40. Una bambina con i tuoi occhi

Pov Michele

All'aeroporto mi si buttò tra le braccia, scoppiando a piangere di nuovo.

La abbracciai, sedendomi sulla prima panchina libera e portandomela sulle ginocchia.

"Dio, bimba non riesco più a vederti piangere, che cosa posso fare per farti smettere?"

Mi si stringeva il cuore a vedere le lacrime solcarle il viso, quegli occhi diventavano liquidi e talmente verdi da diventare insostenibili.
Mi sembrava che potessero accecarmi, folgorandomi sul posto.

Inoltre mi sentivo talmente in colpa per essere la causa di tutto quello che avrei preferito qualsiasi altra sofferenza, ma non sapere che piangesse per me.

"Non è colpa tua, scusa" disse lei, ricomponendosi un po'.

"Sto cercando di capire come risolvere la situazione, ti prometto che a breve staremo di più insieme, okay? Ma non piangere più, mi sento una merda quando ti vedo così".

"Ci proverò" si limitò a dirmi.

Ci aviammo alla macchina e salii su quella Lamborghini che spiccava come un gioiello sul parcheggio.

"Dove stiamo andando?" chiesi, non riconoscendo il tragitto.

"Ho un appuntamento dal ginecologo, un controllo di ruotine per la pillola. Visto che sei qua ci andiamo insieme" spiegò, svoltando a destra per imboccare il parcheggio privato del complesso di palazzi.

"Ah, me l'avresti potuto dire prima" dissi, scendendo dalla macchina.

"Perché è un problema?" rispose, facendosi aprire la porta dell'ambulatorio.

"No, cioè... ti aspetto in sala d'attesa".

L'idea di entrare con lei mi metteva a disagio. Ero suo marito ma certe cose erano personali, no?
Non volevo vederla senza mutande sul lettino.

"Vorrei che entrassi".

"Mi mette a disagio, devo proprio?" esternai, passandomi una mano tra i capelli.

"Sì" si limitò a dirmi.

Sospirai.
Non l'avrei voluta vedere piangere di nuovo, quindi entrai in quello studio.

"Non starò nuda, gelosone. Non ti avrei costretto a vedermi senza mutande con un altro uomo" ridacchiò, avvicinandosi al mio orecchio.

"Menomale eh, questa perversione non ce l'ho" sorrisi.

Non che fossi geloso del ginecologo, ci mancherebbe. Era un dottore.
Ma non avrei voluto vederlo, ecco.

Si sdraiò sul lettino, come le aveva indicato e si tirò su il maglione, slacciando il bottone dei jeans.
Mi sedetti sulla sedia vicino a lei, un po' rigido.

Qualche volta si scordava che io ero meno spigliato di lei.
Forse era qualche rimasuglio dell'educazione perbenista e, per certi versi, castrante di mia madre.

Il dottore accese il macchinario e lei mi disse: "Puoi aprire il pacchettino che ho in borsa?"

"Ora? Lo faccio dopo" ribattei, non capendo quel comportamento.

"Sì, lo devi fare ora".

"Per favore" aggiunse.

"Non ti sto capendo, oggi" confessai, accigliato, mentre alzavo il coperchio di quella scatolina.

Mi cadde di mano.
Un test di gravidanza.

Lo girai, incredulo, quando sentii il battito frenetico di un cuore rimbombare per la stanza, come se fosse un terremoto.

Mi alzai di scatto dalla sedia, come se improvvisamente fossi seduto su dei chiodi appuntiti.

Mi ritornarono alla mente, colpendomi come una martellata, le ecografie a cui Ilaria mi aveva costretto a partecipare.

"È un cazzo di scherzo?" dissi con una voce che non riconoscevo neanche come mia.

"No" mi rispose, asciutta, senza aggiungere altro.

Spostai lo sguardo sul suo viso.
Poi sul test con la scritta incinta.
Poi verso il monitor.

Quel puntino, che era un cuore, batteva impazzito.

Deglutii a vuoto un paio di volte.
Non stavo realizzando.
Non realizzavo che quell'ecografia fosse vera e non uno scherzo.

"Michele, non ti sto prendendo in giro. Non lo farei mai" rispose lei, come se avesse potuto sentire i miei pensieri.

"Il feto sta benissimo, signore. Nonostante un mese di pillola. La gravidanza è ben impiantata e il cuore è sanissimo" mi rassicurò il dottore.

"Infatti, non prendevi la pillola?" riuscii solo a dire.

"La signora mi ha spiegato che avete fatto un viaggio un mese e mezzo fa, e che ha dimenticato di prendere una pillola durante la prima settimana di assunzione. Una dimenticanza nella prima settimana abbassa la copertura della pillola nei giorni seguenti. La gravidanza è sorta nella prima settimana di gennaio".

"Avevo il telefono scarico e senza sveglia non mi sono ricordata, non pensavo che sarebbe potuto succedere" si giustificò lei, mordendosi le labbra.

Mi sedetti di nuovo sulla sedia.
Ero frastornato.

Ero pronto per fare il papà?
Avrei dovuto esserlo un anno fa, di una che non era mia moglie.
Nonostante la amassi senza confini, una nuova vita era una responsabilità enorme.

Non lo stavamo cercando.
Stavamo insieme da poco e cercavamo di goderci il tempo come una coppia normale.
Inoltre io lavoravo a duemila chilometri da qui e lei ancora studiava.
Ci vedevamo a malapena il week end, come diavolo avremmo fatto?

"Michele" mi chiamò lei, cercando i miei occhi.

"Lo posso rivedere?" chiesi al ginecologo.
Non mi curai di come avevo formulato la domanda, avevo bisogno di sentire di nuovo il battito e di vedere quel puntino.

Incollai gli occhi allo schermo.
Poi seguii il movimento dell'ecografo sulla sua pancia.
Poi guardai di nuovo quel cuoricino battere, quel suono mi entrò in testa.

La sentii prendermi la mano.
Mi girai a guardarla.
Quegli smeraldi mi incatenerano, entrando dentro la mia anima.

"Mi piacerebbe che avesse i tuoi occhi, bimba" dissi, ritrovandomi a sorridere.

Quel battito mi aveva scaldato interiormente.

Quel cuoricino l'avevamo creato noi, unendoci per sempre.

Presi tra le mani la foto dell'ecografia, aspettando che si rivestisse.

Mi sentivo ancora dentro una bolla ovattata.
Come se quella cosa non fosse successa a me.

"Sei sicura di poter guidare?" dissi fermandomi di scatto.

"Ero incinta anche all'andata, eh" mi sorrise lei.

"Sì, ma io non lo sapevo".

"Guido io" continuai facendole cenno di darmi le chiavi.

"Solo perché sono emotiva e non vorrei scoppiare a piangere per strada" mi rispose.

Non ero in grado di formulare un pensiero coerente ancora, mi aveva lasciato ghiacciato quella notizia.

"Quindi non piangi per colpa mia" riuscii solo a dire, a un passo dal parcheggio di casa.

"No, a quanto pare" disse lei.

Le presi la mano, per salire le scale.

Poi mi sedetti sul letto, prendendo in mano la foto. Lo volevo fare da prima.

Avevo bisogno di privacy per metabolizzare la notizia.

Me la rigirai in mano, cercando di cogliere quanti più dettagli possibili da un cuoricino minuscolo.
Quello intorno era il suo utero.

Alzai gli occhi su di lei, che mi guardava in piedi.

"Da quanto lo sai?"

"Tre giorni, te lo volevo dire di persona".

"Sì, hai fatto bene".
Spostavo gli occhi, come un flipper impazzito, dalla foto, al suo viso, alla sua pancia.

"Anche io ho avuto paura. Ho paura anche ora. Non lo stavamo cercando, lo so. Non so neanche se l'avremmo cercato a breve. Siamo un po' incasinati, siamo sposati ma non viviamo insieme, io studio ancora e mi rendo conto che è tutto un disastro. Ma ho ripensato a quando abbiamo fatto l'amore sotto le stelle e vorrei conoscere questo esserino che è l'unione di noi due. Forse non sarò una brava mamma, non so neanche cosa sia una madre visto che non ho mai avuto una... ma sono abbastanza certa di amarlo già. Spero che per te sia la stessa cosa, Michele. Mi piacerebbe crescerlo con te".

La trascinai a sedere sopra di me e, appena accarezzai la sua pancia, scoppiai in lacrime.

Non me ne fregava un cazzo di sembrare patetico.

"Certo che lo voglio crescere con te. Sarai una mamma fantastica, sicuramente meglio della mia e di tante altre. Non me lo aspettavo, sono un po' scioccato ma non vedo l'ora di avere una famiglia con te".

"Stai piangendo?" disse lei, accarezzandomi.

"Sto piangendo" confermai.
Non lo facevo da anni.
Mi asciugai le lacrime con il palmo della mano.

"Ma sono lacrime di felicità" ammisi.

Scoppiò a piangere pure lei, abbracciandomi stretto.

Non so quanto tempo era passato, eravamo stati ognuno tra le braccia dell'altro, a bearci della vicinanza, consapevoli di essere in tre adesso.

Si alzò e, di profilo, mi fece notare quel piccolo accenno di gonfiore.

"Vorrei fosse una bambina" mi ritrovai a dire.

"Anche io" disse lei.

Accarezzai la pancia, sperando che quella carezza giungesse anche a quel cuoricino.

"Bimba?"

"Sì?"

"Ho deciso, mi licenzio. Andiamo a vivere alla villa, riprenderò a lavorare tra qualche anno".

"Sei sicuro di quello che dici?" mi guardò incredula.

"Certo, voglio godermi ogni singolo momento della gravidanza. E poi io mi sono già realizzato, con il mio curriculum troverò sicuramente fra qualche anno. Tu devi ancora studiare e realizzarti, se io starò a casa potrai farlo più comodamente. E poi, voglio essere un padre presente... non come il mio".

"Non so neanche quantificare quanto ti amo" disse lei, baciandomi.

"Io sì, ti amo tanto come quel cuoricino che batte dentro di te".

Spazio autrice

Utilizzo questo ultimo capitolo per dirvi alcune cose. La prima è che ho già un altro romanzo pronto e sarei molto contenta di condividerlo con voi!

La seconda cosa è che, appena ho un po' di tempo, ho un po' di idee che mi frullano in mente per un possibile sequel della storia. Sono due personaggi che ancora possono dare qualcosa e sono talmente frizzanti insieme che possono continuare a occupare qualche paginetta. Fatemi sapere se vorreste ancora averli tra i piedi ahahah!

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