For the first time

Stranger's Pov (o una traduzione dei suoi pensieri da gentleman inglese)

Sono felice.

È la prima cosa che ho pensato appena aperto gli occhi stamattina. Una frase semplice e fantastica: sono felice.

Questo senso di pace che m'inonda mentre sorseggio una birra light è una sensazione che non provavo da mesi. Letteralmente: fantastica.

"Ormai mi chiedi d'incontrarti sempre con un drink, Stanley". Sonia appoggia la giacca sul bancone, si disinfetta le mani e prende l'Hugo che ho già fatto preparare per lei. È una donna statica, se la dovessi paragonare ad un personaggio di un copione: ogni giorno segue gli stessi orari, ogni bevuta prende le stesse cose, ed ormai vederla coi tailleur è diventato d'obbligo. Sarebbe strano se si vestisse diversamente.

"Certo. Siamo ricchi turisti in un hotel da mesi. Non è obbligatorio vedere noi con dei drink?".

"Vederci". Mi corregge subito e io sbuffo. Ho ancora alcune piccole incomprensioni con la grammatica italiana. È solo che è così difficile! Nemmeno Friedkin sarebbe così pazzo da inventare una lingua del genere, ed è un uomo che ha preso a schiaffi un prete durante delle riprese.

"Si, si. That".

"Comunque, dalla tua visione del mondo direi che vedi fin troppi film. Ricchi che s'incontrano sorseggiando drink? Mica siamo in The Riot Club o cose del genere".

"Meglio. I don't love much cocktails of pee, my dear". Al solo pensiero, facciamo entrambi un piccolo verso di disgusto, per poi riprendere a gustare ognuno la propria bevanda. Il silenzio si protrae per un po', custode dei nostri pensieri, finché lei non sospira, scocciata.

"Allora, perché sono qui?".

"Well... tutte le persone hanno una mamma e un papà...".

"Che scemo". Sbuffa e torniamo in silenzio per alcuni minuti, finché non capisco che stavolta tocca a me romperlo e spiegarmi.

"I have some questions, a couple of suggestions on how to fight instead of fleeing west-". Inizio a rappare, sorridendo.

"Siamo passati ad Hamilton, ora? Smettila di girarci intorno e parla, ho un appuntamento tra poco". Incrocia le braccia dopo aver sbattuto il bicchiere vuoto sul bancone e fatto cenno al barista di riempirlo. È pomeriggio e addirittura io sto cercando di andarci piano, ma ehi! Non credo che esistano molti drink più leggeri dell'Hugo, quindi non dovrebbe ubriacarsi. L'ho vista reggere roba molto più pesante.

"Ok, ok- alzo le mani in segno di resa- Immagina una situazione... così. Menti a una persona, litighi, litighi ancora ma poi... poi fai pace. E senti comunque strano". Cerco di spiegarmi nel miglior modo possibile in italiano, anche se so che nemmeno in inglese riuscirei ad esporre benissimo la situazione. Però preferisce che io le parli in italiano, così da allenarmi: è proprio una maestrina, ma se voglio il suo aiuto devo cercare di sforzarmi.

"Ti, ti senti- corregge in automatico. Accidenti- Ragazza?".

"Yes... I mean... si".

"Come avete fatto pace? Le hai solo chiesto scusa?- faccio cenno di sì e scoppia a ridere- Povero ragazzo. Dove sono finite le basi?".

Io la guardo, non sapendo bene come interpretare questa frase, allora lei si gira e prende in mano il drink.

"Un regalo. Dei fiori. Le solite cose. E spero di stare aiutando un sincero pentito e non un traditore".

"Pentito?".

"Sincero. Un... come posso spiegarlo. Quando fai delle scuse sincere e non hai intenzione di ripetere l'errore".

"Ah, no no! Honest! I'm totally honest!".

"Bravo ragazzo". Avvicina una mano alla testa ed io subito mi scosto. Sento il disagio arrivare, ma lei lo cancella con un sorriso. Honest. Sincero.

Probabilmente voleva solo darmi dei colpetti in testa, ma dopo quella volta in cui ero così ubriaco da reggermi a malapena in piedi, cerco di mantenere le distanze. In più, per creare il look Stranger, come direbbe Mary, ci metto mezz'ora solo per i capelli la mattina. Una pettinatura del genere non la può rovinare nessuno.

"Secondo te devo comprare un regalo". Ripeto, per assicurarmi di aver capito bene e non cadere nelle mie solite gaffe.

"Si. Un regalo. Ma se non è la tua ragazza, se è solo una- mette in risalto la parola, alzando anche le sopracciglia- ragazza, allora i fiori forse sono troppo. E i cioccolatini? No... anche quelli troppo. C'è qualcosa che sai che le piace?".

Io inizio a rifletterci sopra, ma per quanto ci pensi è come se all'improvviso il vuoto si fosse impadronito della mia mente.

"Vedo che siete molto vicini. Nemmeno una cosa?- la guardo, terrorizzato- Comprale una cioccolata mentre parlate o cose del genere. Ora devo andare". Mi lascia con due pacche sulla spalla e un tremendo panico che mi attanaglia la testa.

Ha ragione Sonia? Non mi ha ancora perdonato? Non del tutto? Serve un regalo? Perché non mi viene in mente niente?

Cavolo, sono stato per un mese a vedere la sua stanza dallo schermo di un telefono! Una qualsiasi cosa, come può non venirmi in mente? Il mio sguardo cade sulla birra che stringo tra le mani e subito la mollo sul bancone.

Ugh. Sarà quella? Eppure non è pesante, l'ho presa apposta con una gradazione più bassa.

Guardo l'orologio, manca ancora un po' all'appuntamento. Appuntamento amichevole, non nel senso di... insomma.

All'improvviso, mi ritorna in mente la sera in cui pensavo che niente si sarebbe più risolto. Quando lei mi ha detto di andarmene, spaventata dalla mia identità, e io me ne sono andato. Stupido. Sono proprio uno stupido.

Però... mi ero anche un po' stancato. Insomma, non vuoi avere niente a che fare con me? Ok! Ti piacevo quando non era nessuno? Va bene! Ho file di persone che vogliono essermi amiche.

Ma poi ho dovuto fronteggiare un aspetto di cui non mi ero reso conto: le altre persone non sono Mary. Non mi conoscono da "nessuno". Solo la mia famiglia ha ricordi di quando ero niente per il mondo ma il mondo per loro.

Ora che sono qualcuno, neanche io sapevo di poter fingere di non esserlo. Fingere di essere me stesso, senza le telecamere a cambiare ogni minima espressione del volto e del corpo, senza dover indossare maschere su maschere. Io stesso sono rimasto stupito venendo a scoprire che sotto tutti questi strati di trucco è rimasto uno sbiadito originale.

Che ironia. Per essere me stesso devo nascondere il mio volto. Ma per essere me stesso devo anche nascondere Stranger e mostrare il mio vero aspetto.

Chi sono davvero? L'attore o lo sconosciuto?

Mary mi ha portato a mettere in discussione ciò che faccio. Ed è proprio per questo che all'inizio ho accettato di andarmene. Non mi voleva intorno e mi feriva che fosse Tom l'attore ad essere rifiutato.

Ma poi ho parlato con la mia consulente d'emergenza preferita, detta anche Zen. Per quanto il nomignolo possa far ridere, pensando al buddismo, è davvero una brava ascoltatrice. Dopo ogni consiglio molto altezzosa, ma ogni cosa ha un prezzo.

Rido, pensando a cosa l'ultima volta mi abbia fatto cucinare in cambio del consiglio. Che disastro. Provare a fare flambé in hotel non è un'ottima idea, dovrei fare una maglietta con questa scritta e regalargliela. Ecco, ora so cosa farle per il compleanno.

E sulla scia dei regali, mio caro cervello, vuoi dirmi cosa fare per la Mary?

Gemo, colpendo la fronte e poggiandola sul bancone. L'occhio mi cade sull'orologio. Diamine.

Manca poco e devo arrivare a quella lunga strada vicino la piazza. E non le ho preso ancora niente.

Mi alzo in tutta fretta e corro verso l'uscita. Cosa. Diamine. Faccio. Ora.

Non dovevo parlare con Sonia. Quella donna mi ha solo mandato in panico e non so come liberarmene. Inizio ad andare verso il punto d'incontro, guardando disperatamente le vetrine dei negozi alla ricerca di un'idea.

Una cioccolata basterà? I fiori sono davvero troppo?

Quando attraverso l'enorme porta ad arco all'inizio della via e il mio sguardo cade sul negozio di cartoleria, finalmente sembra che i neuroni riprendano le loro connessioni. Ma certo!

Queste cose le piacciono! Oltre la Marvel. E me. Anzi, Peter Parker. O forse più io? Più io Tom.

Che confusione... e se la provo io che la causo, chissà come si sentirà lei. Ha ragione Sonia. Un regalo è d'obbligo. Sopratutto, un regalo fatto per bene, di qualcosa che le possa piacere e che faccia pensare a me. Qualcosa che le serva e che possa portare dietro.

Entro nel piccolo negozio, guardando di nuovo l'orario. Ancora un quarto d'ora, e la dovrei incontrare poco più avanti.

Dove ha scoperto tutto. E dove, entrambi, abbiamo mandato all'aria tutto.

Cercando di non far caso ai secondi che scorrono, veloci come il vento, inizio a posare lo sguardo sui vari articoli di cancelleria. Una penna sarebbe troppo scontata. Le grandi lettere da appendere al muro? Nah. Lei usa le polaroid. Poster maxi?

Effettivamente ha delle pareti bianche in camera, ma non le sarebbe utile. Inoltre si può facilmente rovinare. Non voglio prenderle qualcosa che butterà in poco tempo.

Continuo a dare un'occhiata in giro, finché non lo vedo. Un piccolo quaderno con la copertina più spessa, in risalto un motivo a stelle e sullo sfondo il cielo blu che ricopre tutto. È lui.

Semplice, bello, elegante. Perfetto.

Mentre vado alla cassa, però, ci ripenso sulla penna. Torno indietro e, ora sicuro, scelgo subito una tipologia metallizzata, con ricariche e il disegno del metro.

Aspettando che facciano un pacco regalo, sorrido al pensiero della sua possibile reazione. Di sicuro le piacerà moltissimo.

Appena uscito dal negozio, corro per arrivare nel minor tempo possibile nel nostro posto.

Un luogo di rottura, che oggi vedrà risanate le nostre ferite.

Guardando in giro, vedo che non è ancora arrivata. Fa niente. Si sa che le ragazze si fanno aspettare. Prendo il telefono ed inizio a giocarci, quando vedo l'arrivo di un messaggio su Instagram.

È Sonia.

Non le ho voluto dare il numero di telefono, anche se per sua insistenza ho già il suo, perciò ha trovato questa scorciatoia per contattarmi.

Adesso sul profilo falso ho già tre foto. Una della città di Londra, che avevo scattato durante uno dei miei tanti voli, uno di me di spalle e uno in cui mi si vede di profilo.

Da una persona che non ha mai realmente gestito il proprio profilo Instagram, direi che è il massimo dello sforzo possibile.

Hai visto altro me? Ti ho anche fatto questo regalo con tre post su Insta, quindi cerca di collaborare con Mary. Facciamole vedere che siamo un'unica persona. Stranger e Tom, ASSEMBLE!

Rido alla citazione mentale di Endgame, ma subito il sorriso sparisce. Io. Ammazzerò. Quella. Donna.

S.- Sai, sul regalo ci ho ripensato. Potrebbe sembrare che tu stia cercando di comprare il suo silenzio o la sua fiducia. Lascia perdere, è meglio

T.- sta scrivendo...

Resto con le dita sospese sulla tastiera del telefono, senza sapere come rispondere. Doveva dirmelo ora? Un po' prima? O un po' più tardi?

Almeno avrei accettato le conseguenze a testa alta!

"Buh". Una voce fin troppo familiare mi fa improvvisamente sobbalzare e butto le mani in avanti per lo spavento. Quella attaccata al braccio che sorregge la busta con il regalo che a causa di Sonia non so più se darle o meno. Che incredibile brutta processione.

E che visione di mascolinità deve essere sobbalzare in questo modo.

Mary ride, ed io non posso fare a meno di ricambiare la sua risata. Che carina.

"Sei in ritardo". Dico, per spostare l'attenzione. Cosa che ovviamente lei non mi lascia fare.

"E tu sembri appena uscito da un film horror".

"Colpa del tuo ritardo".

"Certo. Crediamoci". Mi da una pacca sulla spalla e sorrido. Menomale che esiste la mascherina, in momenti del genere.

"Cattiva. I was put in the corner in less than two seconds".

"Abituatici". Alza le spalle, ma vedo gli occhi che brillano e so che, come per me, anche la sua mascherina sta nascondendo un sorriso.

"Ok!". È un'altra piccola promessa. Del fatto che continueremo a sentirci, nonostante la distanza. Che continueremo a prenderci in giro e niente cambierà tra di noi.

Restiamo entrambi in silenzio per qualche minuto finché non mi ricordo con un veloce spostamento di aver ancora appeso al braccio il famoso- apocalittico- sacchetto. Lei segue il mio sguardo e assume un'aria sospettosa.

Diamine, Sonia e panico andate a quel paese.

Le porgo il pacchetto e, vedendo che non lo prende, glielo metto tra le mani. Lei continua a guardarlo sospettosa.

"Cos'è?". Ah, ma davvero? Cosa sarà mai? Un regalo, un cavolo di regalo. Perché deve complicarmi la vita così? Perché!

"Un regalo". Dico, cercando di non sembrare agitato.

"Credo che il tuo informatore si sia sbagliato. Ho già compiuto gli anni".

Ho voglia di ucciderla. Ho voglia di morire.

Deve aprire questo cavolo di pacchetto.

"No... look... ah! Apri e basta, ok?".

Frustrazione ai massimi livelli, mood on.

Lei passa un'ultima volta lo sguardo da me al pacchetto, per poi iniziare a scartarlo. Finalmente! Ringraziamo Odino e Thor! Anche se Chris è più simpatico, ma testa cara concentrati su questo momento.

Quando finalmente svela il regalo, trattengo il respiro per qualche secondo e subito altri mille dubbi mi assalgono. Ma il suo sguardo mi rivela subito cosa ne pensa. Brilla di felicità.

"It's just... a think". Faccio, passandomi la mano tra i capelli. Sembrerò abbastanza normale, o si nota ancora l'agitazione di poco fa?

"Sono bellissimi. Sul serio- passa una mano sulla copertina del quadernino, ammirandone la stampa, ma torna subito a guardarmi- Ma perché? Cosa c'è da festeggiare?".

"Our reconciliation?". Provo, facendola ridere. Cute.

"Va bene, allora... cosa potrei regalarti?".

"Regalo? Per me?- davvero mi vuole fare un regalo? Wow. Poi però mi viene in mente che io l'ho fatto per scusarmi, e sarebbe brutto se lei contraccambiasse- Ah, no no. It doesn't matter". Guardo le scarpe e ripasso le mani tra i capelli, imbarazzato, mentre lei mette il regalo nello zainetto e si pulisce le mani col disinfettante.

Sarebbe bello avere qualcosa da parte sua, ma anche molto, troppo imbarazzante, no?

Improvvisamente mi prende per mano e mi attira verso di lei.

"Io sono Mary, tu sei Tom. Siamo amici. Buoni amici che non si racconteranno più bugie. E che continueranno a sentirsi, anche se la caotica e festiva città di Londra risucchierà qualcuno nel suo vortice di feste. Questo posto sarà testimone della nostra promessa, ok?". Stacca la mano e me la porge amichevolmente.

Sorrido. Quando la prendo e la stringo, è come se rilasciassi tutta l'ansia e il disagio degli ultimi tempi. Avevo paura che durasse poco, che non mi avesse davvero perdonato, che potesse aver ragione Sonia. Non sono solo felice, come stamattina, ma sono sollevato.

"Ok, Italian Girl". Faccio un enorme sorriso, nonostante sappia che non possa vederlo sulle mie labbra, ma sforzandomi di farlo arrivare agli occhi, per mostrarglielo comunque.

Mette fine alla stretta, ma continua a tenere una delle mie mani tra le sue mentre si slega un piccolo braccialetto multicolore.

"Questo è un braccialetto della fortuna. Lo porto da due anni, quando sono andata a Roma e con delle amiche li abbiamo presi. Ora, non dovrebbe mai essere slegato, ma credo che se sia per darlo ad un'altra persona ed augurarle buona fortuna, dovrebbe andar bene lo stesso. No?".

Guardo il braccialetto che mi sta legando al polso; è un regalo. Da parte sua.

Appena ha finito di legarlo, lo tocco come per vedere se è vero o solo una fantasia. C'è! Per davvero! Tutto eccitato la abbraccio forte, ma poi la lascio andare subito ricordandomi del nostro primo incontro e di come sia spaventata per il Covid.

"Sorry, really sorry. It's just... è molto bello".

"E menomale che non volevi un regalo... andiamo a prenderci qualcosa in un bar?".

"Ice-cream! Ho caldo". Lei ride di nuovo e mi da una spallata, iniziando ad avviarsi fuori dal vicolo; che carina la sua risata. Modestamente, sono proprio bravo a scegliermi gli amici. Le corro dietro.

"Hai ragione... io so già che prendo stracciatella. Abitudini che salvano dalle incertezze, venite a me!- spalanca gli occhi, come imbarazzata per un momento, ma subito scuote la testa e si riprende- Tu?".

"Io sono una persona molto... come dite voi italiani...".

"Indecisa?".

"Right! That thing".

"Ah, capito. Mi sa che staremo per un po' a guardare la vetrina vero? Andiamo allora, che è già tardi in questo caso". Inizia ad andare verso la piazza con le bancarelle, con un nome simile ad... erba? Io la seguo, con un sorriso costante.

"You know... it's my first time. That someone gives me... una cosa così. That's... è la prima volta".

"Ah, capisco". Sembra rattristarsi e capisco che può aver capito male le mie parole.

"No, no. Amo questo braciale".

"Bracciale. Due c. Davvero?". Mi abbasso per guardarla dritto negli occhi e le faccio cenno di si più volte con la testa conquistando un'altra risata.

"Bene, allora". Mi scompiglia i capelli e riprende a camminare verso la piazza. Ugh. I miei poveri capelli.

La guardo da dietro, con il sorriso ancora stampato sulle labbra. Insomma, per tutte le volte in cui ci ho passato io le mani, si saranno di sicuro scompigliati molto prima che lei ci mettesse le mani. Carina.

"Ehi, aspettami!". Riprendo a correrle dietro, destinazione ghiacciarsi il cervello.

Sembra un ottimo programma.

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