Man In The Mirror

Stranger's Pov (o una traduzione dei suoi pensieri da gentleman inglese)

Guardo Mary che viene portata via dall'amica come una furia e poi la stessa ragazza esclamare di lasciarla in pace. Credo. L'amica... Gaia mi sembra. Ha un accento davvero strano, non sempre capisco quello che dice.

Ma ho ancora un conto in sospeso con lei. Mi ha dato l'indirizzo sbagliato, mi ha fatto perdere per la città e ho fatto una brutta figura con Mary. So che l'ha fatto per difendere l'amica, ma non sono abituato a essere battuto. O contraddetto.

Quando ero piccolo, forse. Sono il primogenito, è naturale che sia cresciuto con più libertà rispetto ai miei fratelli; d'altra parte con cinque maschi, compreso mio padre, mamma ha dovuto applicare una politica ferrea dalla nascita dei gemellini. Turni per le pulizie, per la cucina e i bagni, chi deve accompagnare chi: lei il generale, noi i suoi sottoposti.

Probabilmente se mi sentisse parlare così di lei mi tirerebbe qualcosa dietro, perché la verità è che ho avuto un'infanzia fantastica. Una famiglia unita, pochi problemi di soldi, tante opportunità.

Sin dalla scuola di recitazione. Insomma, se non fosse per quella testa dura di mamma, che mi ha pure tramandato la sua cocciutaggine, non avrei mai visto il grande schermo. Ha notato quanto mi piacesse ballare, mi ha incoraggiato per quella strada e da lì... credo che sia stato solo destino.

M'incammino sconsolato verso il mio hotel, seguito dagli sguardi truci dell'amica di Mary affacciata alla finestra del secondo piano.

Quella ragazza mi fa un po' paura.

Comunque.

Il vero amore tanto millantato dai film per me sono stati i film stessi; non si tratta solo di recitare o di calarsi in una vita diversa, indossarne i panni, vestirne le relazioni. Già fin qui i motivi per amare la recitazione non mancano; ma ciò che più mi piace del lavoro che faccio, è l'ironico fatto di poter essere me stesso in tutta questa finzione. Stringo amicizie, quelle stesse che più di una volta mi hanno salvato e confortato. Ballo senza essere preso in giro, ma anzi elogiato e incoraggiato. Viaggio, viaggio moltissimo. E imparo, sempre di più e sempre più avido di apprendimento.

In realtà non sono molto bravo con le lingue; due anni fa avevo iniziato con lo spagnolo per una scommessa persa, ma alla fine niente da fare. Non c'ero proprio riuscito. Quando sono venuti da me quei due produttori con una proposta che pochi attori potrebbero permettersi di farsi scappare, l'unica cosa che mi aveva fatto esitare era apprendere le basi della cultura e lingua italiana. Cercare di imitarne l'accento, perché anche se avessero cambiato le voci con i doppiatori, sarei stato più veritiero. Ero sicuro di non farcela, ma quando sono arrivato in questo Paese mi sono innamorato dei luoghi esotici, del mare e del sole, della gente. Certo la mia Londra resta sempre la città del mio cuore, la più bella del mondo, ma qui ho trovato un fascino più... antico. E diverso.

Il mio lavoro non prevede solo che imiti le persone, ma che le impersoni. Dunque stare così a stretto contatto con una popolazione così diversa, caotica ma bellissima, è stata un'esperienza fantastica. Non tutte le storie che Zen mi aveva postato su Insta erano fake; sono stato in diverse zone d'Italia. A mare, nei porti. Ho fatto domande, mi sono immerso nella folla del mercato, ho camminato e annotato. Tutti i movimenti che mi colpivano, quelli che non avevo mai visto. E poi, tutto quel gesticolare. Gli italiani sono un vulcano attivo, non riescono a stare fermi un attimo e, anche se all'inizio sembrava buffo, l'ho poi trovata una cosa molto utile. Insomma, i gesti aiutano quando chiedi indicazioni e la persona con cui parli non conosce l'inglese.

Tra urla, rumori di sottofondo e quant'altro ho iniziato ad imparare la lingua. Piccole cose in realtà, parole come "collina" o "strada", altre cose che andavo a cercarmi sul vocabolario per sapere alcune frasi di sopravvivenza. Poi tutto questo è diventato una mezza conversazione, un discorso e mi sono abituato all'uso continuo di suoni duri; anche se a quanto pare ho ancora la r moscia.

Poi, però, è arrivata Mary. Entro nella hall dell'hotel e senza pensarci un attimo vado verso il punto bar.

Lo ammetto, all'inizio mi è stata antipatica. Ma chi non lo sembra quando ti grida in faccia e per colpa sua vieni trascinato alla stazione di polizia? Senza aver fatto niente, poi.

Comunque.

Giro il mio bourbon ripensando al nostro secondo incontro. Quello è stato del tutto fortuito, così come il mio sguardo che si alza al momento giusto su di lei. Quando l'ho riconosciuta, sarei voluto andare nella direzione opposta; poi, però, ho pensato di sfruttare la situazione a mio vantaggio. Farla sentire in colpa e usare un favore per farmi da guida turistica non sarebbe stata una cattiva idea, no?

Insomma, era una sconosciuta. Era.

Non so ancora come, ma è riuscita ad avvicinarsi a me. A me, il ragazzo che prima di partire aveva giurato di non farsi coinvolgere da niente e da nessuno. Che porta ancora le cicatrici dell'ultima relazione dentro di sé. Io mi sono affezionato a quella matta dagli occhi tendenti al verde quando vengono colpiti dal sole. Che ama ballare, proprio come me. Quella Italian girl a cui piace esplorare, viaggiare e visitare.

E ho rovinato tutto. Tom Holland ha rovinato tutto.

Faccio segno al barista di versarmi altro whiskey e lui prende la bottiglia, unico segno di disappunto il sopracciglio destro leggermente sollevato. Ma non può dire niente, non con quello che pago per stare in questo hotel; anche se sono qui ad ubriacarmi e non è neanche mezzogiorno.

Stringo forte il bicchiere e mando giù veloce il terzo bicchiere della mattinata. Sono stato uno stronzo, lo so.

Ma... cavolo. È quasi ironico. Non sono mai stato accettato; da piccolo, ero solo una nullità da prendere in giro perché m'impegnavo più che potevo per un musical invece di giocare a rugby, football o altri giochi da maschio. Ora sono una celebrità, e pure non mi sento accettato. Sono un dannatissimo manichino per i miei fan, e valgo qualcosa solo per i miei amici. Suppongo che sia quello che conta, in fin dei conti.

Ma l'occhiata che mi ha lanciato quando ha scoperto che le ho mentito per tutto questo tempo... quella è stata un colpo al cuore. Ci avevo pensato bene e per molto tempo prima di compiere un passo così importante; ieri pomeriggio, è stato tutto improvviso. Non so che cavolo mi sia successo. Non doveva andare così, poco ma sicuro.

Ma poi lei se n'è saltata fuori con quel "non mi piace nessuno" e allora ho pensato che... se non le piacevo nonostante mi avesse conosciuto bene, tranne per il piccolo dettaglio dell'attore, allora sarei stato al sicuro. Una volta saputa la verità non mi si sarebbe attaccata come una groupie ma saremmo rimasti fantastici amici. E non avrei avuto nulla da temere da lei.

"Allontani i dolori?". Una voce salta fuori all'improvviso, facendomi sobbalzare. Ho sobbalzato. Non so perché ma mi sembra molto divertente; ridacchio e la ragazza lo prende come un incoraggiamento a sedersi qui al mio fianco.

"Ciao, sono Sonia".

Ha detto sono sona? Ridacchio ancora di più d lei mi poggia una mano sulla gamba. Com'è che le mie risate sono un invito a mettermi le mani addosso?

"There's Covid, You don't know?". Le faccio avvicinandomi a lei con la mascherina abbassata e il bicchiere vuoto tra le labbra. Sono abbastanza sicuro di avere uno di quei sorrisi da ubriachi.

"Oh, sei inglese". Lei non si sposta dalla posizione intima che abbiamo preso. Mary l'avrebbe fatto. Mi avrebbe gridato contro, se necessario.

"I'm a fucking english!!!". Le gridò contro, sputacchiando un po' sulla sua camicia e lei ride bonariamente.

"Fuck". Prendo un tovagliolo e glielo passo sulla macchia, ma lei lo allontana continuando a sorridere. La guardo meglio: indossa un tailleur da lavoro e una coda di cavallo da avvocato le sormonta la testa. Carina, molto carina.

"Lascia stare. Un Hugo, per favore". Dice poi, rivolgendosi al barista. Va sul leggero, dunque. Poi prende qualcosa dalla borsa e me lo porge.

Guardo il telefono, dubbioso.

"Your number". Dice lei, avvicinandomelo un po' di più. Continuo a guardare il telefono, senza prenderlo.

"You want my number". Sono ubriaco e non ho voglia di sforzarmi, quindi evviva l'inglese! E poi ho un accento italiano strano, desterebbe sospetti.

"Yes". Ribatte la ragazza con un sorriso enorme. Poi, si mordicchia il labbro e ridacchia.

E se avesse capito chi sono davvero? Forse non è stata una buona mossa usare l'inglese, in fin dei conti. Insomma, non vorrei ritrovarmi poi con...

No. Basta. Ho deciso di venire in Italia per lavoro, ma anche per prendermi un attimo di pausa dalla vita frenetica degli ultimi anni: occasione perfetta. Non ci sta tanto su cui rimuginare, no?

Ma non mi fido, non del tutto e lascio penzolare il telefono tra di noi senza inserire il numero. Semplicemente, decido di darle quello che vuole e, incurante di essere mezzo ubriaco nell'ala bar dell'hotel a quest'ora, la bacio.

Sulla mascherina. Lei ridacchia, lancia qualche banconota sul bancone e inizia a trascinarmi verso gli ascensori extra lusso e, credo, la sua camera.

Si toglie la mascherina e inizia a baciarmi sul serio, mentre saliamo con l'ascensore, ma tutto questo movimento mi fa venire la nausea. La spingo via all'improvviso e vomito nel piccolo ambiente ristretto. Cavolo. Che stronzo che sono. Scivolo contro il muro, sbattendo il sedere per terra e gemendo per la nausea.

Lei mi guarda, leggermente schifata, ma poi alza gli occhi al cielo e mi fa alzare. Deve aver già vissuto una situazione del genere. Ecco cosa succede ad andare con sconosciuti ubriachi.

Quando usciamo, chiama un ragazzo che sta pulendo in una camera con la porta aperta, e gli dice del casino che ho combinato nell'ascensore. Poi, mi trascina davanti una porta e la apre con una spinta mentre mi sorregge. Ah. Bella stanza.

"Are you a fucking princess?".

"No, solo una stupida assistente sociale con un genitori troppo ricchi". Ed ecco, con quello sguardo e quelle poche parole mi ha già raccontato metà della sua vita. Mi porta in un sontuoso bagno e mi scarica davanti al water.

"Butta tutto fuori. Ordino qualcosa intanto- inizia ad andarsene, ma poi si ferma e si gira verso di me- E non sforzarti di fare il finto tonto. Si vede che conosci l'italiano". Poi esce, dopo aver alzato dei magnetici occhi azzurri al cielo. Scommetto che al sole abbiano delle venature verdi. Come Mary.

Per quanto mi sforzi, non riesco a buttare fuori nient'altro e ho solo sudori freddi. Esco in fretta dal bagno alla ricerca di acqua, ne ho un disperato bisogno. Lei si fa trovare pronta sul divano, con due bottigliette vicino.

"E stiamo a trentadue- la guardo, confuso, e lei sospira- Trentadue persone a cui ho visto buttare la vita con l'alcol negli ultimi due mesi. Tranquillo, non è nemmeno il record". Accende la tv e mette il telegiornale, ma quando vede la mia smorfia, abbassa il volume.

"Come ti chiami?". La guardo, diffidente, e lei sorride bonariamente.

Ripenso a quello che mi ha detto Mary.

"I'm anyone". Sbuffo e mi butto sul divano. Sembra simpatica. E non sembra aver capito il mio vero nome.

"Oh, abbiamo il nuovo Ulisse del secolo. Hai presente? Omero, Odissea". Le faccio segno di sì e sbuffo nuovamente. Divertente. Ah ah ah.

"Thanks for... grazie per questo". Dico, facendo cadere il teatrino.

"Niente". Alza le spalle, indifferente e, quando bussano alla porta, va ad aprire e torna seguita da un cameriere e un carrello pieno di cibo.

"Non devi...". Non mi lascia nemmeno finire.

"Prendi un altro po' di acqua, straniero. Suona bene. Visto che non mi vuoi dire niente, ora sarai Lo Straniero". Ride e ringrazia il cameriere.

No. Non straniero. Quello... quello è di Mary.

"Mi chiamo Stanley". Sputo allora, e mi alzo in tutta fretta. Ho un capogiro improvviso, ma non m'importa. Devo uscire di qui.

"Già te ne vai? E tutto questo cibo?". Mi chiede, con gli occhi spalancati e la bocca corrucciata. Probabilmente si starà chiedendo cosa ha fatto di male.

Niente. Sono io. Sono io lo stronzo.

"Buon appetito". Le faccio, allora, cercando di sorriderle. Poi mi fiondo alla porta. Solo lei può usare quel nome.

"Ci vediamo in giro!". Mi urla dietro mentre chiudo la porta dietro di me.

Caccio un bel sospiro mentre torno verso la mia camera.

Peter Parker sembra più fortunato di me negli ultimi tempi. Anche dopo la fine di Far From Home. E ho detto tutto.

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