4. Cioccolatino bagnato

Pov Michele

Il venerdì seguente tornai giù a Roma, presi di nuovo la macchina e, inconsciamente, mi trovai all'entrata della tangenziale in direzione Perugia.

Frenai un attimo completamente scioccato.

Non mi era mai capitata una cosa simile.

Prima di prendere l'aereo avevo pensato che avrei voluto sentire molto volentieri quel profumo particolare, ma non avevo deciso di andare da lei.

Eppure con la musica a palla, canticchiando e sovrappensiero, il mio cervello mi aveva guidato lì.

Mi era proprio venuto spontaneo.

Decisi di seguire il mio inconscio e prendere quella direzione.

Avrei dovuto comunque andarci, non avrei lasciato perdere così.
Quindi tanto valeva proseguire, no?
Anche se non ero proprio sicuro che fosse una buona idea... l'altra volta mi aveva letteralmente urlato contro che non mi voleva lì sotto.

I chilometri diminuivano e iniziai a pensare che non potevo presentarmi a mani vuote.

Dovevo avere una scusa per giustificare la mia visita sicuramente non gradita. E poi, senza niente in mano, non avrei saputo come iniziare la conversazione. Potevo presentarmi sotto casa sua ed esordire con: "hey, ciao, come stai?".

Teoricamente avrei potuto.
Però in pratica sarei sembrato un coglione.

Beh, non è che hai fatto una gran bella figura la settimana scorsa, ti ha rifilato il palo più grosso della tua vita e ha lasciato i fiori sul marciapiede, mi ricordò il mio cervello.

I fiori erano decisamente fuori questione, mi era bastata la scenata dell'altra volta.

Mi fermai all'autogrill con l'intenzione di prendere una scatola di cioccolatini. Forse quelli li avrebbe graditi di più. Entrai e c'erano solo scatole con peluche attaccati, ne scelsi uno senza cuori e scritte fraintendibili.

Un orsetto bianco con la maglia blu della perugina.

Mi sembrava carino, un po' anonimo forse, ma simpatico.

Parcheggiai sotto casa sua e aspettai qualche minuto in macchina, avrei dovuto suonare il campanello ma non sapevo proprio come diamine farmi aprire.
Non avevo pensato alla problematica questa volta.
Forse l'uscita non programmata non era stata una buona idea, magari dovevo aspettare un po' di più prima di ripresentarmi.
Sbuffai, non avevo mai avuto così tante paranoie.

Forse perché di solito ti aspettano a braccia aperte e ora invece ti ritrovi a essere un ospite non gradito?

Probabilmente la mia coscienza aveva ragione.

Uscii dalla macchina, ormai li avevo comprati, al massimo, se mi avesse insultato, glieli avrei lasciati sulle scale.

"È un appuntamento fisso quello di molestarmi il venerdì?" mi sentii dire dal balcone con voce sprezzante.
Bingo.

"Stavolta mi stavi spiando tu, allora" ridacchiai io.

"Non dire cazzate. Una macchina del genere si sente a chilometri di distanza" disse, guardandomi storto.

"Allora non ho bisogno di suonare il campanello" scherzai.

"Che diamine sei venuto a fare questa volta?" sibilò.

"Ti ho portato i cioccolatini, magari li gradisci più dei fiori" la stuzzicai, facendole vedere la scatola.

"Cos'è che non ti è chiaro?
Non sono gli oggetti a non piacermi, ma chi me li porta" mi rimbeccò lei.

Aia.

"Allora la prossima volta te li faccio arrivare tramite corriere" risposi io.

"Non ci sarà nessuna prossima volta, non voglio niente da te".
E rientrò sbattendo la finestra.

Ottimo.

Nemmeno mi aveva dato la possibilità di rispondere.

Stavolta non me ne sarei andato sconfitto così.

Suonai il campanello.
Aspettai due minuti.
Lo suonai di nuovo, e di nuovo ancora finché non la sentii uscire sul balcone probabilmente incazzata nera.

"Non comprendi l'italiano? Ho detto che non voglio niente da te" mi urlò contro.

"Sono solo dei cioccolatini" ribattei.

"Me li posso comprare da sola" urlò.

"Vieni a prenderli almeno, o fammi salire".

La guardai da sotto.
Diamine, se era carina.

"Se non te ne vai chiamo la polizia" mi minacciò.
Mi veniva da ridere.

"Chiamala pure, magari loro ti convincono a farmi salire o a farti scendere" scherzai.

La sentii sbattere i piedi sul pavimento e mi venne da ridere per la seconda volta in meno di un minuto.

"Non ti incazzare così tanto, è solo un piccolo pensiero" la rimbeccai per stuzzicarla.

"Non prendo ordini da te. Vattene, stai diventando invadente" mi urlò di nuovo.

"Nemmeno io prendo ordini da te" le feci l'eco.

E probabilmente questa risposta la fece andare su di giri.
"Giuro che se non te ne vai, ti verso l'olio bollente sulla macchina" mi minacciò.
Percepivo lo sguardo sprezzante da quaggiù.

"Fai pure, tanto ho l'assicurazione" risposi aprendo le braccia come a invitare a farlo.

Probabilmente stavamo dando spettacolo.

Se ne andò sbattendo di nuovo la finestra.

Trenta secondi dopo mi arrivò una cascata d'acqua gelida addosso e feci un salto all'indietro per evitare di bagnarmi di più.

"Ma porca troia" urlai, "che cazzo fai?".

"Ti ho detto di andartene" disse lei sorridendo soddisfatta.

"E mi tiri l'acqua ghiacciata addosso per mandarmi via?" ribadii, scioccato.

Girò i tacchi e se ne andò con un sorrisetto in faccia.

Mi aveva appena fatto una doccia gelata e a ottobre, a Perugia, non è che facesse caldissimo.
Mi passai una mano sui capelli completamente bagnati che mi stavano gocciolando in faccia, il leggero vento che tirava mi stava letteralmente appiccicando la camicia ghiacciata addosso.

Non aveva limiti quella ragazza.

Decisi di stuzzicarla ancora di più, tanto ero già completamente fradicio ormai.

"Stavo aspettando l'olio bollente, però, non l'acqua ghiacciata" urlai alla finestra consapevole che mi stesse ascoltando.

Subito dopo mi rispose: "Non avevo tempo di accendere i fornelli, ma se non te ne vai, inizio".

Mi misi a ridere, diamine, che caratterino.
E, cazzo, che freddo che iniziava a fare.

Sentii dalla finestra una voce dire:
"Ma veramente gli hai tirato l'acqua ghiacciata?".
Aguzzai le orecchie per ascoltare.
"Certo, se non si leva dai coglioni se lo merita".
"Sara, cazzo, fuori fanno dieci gradi e tira vento" le fece notare l'amica, probabilmente.
"E che cazzo me ne frega?
Gliel'ha prescritto il medico di venire a importunarmi qui sotto?".
Mi veniva da ridere. Non mi era mai capitata una cosa simile.
"Lo faccio entrare, almeno si asciuga".
"Si asciugasse in strada o in macchina" sbottò.
"Sì, così dobbiamo chiamare l'ambulanza perché gli verrà una polmonite".

Sentii il portone aprirsi e una voce dire al citofono: "Sali, secondo piano".

Presi la valigia dalla macchina per cambiarmi i vestiti fradici ed entrai.
Per fortuna venivo dall'aeroporto ed ero attrezzato.

Il salotto era minuscolo, con un tavolo quadrato, una cucina con lo stretto necessario, un divanetto un po' scassato e quattro porte.
Probabilmente le tre stanze e il bagno.

La ragazza con i capelli neri e lunghi mi disse:
"Là è il bagno, c'è il phon".
Nel mentre vidi Sara uscire da una stanza e fulminarmi con lo sguardo.
Quegli occhi verdi erano bellissimi, e quando erano incazzati sembrano degli smeraldi incandescenti.
Non avevo mai visto un verde così.
Era magnetico.

Rispondendo alla ragazza dissi:
"Se mi fulmina di nuovo così con lo sguardo credo che non ci sia bisogno del phon, la camicia si asciugherà da sola".
Provocarla era divertente.

"Magari prendessi fuoco" mi rimbeccò lei.

"Passiamo da un estremo all'altro? Prima mi volevi ibernare" dissi alzando un sopracciglio.

"Basta solo che non ti vedo qua intorno" sibilò.

"Basta!" esclamò la ragazza.
"Tu cambiati, e tu stai zitta due secondi per piacere".

Entrai in bagno sghignazzando. Probabilmente mi sarei preso un febbrone ma mi ero divertito a farla incazzare.

Sentii che stavano parlando in salotto e prima di accendere il phon tesi le orecchie di nuovo.

"Certo che i cioccolatini potevi anche risparmiarli, eh! Sono completamente fradici" scherzò l'amica.
Ah beh, il problema sono i cioccolatini... io potevo anche prendermi l'acqua ghiacciata addosso.
"Che ci posso fare, ce li aveva in mano" si giustificò lei.
"Ma perché gli hai tirato l'acqua?".
"Non se ne andava".
Non pensavo potessero esistere delle donne così.
Cioè sì, lo sapevo.
Ma non pensavo di poterci avere a che fare un giorno.
Le evitavo come la peste di solito.

La ragazza mora scoppiò a ridere e, a ruota, la seguì anche lei.

Non l'avevo mai sentita ridere, aveva una risata cristallina e pura.

Mi cambiai i vestiti e asciugai i capelli con il phon, peccato che l'aria calda mi fece arrivare sotto il naso il suo profumo.
Inspirai profondamente. Mi piaceva molto.
Aprii lo sportello del mobiletto del bagno per vedere se riuscissi a trovare la boccetta giusta, li annusai tutti come una specie di maniaco, ma nessuno di quelli era il suo, da dove arrivava?
Aprii il vetro della doccia e mi arrivò dritto in faccia come uno schiaffo.
Si era appena fatta la doccia.

Mezz'ora fa era qua dentro, nuda, bagnata, insaponata.

Mi bastò questo pensiero a farmene scatenare altri a rotazione, uno più peccaminoso dell'altro.

Richiusi la doccia e mi affrettai a uscire o sarei soffocato là dentro.

Non ero pronto a una cosa del genere.
Odiavo sentirmi impotente di fronte al fascino che esercitava su di me.

"Grazie" dissi rivolto alla ragazza mora.
"Prego, ma non prenderci l'abitudine".
Sorrisi sincero.
"Ci proverò".

E uscii di casa sentendomi addosso un'occhiataccia senza pari.

Pov Sara

"Sei incredibile" mi disse Francesca appena sentimmo la macchina partire, sbirciai dalla finestra fino a che non vidi la sua auto arrivare in fondo alla via.

"Io?" risposi con tono innocente.

"Sì, tu" rise di gusto, "ti ha portato i cioccolatini con un pupazzo adorabile e tu probabilmente gli hai fatto prendere un febbrone, fanno dieci gradi là fuori" mi rimproverò ridendo.

"Ma non li voglio i suoi cioccolatini" dissi, scartandone uno.

"Li stai mangiando" mi fece notare.

"Ormai me li ha portati" mi giustificai con la bocca piena, "e poi tu ne hai già mangiati quattro".

"Hai ragione, domani vado in palestra".

Mi accomodai sul divano, stanchissima, consapevole che dopo cena avrei dovuto studiare.

"Comunque" iniziò vaga Francesca mentre stava cucinando.

"Mh?" mugolai.

"Ammazza se era bono con la camicia bagnata appiccicata addosso e i capelli gocciolanti".

"Francescaaaaaaa" urlai scioccata tirandomi su dal divano.

"Che urli? È vero! E poi anche tu lo stavi guardando, prima di fulminarlo" ammiccò.

"Non credo proprio" ribattei piccata io.

Forse solo un po'.

"Mhh, lui era bagnato ma anche tu non scherzavi là sotto mi sa" mi rimbeccò.

Presi il cuscino del divano e glielo tirai addosso, "non dire cazzate" bofonchiai.

"E dai ammettilo!"

"Questo non cambia il fatto che mi stia altamente sulle palle e che sia un arrogante senza precedenti" precisai.

"Lo hai ammesso quindi?" mi stuzzicò.

"Forse" confessai.
Stava bene con la camicia bagnata.
Aveva un bel fisico.
Ma niente di più.

"Hai fatto apposta a bagnarlo, allora?" mi chiese lei, maliziosa.

"Ma che diamine ti viene in mente! No!" mi difesi subito.

In effetti, forse, l'avevo guardato un po' troppo.

Non avevo calcolato che tirandogli l'acqua addosso avrei potuto trovarmelo in casa con la camicia bianca attaccata agli addominali e forse un po' troppo trasparente.

Sicuramente gli avevo fatto prendere un bel raffreddore, non doveva essere stato piacevole stare fuori bagnato in quel modo.
Risi dentro di me, gli stava bene.

"Domani pranzo al centro commerciale con Leonardo" dissi a cena, era tornata anche Giulia.

"Stai tenendo il piede in due staffe" mi pizzicò Francesca.

Alzai gli occhi al cielo, "oggi ti sei fissata".

"Lo sai vero che gli piaci?" domandò, ovvia, Giulia.

"A chi?" chiesi allarmata io.

"A Leonardo" sottolineò lei.
Tirai un sospiro di sollievo.

"Eh sì, ma metterò le cose in chiaro" spiegai.

Cenammo e mi rinchiusi in camera a studiare, avevo perso troppo tempo. Alzai gli occhi dal libro di filologia e l'orologio segnava le due e mezza. Realizzai che fra cinque ore avrei dovuto essere sveglia di nuovo quindi chiusi quel mattone e mi buttai a letto vestita.

★······★······★

La sveglia suonò, mi preparai di fretta e uscii.

All'ora di pranzo trovai Leonardo già seduto al tavolo della pizzeria del centro commerciale.
Parlammo quasi tutta l'ora, mi chiese gentile del lavoro, dei miei esami, della tesi, di che cosa volessi fare dopo.
Ne parlai volentieri finché, quando ci alzammo per pagare, mi chiese se avessimo potuto vederci anche domani a pranzo.
"Lavoro anche domani" risposi vaga.
"Possiamo vederci sempre qui, siamo stati bene oggi" notò.
"Sì, siamo stati bene" concordai, ma non avevo bisogno di una relazione. Parlare del più e del meno mi piaceva ma dopo un po' diventava pesante.
"Non ti va" intuì lui.
"Non lo so, Leonardo, non voglio darti false speranze, non sto cercando una relazione" chiarii io come mi avevano suggerito le mie amiche.
"Lo so che probabilmente non ti metterai mai con me, non pensavo nemmeno di poter pranzare con te un giorno, mi sta bene così" sospirò.
Lo guardai un po' in imbarazzo, non sapevo cosa rispondere quindi sorrisi.
"Beh, ti lascio il mio numero, venerdì possiamo fare di nuovo colazione insieme, se ti va mi mandi un messaggio" e mi allungò un bigliettino con il numero, come nei film, pensai. Annuii ancora e ci salutammo con un bacio sulla guancia.

Il lavoro proseguì senza intoppi e tornai a casa esausta.
"Come è andata?" mi chiesero in coro le mie amiche.
"Bene" dissi, sventolando il bigliettino.
"Hai il suo numero??? Non dovevi chiarire che non volevi nessuna relazione?" quasi urlò Francesca.
"L'ho fatto quando mi ha invitato a pranzo per domani, ma io ho risposto di no e che non volevo una relazione" chiarii.
"E lui?".
"Lui mi ha detto che non sperava nemmeno di poter uscire con me un giorno, sa che non avremo mai una relazione, ma mi ha invitato a fare colazione venerdì, se voglio andarci lo contatto".

"Penoso" commentò Francesca.

"E dai" le rispose Giulia, "poverino, sembra così tenero".
"Appunto" ribatté lei, "non mi piace quando vogliono fare colpo facendo pena".

Le guardai battibeccare e mi inserii nel discorso: "in effetti ha fatto pena anche a me, però magari ogni tanto ho bisogno di un po' di dolcezza" ammisi.

"E i cioccolatini che ti porta Mr. macchina perfetta non ti bastano?" mi rimbeccò Francesca.

"Oddio, basta! Posso chiedere un cambio così te lo sposi tu?" risposi esasperata.
Non volevo le sue attenzioni. Erano false.
"Lo farei tanto volentieri" disse leccandosi le labbra.
"Sei veramente fuori di testa, i suoi non sono regali, sono tentativi di corrompermi" sbuffai, "Leonardo mi sembra sincero".
"E i nostri sabato sera? Dopo oggi smetteranno di esistere?" chiese Giulia.
"Assolutamente no!
Se ci uscirò qualche volta dovrà essere ben consapevole che non smetterò di fare la mia vita e che non staremo mai insieme".
Non avrei mai rinunciato alla mia dose settimanale di divertimento.
"Bene, allora mangiamo e usciamo" disse Giulia.

Nonostante fossi stanca, avevo bisogno di staccare la testa. Presi un caffè e mi vestii per la serata fuori.

Pov Michele

Fare il tragitto in macchina al ritorno stava diventando una tortura, ogni volta mi ritrovavo a pensare troppo e per quanto volessi deviare i miei pensieri finivano sempre lì.
Avevo il riscaldamento acceso al massimo in macchina e nonostante ciò sentivo dei brividi di freddo ogni tanto.

Maledetta ragazzina.

Mi impegnai a cantare le canzoni della mia playlist per evitare di pensare a prima, stava diventando una cosa che facevo troppo spesso. Eppure mi ritrovavo a pensare a quel profumo che usciva dalla doccia, alla sua faccia tosta di tirarmi l'acqua ghiacciata, a come quei dannati leggins neri le fasciavano le gambe, a quella felpa troppo corta, alle occhiatacce che mi aveva lanciato, alla risata cristallina che avevo sentito dal bagno e a quel viso che era bellissimo pure da struccato.

Stavo ammettendo, a malincuore, che andare da lei mi divertiva, sentire i suoi improperi non era così male e guardarla mi piaceva. Al di là del fatto che senza di lei non avrei ereditato i milioni, stuzzicarla mi elettrizzava.

Era un diversivo.
La mia routine stava diventando troppo noiosa.
Lavoro, aereo, Ilaria, casa.
Tutto uguale.

Stavo iniziando a sentire davvero freddo quindi mi fermai all'autogrill per infilarmi il cappotto, cosa che non facevo mai quando guidavo.
Probabilmente mi stava venendo la febbre, spinsi al massimo la macchina ignorando che se avessi preso una multa forse mi avrebbero tolto la patente e tornai a casa.
Senza dare troppe spiegazioni mi infilai nel letto, dormire mi avrebbe fatto stare meglio.

Tremavo di freddo in quell'appartamento minuscolo, l'acqua mi si stava congelando addosso mentre lei mi guardava sprezzante.
Volevo chiederle aiuto, dirle che avevo bisogno di cambiarmi. Non avevo mai sentito così tanto freddo in vita mia, provai a parlare, ma le parole mi si bloccarono in gola.
La vidi avvicinarsi a me, sensuale, bellissima e io ero così dannatamente impotente per via del freddo. Avrei voluto toccarla, ma era come se le mie mani fossero state congelate attaccate al corpo, riuscivo solo a guardarla e a desiderare che si avvicinasse sempre di più.
Si fermò a un centimetro da me, sentivo emanare dal suo corpo un calore piacevole e desiderai averla più vicina ma non potevo fare niente e mi sentivo frustrato, ingabbiato.
"Mi vorresti più vicina? Hai freddo?" mi chiese lei avvicinandosi ancora un po'.
Avrei voluto urlare di sì, che la volevo sopra di me e che mi stavo congelando. Riuscii solo a muovere piano la testa per annuire.
"Se mi avvicino troppo prenderai fuoco, lo sai?".
La guardai intensamente, sentivo solo il suo profumo e non riuscivo a pensare ad altro che a voler colmare quella minuscola distanza per riscaldarmi un po'.
Ne volevo di più, non mi bastava così, la volevo addosso, dannazione.
Mi guardò con quelle ciglia chilometriche e mi baciò sulle labbra. Dopo un primo secondo di piacere, iniziai a sentire troppo caldo e mi resi conto che avevo letteralmente un fuoco addosso e che lei era scomparsa.

Mi svegliai di soprassalto quasi urlando. Ero completamente bagnato di sudore, la testa mi scoppiava e avevo scalciato via le coperte dal letto.

Diamine, era un sogno, un maledetto sogno.

Sentivo così caldo da volermi spogliare e sdraiarmi sul pavimento, la testa mi pulsava senza sosta ed ero pure eccitato.

Mi alzai, accesi la luce e frugai nel cassetto delle medicine, presi il termometro, una tachipirina e mi rimisi a letto.

39.4°C, ci credo che avevo sognato di prendere fuoco.

Buttai giù la pastiglia ignorando che avrei dovuto mangiare prima.

Feci uno sforzo sovrumano per stare sotto le coperte con quel caldo ma ero consapevole che se avessi dato retta al mio istinto di spogliarmi probabilmente sarei finito in ospedale con la polmonite. Presi il telefono per scrollare un po' Facebook e farmi passare il caldo e il mal di testa.
Erano le quattro di notte.
Dopo un'oretta la tachipirina aveva fatto effetto e sotto le coperte stavo bene, posai il cellulare per provare a dormire. Fortunatamente mi riaddormentai subito.

★······★······★

"Tesoro?".
"Tesoro, tutto okay?".
"Posso entrare?".
"È mezzogiorno, tesoro".

Sentivo bussare alla porta e qualche parola indistinta.
Ma che diamine di ore erano?
Avevo un mal di testa.
Afferrai il telefono, mezzogiorno.

"Tesoro, stai bene?".

"Mamma" biascicai, "sì, tutto bene, entra".

Non mi svegliavo così tardi il sabato dai tempi delle superiori.

"Ma che hai fatto? Sei tutto sudato!!". Mi mise una mano sulla fronte:
"Scotti, hai la febbre" constatò.

"Sì" risposi asciutto.

"Quando ti è venuta? Stanotte?
Mi potevi chiamare!!
Dove hai preso freddo?".

"Non sono un bambino, mamma, sono capace a prendere un termometro e una tachipirina" risposi piccato.

Non potevo certo dirle di aver preso la febbre perché una ragazzina tutto pepe mi aveva ghiacciato fuori casa sua.

"Forse ho preso freddo in aereo" inventai.
Uscì dalla stanza e tornò con la colazione, le coperte, un pigiama pulito e mi annunciò che aveva chiamato il dottore.
"Per qualche linea di febbre mi sembra esagerato" provai a dire.
"Misurala" mi ordinò dolce.
Sbuffai, prendendo il termometro e pregando tutti i santi che non sparasse alto come aveva fatto stanotte.
"38.8" lessi sullo schermo.
"È altissima" urlò lei "prendi subito una tachipirina".
Se sapesse che avevo toccato i 39 e mezzo probabilmente sarebbe svenuta.

Continuò a fare avanti e indietro per la stanza ogni mezz'ora controllando se stessi bene.

Alle tre squillò il telefono, chi diamine era?
"Michele? Tutto bene?" sentii la voce dolce di Ilaria al cellulare.
Cazzo, mi ero completamente dimenticato di lei e non l'avevo avvertita.
"Scusami, non ti ho chiamata prima ma da come puoi sentire sto veramente male, probabilmente ho preso freddo in aereo e ho la febbre" mi giustificai.
"Ohh" disse lei dispiaciuta, "non ti preoccupare, rimettiti presto".
La salutai e riattaccai.

Mi sentivo un po' meglio e avevo bisogno di alzarmi dal letto e prendere un po' d'aria.

"Perché ti sei alzato? Dovresti essere a letto" mi rimproverò mia madre.

Alzai gli occhi al cielo, "sto sul letto da ieri sera, non sono un malato terminale. Sto meglio e ho bisogno di una doccia".
"Ti faccio cambiare le lenzuola?" mi chiese lei premurosa.
"Sì, grazie".

Aprii l'acqua della doccia e aspettai che diventasse bollente.
Nel mentre mi guardai allo specchio, diamine, se ero messo male.
Avevo i capelli stravolti e bagnati di sudore, le occhiaie ed ero persino pallido.
Mentre sentivo di là la donna di servizio cambiarmi le lenzuola non potei fare a meno di paragonare ancora una volta Ilaria e mia madre con Sara.

Una mi aveva tirato l'acqua e mi avrebbe fatto bellamente asciugare in strada o mi avrebbe costretto a salire bagnato in macchina, le altre due mi avevano compreso e coccolato.

Ilaria si era preoccupata e mia madre mi aveva portato le medicine, aveva chiamato il dottore, mi stava facendo cambiare le lenzuola e probabilmente avrei trovato il pigiama pulito e stirato.

Mi resi conto che essere coccolato era bello, ma che continuavo a pensare alle prossime volte in cui sarei andato da lei perché mi divertivo.

Mi spogliai e mi buttai in doccia.
L'acqua calda che mi scorreva addosso era un toccasana, mi lavai per bene eliminando tutto il sudore e subito mi sentii meglio.
Appena mi lasciai andare, però, mi tornò in mente il sogno con le sue labbra sulle mie, era la seconda volta che le sognavo.

Chissà come sarebbero state, volevo sentirne la consistenza e morivo dalla voglia di sapere se il profumo che aveva addosso era all'altezza del suo sapore.

Forse per togliermela dalla testa avrei dovuto prenderla senza troppi giri di parole.

Ci stavo probabilmente girando intorno.

Era solo una questione fisica.

Con l'acqua che mi scorreva addosso, mi ritrovai a pensare al profumo che avevo sentito nel suo bagno, a lei nuda sotto la doccia, con le goccioline d'acqua che le scorrevano sul viso, intrappolate in quelle ciglia lunghissime, e sul corpo.
I capelli lunghi scuriti dall'acqua e tirati indietro sulla schiena, i movimenti lenti con cui immaginavo che si insaponasse, il corpo coperto di schiuma e un profumo paradisiaco.

Mi ritrovai eccitato e fantasticai sul fatto che mi sarebbe piaciuto stare lì in doccia con lei o semplicemente guardarla da fuori.

Mi faceva uscire dagli schemi e la cosa subito dopo mi mise a disagio, non avrei mai pensato di volerlo fare in doccia con qualcuna, mi sembrava una cosa poco corretta e da poco di buono.

Uscii dalla doccia e cercai di non pensarci, anche se quando iniziavo a tremare di freddo la maledicevo mentalmente.

La febbre continuò a salire e scendere per tutta la settimana, non ero riuscito nemmeno a lavorare al PC.

★······★······★

Il sabato dopo mi sentii meglio ma decisi che sarei dovuto tornare ad Amsterdam. Prima di prendere l'aereo, però, passai da Ilaria che mi accolse felicissima di vedermi.

Passai un bel pomeriggio con lei, avevamo fatto l'amore due volte e poi eravamo andati a fare merenda.

Quando passavo giornate così tranquille mi tornava in mente il perché mi piacessero quelle ragazze.

Tranquillità.
Prevedibilità.
Avere tutto sotto controllo.
Era rassicurante.

La riaccompagnai a casa e mi diressi all'aeroporto con la raccomandazione di entrambe di non prendere freddo.

Appena atterrato il numero olandese iniziò a squillare impazzito, era Aby.
Risposi scocciatissimo.

"Cosa non ti è chiaro del fatto che era il nostro ultimo appuntamento?" sbottai.
"Ti volevo chiedere scusa, possiamo riprovarci?".
"No" affermai deciso.
"Perché?" chiese lei piagnucolando.
"Perché sono impegnato" mentii io.
"Da quando?" rispose scioccata.
"Da poco" inventai.
"È italiana?" chiese.
"Non sono cose che ti riguardano" la rimisi a posto.
"Lo voglio sapere" disse con la voce tremolante.
"Sì, è italiana" risposi sbuffando.
Mi vennero in mente due smeraldi verdissimi e due gambe da capogiro. Anche se, forse, mi sarebbe dovuto venire in mente il fisico minuto di Ilaria.
"Non mi richiamare più, spero sia stato chiaro" borbottai riattaccando.

★······★······★

Il tempo passò abbastanza velocemente anche se ero pieno di cose da fare.
La settimana di rest forzato che avevo passato mi aveva fatto accumulare un sacco di roba.
Sarei voluto rientrare il week end ma alla fine decisi di prolungare fino alla fine del mese per sbrigare tutte le telefonate, gli appuntamenti e le riunioni saltate.

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