2. La prateria dei cani felici

 2.

La prateria dei cani felici

MATT(08.30): Nn mi aspettare. Faccio tardi ci vediamo a scuola ;)      

Erano le 8:35 e Lara Marinucci era appena riuscita a prendere l'Autobus dopo aver letto il messaggio di Matteo. Si sarebbero dovuti vedere al bar di Lello alle 8:10 e lei lo aveva aspettato per ben venti minuti.

Quel comportamento da parte dell'amico, quella non considerazione, si erano sommati all'ansia e alla frustrazione che aveva accompagnato il suo risveglio quel Lunedì mattina.

Ora c'era più di una ragione per cui odiare in particolare quel Lunedì.

Aveva avuto un incubo. Uno di quelli brutti. Forse per colpa dell'ansia al pensiero della partita di pallavolo che avrebbe dovuto disputare fra sole quattro settimane, e che in tre set avrebbe deciso del suo intero futuro.

Erano state queste due cose il motivo per cui, in un attimo di debolezza, aveva deciso di digitare sulla barra di Google "significato di sognare un prato verde e un albero rosso", stando ben attenta a non farsi sballottare dalle curve dall'autobus con il rischio di capitombolare addosso a tutte le altre persone ammassate in piedi come lei.
In generale una tipa razionale come Lara Marinucci, Capoclasse della sezione 5°C ragioneria dell'istituto Tecnico "Francesco Ferrara" di Roma, non avrebbe mai ricercato il significato della sua ansia in un sogno, ma quella determinata serie di immagini le avevano generato una sensazione di paura e nervosismo tale da lasciarla scossa fin dal risveglio.

Certo, le capitava di fare brutti sogni e a dire la verità erano anche in numero maggiore rispetto a quelli considerati gradevoli – come quando aveva sognato di avere un appuntamento intimo con quel figo di Alessandro Borghi – , ma da che ricordasse non le era mai capitato di trascinarsi addosso una sensazione così forte da inacidirle lo stomaco.

C'era qualcosa di sinistro nel sogno che aveva fatto e che al solo pensiero le rizzava i peletti chiari della braccia.
Non era stato un sogno confuso, anzi. Era stato tanto vivido che se avesse chiuso gli occhi, ne avrebbe rievocato le immagini. C'era un prato. Un enorme, infinito e vuoto prato. Ma non un prato verde e rigoglioso. Piuttosto, era uno di quelli fitti e grigiastri. E al centro esatto di quella distesa, si ergeva un solo albero completamente rosso. Ricordava di aver camminato, nel sogno, verso quell'albero, anche se tutto sembrava urlarle di correre via. Più si avvicinava e più un grande ronzio, come quello dei televisori a canale muto, aumentava di volume attorno a lei. Eppure proseguiva, poiché assieme a quella tremenda sensazione, ne nasceva un'altra. Un'emozione positiva che le dava la sicurezza che non era sola. Che altri stavano percorrendo quel percorso assieme a lei. Il ronzio diventava frastornante, ma grazie a quel pensiero, alla fine si trasformava. Diveniva piacevole.

A quel punto, si era svegliata.

Sudata, con la bocca impastata, il cuore che quasi le voleva scappar via dal petto e ancora gli strascichi di quel ronzio nelle orecchie. E se quella specie di rumore era diminuito col passare dei minuti fino a svanire, la stessa cosa non era stata per la sensazione unicamente negativa che quel sogno le aveva lasciato dentro.

Era lo stesso tipo di disagio che aveva provato nel maggio dei suoi sette anni, quando ancora viveva in campagna.
A quel tempo giocava spesso con una cagnetta randagia. Una bastardina dal pelo corto e beige. Era stato per questo che l'aveva chiamata Nala, come la leonessa del suo classico Disney preferito.
Nala con i bambini era brava, non mostrava mai i denti, faceva sempre le feste e se le tiravi un bastoncino non ci pensava due volte a corrergli incontro, con la sua linguetta costantemente penzoloni.
Non c'era bambino nel suo piccolo quartiere a non adorare Nala. Lei compresa. Anzi, forse, Lara era quella che l'amava più di tutti. E per un po', continuò ad amarla anche quando Nala smise prima di correre da lei, poi di mangiare dalle sue mani e infine di fare le feste.

Aveva pianto talmente tanto a quel tempo. Credeva che Nala non l'amasse più. Fu allora che iniziò a odiarla con l'ingenua ferocia dei bambini.
Così, un giorno, suo padre stanco di vederla disperarsi, aveva imbracciato la doppietta da caccia e  caricato la cagnetta in macchina. Disse che sarebbe stato via per un po'.

Quando Lara gli aveva chiesto dove avrebbe portato Nala, lui rispose che l'avrebbe liberata nella prateria dei cani felici. E quando Lara gli domandò se l' avesse potuta rivedere, lui sorrise: è un po' lontano, ma un giorno ci organizziamo.
Lara, che di anni ne aveva sette, seppe che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui avrebbe visto Nala.

Era un decennio che non pensava più a tutta quella storia. Fino a quella mattina.
Quando si era svegliata con la certezza che qualcosa, molto presto, avrebbe portato anche lei nella prateria dei cani felici.

Lara strinse la mano con fermezza al palo di metallo, quando l'autista fermò l'autobus. Mise via il telefono così da riuscire a sopravvivere alla giungla di gente che scendeva alla fermata, evitando il rischio di venir trascinata via.

Scesero per lo più impiegati e mamme con i bambini da portare all'asilo. Qualche vecchietto. Dopotutto, se quello fosse stato un giorno normale, avrebbero iniziato lezione da già un'ora.

Alzò lo sguardo solo quando riconobbe la figura di Matteo salire di gran furia. Lo vide guardarsi attorno. Lei alzò una mano per salutarlo, lui sorrise e la raggiunse con la faccia di qualcuno che stava elaborando chissà quale scusa contorta nella testa.

«Oh, scusa davvero è che stamattina praticamente... ad un certo punto... sono entrato in bagno, no? E poi... » alzò le spalle facendo un respiro profondo così da sciorinare in un singolo fiato una delle sue tante e giornaliere scuse. «... però sono dovuto uscire subito perché mia madre ha deciso di entrare senza 'manco bussà. E ha fatto quello che doveva fa'. Allora stavo pe' rientrà, ma mia sorella s'è buttata in bagno come un cannone e m'ha cacciato. E mi sono incazzato perché lo sapevo che mentre quella stava in bagno a truccarsi, tu mi stavi ad aspettà al bar "de Lello" come una stronza.
Quindi ho litigato con mia sorella, ma visto che mia sorella è la cocca di mia madre, ho litigato pure con mia madre. Poi è arrivato mio padre che stava a dormì - oggi era il suo giorno di riposo – e stava incazzato come le bisce perché io, mia madre e mia sorella stavamo a urlà per chi dovesse entrare in bagno per primo. E che te lo dico a fa'. S'è messo a urlare pure lui. Quindi, più o meno, dalle otto alle otto e trenta, a casa mia c'è stato il panico-più-totale. Fatto sta che in culo mi è andata a me che ho fatto tutto di corsa e... ho fatto tardi. Scusa Là, davvero. Mi faccio perdonare.Anche se non hai aspettato tanto,no?»

Alla fine di tutto quel discorso di scuse, fra Lara e Matteo ci fu un lungo momento di silenzio.

Da una parte Lara era troppo di malumore per iniziare una discussione su quanto Matteo come amico facesse schifo, dall'altra Matteo sperava con tutto se stesso che la sua amica si bevesse quella storia. Matteo dopotutto, non poteva di certo raccontarle che aveva avuto un incubo. E non un incubo normale, ma uno di quelli brutti, che gli si era appiccicato addosso come il sudore e che, se ci ripensava, gli faceva ancora ronzare le orecchie.

E poi comunque, Lara non aveva il diritto di recriminargli niente.

Alla fine era a Lara che piaceva fare colazione al bar di Lello, non a lui. A lui sarebbe andato bene anche prendersi un cornetto e un caffè al "Prince" - un bar in cui la mattina si radunavano gente del calibro di Federico Spezzaferro e cricca– e starsene magari anche una ventina di minuti a giocare al biliardino che il gestore del locale lasciava sempre a disposizione degli studenti del Ferrara.
Matteo era sempre stato un tipo socievole, non una cima negli studi e rinomato per accampare le scuse più disparate come giustificazioni a: assenze scolastiche, entrate in seconda ora o uscite anticipate. Quindi, riuscire a fare amicizia con tipi del genere di Federico&Co era sicuro che lo avrebbe divertito non poco.
Poi però, c'era Lara.
Lara che era sua compagna dalle elementari.
Lara che era la figlia della migliore amica di sua madre.
Lara che aveva sempre avuto bisogno di amici.
Lara che era asociale e che preferiva il bar da Lello dove il caffè faceva schifo, costava troppo e il più giovane a parte loro a frequentarlo aveva partecipato al voto per l'unità d'Italia.
Lara che al terzo anno lui aveva abbandonato nella sezione C per trasferirsi nella D per colpa di alcuni professori che lo avevano preso di punta e che se non fosse stato per Lara e per le lezioni di recupero che gli aveva dato, al tempo lo avrebbero bocciato.
Quindi: Grazie Lara che fai le cose per me e non mi chiedi niente. Poiché Matteo, sapeva bene, che Lara non era una stupida e sapeva che quello che le aveva detto era solo una scusa. Che la sua amica sapientona sapesse anche che lui si portava dietro quel terrificante sogno?
Guardando fuori dai finestroni, mentre l'autobus proseguiva la sua corsa, gli sembrò quasi di vedere quella prateria.


.

Qualche fermata dopo Lara e Matteo scesero dall'autobus, stretti nei loro giacconi pesanti – era il 15 di Ottobre, ma proprio quel giorno c'era un freddo da primi di Dicembre – e zaino semivuoto in spalla. Si avviarono al cancello aperto della loro scuola, intravedendo di già i loro compagni a ridere e a scherzare nello spiazzo in attesa della partenza programmata alle ore 9:00.
Quella mattina, così come da programma, la classe di Matteo e quella di Lara avrebbero fatto una uscita didattica con la comune professoressa d'Inglese.

A quel punto, mentre facevano il loro ingresso, c'era da ricordare un piccolo fatto.
L'istituto Tecnico Francesco Ferrara aveva due grandi primati:
1. Era l'unica scuola che sorgeva in una parte di un Castello in stile barocco dei primi del 1900;
2. Nonostante avesse tre piani, 15 aule a livello, un campo esterno da basket e pallavolo, quattro bagni, un bar interno, un chiostro e una sala grande, aveva solo trecento studenti iscritti.

Queste due particolarità, mentre Lara e Matteo entravano in silenzio nello spiazzo adibito al parcheggio e occupato dalle macchine di studenti, professori e dal pulmino per la loro uscita didattica, scaturì due diverse reazioni.
Le prime dagli studenti delle altre scuole, che continuando la loro corsa sull'autobus, si chiesero per l'ennesima volta se consegnassero le "scope per volare" al "Castello di Harry Potter", le seconde dai loro stessi compagni che, dato che in un modo o nell'altro si conoscevano tutti, ci misero poco a inquadrare l'arrivo di Lara detta "Croft" e Matteo "Ilcazzaro".

 Eppure, quella mattina, l'attenzione non si focalizzò suoi nuovi venuti. Addirittura Francesca Bellacqua, che in altre occasioni non avrebbe perso tempo a sussurrare una o due paroline malevole sul conto di quei due, aveva ben altro da osservare e giudicare.
Seduta sul muretto esterno al campo di pallavolo assieme alle sue amiche, Francesca aveva lo sguardo affilato puntato sulla ragazza che stava uscendo dal portone interno della scuola assieme alla professoressa di Economia aziendale. 
Era lei.
Doveva essere lei. Aveva tagliato i capelli ma... era lei.

Lo sapevano tutti che sarebbe tornata oggi a scuola. E se anche lei ne era a conoscenza oramai da più di una settimana, niente le aveva impedito di dormire la peggior notte della sua vita. Quella Serena era come un morbo, che riusciva a insinuarle brutti pensieri anche nei sogni.

Aveva quasi vomitato quella mattina al risveglio. La testa le era girata e l'assurda idea di aver sognato una prateria per cani felici, seppur non concepisse perché quel sogno la spingesse a pensare a quelle determinate quattro parole, le imputava allo stress di rivedere Serena.

Con che faccia ha veramente deciso di ripresentarsi e di stressarmi ancora e ancora, pensò Francesca osservandola camminare con tranquillità verso uno dei muretti.
No, anzi. Non era tranquillità quella che Francesca vedeva in Serena D'Onofrio, la ragazza più schifata della scuola, era...superiorità.

Superiorità!?
Aveva creduto che Serena si sarebbe mostrata come una persona distrutta o quantomeno cambiata, intimidita dal rientrare a scuola, dopo tutti quegli insulti sulla home di inastagram.
E allora? Allora cosa era quella camminata da "vecchia Serena"? Cosa erano quelle spalle dritte e quel giubbotto bianco di marca, quei leggins stretti e quei tacchetti, quegli occhi dal taglio magnetico e quel rossetto perfetto a evidenziare un sorrisetto... vittorioso.

Vittorioso!?
Non aveva niente da cantar vittoria. Non una come lei. Non per quello che aveva fatto a quella poveraccia e di cui anche lei, Francesca, adesso stava scontando il prezzo. Tutto perché Serena era una psicopatica che aveva rischiato di trascinare nella sua merda anche lei e Federico.

Francesca, senza rendersene conto, si era portata un dito alla bocca, pinzando con i denti l'unghia dura coperta dal gel rosso.
Aveva smesso da due mesi di mangiarsi le unghie. Da quando Serena aveva deciso di non venire più a scuola. L'aveva come cancellata, come avesse voltato una pagina di un libro. E adesso, invece, solo nel vederla lì, seduta da sola, con quello sguardo di chi la sa lunga e quel suo modo di accavallare le gambe da prima donna, le faceva montare un fastidio che...

«Amò, ma non se la starà prendendo con un po' troppa tranquillità quella zoccola?» domandò Erika esprimendo in poche parole tutti i suoi pensieri. Doveva immaginarlo. L'attenzione della sua amica, così come quella di chiunque fosse allo spiazzo in quel momento, era puntata su Serena. Il ritorno della merda era molto più atteso del saltare le lezioni per l'uscita didattica.

Il telefono le vibrò nella tasca del jeans scuro. Una ciocca dei lunghi e lisci capelli tinti di nero, le sfuggi dalla coda laterale.
Tirò fuori il cellulare in un movimento quasi inconscio e lo sbloccò. Aveva una notifica su whatsapp. Lesse il messaggio in anteprima.


"AMOREMIO<3: Nn pensavo sarebbe tornata"


 Federico le aveva scritto. Alzò lo sguardo. Lo vide dall'altra parte dello spiazzo assieme ai suoi amici. Era seduto sul muso della Fiesta bianca di Daniele e le stava massaggiando.
Aprì la chat.

AMOREMIO<3 sta scrivendo...

Lo sfondo era una foto che loro due si erano fatti scattare di recente. Si baciavano seduti sul muretto panoramico del Gianicolo.

AMOREMIO<3: Cm stai te?


: Sto bene. Tranquillo.

AMOREMIO<3: Pensi di andarle a parlare?

Quel messaggio la lasciò di stucco. Gli lanciò un'occhiata di rimprovero anche se lui era troppo distante e non poteva di certo vederla. Digitò con più foga.

: Col cazzo che le rivolgo la parola. 
: Me lo chiedi
: perché tu vorresti andare a parlarle??
: no, perché
:Ti ricordo


AMOREMIO<3 sta scrivendo...

: Che siamo stati quasi denunciati per

AMOREMIO<3: Calmati non ho detto nnt. No che non ci parlo tranquilla

: colpa di quella
: Stronza
 :O te ne sei forse scordato?

AMOREMIO<3 sta scrivendo...

 Smise di scrivere frenetica, facendo battere le unghie smaltate di rosso sullo schermo del cellulare. Gli occhi azzurri fissi sui puntini a scorrimento che segnalavano l'arrivo a momenti di un nuovo messaggio. Se la stava prendendo con Federico, ma sapeva bene che lui non c'entrava nulla. Quella agitata, quella che improvvisamente era caduta in ansia e paranoia, era lei.

AMOREMIO<3: Sul pullman mi siedo vicino a te.

Inviato quell'ultimo messaggio, Federico Spezzaferro ripose il cellulare nella tasca del giaccone scuro. Osservava la sua ragazza che da quando Serena aveva attraversato lo spiazzo, non aveva smesso un istante di mangiarsi le unghie.

Una goccia d'acqua gli rigò una guancia. Se la pulì con un gesto sbrigativo del dorso della mano. Alzò gli occhi al cielo nuvoloso.

Stava per mettersi a piovere e lui, proprio quella mattina, per la fretta di uscire e non incontrare suo padre, aveva preso il giaccone buono senza notare che le previsioni davano pioggia in mattinata.
Fanculo.

Tutta colpa di quella baldracca infame della prof. Di Economia Aziendale. La Lemma. Un nome, una garanzia di "infamità." Lo aveva puntato dal primo superiore, da quando si era presentato in classe il primo giorno di scuola, dicendogli che si doveva levare gli orecchini.
E perché?

Che motivo c'era?

Diventava stupido con gli orecchini?

Quindi non li aveva levati.

E allora la Lemma si vendicava con interrogazioni a sorpresa, domande rivolte solo a lui o metriche diverse di giudizio.
Come il compito dell'altra settimana in cui era convinto di aver preso almeno un otto dato che le risposte gliele avevano passate giorni prima quelli della sezione C. Erano di una certa Lara Marinucci. Una secchiona.

Quindi, tornando a casa dopo il compito aveva già detto a suo padre che era andato una bomba, che aveva studiato e tutto il resto.
Poi la Lemma aveva consegnato i voti.

Tutti avevano preso sopra la sufficienza. Tranne lui. Lui aveva preso "4". E dato che era l'ennesimo che quella puttana gli aveva messo, la professoressa coordinatrice di classe aveva deciso di fare un bello squillo a suo padre per raccontargli della sua pessima media.

Quella sera suo padre l'aveva accolto a casa con un urlo e talmente tante sberle che aveva dovuto saltare gli allenamenti di calcio.

Da lì la situazione era ancora di più degenerata fino a quando, ieri sera, dopo l'ennesima litigata arrivato quasi al punto di andarsene di casa e fuggire da un amico con cui aveva tranciato i rapporti da un sacco di tempo.
Alla fine si era semplicemente fatto una doccia e se n'era andato a letto, credendo stupidamente di potersi riposare. Invece no. Anche il suo sonno era stato agitato.

Una prateria, un albero, un ronzio. Un sogno così vivido e strano che gli aveva quasi rievocato la sensazione di quando si era fatto un paio di funghetti ad Amsterdam. Solo che in quell'occasione si era divertito. In questa, no.

«Oh Spezza » lo richiamò Nicola gettando la sigaretta per terra. «Che dici sul pullman ci pigliamo gli ultimi posti? »
Lucas esordì in un: «Daje! Almeno così stiamo più larghi.»
«Regà, a un certo punto intoniamo un coro sulla mamma di Nicola?» chiese Daniele ridendo e sfuggendo ad un calcio amichevole di Nicola.

All'ennesima goccia d'acqua, Federico si tirò su dal muso della macchina. «Magari al ritorno. All'andata sto con Franci. »

Nicola gli si poggiò col gomito su una spalla. «Va beh allora voi due vi mettete al posto davanti ai nostri. Magari digli a Francesca di far mettere dietro pure Erika e Cristina. »
Federico lanciò ultima occhiata a Francesca, poi, fece scorrere gli occhi fino a incrociare la figura di Serena. D'istinto provò una stretta al cuore. Dopotutto, quello che aveva passato con Serena non era stato solo una botta e via era...

« Ragazzi salite tutti sul pullman! Su che partiamo e sta iniziando a piovere! » la voce della professoressa di Inglese, interruppe più o meno tutte le conversazioni. «E tirate fuori l'autorizzazione prima di salire!» 

«Lo sapevo che non me ne dovevo accendere una adesso. » e con questa esclamazione, Michele Spinelli, detto il "Canna" gettò a terra la sigaretta appena iniziata, per procedere in direzione del pullma, consegnare il foglio e  salire.

Matteo rilasciò il foglio alla professoressa. La donna guardò il pezzo di carta, osservò la firma tremolante che l'alunno cercava di spacciare per autentica e, con un sospiro, lo mando a sedere.

Una volta saliti i gradini Lara, alle spalle di Matteo, non potè fare a meno di dire la sua. « Lo sai che se non fosse stata la professoressa d'Inglese ad accorgersene sarebbe stato un problema? Cerca almeno di non farti sgamare, Matt. »
Matteo poté solo che fare spallucce mentre continuava a camminare tra i sedili alla ricerca di due posti liberi.

«Dai ragazzi prendete posto! » intimò la professoressa.

«Ci sediamo vicini? » gli chiese Lara.
Matteo esitò combattuto. Poi vide il fondo del pullman. C'erano Federico Spezzaferro seduto vicino a Francesca Bellaqua, Erika, Cristina e Daniele e gli altri ragazzi. E un posto libero. C'era un posto libero.
«Veramente... » riprese Matteo. « Mi andava di stare dietro, sai, coi maschi. »
« Ah... » esclamò sorpresa Lara. Poi annuì infilando una ciocca dei capelli ricci dietro l'orecchio. « Ok, tranquillo. »
Matteo annuì e le fece un occhiolino prima di dirigersi verso il fondo del pullman. «Eih Daniè, che c'è posto?»

Francesca, seduta vicino al finestrino, sistemò la borsa tra le gambe. « Scusa per prima. » disse rivolta a Federico che le sedeva accanto come le aveva promesso poco prima. « E scusa se t'ho costretto a sederti vicino a me. »

«Eih Daniè, che c'è posto? » 

Federico lanciò un'occhiata disinteressata a Matteo che stava venendo a mettersi seduto là dietro. Si voltò con metà busto verso Francesca. Le prese la mano destra e se la portò alle labbra per darle un bacio. «Basta con 'sto "scusa". Mica sono arrabbiato. » 

«Ma sì, vieni a sederti qua! »


La ragazza arrossì leggermente. «E' che mi eri sembrato un po' tirato. Non sapevo se magari ero stata io che... » 

«Daje!»


Federico scosse il capo. «No, no.» poggiò la nuca sul poggiatesta blu e fece un respiro profondo, rilassandosi sul sedile. Gambe larghe e un piede che sbucava sul corridoio di passaggio. Chiuse gli occhi. « ...Ho solo dormito male. »

Francesca si sporse per dargli un bacio sulla guancia, sentendo i piccoli spuntoni di una barba di un giorno solleticarle le labbra piene. Anche lei si sentiva molto stanca.

A metà del pullman Lara dovette sedersi da sola. Si accomodò al posto verso il finestrino. Lo zaino lo cinse al grembo. Non le dava fastidio che Matteo si fosse seduto con altri. Ma le sarebbe piaciuto averlo vicino per quei trenta minuti di tragitto fino a destinazione. Sperava almeno che con le sue chiacchiere le avrebbe evitato di pensare.

«E' libero?» chiese una voce femminile.

Lara si voltò a guardare chi mai le avesse parlato. Quando si ritrovò il sorriso di Serena D'Onofrio e il suo sguardo che lasciava intendere che si sarebbe volentieri voluta sedere, lei rimase un attimo bloccata a fissarla senza sapere che dire.

In tutti quegli anni Serena D'Onofrio non le aveva mai rivolto la parola. Come avrebbe potuto, comunque. Erano su due piani completamente differenti. Lei era una comune, ma Serena... Serena era quella bella, quella popolare, quella sempre invitata in discoteca. Quelli come Serena, Francesca, Federico... quelli erano fuori dalla sua portata.
Quindi, anche se sapeva bene che delle voci dicevano che una ragazza si era suicidata per colpa del bullismo di Serena, non potè fare a meno di sentirsi piccola piccola quando una come D'Onofrio le chiese di sedersi accanto a lei.

«Ehm... Immagino di no. » concluse Serena con un sopracciglio arcuato e una faccia rassegnata, pronta ad allontanarsi.
Lara si riscosse. «No!»
Serena le lanciò un'occhiata dubbiosa.
«No, cioè...sì. E' libero. Siediti pure.» sorrise debolmente.
Serena ricambiò il sorriso e senza attendere oltre si sedé. «Non penso che io e te ci siamo mai parlate. Io sono Serena.»
Lara si sentiva la gola secca, come se si aspettasse che quella potesse esordire in una qualche battuta ironica contro un'asociale come lei. «..Lara. Sto alla C.» specificò a fatica.
Serena trattenne un accenno di risata. «Sì, siamo solo due sezioni. Immaginavo non fossi nella mia classe.» rise tirando fuori un paio di cuffiette bianche per cellulare dal giaccone. «Ti piacciono Bad Wolves? chiese collegandole all'apparecchio.
«No... cioè... non li conosco.»
Serena le porse una cuffietta con fare entusiasta. «Allora li devi sentire per forza. Questa è Hear Me Now...»
«O...Ok» e per prendere la cuffietta si sporse troppo, andando così a dare una testata al sedile davanti.
Serena rise divertita. «Ti sei fatta male?»
« Cavolo...» mormorò Lara rossa in viso.
Qualcuno si sporse dal sedile anteriore. Era Michele detto il "Canna". Il volto allungato, il pizzetto solo sul mento e i capelli lunghi schiacciati sulla testa da un paio di grandi cuffie. «Chi ha dato la craniata?»
«Io, scusa Mike»
«Shalla» sorrise e poi lui rivolse lo sguardo a Serena. Lì cambiò espressione. Il sorriso gli scomparve dalle labbra.
Serena, invece, gliene regalò uno. «Ciao Mike...»
«Non salutarmi come se non fosse successo niente. » e dicendo questo sembrò guardare oltre loro. Poi, si voltò e tornò a sedere.
Serena a quella scena guardò Lara e, come se non sapesse a cosa Mike si fosse riferito, semplicemente fece spallucce.

Mike, sapendo che Serena D'Onofrio era seduta dietro di lui, avrebbe quasi avuto l'intenzione di cambiare posto. Però era riuscito a sedersi da solo, senza nessuno che lo scocciasse o che volesse scocciare quei minuti che avrebbe sicuramente impiegato per farsi una bella dormita.
E se poi, comunque, si fosse alzato e gli unici posti disponibili fossero stati vicino a Federico Spezzaferro?
No. Federico non lo avrebbe voluto seduto vicino e questo, Mike, lo rispettava. Così aveva deciso di stare da solo. Anche se a dire la verità dopo il sogno di quella notte avrebbe preferito tirarsi giù una canna piuttosto che star solo con se stesso.
Allora decise piuttosto di far scorrere le note di Nothing Else Matter nelle orecchie, per far scacciare alle sapienti dita di Hetfield e Hammett, quel ronzio che da tutta la mattina gli rimbombava nella testa.

Quando il pullman finalmente partì con un rombo tra applausi e risate dei ragazzi, solo sei tra di loro non riuscivano a condividere la gioia del saltare delle ore scolastiche.
Tutti e sei non riuscivano a smettere di pensare a quel sogno e che ben presto, in un modo o nell'altro, anche loro sarebbero stati liberati nella prateria dei cani felici.

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