- Non cominciate- protestai, voltando lo sguardo da un'altra parte.
- Cosa dovremmo cominciare che tu non abbia già iniziato?-
Imprecai sottovoce chiedendomi per la milionesima volta come facesse mio nonno a sopportare il suo carattere inquisitivo.
- Avevo solo bisogno di una perla di saggezza- ribattei, giocando con l'accendino.
- Quando mi dai un nipote?-
Strabuzzai la vista alla domanda spinta di mia madre.
- Che diamine...?-
Le due donne si sciolsero in due sorrisi complici.
- Sappiamo che c'è dietro qualcuno- gli occhi ardenti di qualcosa che non capivo.
Il mio cellulare squillò in quel preciso istante, interrompendo qualsiasi inquisitorio che stavo per subire, salvandomi per un soffio dalla mia famiglia ficcanaso.
- Pronto?-
Mi rifugiai nella stanza degli ospiti, chiudendo la porta alle mie spalle.
Sbarrando la possibilità a mia madre e la sua complice di origliare.
- Salve Detective Smith, scusa se la disturbo così presto, so che il suo turno comincia di pomeriggio ma lei deve assolutamente venire-
La voce della dottoressa Carly parve molto agitata e in preda alla stanchezza.
- Che è successo?-
Mi allarmai subito, portando il cellulare più vicino all'orecchio.
- Ariana è impazzita, insomma è riuscita a rubarmi l'anestetico dalle mani e ora ci sta minacciando tutte di farci del male se ci avviciniamo! Volevo chiamare gli altri colleghi ma non mi fido di loro Castiel...Non- la, interruppi cercando di tranquillizzarla.
- Tu tienila sott'occhio, sono subito da voi!-
Indossai in fretta e furia la cravatta attorno alla camicia e presi una giacca al volo, catapultandomi verso la mia macchina, sotto gli sguardi allibiti di mia nonna e mia madre.
- Castiel Jake Smith! Dove stai andando?-
- Un emergenza a lavoro!-
Ignorai le loro ottuse domande entrando in auto e accendendo il motore.
______
Parcheggiai l'auto sul lato del marciapiede, slacciando la cintura e precipitandomi verso l'entrata del manicomio, destando sospetto tra le guardie di sicurezza.
Era così inconcepibile, troppo da assimilare.
Che il mio cuore fosse caduto per una prima infatuazione...
Smorzato a causa di una sola persona.
E ancora mi chiedevo se non ci fosse sotto un trucco, se sotto l'apparenza non ci fosse uno scherzo di pessimo gusto.
Perché era così arduo da smaltire, difficile spiegare come fossi stato sedotto da un essere cosi impensabile.
- Castiel! -
La dottoressa Carly mi venne incontro seguita da due colleghe agitate quanto lei.
- Come state?-
Carly fece un lungo sospiro.
- Noi bene, per fortuna nulla, ma lei non sta bene...Per niente, non l'ho mai vista così agitata!-
La stanchezza era sotto e dentro i suoi occhi azzurri.
- Vado a darle un'occhiata- feci per sorpassarle, ma venni fermato.
- E' pericoloso! Non vorresti prima avvisare i tuoi colleghi?-
Abbassai gli occhi verso i suoi, rimanendo fermo per qualche secondo.
- Vedi Dottoressa...Nemmeno io mi fido di loro...- detto ciò, Carly mi lasciò andare l'avambraccio, permettendomi di evadere.
Una volta giunto davanti alla numero nove, spalancai la porta trovandola in piedi, vicino alla finestra.
La sedia rotta senza una gamba. Rovesciata sul freddo pavimento.
Le coperte strappate, sbrindellate come la tunica che indossava; permettendomi
di vedere le cosce abbondantemente scoperte e le gambe snelle.
I capelli sciolti, selvaggi, lunghi fino e oltre la schiena.
Gli occhi neri, trafitti nei miei.
Smarriti e penetranti.
Mi avvicinai con passo felpato e riluttante.
Mantenendo il mio sguardo fisso su di lei e sulla siringa piena di anestetico nella mano destra. Ariana si avvicinò a me a sua volta, arrestandosi a qualche centimetro dal mio corpo.
E con indomabile impazienza prese a scrutarmi, alzando le sue gemme scure nelle mie. Uno scontro visivo che durò per pochi istanti.
Senza indugio, afferrò il mio braccio cogliendomi di sorpresa, arrotolando il lembo della manica al di là del gomito fino a scoprirmi la pelle nuda, girandolo da una parte all'altra, per poi ripetere la stessa cosa con l'altro braccio.
In tutto questo non tentai di fermarla, nemmeno quando cercò di sbottonarmi la giacca di raso.
E non osai neanche quando andò per la mia camicia.
Troppo assorto e infatuato nel capire cosa stesse cercando.
Trascinò le sue dita fredde sul mio torace e sul mio addome, quasi stupita di non trovare quello che stava cercando.
- Follies...-
Al richiamo del suo nome portò di nuovo la sua attenzione su di me.
- Cosa cerchi?-
Esercitai un tono calmo e paziente, tentando di spegnere la sua incessante effervescenza.
Lei scosse il capo allontanandosi, portando una mano tremante tra i capelli scompigliati.
- Follies...?-
Avanzai di nuovo verso di lei, guardandola invece indietreggiare.
Ogni passo che facevo era un suo passo indietro.
- Hai paura di me?-
Non feci a meno di chiederlo, detestando come stesse tentando di sottrarsi alla mia vicinanza.
- Ho paura di me, ho paura di quello che posso fare a te-
La sua espressione indecifrabile e inorridita.
- Follies mi fido di te e so che non mi farai nulla...-
Tentai di rassicurarla, camminando nella sua direzione.
- Non devi!-
Il tono della sua voce si alzò leggermente, quel tanto da far intendere quanto fosse nervosa e spaurita.
Una paura che proveniva dal fondo del suo animo, scagliata ferocemente solo e contro di lei.
- Mi fido di te -ripetei, continuando ad avanzare. Lei scosse la testa con ferma determinazione. Gli occhi stavolta adirati, irritati e freddi.
- Ti ho detto che non devi!-
Ottusa, testarda come una radice emessa nel cuore della terra.
Semplicemente impossibile da smuovere.
- Perché non posso? -
Allargai le braccia, volendo invitarla dentro di me. Ariana sembrò sorpresa dal mio gesto, scacciando per qualche secondo la rabbia nel suo volto.
- Castiel tu non sai cosa stai facendo-
Il tono accorato. Mi imposi di nuovo, avvicinandomi sempre di più; ignorando Ie sue motivazioni, per me oramai capricci.
- Ti ho detto di no-
Voce improvvisamente sprezzante e dura. Socchiusi gli occhi liberando un perfetto sorriso disonesto.
- Mi rincresce... ma non voglio ascoltarti-
La raggiunsi ghermendo i suoi polsi nella mia stretta. Lei sembrò alquanto stizzita dalla mia mossa, stupita di non essere stata in grado di prevedermi.
- A che gioco stai giocando?-
La sua domanda uscì impregnata di confusione.
- Dimmelo tu Follies, conosci questo gioco meglio di me-
Chiusi lo spazio tra i nostri corpi, attirandola contro il mio torace.
La sua iniziale confusione lasciò presto spazio a un sorriso diabolicamente fanciullesco.
Stregandomi per l'infinitesima volta.
Un espressione vagamente divertita.
- Conosco questo gioco così bene da sapere che non lo porteresti a termine-
Portai la fronte contro la sua.
- Giuro che sarai la mia morte- esordii, sentendo già l'impellente tentazione crescermi dall'interno.
- Posso davvero indurti a morire di crepacuore?-
Il suo sorriso ammaliante e provocatorio.
Perfida e minuziosamente tenace.
Alzai una mano sulla sua guancia pallida.
Il mio respiro incalzato, a causa della repressa tentazione di non poterla fare mia.
Non quando potevo essere licenziato anche per un piccolo errore.
La lasciai andare soffocando tutta la mia eccitazione.
- Sapevo che non avresti portato a termine questo gioco-
Ariana sospirò, arricciando le ciocche sulle dita.
- Vedo che tu non pensi molto alle conseguenze - interferii, scoccandole un'occhiata torva, incrociando le braccia sul petto.
- Errato-
Ariana si premette contro di me.
- penso solo alle mie conseguenze e non quelle altrui-
Uno sguardo virile e tagliente.
- Quanto sei crudele...- commentai, portandomi un dito sul labbro inferiore.
Avvinto da tale sorriso scaltro e velenoso.
- Sorgete e splendete!-
Una voce profonda e maschile spezzò l'incantesimo del nostro momento.
Mi voltai di scatto, trovando un malizioso Hansel sulla soglia della porta.
Ariana invece, al contrario, non parve per niente sorpresa, anzi sembrava già aspettarlo. Rimase appoggiata su di me, quasi con il fine di sfidarlo.
E fu solo quando Hansel scoppiò in una risata amara che capii la gravità della situazione.
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