37.Non conosco mio figlio

Pov Riccardo

Mia moglie si era rinchiusa in camera fingendo un malore. La conoscevo abbastanza bene per sapere che il mal di testa era una semplice scusa per non affrontare una situazione che sfuggiva al suo controllo. 

Di solito non avevo voglia di mettermela contro, sapevo quanto potesse essere vendicativa quando era contraddetta e, per un periodo, ero stato realmente succube delle sue manipolazioni. 

Poi, tutto a un tratto, avevo compreso la sua reale natura. Si fingeva remissiva, timida e pacata per tessere la sua ragnatela indisturbata, per poi avvilupparti ai fili appiccicosi e non lasciarti mai più. 

All'inizio, sul serio non mi ero accorto di quella trappola. Poi l'avevo vista, ma avevo continuato a fare la parte dell'ingenuo. Mi sembrava la strategia più vincente per sopravvivere e lei non se ne era accorta, credeva di avermi in pugno quando già da tempo io mi ero divincolato dalla sua rete. Quando la vedevo combattiva fingevo di esserci ancora incatenato; quando, invece, abbassava la guardia io me ne divincolavo, vivendo come meglio credevo. 

Il fatto che credesse che fossi suo succube e che fossi un inetto giocava a mio vantaggio visto che avevo potuto fare indisturbato tutto ciò che volevo. 

Oltre a lei avevo avuto altre donne e non se ne era mai accorta, vantandosi di essere una delle poche mogli di quel rango ad avere un marito fedele. 

Io glielo lasciavo credere. Ma non era così. All'inizio mi piaceva e l'avevo sposata convinto di aver trovato la donna della mia vita.
Ma mio padre aveva ragione.
Aveva avuto ragione con me.
Aveva avuto ragione con Michele. 

E io me ne ero accorto dopo cinque anni di matrimonio e un figlio che mio padre ci aveva visto lungo. Quindi avevo ripiegato in relazioni parallele con altre donne. 

Ma ormai era finita anche la stagione dell'amore per me.
Non sarei stato uno di quei vecchi viscidi che ci provavano con le ragazzine. Le donne della mia età erano abbastanza mature da non abbandonarsi più a certi piaceri e io non avevo intenzione di instaurare un rapporto con qualcuna che fosse più giovane di me... quindi ero lì, in casa con lei.

Vedere quei due, però, nonostante all'inizio mi avesse un po' lasciato interdetto, mi aveva fatto ritornare con la mente a una ventina d'anni fa, quando io avevo la stessa età di mio figlio e vivevo quei sentimenti fuori dal matrimonio. 

Avevo sperimentato la bellezza di dormire insieme, di guardarsi adoranti, di tenersi la mano, di mangiare senza regole del bon ton, di scopare in macchina in qualche campagna isolata incuranti di ogni regola sociale. 

Li avevo osservati ed ero arrivato alla conclusione che loro avevano avuto il coraggio di vivere quelle sensazioni e quelle emozioni all'interno di un matrimonio riuscito. 

Non erano amanti. Non dovevano nascondersi. 

Erano marito e moglie. Sposati in chiesa e con le fedi al dito a suggellare quei loro comportamenti. Davanti al prete avevano giurato amore eterno e fedeltà ed ero sicuro che, a differenza nostra, stessero mantenendo la promessa. 

Erano innamorati.
Nei loro occhi leggevo l'amore, lo stesso che avevo provato io anni fa per Tania. L'avevo frequentata per anni, sentendomi vivo come mai lo ero stato. Solo che poi lei mi aveva chiesto di ufficializzare la relazione e di divorziare da mia moglie.
Io non ne avevo avuto il coraggio e mi ero ritrovato a darle un doloroso addio. 

Sara era una ragazza decisamente sopra le righe, aveva avuto il coraggio di rispondermi male il giorno che l'avevo vista per la prima volta ma ero disposto a passare sopra al suo estro vedendo il sentimento che li legava. 
Non avevo capito, però, la motivazione di quella scelta di mio padre, né avevo gradito quell'intromissione all'inizio, per questo mi ero fatto trascinare dall'astio di Agnese.
Era lo stesso che avevo provato anche io... ma a differenza sua io ero in grado di vedere, senza filtri, l'amore che correva tra loro due. Alla fine, la loro era una relazione reale, anche se iniziata con una forzatura.

Avevo supportato mia moglie per troppo tempo, facendomi fomentare dai suoi discorsi velenosi.
Ogni tanto continuava ad avere un ascendente su di me, ma era il momento di dire basta e la libertà che aveva avuto il coraggio di abbracciare mio figlio diede anche a me la spinta per liberarmi, anche apparentemente, dalla sua rete appiccicosa. 

Salii le scale con l'intenzione di parlarci come non avevo mai fatto e, per la prima volta, me ne vergognai.

Che razza di padre ero stato?

Non avevo mai avuto un discorso serio con mio figlio, lasciando ad Agnese la facoltà di crescerlo secondo i suoi dettami.
Volevo dirgli che supportavo la sua scelta e che avrei parlato con sua madre. 

Mi apprestai sul corridoio ma appena alzai la mano per bussare alla sua porta sentii un gemito sommesso provenire dalla stanza, prontamente zittito. 

Abbassai la mano, sorridendo. 

Non avrei interrotto quel momento che sapevo fosse fin troppo piacevole. 

La mattina dopo, in seguito a una colazione silenziosa e per certi versi imbarazzante, ci preparammo tutti per il gala che si sarebbe tenuto in un palazzo affacciato sul mare che solo pochi mesi prima era stato testimone di un matrimonio in grande stile a cui avevamo dovuto partecipare. 

Li sentii bisbigliare sul divano, aspettando che Agnese scendesse. Doveva essere parecchio offesa per farsi attendere così.

"Sei sicura di volerci andare? Ti annoierai, eh... possiamo tornare a casa" disse mio figlio. 

Sorrisi, per una volta stava avendo il coraggio di ammettere che quegli eventi fossero sul serio una noia sovrumana. Di solito si fingeva entusiasta, ma lo facevo anche io e quindi non potevo biasimarlo. 

"Ormai siamo qui. E poi almeno potrò dire di aver partecipato a un gala. È un'esperienza da fare nella vita, presumo" gli rispose lei, ticchettando il piede sul granito delle piastrelle.

Arrivammo alla sala che era adornata di tavoli con tovaglie immacolate e fiori in ogni dove. 

Lasciammo le giacche agli steward e non potei fare a meno di notare l'occhiata che aveva lanciato mio figlio a sua moglie. 

In effetti quel vestito con la schiena scoperta, se non per qualche laccetto sensuale che l'avvolgeva, era decisamente vistoso ma le stava bene. 

"Questo è il vestito che ho scelto io?" sibilò, prendendole la mano e tirandola leggermente in disparte, afferrando un cocktail dal primo tavolo vicino. 

"Perché non ti piace più?" azzardò lei, sbattendo le ciglia. 

Mi avvicinai a loro due con l'intenzione di parlare con Michele nonostante fossero adorabili. Avevo rimandato fin troppo il discorso e avevo bisogno di avere qualche risposta a qualche perché che mi frullava in testa. 

Lasciai che Agnese prendesse sotto la sua ala Sara, presentandola al suo gruppetto di amiche che avrebbero sicuramente parlato del suo vestito. Un po' mi sentii in colpa, ma dopotutto volevo parlare a quattr'occhi con lui e non avrei potuto fare diversamente. 

Mi affiancai, afferrando anche io un calice non badando al tipo di alcolico. Seguiva con lo sguardo quella schiena che spiccava chiara tra il blu intenso dell'abito. 

"Non essere geloso, figliolo... dopotutto l'unico ad avere il piacere di toglierglielo sarai tu" ammiccai. 

Si girò di scatto guardandomi come se avessi tre teste e probabilmente doveva essere così, non avevamo mai parlato di una cosa del genere... ma non avevamo mai parlato in generale se non di argomenti di circostanza. 

"Non sono geloso" riuscì solo a rispondermi, prendendo un sorso dal suo bicchiere. A me sembrava di sì da come la seguiva insistentemente con lo sguardo, ma lasciai perdere, non era quello il punto.

"Devi fumare?" gli chiesi, indicando la porta finestra. 

Scosse la testa. 

"Beh, io sì" risposi. 

"Da quando fumi?" mi guardò scioccato. 
Probabilmente dovevo sembrare sul serio matto ai suoi occhi.

"Da ora, andiamo fuori" asserii entrando sul terrazzo ampio e appoggiandomi al marmo freddo. 

Mi allungò una sigaretta dicendo: "Sei sicuro di stare bene? Non... sapevo fumassi". 

Ispirai il fumo, osservando lui fare lo stesso. Tornai a quando avevo vent'anni e fumavo anche io le Marlboro rosse come lui. Forse eravamo più simili di quanto Agnese non volesse. 

"Neanch'io sapevo che facessi guidare la tua auto alle donne stando sul sedile del passeggero" lo pungolai, godendomi il fumo. 

"Non sono le donne, è mia moglie. E guida meglio di me, e di te" sottolineò facendo comparire una nuvoletta di fumo tra le sue labbra. 

Lasciai perdere la provocazione. "Fumavo anche io le Marlboro rosse a vent'anni. Poi sei arrivato tu e ho smesso per non sentire tua madre urlare impazzita". 

Sorrise. "Mi pare di sentirla". 

"Vi amate" iniziai a dire io. Voleva essere una domanda ma mi uscì come un'affermazione.

"Sì". 

"E vi siete amati subito?" continuai. 

"No" mi rispose titubante. Poi fece una pausa e io intuii il suo disagio, non avevamo quel tipo di rapporto. 

"In realtà a me, dopo i primi momenti, è piaciuta subito. Lei è stata più restìa a lasciarsi andare. Ma ho fatto una miriade di cazzate con lei perché non sapevo come comportarmi. Era diversa da me, diversa da come credevo che dovessero essere le donne e mi sono spaventato e ci siamo fatti tanto male a vicenda. Se non mi aveste cresciuto con quell'ideale sessista di donna, ci saremmo amati molto più facilmente". 

"Abbiamo sbagliato" ammisi, mettendo da parte il mio orgoglio, ma glielo dovevo. "Spero potrai perdonarci, un giorno". 

Sospirò, spegnendo il mozzicone sotto la sua scarpa. 

"Mamma mi ha cresciuto in una gabbia dorata e mi ha inculcato la fobia delle donne. Per me erano tutte puttane che mi avrebbero succhiato via i soldi. Tu, invece, non ci sei stato" mi rinfacciò.

"Lo so. Me ne sono accorto ieri di non esserci mai stato. Ero impegnato a fuggire da questo mondo e da un matrimonio che, a mia volta, mi aveva ingabbiato. Ho preferito nascondermi per non affrontare la cosa, fare finta di essere sottomesso da Agnese per non dovermi imporre e per continuare a vivere la mia vita indisturbato fuori casa". 

Mi guardò semplicemente e io apprezzai il suo silenzio. Che cosa avrebbe dovuto rispondermi? Era mio figlio. 

"Come faceva mio padre a conoscere Sara?" chiesi, titubante. 

Mi raccontò di come avessero trovato quella lettera in cui la nonna di Sara asseriva che avesse avuto una relazione platonica con mio padre. Non mi ero accorto di niente seppure avessi sentito voci correre su una sua presunta storia. Non avevo dato peso alle parole e mi resi conto che io, a mia volta, non conoscevo mio padre esattamente come Michele non conosceva me. 

"Solo ora mi rendo conto che in questa famiglia non ci conosciamo, sembriamo degli sconosciuti con dei legami di sangue. Probabilmente anche mio padre, allora, non era stato felice con mia mamma, esattamente come non lo sono io con Agnese e nessuno dei due ha avuto il coraggio di disfarsi di una relazione che non ci ha resi felici. Lui ha continuato a non godere dell'amore, ha preferito perpetuare una relazione platonica che probabilmente gli è costata fatica e a malincuore si è, forse, reso conto che anche per me il destino era segnato.
Sapevo che tua mamma non gli piacesse.
Ha voluto lasciarti in eredità un sentimento puro ed evitare che tu tradissi come abbiamo fatto noi due... perché sì, non sono stato presente in questi anni per via di una relazione parallela che mi faceva sentire vivo e ho trascurato un figlio per questo.
Forse ho fatto un disastro, me ne sono reso conto quando ti ho visto ribellarti alle catene d'oro della nostra società.
Ho capito che avrei potuto farlo anche io.
Che avrei dovuto farlo anche io". 

"Ho tradito anche io" confessò guardandomi negli occhi.

"Ma l'ha fatto anche lei" poi aggiunse.
"Solo che lei, dopo aver capito che ci trovavamo bene insieme l'ha fatto perché era ferita. Io l'ho fatto perché avevo paura, perché non riuscivo a staccarmi da Ilaria e ho rischiato di far saltare tutto. Sono andato con lei anche dopo il matrimonio e lei ha persino finto di essere incinta di me... poi, per fortuna, io ho scoperto il suo piano miserabile e sono riuscito a rimettere tutto in ordine. Ma se io quel giorno non avessi scoperto che la gravidanza di Ilaria era una menzogna, oggi sarei esattamente come voi due, cioè sposato ma infelice e infedele". 

"Quanti danni che abbiamo fatto... sono contento, però, che tu abbia spezzato il circolo di tradimento che aleggia sulla nostra famiglia". 

"Lasciala, se non la ami. È una stronza". 

"Michele, è tua madre... e poi è troppo tardi" mi giustificai. Non ci sarei riuscito a lasciarla ma ero contento che mio figlio vivesse l'amore che a me era stato precluso. 

"Sì, ma è anche la persona che mi ha creato un bel po' di traumi e che ha contribuito a crearmi una visione distorta del mondo e delle relazioni... ha fatto molti più disastri della tua assenza" sputò con astio. 

"Ci parlerò. Farò in modo che non ne faccia più, che non vi critichi. Mi piacerebbe vedervi qualche volta per conoscervi meglio. Non so quasi niente di te, Michele e sei mio figlio... vorrei recuperare". 

"Dove cazzo ti sei nascosto tutto questo tempo? Mi hai lasciata da sola con tua madre, sei proprio stronzo" sentii sbraitare Sara che probabilmente non si era accorta di me, appoggiato a una colonna. 

Si diresse verso di noi, facendo risuonare quei tacchi alti sul pavimento del terrazzo. 

"Ti sei annoiata, bimba? Te l'avevo detto che non sarebbe stato divertente". 

Si avvicinò minacciosa verso di lui, poi si fermò vedendomi. 

"Oddio" sussurrò, arrossendo.

"Te l'ho detto che devi tenere la lingua a freno" rise lui. 

Si vedeva che non fosse una ragazza ricca e che non avesse ricevuto un'educazione all'insegna del bon ton ma almeno era vera, era divertente e aveva le palle. Risi, ricordandomi di come mi aveva risposto per le rime la prima volta. 

"Sì, in effetti mia moglie è una rompipalle; la vado a tenere a freno io" sorrisi, rientrando nella sala, felice di aver parlato con il mio unico figlio. 

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