5. La notte delle streghe
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TW tentato stupro!
Pov Sara
Il venerdì seguente uscii a fare colazione con Leonardo. Quando gli scrissi per confermare l'appuntamento, aveva risposto felicissimo e a colazione mi aveva portato persino una rosa.
Sorrisi a vederlo così tenero ma misi di nuovo in chiaro che non si doveva creare aspettative.
Bevvi il mio cappuccino e mangiai la mia brioche chiacchierando delle lezioni e dei prossimi eventi che ci sarebbero stati a Perugia.
Usciti dal bar faceva un freddo allucinante, stava arrivando novembre e l'inverno si faceva sentire, in più era iniziata una leggera pioggerellina.
Tirò fuori l'ombrello dal suo zaino e, restando fuori per metà, fece in modo di non farmi bagnare.
Arrivati in università, Leonardo aveva metà del giacchetto completamente bagnato e mi offrii di accompagnarlo in bagno.
A metà corridoio, però, lui mi prese la mano facendomi fermare, colto probabilmente da un moto di coraggio. Io intuii dove voleva andare a parare e lo baciai per prima.
Non c'era niente di male in un bacio; andava ad entrambi, perché fermarsi?
Mi spinse contro il muro tenendomi le mani sui fianchi.
Baciava bene, non usava troppo la lingua ma era piacevole.
Ci staccammo un po' straniti e lui esordì:
"Mi hai baciato tu per prima".
"Perché tu non lo volevi?" dissi maliziosa.
"Lo volevo da tre anni, Sara" sospirò.
"E ti è piaciuto?" lo provocai.
"Molto" rispose senza fiato.
"Allora possiamo continuare a farlo".
"Hai detto di non volere una relazione" ribatté confuso.
"Serve una relazione per baciarsi?".
"Ah... no, presumo".
"Se ti va bene così, ogni tanto si può fare".
Probabilmente mi stavo cacciando in un guaio, era una sorta di relazione stabile?
"Quindi saremmo... scopamici?" chiese lui.
"Chiamalo come vuoi, non sono fan delle etichette, io".
"Però uscirai anche con altri" sottolineò, quasi dispiaciuto.
"Probabilmente sì" ammisi, non volevo rinunciare all'ebbrezza del sabato sera.
"Ci penserò" sospirò lui.
Lo baciai di nuovo sulle labbra e, guardando l'orologio, scappai a lezione.
Assaporavo già il momento in cui l'avrei detto alle altre.
La reazione di Giulia e Francesca fu esattamente come me l'aspettavo: prima mi guardarono scioccate, poi urlarono insieme che le avevo tradite e poi si misero a ridere.
"Porca miseria, Sara! Una ne fai e cento ne pensi" esordì Giulia mentre fumava.
"Non avevi smesso, tu?" la presi in giro io.
"Sì, poi a furia di vedere Francesca fumare ho ricominciato".
"Ah, sarebbe colpa mia adesso? Se io mi rasassi a zero lo faresti anche tu?" la rimbeccò, piccata, l'altra.
"No, perché non vorrei diventare brutta come te".
Alla fine scoppiammo tutte a ridere, eravamo un bel trio.
La sera seguente uscimmo anche se faceva un freddo assurdo.
La domenica mi svegliai abbastanza presto per iniziare a correggere il manoscritto per la tesi, mancava una settimana a novembre e io dovevo consegnare le prime cento pagine entro Natale. Inoltre dovevo studiare per ben due esami a gennaio, e filologia era davvero tosta.
Mi stavano capitando parecchie cose in questi mesi ma non avrei mai messo da parte lo studio.
Mentre studiavo alla scrivania della mia camera, mi cadde l'occhio su quel pupazzetto bianco che Francesca e Giulia mi avevano costretto a salvare, io l'avevo già condannato a morte nell'immondizia.
Realizzai che questa settimana non si era presentato e sospirai di sollievo, magari la doccia ghiacciata a metà ottobre aveva funzionato per togliermelo di torno.
Passai tutta la settimana a districarmi tra lo studio, la tesi, il lavoro e un po' di riposo.
Con Leonardo sembrava andare bene, non si era fatto sentire il week end e poi il lunedì mi aveva scritto che valeva la pena provarci, quindi, quando potevo, facevamo colazione insieme la mattina e ci baciavamo parecchio, più di quanto fossi abituata a fare di solito.
"Dovremmo comprare dei vestiti per la festa di Halloween" esordì Giulia mentre stavamo sul tavolo in cucina a studiare.
"Non hai proprio voglia di studiare, oggi, tu" ribatté Francesca.
"Halloween?" chiesi io.
"Sara, è praticamente dopodomani" mi disse Giulia.
"Dopodomani? Ma dove cazzo sono stata io? Ma che giorno è oggi, scusa?" domandai spalancando gli occhi.
Il tempo era letteralmente volato, mi sembrava l'altro ieri il giorno in cui ero andata a leggere il testamento.
"Il 29, rintronata" mi rispose Francesca.
"Oh, cazzo! Va beh, finiamo questo capitolo e andiamo al centro commerciale" esordii.
Halloween era una tradizione troppo importante.
Alla fine Francesca scelse un costume da infermiera, Giulia da Harley Queen e io da streghetta, mi piaceva intrugliare un po' con i profumi e le essenze e da piccola mi piaceva pensare che le streghe esistessero, erano sempre state affascinanti per me.
Il giorno della festa mi preparai con cura, lasciai i capelli lisci e mi truccai con i toni del viola per riprendere il colore del vestito.
Faceva abbastanza freddo quindi misi delle calze autoreggenti sotto il vestito e infilai un paio di scarpe chiuse con il tacco abbastanza sottile e il cinturino. Mi guardai allo specchio e spruzzai il mio profumo, ero soddisfatta.
Entrando nella discoteca, ci rendemmo conto che era pieno di gente.
Andammo subito al bar a prendere dei drink e ci buttammo in pista.
Ballammo da sole, scherzando per un'oretta, poi le mie amiche attaccarono bottone con due ragazzi e io rimasi sola in pista.
Mi misi un po' in disparte finché da dietro due ragazzi mi dissero:
"Sei da sola, piccola?".
Mi girai per guardarli e decisi di stare al gioco:
"Ora non più" sorrisi.
"Ti va di bere qualcosa?".
"Sì, grazie" annuii.
Ordinarono anche per me un gin tonic finché sentii uno dei due avvicinarsi troppo da dietro e annusarmi il collo: "Hai un buon profumo".
"Grazie" risposi a disagio.
Non mi stava piacendo il loro modo di fare, mi sembravano troppo viscidi.
Decisi di bere il drink e poi avrei trovato una scusa per staccarmi.
Iniziai a bere, era più dolce del previsto.
Subito dopo, il secondo ragazzo mi prese per la vita e mi attirò a sé mentre l'altro mi accarezzava la schiena.
Mi girava terribilmente e improvvisamente la testa e stavo iniziando a vedere sfocato.
Possibile che mi fossi ubriacata così di botto?
I drink di solito erano tutta acqua.
Improvvisamente non sentivo più le gambe e mi appoggiai al ragazzo di fronte a me per non cadere. Mi mise le mani sul sedere e mi sussurrò viscido: "Sei vogliosa mi sa, piccola".
Non riuscivo neanche a rispondere, avevo la bocca impastata e le gambe non mi reggevano, la testa mi faceva male e non vedevo neanche benissimo.
Cercai di divincolarmi come potevo, non ero lucida e non mi stava piacendo.
"Ti piace farlo violento?" mi sussurrò l'altro prendendomi per il polso.
Non sapevo come uscirne fuori, fra poco sarei svenuta per il caldo che faceva lì dentro.
Stavo per chiudere gli occhi quando sentii le voci di Francesca e Giulia e del buttafuori che prendevano di peso quei ragazzi e li allontanavano da me.
"Sara" mi chiamò dolcemente Giulia, "come stai?".
"Devo prendere un po' d'aria" riuscii a biascicare.
Mi portarono fuori e l'aria fredda mi fece subito sentire meglio.
"Ce la fai ad arrivare fino a casa sulle tue gambe?" mi chiese Francesca.
"Credo di sì" dissi io con voce un po' più ferma, quel fresco mi stava svegliando.
Fare la discesa che ci portava a casa non fu facile, mi fermai molte volte in preda al mal di testa e cercavo di tenere un equilibrio decente.
"Siamo quasi arrivate" mi rassicurò Giulia.
Annuii senza capire un granché, mi stavano letteralmente cedendo le gambe.
♡
Pov Michele
Rientrai in Italia con quattro ore di ritardo, dovevo atterrare alle tre di pomeriggio ed erano le sette di sera.
Quando succedevano queste cose mi giravano abbastanza i coglioni.
Mangiai una pizza al volo prima di prendere la macchina e tornare a casa quando all'ODStore all'uscita vidi una scatola di biscotti di Halloween troppo carini.
Guardai sul Rolex il giorno e l'ora e, diamine, oggi era Halloween.
Non me ne ero neanche accorto.
Quella festa mi sembrava una terribile stronzata.
Entrai senza neanche pensarci e comprai la scatolina, erano solo le sette, sarei arrivato a Perugia per le dieci o forse le undici se non c'era troppo traffico.
In queste due settimane mi ero sforzato di non pensarci troppo e, complice la mezza bottiglia di rum andata in quindici giorni, ci ero anche riuscito.
Più o meno.
Sarei comunque dovuto tornare da lei, quindi tanto valeva farlo adesso.
Dentro Roma rimasi incolonnato per un'ora nel traffico e anche uscire dal raccordo non fu semplice.
Imboccai la solita strada e accesi la musica.
Non mi sarei fatto troppi problemi su come presentarmi, tanto ero abituato agli insulti ormai.
Ero un po' stanco ma il viaggio fu abbastanza tranquillo. Guidare di notte mi rilassava, non c'era nessuno in giro.
Alle undici ero sotto casa sua, la sua macchina c'era ma le luci erano spente.
Suonai il campanello ma non mi rispose nessuno.
Era la sera di Halloween, dannazione, solo io potevo pensare che una del genere stesse in casa a guardare un film, ovviamente doveva essere uscita.
Perché dovevo sembrare così coglione ogni volta che stavo sotto questo stupido palazzo?
Mi infilai in macchina, fuori faceva freddo e non mi sarei fatto un'altra settimana di febbre.
Infilai il cappotto e scrollai Facebook per una mezz'oretta.
Poi decisi di controllare le feste a Perugia e andare a vedere se era a una di quelle.
Cercai su Facebook qualche evento e scoprii che c'era una megafesta proprio qua dietro, forse erano lì visto che era abbastanza vicina da non prendere la macchina.
Scesi dalla mia con tutta l'intenzione di entrare in quel club anche se probabilmente sarei stato l'unico non vestito; non mi ero fatto duecento chilometri per nulla.
Mi fermai sentendo casino poco dietro al condominio, decisi di andare a vedere.
"Sara, siamo arrivate praticamente, ti prego" sentii una voce conosciuta implorare.
"Te lo giuro che non mi reggono più le gambe" sentii Sara, proprio lei, piagnucolare.
Ma porca troia.
Affrettai il passo e le trovai tutte e tre vestite a tema per quella festa e Sara in mezzo, non troppo lucida, sorretta da loro due.
"Se non collabori ti lascio qua" gridò esasperata la ragazza mora e fece per lasciarle il braccio.
Vidi le sue gambe cedere e, in mezzo secondo, mi avvicinai e la tirai su prima di vedere lei e l'altra ragazza finire a terra.
"Che diamine ci fai, tu, qui?" mi biascicò addosso.
"Mi dovresti ringraziare in questo momento, ti ho evitato una bella caduta".
Che faccia tosta, l'avevo praticamente presa in braccio due secondi prima che cadesse e aveva pure il coraggio di accusarmi.
Cazzo, se era morbida tra le mie braccia, mi ritrovai a pensare.
Le sue amiche mi guardarono grate e si apprestarono ad aprire la porta del condominio.
"Mi viene da vomitare, cazzo" imprecò lei.
La ignorai accelerando il passo su per le scale.
"Vai piano o giuro che ti vomito sulla camicia" mi disse.
La ignorai di nuovo.
All'ultima rampa di scale sentii un fiotto caldo arrivarmi proprio sulla camicia.
Abbassai lo sguardo e c'era una chiazza di vomito addosso a me:
"Cazzo, porca troia" imprecai.
"Te l'avevo detto che stavo per sboccare" ribatté lei.
"Cristo, Sara" imprecai di nuovo.
Era nuova, porca puttana.
Il cappotto, almeno, sembrava essersi salvato.
La appoggiai davanti al wc e la sentii vomitare anche l'anima.
"Dio" disse quasi piangendo, "che schifo" e con le mani si teneva i capelli per non farseli andare in faccia.
Si tirò su e cercò di fare una specie di chignon che si reggesse da solo, presi un mollettone sul mobile del bagno e glielo attaccai ai capelli, Ilaria faceva spesso così.
"Grazie" mi sussurrò prima di vomitare di nuovo.
La guardai stranito.
Mi tolsi il cappotto che per fortuna era salvo e sbottonai la camicia per non sentire la puzza di vomito.
"Mettila sotto l'acqua" mi disse la ragazza mora.
Me la tolsi e aprii l'acqua del lavandino rimanendo a petto nudo.
"Quanto cazzo hai bevuto, incosciente?" la rimproverò lei.
"Non ho bevuto, solo due drink, sono pure lucida. Mi sa che mi hanno messo qualcosa nel gin tonic".
Strinsi i pugni sopra la camicia.
"Ma che cazzo dici?" la apostrofò l'amica.
"Giuro" disse lei avendo un altro conato "erano troppo viscidi. E poi il gin tonic aveva un sapore strano e appena l'ho bevuto ho iniziato a vedere tutto sfocato e le gambe non mi reggevano, stavo per svenire dal caldo".
"Ti abbiamo vista che eri strana infatti".
"Per fortuna, non so cosa avrebbero potuto fare".
"Non ci voglio neanche pensare, Sara" sussurrò lei.
Già, non ci volevo pensare neanche io a cosa avrebbero potuto farle in quelle condizioni.
Probabilmente l'avrebbero portata via di peso e ne avrebbero abusato finché non sarebbero stati troppo stanchi.
Avrei potuto vomitare anche io solo al pensiero.
"Stai meglio?" le chiese l'amica.
"Sì" sussurrò flebile.
"Mi vado a cambiare, allora".
Vomitò un'altra volta, tirò la sciacquone e imprecò contro il cinturino delle scarpe.
La tenevo d'occhio ma non la stavo guardando troppo, non volevo essere catalogato come quei due maniaci.
"E slacciati, porca miseria" imprecò lei.
"Hai bisogno d'aiuto?" chiesi.
"No, grazie".
Dio, se aveva la testa dura.
Mi avvicinai e mi abbassai al suo livello. "Non mi toccare" disse lei repentina.
Alzai gli occhi al cielo, le presi il piede destro, lo girai e slacciai quel dannatissimo cinturino.
Mi rialzai e uscii dal bagno, infilandomi il cappotto per non rimanere nudo.
"Metto in lavatrice la camicia, mi dispiace veramente" mi disse l'altra sua amica.
"Grazie" risposi.
Avevo lasciato il sacchetto con il regalo al bagno. Frugai nelle tasche alla ricerca del pacchetto di sigarette e l'accendino.
Dovevo fumare.
Aprii la porta finestra che dava sul balcone e la accesi ispirando forte.
Probabilmente ero un porco anche io, ma averla presa in braccio mi aveva eccitato da morire anche se non era lucida.
E quel vestitino non era legale da indossare, per non parlare di quelle dannate scarpe.
Quando poi l'avevo vista vomitare e avevo sentito di come quei due l'avessero drogata mi si era stretto lo stomaco e mi era montata dentro una rabbia senza paragoni.
Anche io avrei voluto prenderla con quel vestito, ma non mi sarei mai sognato di drogarla per averla. Odiavo gli uomini che facevano così.
"Sara? Dove vai?".
"Stai tranquilla, Francy, ho bisogno di prendere una boccata d'aria".
Sentii aprire la finestra e mi arrivò dritto alle narici il suo profumo.
Ispirai facendo finta di prendere una boccata dalla sigaretta. Dio, se era buono.
Si affacciò al balcone e rimasi in silenzio.
"Non hai freddo?" mi chiese lei.
Volevo risponderle che dopo la doccia gelata ero abituato a tutto ma mi trattenni, non volevo litigare, e dissi: "Potrei farti la stessa domanda" alludendo al vestitino che lasciava poco all'immaginazione.
"Io almeno non sono senza camicia" mi rimbeccò lei, incrociando le braccia al petto e tirando ancora più fuori dal corpetto quel seno prosperoso.
Cazzo, non so se si rendeva conto di quello che faceva.
"È la seconda che mi fai fuori in meno di un mese, dillo che vuoi vedermi senza camicia, la prossima volta me la tolgo di mia spontanea volontà" le dissi, guardandola dritta negli occhi e sorridendo con la sigaretta in bocca.
"Ti avevo avvertito che ti avrei vomitato addosso" si difese lei.
"Non pensavo che lo avresti fatto sul serio".
"Io faccio sempre quello che dico".
"Allora la prossima volta ti lascio cadere sulle scale quando mi avverti".
"Non ci sarà una prossima volta" ghignò lei.
"Francamente, me lo auguro, eh" risposi sorridendo.
Sorrise anche lei e si sedette vicino alla ringhiera del davanzale facendomi prendere un colpo.
Feci per sostenerla e lei scoppiò a ridere e allungò quelle gambe chilometriche:
"Non cado, tranquillizzati".
"Fino a due minuti fa vomitavi anche l'anima" ribattei piccato.
"Pure mia nonna si incazzava quando mi mettevo così" disse sorridendo.
"Eh, faceva bene".
"Dici?".
"Sì".
"Non buttare il mozzicone in strada" disse indicandomi un posacenere rosa barbie.
"Fumi anche tu?".
"No, fumano loro".
La guardai in quella posizione, con la luna che la illuminava, le gambe lunghissime velate dalle calze, i piedini delicati, il seno strizzato dal corpetto con i lacci, le spalle scoperte, il collo flessuoso.
Come se fosse consapevole che la stessi guardando, sciolse i capelli e li lasciò ricadere morbidi sulla schiena, sul petto, sul viso mentre il vento li spostava leggermente.
Fissai le labbra gonfie per lo sforzo e deglutii, abbassai lo sguardo e fui catturato da un po' di pizzo che usciva dalla gonnellina del vestito, probabilmente l'aveva spostata il vento e, diamine, erano autoreggenti.
Improvvisamente non avevo più saliva in bocca, dovevo bere.
Era una visione, era sexy da morire pure dopo aver vomitato.
"Sì, sono autoreggenti, se te lo stai chiedendo".
"Eh?" chiesi con voce strozzata.
"Mi stavi fissando le gambe, immaginavo che ti stessi chiedendo se fossero autoreggenti o meno".
Avvampai di colpo.
"Non ti stavo guardando le gambe" dissi girandomi di scatto dall'altra parte.
Forse l'avevo fissata troppo.
"Ah no?".
"No" negai.
"E perché ti sei girato?".
Mi stava mettendo in difficoltà.
Mi girai di nuovo verso di lei e la guardai in faccia senza risponderle.
Mi sorrise vittoriosa e scese da quella posizione.
Si avviò verso il salotto e la seguii come un cagnolino.
Senza dire niente aprì il pacchetto che era magicamente comparso sul tavolo, aprì la scatola e afferrò un biscottino a forma di zucca mugolando di piacere.
Quel gemito mi arrivò dritto nel cervello e mi fece provare un pauroso strattone alla zona dell'inguine.
"Hai appena vomitato" le feci notare io.
"E quindi?" mi rispose con la bocca piena, "ora sto bene e ho fame".
La guardai mangiare e mi accomodai sul divanetto minuscolo. Guardai l'ora sul Rolex, erano le due e mezza di notte.
La lavatrice mandò il segnale che aveva finito, lei aprì l'oblò tirò fuori la mia camicia lavata e asciugata, la guardò e disse:
"Mi sa che questa te l'ho fatta fuori davvero" ridendo.
"Già" borbottai mettendomi le mani tra i capelli, veniva da ridere anche a me.
"Te la ricomprerò" disse lei ignorandone probabilmente il prezzo, poi sbirciò l'etichetta e quando vide Armani Couture aggiunse, "o forse no" stringendo le labbra.
"Non ti preoccupare" dissi per non farla sentire a disagio, "non mi piaceva nemmeno".
"Chi diamine si metterebbe una camicia di Armani per venire a portarmi dei biscotti?" mi guardò sbigottita.
"Io" dissi allargando le braccia in segno di resa, "ma mi sa che la prossima volta me ne porto una un po' più abbordabile" .
Scoppiò a ridere di gusto per la prima volta in mia presenza e mi misi a ridere anche io, quando rideva era ancora più bella.
"Va beh, questo vuol dire che ti devo un favore" asserì sorridendo.
"Ne approfitterò allora".
Guardò l'orologio del telefono e si rese conto che erano le tre.
Mi guardò di sottecchi e mi chiese: "Quanto ci metti a tornare a casa?".
"Tre orette circa".
"E da quanto è che non dormi?".
"Da stanotte, ho preso un aereo oggi pomeriggio e ho dormito un po' nel viaggio".
"Se muori perché ti prende un colpo di sonno in autostrada non ti voglio portare sulla coscienza".
"Ma ti pare" ribattei io sicuro di me, anche se le tre di notte erano un orario orribile per guidare.
"Il divano non è comodissimo, ma meglio di niente" affermò guardandomi dritto negli occhi.
Quel verde rischiava di farmi perdere la testa.
"Grazie" le dissi riconoscente.
Si rinchiuse in camera e dopo due minuti uscì, tirandomi una felpa rosa shocking over size.
"Mettiti questa, non vorrei farti fuori anche il cappotto, sennò faccio prima a sposarti per saldare i debiti" mi disse sorridendo.
"Non sarebbe una brutta idea" risposi, provocandola.
Sbuffò divertita: "Buonanotte".
"Buonanotte" risposi senza fiato.
Mi tolsi il cappotto e infilai quella felpa ridicolissima che profumava da morire di lei.
Era un'illusa se pensava che avessi dormito con lei a due metri di distanza e con la sua felpa, troppo stretta, addosso.
Mi appisolai due minuti dopo, probabilmente la stanchezza si stava facendo sentire ma alle cinque e mezza ero di nuovo sveglio.
Il divano era un po' stretto e continuavo a rigirarmi, il plaide non mi copriva abbastanza e quel dannato profumo mi perseguitava.
Se poi ripensavo a lei, a come era vestita ieri sera, a come era bella mentre stavamo sul terrazzo, alle battute che ci eravamo scambiati senza litigare era impossibile che potessi dormire di più.
Sospirai, se mi avessero detto che la sera di Halloween sarebbe andata a finire con io sul suo divano e la sua felpa addosso, non ci avrei creduto.
Pensai a quel giorno di quasi due mesi fa, ero incazzato nero a pensare di dover dipendere da qualcuno per avere ciò che doveva essere mio, ed ero venuto a trovarla con il semplice intento di corromperla e fare finta di corteggiarla. Ora, invece, mi trovavo a dormire sul suo divano e, se non mi imponevo di tornare a casa, sceso dall'aeroporto mi veniva automatico venire qui perché sotto sotto mi divertivo e mi eccitava.
Ormai l'avevo ammesso a me stesso, non avrei voluto ma, fisicamente, mi piaceva da matti.
Cazzeggiai con il telefono, mi rigirai cercando di dormire ancora un altro po' finché alle sette decisi che non ne potevo più. Mi alzai e come prima cosa andai in terrazzo a fumare, ne avevo bisogno, e sperai che nessuno mi vedesse con quella ridicola felpa rosa.
Forse avrei dovuto prenderle la colazione ma non sapevo dove fossero le chiavi per aprire la porta.
L'aria che tirava era fredda ma mi fece passare il rincoglionimento che avevo per una notte passata poco più che insonne.
Alle sette e mezza rientrai in casa, fuori stavo bene ma iniziava a essere rigido.
"Pensavo te ne fossi andato" mi disse a bassa voce.
"Ero fuori a fumare" mi giustificai.
La guardai da capo a piedi, aveva un pigiamino adorabile celeste pastello.
"Il rosa non è decisamente in palette con te".
"In che?" la guardai stranito.
"In palette".
"Che vuol dire?".
"Che ti sta male" mi guardò divertita.
"Ah".
La lingua lunga non l'aveva persa nemmeno di prima mattina.
"Caffè?" mi chiese .
"Sì, grazie".
Mi sedetti sulla sedia al tavolo e continuai a parlare: "Come mai sei sveglia?"
"Devo studiare".
"Di domenica mattina?".
"Alle dieci inizio a lavorare".
"Che lavoro fai?" mi venne automatico chiederle.
Si girò dandomi un'occhiataccia.
"Non ti riguarda".
"È finita la tregua?" la presi in giro. Mi aveva dato la stessa risposta che io riservavo di solito alle ragazze che mi riempivano di domande. Non era piacevole, mi ritrovai a pensare, ma non lo diedi a vedere.
"Non c'è stata nessuna tregua" mi rispose piccata.
"Ieri sera eri civile" le feci notare.
"Io sono sempre civile, sei tu che mi stalkeri".
"Addirittura" risi piano.
Mi mise davanti una tazza con il caffè dentro, mise due cucchiaini sul tavolo, lo zucchero, i miei biscotti e il latte.
Versò lo zucchero nel caffè e poi ci aggiunse il latte.
Feci lo stesso anche io.
Ci guardammo di sottecchi in silenzio, avevamo gli stessi gusti per la colazione, mi sa.
Non mangiavo da ieri sera e mi accorsi di avere fame.
"Ti serve il bagno?" mi chiese lei.
"No" dissi scorrendo il telefono e vedendo una mail che non mi aspettavo arrivasse.
"Vado a farmi la doccia, allora".
Drizzai le orecchie e alzai lo sguardo da quel maledetto schermo e, immaginandomela nuda dietro quella porta, bofonchiai qualche cenno di assenso.
Mi infilai la camicia macchiata di vomito, il cappotto e mi misi in terrazza per fare quella stramaledetta telefonata.
Certo che i tedeschi erano il popolo più rompipalle d'Europa quando si trattava di affari.
Alle otto e un quarto di domenica mattina avevano intenzione di fare una riunione per risolvere i problemi con la nostra società.
Li chiamai, abbastanza innervosito, e in cinque minuti mi ritrovai a passeggiare avanti e indietro su quel balcone minuscolo mentre fumavo una sigaretta dietro l'altra e sbraitavo in tedesco.
Chiusi il telefono soddisfatto di come avevo concluso l'affare ma con un diavolo per capello.
Guardai l'ora sull'orologio, le nove e mezza.
Un'ora e un quarto di telefonata per convincerli che l'accordo che stavano firmando era decisamente vantaggioso per loro e più unico che raro nel mercato.
"Tutto okay?" mi chiese la ragazza mora che ieri sera avevo capito si chiamasse Francesca.
"Umh, no, ho avuto un imprevisto di lavoro, adesso me ne vado, giuro".
"Non ti preoccupare".
Feci per prendere le chiavi della macchina in mano quando la vidi uscire dalla sua camera con un paio di leggins in pelle neri, una canottiera abbastanza scollata in raso bianca e sopra un cardigan allacciato solo per metà, il trucco impeccabile e i capelli arricciati.
Mi passò davanti per prendere le chiavi della macchina con un pon pon attaccato e la scia di profumo rischiò di farmi avere un infarto di prima mattina.
"Te ne vai?" mi chiese.
Annuii.
"Era ora" disse guardandomi con un sorriso sbarazzino.
Sbuffai.
"Dopo di lei, signorina".
"Non chiamarmi signorina" mi guardò incazzata mentre apriva la porta di casa e si precipitava giù per le scale.
Diamine, se era permalosa.
La seguii, la vidi entrare in macchina e entrai anche io nella mia. Feci la manovra per uscire e trenta secondi dopo si mosse anche lei.
Mi guardò dallo specchietto e le feci cenno di uscire per prima con la mano. Iniziò a guidare e, standole attaccato, potevo vedere come si muoveva.
La mano sinistra sicura sul volante e la destra sul cambio, ogni tanto muoveva la testa a ritmo.
Guardai le mie mani, avevamo esattamente la stessa postura.
La cosa iniziava a spaventarmi, facevamo colazione alla stessa maniera e guidavamo uguali.
La lasciai all'ingresso della superstrada, lei uscì subito al bivio mentre io dovevo proseguire. Inaspettatamente mi diede un colpo di clacson e alzò la mano come per salutarmi e io feci lo stesso.
Anche se ero decisamente tentato di seguirla e non farla entrare a lavoro, qualsiasi lavoro fosse stato.
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