No Bravery
Zen's Pov
So che non é stata colpa mia, ma mi sento in colpa lo stesso.
Cioè, stavo passeggiando tranquillamente. Non é la prima volta che vengo in Italia, e sono abituata al caos per le strade, agli urli improvvisi della gente e le persone che fissano curiose le altre. Davvero, lo sono.
Eppure, per un attimo la mia mania di muovere molto le braccia mentre parlo ha preso il sopravvento sul mio buonsenso. Perché mi sono messa a gesticolare in via Mazzini, una delle vie più affollate di Verona, con una lunghissima fila di negozi di marche famose; ed io già non passo inosservata di mio, per come sono alta e con quegli occhiali da sole neri, molto stile celebrity in incognito.
Non so nemmeno come sia riuscita a trascinare Harry qui, ma visto che non so stare lontana dai guai, di solito, ho pensato che fosse una buona idea farmi accompagnare da lui per le strade di questa cittadina. Ed é forse la cosa più giusta che abbia mai fatto.
Perché ora si sta scusando al mio posto col tizio che ho colpito in pieno volto mente mi sbracciavo e l'espressione sul mio viso grida un 'Accidenti!' in piena regola. Almeno il mio gelato è salvo e al sicuro nell'altra mano.
Ma tecnicamente la colpa è sua. Che non ha visto il mio braccio in tempo.
"Scusa". Ripeto, fedele alla strategia di questo micro Holland, secondo cui é meglio non spacciarsi per Italiani quando non lo si é, perché darebbe solo più nell'occhio.
In realtà il ragionamento ci sta, ma quanto sarebbe figo poter fare operazioni sotto copertura con tanto d'identità falsa? I miei anni da K.C. sono effettivamente stati bellissimi e, semmai mi ricapitasse, accetterò subito un lavoro per interpretare un agente segreto.
Harry si rialza e mi lancia uno sguardo di ghiaccio; seriamente, quando vuole quel ragazzo sa incutere timore. Ed è anche più piccolo di me!
"Vieni con me". Mi prende per mano e, svelto, mi porta via dalla folla, in una via laterale.
Peccato, stavo cercando di trovare un negozio italiano con dei bei vestiti che da noi non hanno.
"Sei pazza? Sai che cosa succederà se tutti vedranno chi sei, no? Smettila di fare i balletti per strada, se vuoi continuare con questo stupido shopping". Finisce, sputandola come fosse una parola sprezzante. Rispetto al fratello, non sa molte cose di me e, a volte, devo dire che ha dei pregiudizi davvero seri sul nostro mondo.
Crede che vogliamo essere sempre al centro dell'attenzione, costi quel che costi, ad esempio. Ma non è così, almeno non per me. Forse un po' per Tom, a volte, quando lo assalgono le manie di grandezza; ma lui non è l'unico a trovarsi sotto i riflettori da quando era piccolo e, comunque, devo dire che già a quell'età avevo i miei bei problemi.
Una piccola adolescente conosciuta da migliaia di persone e protagonista di una serie sul ballo. C'erano così tante aspettative da parte di ragazzine della mia stessa età, a volte anche più grandi, ed io mi ero trovata a dovermi confrontare con esse. Volevano che il mio personaggio fosse motivazionale e d'ispirazione, che riuscissi a diventare una figura di riferimento per tantissime fan d'ogni età. Non era stato facile, ma ero riuscita nell'impresa spalleggiata dai miei colleghi: era un bell'ambiente , riuscivamo ad aiutarci a vicenda.
Poi sono arrivati gli altri contratti, altri fan, e molta più fama: il mio lavoro si basa su questo, ed io di sicuro non me ne lamento ma... a volte è davvero troppo oppressivo.
Ed ancora prima di conoscere gli Holland e divenire la migliore amica e confidente di uno di loro, avevo imparato a sfogare il mio bisogno di libertà con la moda. Non sempre le persone capiscono come un percorso di crescita possa identificarsi con un cambio d'abiti ed una diversa acconciatura, nemmeno le ragazze.
Il più delle volte è, in realtà, un fatto soggettivo. Per me la moda è stata la mia ancora di salvezza, il mio sacco da pungiball, e sono cresciuta tramite questa.
Una cosa che, chi come Harry mi conosce poco, non può davvero capire.
Ma mi fa incavolare quando deridono in questo modo la mia passione, specialmente se a farlo è il fratello di Tom che non sa assolutamente niente della mia vita.
"Non sono una bambina. Smettila. Ho fatto un errore, può succedere".
"Lo so e... scusa. Sono solo preoccupato".
"Per cosa?". Chiedo io, ora curiosa.
"Mi è arrivato un messaggio poco fa. È arrivata una lettera in hotel". Se fosse quella vorrebbe dire che... sarebbe la penultima. L'ultima è già arrivata da qualche parte o è in viaggio?
No, no. Un attimo. Niente panico.
"Sei sicuro che sia la... lettera che stiamo aspettando?".
"Nessun indirizzo di spedizione, consegnata a mano, bianca. Stavolta però un ragazzo l'ha consegnata di persona, mettendo su tutto un teatrino perché la accettassero. Seguendo il comportamento di questa ragazza finora, è come se avesse deciso che non le importa se arriva o meno la lettera. Per questo, sono preoccupato".
"Ma...". Provo a farmi venire altre idee e spiegazioni plausibili per un oggetto del genere, ma lui mi ferma subito.
"Gli ho detto di aprirla. Con le precauzioni del caso, guanti e quant'altro. Zen... era un quarantadue".
Mi sento davvero male. Tutta questa situazione della stalker, delle lettere, era come se non avesse una fine che si potesse intravedere; ma ora è diverso, e mi viene il voltastomaco per quanto chiara e vicina sembra essere la fine di questa storia.
"Devi chiamare Tom. Subito!".
"È fuori con quegli italiani e...".
"Sei tu ora, a fare il ragazzino? Secondo te non gli sembrerebbe più importante questo?!". Il suo sguardo si rabbuia per un attimo.
"Vorrei solo... che questa persona andasse all'Inferno. Che lui non dovesse passare tutto questo". Ora riesco a rivedere in lui quel piccolo ragazzino che era quando ho conosciuto Tom per la prima volta.
Quanta voglia avesse di essere coinvolto in ogni cosa, e quanto affetto richiedesse da tutti senza neanche accorgersene.
"Non è una cosa da cui puoi proteggerlo. Lo capisci?". Ci mette un po' a rispondere, ma finalmente fa segno di si con la testa e prende il telefono. Bene. Perché se non l'avesse fatto da solo nei prossimi cinque secondi, l'avrei chiamato io.
Passa qualche attimo, ma vedo Harry aggrottare le sopracciglia. Sembra che non risponda.
Questo è strano. Ha sempre la suoneria accesa ed in questo momento sa che deve risponderci per non farci preoccupare.
"Sarà con quella sua ragazza...". Fa Harry, ma subito scuoto la testa.
"Non stanno facendo cose. Ci sono anche i suoi amici".
"Ah, beh, allora tutti più tranquilli, vero?".
"Proprio per questo no! Dovrebbe rispondere come fa sempre. Anche solo per messaggio... aspetta un attimo". Prendo il mio telefono e provo a chiamarlo anche io, non appena Harry mette giù. Non risponde neanche a me.
Avevo i numeri degli amici, però.
Provo subito con il ragazzo, l'unico con cui mi sono scritta per un po' negli ultimi giorni. Mi... guel.
Risponde subito, ed io tiro un sospiro di sollievo.
"Ehm... ciao. Cosa c'è?". Chiede, nel suo inglese stentato. È davvero buffo sentirlo parlare, ma s'impegna davvero molto; per l'accento, invece, credo sia una cosa completamente normale.
"Tom è con te, giusto? Insieme alle altre". Dico io, ormai certa che stanno bene.
"In realtà no. Sono andato al luogo dell'appuntamento ma non ci sono. Sono in ritardo, ma non rispondono nemmeno ai telefoni e...". Subito rientro in modalità panico, e guardo Harry, preoccupata.
"Li ha presi. Non so come abbia fatto, ma ha preso Tom, la ragazza e anche le sue amiche". Dico, coprendo il ricevitore.
"Chiamo la polizia, tu fatti dare l'indirizzo esatto. Digli che staremo lì tra poco e di non fare cose stupide. Qualunque cosa stupida". Ammiro il sangue freddo di questo ragazzino; quando c'è davvero bisogno di lui non si tira indietro ma anzi, cerca di cacciare il panico ed essere il più lucido possibile.
Cosa che io, invece, non sono mai riuscita a fare.
Do a Miguel le istruzioni, senza spiegargli bene la situazione così davvero non farà niente di stupido, piuttosto che dirgli di non farlo e basta. Poi, iniziamo a correre verso la macchina, lasciata molto dietro. Se avessi saputo come sarebbe andata non avrei mai messo le zeppe.
Butto il gelato che ho in mano, ormai mezzo sciolto, nel primo cassonetto che trovo.
Sono davvero preoccupata, e non ho la minima idea di come finirà tutta questa situazione.
Mary's Pov
Quando riapro gli occhi è il buio ad accogliermi.
Mi tocco istintivamente la testa, che mi fa male e mi gira da morire; devo aver preso una bella botta quando sono caduta. Sento dei gemiti vicino a me, e provo a parlare non riuscendoci molto bene: é come se avessi la bocca impastata, e la sensazione mi stesse a poco a poco passando.
Gemo a mia volta per segnalare la presenza a quelli che credo, e spero, siano i miei amici e subito qualcuno mi afferra la mano.
"Finally you're asleep". Dice Tom, la voce che emana un'ansia palpabile.
"Cosa è successo?". Chiedo, sputando a stento fuori le parole.
"Non ne abbiamo idea". Riconosco la voce di Gaia, ma non ne sento nessun'altra levarsi in un lamento e subito mi allarmo.
"Dov'è Sara?".
"Credo sia ancora stesa a terra. Tom è stato il primo a svegliarsi, poi io. Tu ci hai messo un bel po', e lei ci sta mettendo ancora di più- una pausa ed uno spostamento- C'entra lo stalker, vero?". Mi chiede poi, ed io vengo assalita dal panico; è come se capissi in questo esatto momento ciò che ci sta succedendo per davvero.
È uno shock assurdo.
Stringo più forte che posso la presa che ho su di Tom, come se questo legame potesse darmi più sicurezza.
In quel momento una forte luce esterna entra nella stanza e subito ne vengo accecata. Credo che il primo istinto, anche degli altri, sia di proteggersi gli occhi, ma sia io che Tom lo facciamo con una mano sola, l'altra impegnata a tener attivo il nostro collegamento.
"Che carini". Dice una voce, la stessa di poco fa; poi sento qualcosa di violento arrivare sulla mano aggrappata a quella del mio ragazzo ed aumento ancora di più la presa, e così fa lui. Di solito mi sarei ritratta, ma questa situazione fa troppa paura, ed ho bisogno di sentire il suo sostegno.
Spaventata per la Sara e la Gaia, lasciate a loro stesse, e volendo capire cosa ci abbia colpito, apro piano piano gli occhi. Ed in quel momento una pallina da tennis vola davanti ai miei occhi e raggiunge di nuovo le nostre mani. Fa male, e tanto. Quando vedo il ragazzo che è all'entrata, qualcosa scatta dentro di me: ho l'assoluta certezza che sia lui lo stalker. Lui il pazzo dei messaggi e della bomba.
Quando mi vede fissarlo, un sorrisetto gli compare sulle labbra, ed ho la sensazione di trovarmi di fronte ad un predatore.
Lancia una busta bianca verso di noi, attraverso uno sportello dietro quella che sembra essere una grata di ferro che percorre l'intera stanza.
Eppure non sembra per niente forte: è piuttosto un ragazzo mingherlino che da l'idea di essere particolarmente attratto dalla mente, più che dalla forza bruta.
Perché ha calcolato tutto. Me ne accorgo non appena Tom si sporge per aprire quella dannata lettera, ed un altro quarantadue ci accoglie nella sua perfetta grafia. Dove avrà spedito l'altra? Sarà stato così stupido da mandarla in hotel da Tom, cosicché qualcuno capisca che c'è qualcosa che non va?
Lo guardo di nuovo. Non mi sembra il personaggio che commette errori. Piuttosto, quello che li fa volendoli fare.
Cosa sta architettando? Non riesco a capirlo.
"Direi che l'effetto della luce è già finito". Chiude dietro di sé la porta e restiamo di nuovo al buio per un attimo, prima che accenda un fioco lume nella sua parte di stanza, una sorta di garage. Noi invece non abbiamo niente. Solo queste palline che ci ha lanciato, e che fanno ancora un male cane, e la lettera.
Sara, finalmente, si risveglia pian piano. Emettiamo tutti un udibile sospiro di sollievo.
"Ci possiamo concentrare su di me, ora? Se continuerete a tenere ferme ed intrecciate quelle mani, semplicemente ve le taglierò via". La sua voce è molto tranquilla, ma questo non fa che darmi ancora più i brividi; cerco di togliere la mano da quella di Tom, ma stavolta è lui a non lasciarla andare.
Non guarda nemmeno me. Guarda quel ragazzetto mingherlino oltre la grata, intensamente, cercando un contatto visivo per potergli far capire che non cederà alle sue richieste. Ormai lo conosco, questo ragazzo inglese, e ho capito come ragiona, ma ho paura che così facendo possa istigarlo solo di più.
Eppure, quello non alza nemmeno lo sguardo dalle nostre mani ancora nella medesima posizione. Si gira, ridacchiando, e non gli serve guardare verso Tom per capire la situazione e rispondere a modo suo.
"Credi che sia uno dei tuoi film. È per questo che le persone non dovrebbero mescolarsi, quando vengono da realtà così diverse. Non riescono a capire gli scherzi di gente come noi, vero, Mariachiara? Credono sia tutto un gioco, dato il lavoro che fanno. Ma non riescono neanche a capire quando per le persone normali- il tono della voce si alza di un'ottava e tira fuori una sagoma nera dalla tasca- non è un gioco". È una pistola. Questo pazzo ha u a pistola.
Ci metto tutte le mie forze e, dopo un po', riesco a sfilare la mano da quella di Tom. Lui non mi guarda nemmeno, completamente concentrato sullo stalker che ci ha mandato fuori di testa negli ultimi mesi, completamente calato nel suo ruolo di paladino senza macchia e senza paura.
Finirà per farsi uccidere o far morire uno di noi, se non lo fermo. Il tipo si è girato nuovamente, come se la nostra sola vista continuasse a dargli il voltastomaco. Prendo il viso di Tom tra le mani e, il più velocemente possibile, lo giro verso di me.
Smettila, gli sillabo con quella fioca luce. Now you have to stop. Keep calm.
Lui si rigira e, senza darmi ascolto, riprende a fissare quel tipo. So che ha un conto aperto con lui. Su di sé pesano la morte di una persona, il fatto che sia riuscito ad entrare in casa dei suoi genitori, le lettere, il pericolo a cui ha esposto alla fine tutti noi. So che sente ognuna di queste come una colpa condivisa con quel ragazzo, ma non dovrebbe. Dovrebbe sapere che, invece, ha fatto il possibile con ciò che gli è stato dato.
Ha informato la polizia ed avviato le indagini, evitato di tenere all'oscuro le persone coinvolte e così le ha avvertite, ha anche detto ai suoi fan di questa situazione, dicendo che stava passando un periodo difficile a causa di una ragazza che lo seguiva con particolare attenzione. Di commenti ne sono arrivati molti sotto quel video, molti altri anche per delle segnalazioni fake, ma nessuno che aiutasse a capire chi fosse. Non aveva neanche una descrizione fisica da fornire.
Non aveva niente, e l'unica cosa, il sesso, era anche un'informazione sbagliata. Semmai, la colpa era mia che avrei dovuto dirgli dei messaggi.
"What did I do to you? Who are you?". Chiede Tom, con una voce incautamente aggressiva.
"Magari mi avessi fatto qualcosa. Sono Teodoro, ma non so quanto possa interessarti il mio nome, English boy. È così che vi chiamate tra di voi, giusto, Italian girl?".
"Get away from her! Talk with me". E finalmente capisco. Sta facendo apposta lo stupido, per attirare l'attenzione su di sé. È un ingenuo ed un cretino se crede che comportarsi da martire basterà perché non faccia del male anche a noi. Ha una pistola!
"Sai, sono davvero in pochi quelli che mi hanno urlato contro e sono sopravvissuti. Una era mia sorella, ma è già morta". Quest'ultima frase che sembra essere stata lasciata apposta in sospeso, risuona come un rintocco di memento mori per noi altri.
"Cosa vuoi". Interviene allora la Gaia, e vorrei tanto schiaffeggiare sia lei che il mio ragazzo. Questo è anche stare al suo gioco. Per fortuna, dipende dai punti di vista, Sara è ancora abbastanza stordita per poter fare qualsiasi altra stupida azione come questi altri due.
"Tu non mi piaci proprio. Sai che intromettersi nelle faccende d'altri non aiuta mai? Dovresti saperlo- quando nota lo sguardo confuso di Tom, però, la sua voce scocciata sembra rianimarsi- Sembra che il ragazzo non sia stato informato della nostra piacevole conversazione per telefono. Come ti senti ad essere lasciato all'oscuro di tutto?". Fa finta di avere un microfono in mano e lo punta nella direzione di Tom. Ha un atteggiamento davvero strano: è come se ti guardasse senza fissarti per davvero, sempre ad evitare ogni tipo di contatto tranne in quel frangente prima che chiudesse la porta.
È come se fosse disgustato da noi.
Mi rivolgo verso il mio ragazzo, ora più importante, allontanando questi pensieri.
"Non volevo spaventarti". Dico, e lui acconsente con la testa, lo sguardo ancora un po' turbato che preannuncia una litigata coi fiocchi, quando sarà finito tutto questo. Io sto sperando in quella litigata, ora come ora.
"Che smielati. Fate venire il voltastomaco". Poi, senza preannunciarlo e con un movimento improvviso, impugna la pistola, quell'arma nera sotto il cui tiro non avrei mai pensato di trovarmi.
C'è il rumore di uno scoppio, e mi sento morire.
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