38. Golden Hour

Pov Sara

Il viaggio per Capodanno era stato sul serio una sorpresa, avevo scoperto la meta solo quando l'aereo era atterrato.

Il Cairo.

In aeroporto mi ero commossa, così come davanti alle piramidi e nella Valle dei Re.
Davanti alla Sfinge mi aveva detto che, se non fossimo già stati sposati, me lo avrebbe chiesto là.
Gli avevo risposto che era un peccato non potersi sposare due volte con la stessa persona.
Si era messo a ridere, ma sapevo benissimo che quello fosse un rimpianto di entrambi.
Eravamo stati davvero male quel giorno e non avrei disdegnato la possibilità di sposarlo con il sorriso in volto, ma ormai era stato fatto.

Ero estasiata, visitare quel paese era il mio sogno.

Quella notte aveva prenotato una piccola crociera sul Nilo e mi affacciai sul balconcino scoperto della nave.
Il sole stava tramontando sulle acque, rendendole argentate e scintillanti e i raggi dorati si abbassarono all'orizzonte. Se avessi dovuto associare un colore all'Egitto, avrei scelto l'oro.
La sabbia sotto il sole alto sembrava davvero una distesa di granelli aurei e i tramonti erano così caldi e opulenti da lasciarmi senza fiato.

Appoggiai le mani sulla ringhiera, godendomi gli ultimi sprazzi di sole che stavano scomparendo dietro l'orizzonte.
Sentii le sue mani circordarmi la vita e le sue labbra solleticarmi il collo.

Rabbrividii, sentendo il suo torace nudo e ancora un po' umido sulla mia schiena.

"Sei bagnato" sussurrai sentendo una gocciolina scorrermi sulla spalla, caduta dai suoi capelli.

"Eri troppo bella al tramonto, volevo guardarlo con te".

Mi girai per guardarlo, la luce del crepuscolo si riflesse sulle sue iridi color nocciola e sui capelli, un po' scuriti dall'acqua.
Mi ritrovai a pensare che anche quegli occhi sembravano oro fuso, e che avrei associato anche a lui quel colore.

Sorrisi, sentendo una felicità senza paragoni pervadermi il corpo.

Lo baciai, mi sembrava l'unica cosa giusta da fare in quel momento.
Assaporai quelle labbra che conoscevo a memoria, ma oggi mi sembrava che avessero un sapore diverso.
Avevano il gusto di una consapevolezza più profonda, di un sentimento più grande e maturo.
Fino a quel momento il nostro era stato un innamoramento passionale e forte, tipico del fidanzamento.
Alla luce di quel tramonto africano, invece, mi sembrava che fosse diventato amore.
Amore reale, vero, puro, senza filtri, forte come una roccia, indistruttibile e eterno come la storia che attraversava quella civiltà da millenni.

Sentii una leggera brezza accarezzarmi il corpo, seguita dalle sue mani che mi lasciavano una scia di brividi.

Mi staccai, appoggiando la fronte sulla sua, perdendomi nei suoi occhi e lasciando che lui affogasse nei miei.
Diceva che il mio verde lo facesse impazzire, ma anche i suoi erano altrettanto profondi.

Non ci fu bisogno di chiedeglierlo, avvolti nell'oscurità che era calata, e sotto una distesa di stelle, fece calare le spalline del mio vestito estivo.

Sentii le sue labbra scendere sul collo, lasciando una scia di baci umidi, e arrivare fino all'incavo dei seni, facendomi sospirare.
Scese ancora, con baci roventi, fino a darmi piacere, facendo scorrere le mutande che caddero sul pavimento.
Buttai la testa all'indietro sentendo la sua bocca e la sua lingua.
Ammirai le stelle, mentre sentivo il piacere crescere facendomi avvicinare al paradiso tanto da farmi toccare gli astri con un dito.

Afferrai i suoi capelli, ancora umidi, gemendo piano mentre lui mi faceva appoggiare una gamba sulla sua spalla muscolosa per sentirmi meglio.

Poi si tirò su, l'asciugamano che aveva in vita cadde sul pavimento, a fare compagnia alle mie mutandine.

"Qui?" chiese con voce roca, baciandomi sulle labbra.

"Sì" risposi. Era il posto perfetto e il momento perfetto.

Entrò piano dentro di me, sollevandomi sul piccolo davanzale.
Mi aggrappai al suo corpo muscoloso, stringendolo in un abbraccio intimo, e circodai il suo bacino con le gambe. Volevo sentirlo addosso.

Sospirai di nuovo di piacere sotto quelle spinte perfette, pensando che in quel momento le stelle erano le uniche testimoni di quel momento magico.
Lo sciabordare dell'acqua sotto di noi copriva i miei ansimi, lasciandoci un po' di privacy.

"Ti amo, Michele" mi uscì dalle labbra, mentre lui mi baciava il collo.

"Ti amo anche io, Sara".

Lo baciai di nuovo, con passione, sentendo le sue labbra cercarmi con urgenza.

Sentii l'orgasmo arrivare prepotente, mentre lo baciavo, ma non mi staccai. Mi sembrava tutto così estremamente intimo che tremai.

Lo sentivo dentro, senza barriere a dividerci e lasciai che il piacere supremo mi avvolgesse interamente, lasciandomi tremante.

Subito dopo, lo sentii pulsare dentro di me e un calore inondarmi dentro, lasciandomi piena.

Si sfilò, portandomi in braccio sul letto.

"Scusa" mormorò, baciandomi l'orecchio.

"Dio, Michele, prendo la pillola da mesi, era ora che lo facessi" dissi con un sorriso in volto.

Avevamo fatto l'amore, in maniera completa, sotto le stelle.

"Lo so... ma prima mi faceva sentire a disagio l'idea di finire dentro".

"E ora?"

"È bello".

Lasciai che mi abbracciasse. Era decisamente bello, perfetto.

Mi sentivo diversa e all'aeroporto piansi, disperata, aggrappandomi al suo cappotto all'idea di doverlo salutare.
Sarebbe rientrato ad Amsterdam, mentre io sarei rimasta a Roma.
Al gate vidi anche i suoi occhi farsi lucidi e le mie lacrime rotolorano giù sulle guance, incurante del mascara che probabilmente segnava il percorso di quelle goccioline salate.

"Troverò una soluzione, giuro, non dovremo più salutarci così" mi rassicurò, portando via con il pollice una lacrima.

"Non posso venire con te? Preparerò gli esami da non frequentante" dissi, abbracciandolo di nuovo.

Sospirò, appoggiandomi le mani sulle guance.
"Vorrei dirti di sì e sai anche che puoi fare tutto ciò che vuoi... ma lo devi volere davvero... non ti far trascinare dai sentimenti, vuoi davvero smettere di frequentare l'università per trasferirti dall'altro capo d'Europa con me senza conoscere neanche la lingua? Pensa se lo vuoi davvero o se è solo una cosa irrazionale. La settimana prossima ne parliamo meglio, nel mentre cerchiamo una soluzione fattibile per entrambi".

Chiusi gli occhi per qualche secondo.
Ero tentata di dirgli di sì, che non me ne fregava niente, che volevo solo svegliarmi vicino a lui e addormentarmi tra le sue braccia, ma poi mi morsi le labbra.
Mi era rimasto ancora un briciolo di razionalità per sapere che ero solo triste e malinconica e che il mio percorso universitario doveva continuare a essere una mia priorità come lo era stato il suo per lui.
Mi volevo realizzare indipendentemente dal fatto che fossi ricca.
E poi avevo ancora un po' di orgoglio femminista che mi scalpitava nel petto, facendomi ricordare che i miei obiettivi erano importanti tanto quanto i suoi e che non avrei dovuto cedere allo stereotipo della donna che si sacrifica e rinuncia a qualcosa per permettere al marito di fare carriera.

Lo osservai scomparire dietro i controlli e, prima di imboccare il corridoio che portava all'aereo, si girò per salutarmi.

Risposi al suo sorriso, sentendomi come se un pezzo del mio cuore si stesse imbarcando per volare via dall'altra parte del continente.

Tutti i giorni ci eravamo sentiti al telefono, mi chiamava all'uscita dal lavoro e cenavamo in videochiamata. Il week end ci vedevamo ma ancora non eravamo stati in grado di trovare una soluzione decente a quello strazio.

Eravamo due persone indipendenti, due persone complete e con la stessa identica voglia di essere realizzati e affermarsi da soli nel mondo, al di là del conto corrente cospicuo.
Lui non voleva cedere il suo lavoro, e io lo capivo, era esattamente ciò che provavo io nei confronti dello studio... ma questa razionalità ci faceva soffrire ma al tempo stesso saremmo stati male anche se avessimo seguito solo il cuore.

Inoltre mi ero sentita malinconica tutto il mese, piangevo per qualsiasi cosa e al telefono spesso mi ritrovavo a singhiozzare anche solo al pensiero di dover riattaccare.
Non volevo farlo, perché ero consapevole di metterlo a disagio, ma non riuscivo a trattenermi.
Vedevo, tramite lo schermo, che avrebbe voluto abbracciarmi e nei suoi occhi leggevo la voglia di prendere un aereo e venire a coccolarmi. Mi supplicava, sconsolato, di non fare così perché si sentiva impotente e io gli chiedevo scusa ma non riuscivo a trattenermi.

A San Valentino si presentò con un mazzo di rose rosse, asserendo che il regalo era una sorpresa.

Salii sulla sua macchina per andare alla villa e, chiacchierando, arrivammo in fretta.
Scesi sul vialetto di quella che ormai era casa nostra e mi chiese di aprirgli il garage.

"Per due ore? Sul serio fai? Stasera dobbiamo uscire a cena" lo presi in giro.

"Ci tengo alla mia macchina, fuori è freddo" ribatté.

"Nemmeno fosse una bambina" ridacchiai, premendo il bottone del telecomando per far alzare la porta del garage ma la risata mi morì in gola.

Dentro, sotto un telo bianco immacolato, c'era parcheggiato quello che dalla forma doveva essere un Suv.

Mi girai di scatto e lo trovai a sorridermi.

"Buon San Valentino" esordì.

Mi avvicinai e, con mani tremanti, scostai il telo rischiando di collassare sul pavimento.

"Cristo, tu non stai bene" mi uscì involontario in un sussurro.

Davanti a me, in una vernice blu metallizzata che accecava, una Lamborghini Urus con un fiocco sul tetto, i palloncini sui sedili in pelle chiara e i cerchioni in lega splendenti.

Accarezzai la lamiera sotto shock.

"Bastava dirmi grazie amore ma presumo che andrà bene lo stesso anche un bacio per scusarti del tuo poco tatto" mi prese in giro, allungandomi la scatoletta con le chiavi.

Le afferrai facendo scattare la serratura.

"Non..."
"Cioè... non... è troppo..." balbettai, non realizzando che quel gioiello fosse mio sul serio.

"L'ho scelta blu con i sedili chiari, così non sentirai la mancanza di quella scatoletta. Nel dubbio ho fatto all inclusive, anche se dubito tu debba usare il parcheggio automatico" spiegò.

"E poi una due posti già ce l'abbiamo, ci serviva un Suv più spazioso".

Gli saltai in braccio, riempendolo di baci. Non ci potevo credere di come mi conoscesse alla perfezione.
Quella macchina era perfetta.

Poi salii velocemente sul posto di guida, dandogli a malapena il tempo di accomodarsi sul sedile.
Accesi il motore, facendo rombare l'acceleratore tra le pareti del garage.
Il tipico suono graffiante, targato Lamborghini, mi fece sorridere, dandomi una scarica di adrenalina.

"Che bomba" commentò lui, allacciandosi la cintura.

Partii testando l'acceleratore sul vialetto di casa e sull'asfalto della stradina adiacente, sentendo la lamiera della macchina bucare l'aria sfrecciando in strada.
Nonostante fosse una macchina grossa, correva senza paura mangiando l'asfalto e portandosi dietro un rumore piacevole a ogni accelerazione.
Sentivo l'adrenalina scorrermi addosso, adoravo correre.

"La posso provare?" chiese lui, sul vialetto di casa.

"No" risposi, birichina.

Ma poi gli lanciai le chiavi, come aveva fatto lui la prima volta.
"Vorrei dirti fino al cancello" scherzai, "ma con una macchina del genere lo potresti buttare giù senza troppa fatica".

Rise, salendo davanti al volante.
E io non vedevo l'ora di correre vicino a lui, assaporando insieme la felicità di quei momenti spensierati.
Adoravo il fatto che avessimo quella passione in comune, ci rendeva ancora più uniti.

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