36. Mi è sfuggito di mano il gala
Pov Michele
Tre giorni dopo chiamai mia madre.
"Mamma, come stai?" la salutai al telefono.
"Tesorooo!" mi esclamò nelle orecchie, "io benissimo, tu? Non pensavo mi chiamassi ma sono contenta di sentirti" disse con voce stridula.
"Sì, anche io sto bene... Ho ricevuto l'invito, anche se me l'avresti potuto inviare per email, probabilmente sarà stata l'unica raccomandata che il postino ha consegnato quest'anno".
Subito dopo mi morsi la lingua, ero talmente abituato a parlare senza filtri con Sara che mi ero scordato come ci si comportasse con i miei genitori.
"Comunque ci siamo" mi affrettai ad aggiungere per camuffare quello che avevo detto prima.
"Tutti e due?" mi chiese lei, incredula.
"Sì" risposi io, asciutto.
"Non vedo l'ora di dirlo alle mie amiche" ribatté lei.
"Già" mi limitai a dire. Era quello il punto, ogni volta era quello il focus della vita, cioè apparire.
"Potreste venire qualche giorno prima, così magari stiamo un po' insieme... non ti vedo da tantissimo. Mi manchi. E così la vediamo un po' meglio" mi propose.
"Non credo che..." iniziai a declinare l'invito, poi sentii una gomitata sul fianco che mi fece arricciare il naso.
Non fare lo stronzo, mi mimò con le labbra.
"Ma non ci voglio andare" ribattei mormorando e allontanando il telefono.
"Stai facendo il bambino viziato" mi rimproverò in un sussurro.
"Che coglioni" sbuffai.
"Tesoro? Tutto bene? Mi senti?" esclamò mia madre preoccupata dall'altro capo del telefono.
"Sì, eccomi. Niente, dicevo che possiamo venire per la Vigilia e pranziamo insieme" sospirai sconfitto.
"Perfetto! Vi aspettiamo allora" esultò riattaccando.
♡
Pov Sara
"Ma fammi capire, ho passato una vita a comportarmi bene seguendo gli ordini di mia madre e ora devo seguire i tuoi? Non me ne frega un cazzo di pranzare con loro e me ne frega ancora meno della buona educazione" mi ribatté offeso, alzandosi dal divano.
"Non è questione di buona educazione, Michele. Sono i tuoi genitori" risposi, alzandomi a mia volta.
"E quindi? Non voglio andare al gala e non voglio rovinarmi il pranzo della Vigilia. Ma poi che ti frega? Perché hai sempre la manìa di difendere tutti? Ti hanno pure trattato male".
"Infatti mi stanno sui coglioni, ma so che non ci andrai senza di me e mi sacrificherò" confessai.
"Scusa eh, se a me stanno sulle palle e a te stanno sulle palle, siamo cretini ad andarci? Stiamocene qua e basta" disse stizzito.
Sbuffai e mi avvicinai, prendendogli una mano. "Non voglio che litighi con i tuoi genitori per colpa mia" ammisi.
"Non è colpa tua, sono loro che..." lo zittii mettendogli un dito sulle labbra.
"Sì, lo so, ho capito che provi astio per come ti hanno cresciuto e per come ti hanno ingabbiato. È legittimo sentirsi offesi e ti capisco perfettamente, ti sei reso conto di aver vissuto per tanti anni una vita che non volevi... ma sono i tuoi genitori. Ti hanno cresciuto, ti hanno mantenuto, ti hanno dato un'educazione, ti hanno fatto studiare nelle migliori scuole, ti hanno dato la possibilità di un futuro brillante anche senza l'eredità di tuo nonno e sono sicura che ti vogliono bene, a modo loro. Non credo che l'abbiano fatto per cattiveria, è solo il modo in cui la tua società funziona e loro l'hanno perpetuato perché l'hanno interiorizzato prima di te. Li stai punendo da un anno e non ti chiedo di smettere di provare rancore... ma almeno non ignorarli. Devi essere grato per avere dei genitori, anche con i loro i difetti. Io non li ho avuti e, fidati, darei di tutto per avere qualcuno da chiamare mamma e papà. Io queste parole non le ho mai dette, le ho solo sentite pronunciare dagli altri senza comprenderne il significato. Ti hanno messo al mondo e credo che tu debba parlarci da persona matura, facendogli comprendere che sei una persona libera e che non hai più intenzione di essere una marionetta. Mi dispiace davvero vedere questa situazione" ammisi, stringendo la sua mano.
Si girò, guardandomi negli occhi e abbracciandomi stretta.
"Bimba... non ci avevo mai pensato" sussurrò mentre mi accarezzava i capelli e io lasciai andare due lacrime solitarie a quel pensiero amaro.
"Mi dispiace... probabilmente ho avuto poco tatto, vero?" continuò.
"No, anzi. Ho fatto pace con questa situazione... ma non vorrei mai vedere qualcuno tagliare i legami con la propria famiglia per una cosa che può essere risolvibile. Tu li hai due genitori e sono convinta che si possa aggiustare".
La settimana seguente iniziammo a organizzarci per quel gala e quel pranzo di famiglia.
Al decimo vestito lungo che provavo, nella seconda boutique della giornata, sbottai in italiano: "Ripetimi che cazzo aveva che non andava il primo che ho provato, per piacere".
Si mise a ridere mentre era seduto sulla poltroncina con un flûte in mano. "Hai insistito tu per andarci, io me ne sarei stato a grattarmi la zona intima in pigiama sul divano con il sushi davanti".
"Vaffanculo" sibilai.
"Non hai compreso le regole dell'etichetta, le parolacce non si dicono" mi prese in giro.
"Fidati che quel giorno sarò in grado di mandarti a fanculo in silenzio, oggi lo posso fare pure a parole" sbottai innervosita mentre la commessa ci guardava accigliata.
Lui la guardò e le disse qualcosa in quella lingua che più ascoltavo e più mi sembrava astrusa.
"Che cazzo le hai detto?" sibilai mentre vidi quella donna annuire e andare a frugare tra le grucce.
"Come deve essere l'abito".
"Non glielo potevi dire prima? Poi come fai a sapere tutti i dettagli solo da una misera dicitura?"
"Gliel'ho detto ma evidentemente non ha capito. E lo so perché ci sono cresciuto".
"E non me lo puoi cercare tu visto che sembri più esperto di lei?" roteai gli occhi innervosita e vedendola ricomparire con degli abiti sui toni del marroncino in mano.
"Agli ordini, mia regina" mi rispose con l'occhiolino.
"Vattene a fanculo, sul serio" bofonchiai.
Ricomparve un quarto d'ora con in mano un abito blu scuro, satinato, a sirena.
Lo provai, aiutata dalla commessa nel camerino.
La schiena era completamente scoperta e su di essa si intrecciavano, a formare un disegno sensuale quanto raffinato, dei laccetti morbidi.
La forma dell'abito abbracciava perfettamente il mio fisico, sottolineando in maniera elegante tutte le mie forme.
Indossai il coprispalle di morbida pelliccia dello stesso colore dell'abito e scostai la tendina del camerino.
"E non mi dire che non va bene perché questo lo compro uguale" sorrisi, soddisfatta del mio riflesso.
"Sei magnifica, bimba" mi guardò adorante.
"Sei tu che hai buon gusto".
"Ore e ore di spiegazioni sull'etichetta sono servite a qualcosa, allora".
Avevo intenzione di fare in modo che la schiena scoperta fosse una sorpresa per quel giorno.
"E per il pranzo della Vigilia?" domandai.
"Domani, oggi non reggo più a sentirti sbraitare per i vestiti" sbuffò.
Il giorno dopo era ricomparso a casa con dei guanti eleganti in pizzo, delle décolleté e una pochette blu. Poi aveva un sacchetto in mano firmato Valentino.
"L'abito te l'ho comprato io, tanto so la taglia. Per la Vigilia è d'obbligo un rosso Valentino".
Eravamo tornati anticipatamente alla villa e il giorno del pranzo era arrivato. Avevo indossato il vestito rosso. Era semplicemente magnifico, aveva la gonna ampia poco sopra il ginocchio, il corpetto era attillato e aveva una scollatura delicata a cuore. Non riuscivo a capacitarmi di come sapesse scegliere così bene gli accessori e gli abiti femminili. Aveva un gusto decisamente più raffinato del mio.
Mi ero preparata con un po' di ansia addosso, ricordavo ancora gli sguardi che mi avevano riservato al matrimonio. Io ero decisamente fuori luogo in quelle occasioni, non capivo niente di bon ton, mi uscivano spontanee le parolacce e parlavo senza filtri.
Ed ero abbastanza certa che anche quel pranzo, nonostante fossimo in famiglia, sarebbe stato formale.
Lo guardai intrecciare il nodo della cravatta, in modo sicuro, e poi allacciarsi i gemelli.
Mi sembrava assurdo che per pranzare con i suoi genitori e miei suoceri dovessimo prepararci come se fosse una sottospecie di cerimonia.
Sì, insomma, non avevo una famiglia ma dubitavo che le mie amiche pranzassero vestite eleganti con la propria famiglia.
"Sei sicuro?" chiesi per la milionesima volta svoltando sulla stradina che portava a casa sua.
"Sì, voglio proprio vedere che faccia fanno quando scopriranno che stai guidando tu la mia macchina, sicuro non se l'aspettano".
"Sembri un adolescente ribelle. Già mi odiano" sbuffai, scalando la marcia.
"Sono molto meglio di un adolescente ribelle. A quindici anni avrebbero potuto mettermi in punizione; a trenta non possono più farlo" ghignò.
Scossi la testa e parcheggiai di fronte all'ingresso.
Poi inspirai mentalmente. Mi mettevano ansia... anche se mi aveva rassicurato dicendomi che se mi avessero detto qualcosa li avrebbe rimessi a posto e mi aveva spiegato le regole basilari per non sembrare una sprovveduta.
Ma nella mia mente avevo già confuso l'ordine delle posate e dei bicchieri. Da quale forchetta si partiva? Da quella più esterna o da quella più interna?
E su quale bicchiere andava il vino rosso e su quale quello bianco?
Appena vidi mia suocera, avvolta in un lungo vestito verde che fasciava quel fisico che era ancora piacente, mi resi che no, non mi ricordavo con quale cazzo di forchetta avrei dovuto iniziare il pasto.
E mi resi conto che, nonostante fossimo vestite entrambe con un abito di alta sartoria, eravamo completamente diverse.
Pov Agnese
"Eccoli" esclamai sbirciando dalla finestra e vedendo la sua Bentley rossa sul vialetto di casa.
"Andiamo a salutarli" proposi a Riccardo che era seduto davanti al camino con un bicchiere di rum in mano. Ero impaziente di rivedere il mio bambino, anche se questo avrebbe significato vedere anche la moglie.
Quella parola mi fece provare un senso di disagio.
Scesi le scale, prendendo a braccetto Riccardo e raccogliendo con una mano la gonna del mio abito verde.
Mi diressi verso il posto di guida per abbracciarlo appena uscito ma io e Riccardo ci fermammo interdetti. Lo sportello si aprì ma uscì quella ragazzina racchiusa in un abito rosso dello stesso colore della macchina. Era fissata con il rosso.
Dal posto del passeggero uscì mio figlio, con un sorriso furbo in volto.
"Buona Vigilia" esordì Michele dirigendosi verso di noi.
"Non pensavo che..." disse Riccardo guardando la macchina, poi nostro figlio e poi la sua consorte.
"Cioè, sì, insomma... anche al matrimonio... però non immaginavo che... una volta avevi detto che nessuno l'avrebbe guidata e ora sei sul sedile del passeggero" disse balbettando.
Lo fulminai con lo sguardo.
"Riccardo!" lo rimproverai. Avevo pensato la stessa cosa ma non erano questi i modi per esprimere quel pensiero... al massimo l'avrebbe potuto rimproverare in solitaria.
"Ti scandalizza questa cosa, papà?" rispose lui.
"No no, per carità. Mi fa solo strano" rispose a disagio.
"Abbiamo portato un pensierino. Buona Vigilia" esordì Sara porgendo un mazzo di rose a me e una bottiglia di vino a mio marito.
Sospirai di sollievo, per una volta era stata utile a qualcosa e ci aveva tolto da una situazione imbarazzante.
"Ti ringrazio, tesoro" dissi prendendo i fiori. "Vieni, ti accompagno in casa" continuai, dandole due baci di cortesia.
Le feci strada guardandola di soppiatto mentre quei due parlottavano di automobili dietro di noi.
Se non fosse stata così diversa da noi, così sicura di sé e così sfacciata sarei stata contenta che mio figlio avesse sposato una ragazza così bella. Solo che la bellezza non bastava a farla entrare nelle mie grazie. L'aveva irrimediabilmente cambiato e questo non gliel'avrei mai potuto perdonare.
Ci accomodammo al tavolo dopo i convenevoli. Io ero seduta di fronte a lei mentre i due uomini erano a capotavola.
La osservai meglio. Nonostante sapesse dissimulare bene, si capiva benissimo che fosse a disagio di fronte a tutti quei bicchieri e a quelle posate.
Michele allungò la mano sul tavolo e prese la sua, stringendola e accarezzandole il dorso.
Con un cenno, non troppo vistoso, le indicò quale bicchiere dovesse usare per primo.
Sentii un moto di fastidio, domani sarebbe stato un disastro. Nemmeno le basi aveva imparato.
Guardai le loro mani intrecciate che spiccavano come un dipinto sulla tovaglia di lino immacolata e tossii a disagio, mascherando un'espressione di stupore. Che fine aveva fatto mio figlio? Aveva dimenticato che in pubblico certe effusioni erano decisamente fuori luogo? Aveva scordato il significato della parola pudore?
Di fronte ai genitori, poi?
Poi guardai il modo in cui portò la sua mano alle labbra, baciandole l'anello mentre sorrideva.
Tremai per quello che avrebbero potuto fare domani al gala. Sperai che non mi mettessero in imbarazzo come al matrimonio.
Alla fine del pranzo lui la prese in braccio di peso, dirigendosi verso le scale.
Non potevo sopportare oltre una cosa del genere.
"Michele!" lo rimproverai. "Hai dimenticato ogni parvenza di buona educazione?" sibilai.
Guardai quella ragazzetta diventare dello stesso colore del vestito.
"Mi puoi mettere giù?" gli sussurrò all'orecchio.
Scosse la testa.
"Se domani provi a fare una cosa del genere in mia presenza giuro che..." iniziai.
"Giuri che cosa? Ho trent'anni, sono sposato, lavoro e ho un patrimonio il quadruplo del vostro. Direi che non puoi ricattarmi, non sono più il tuo bambino".
Deglutii, rendendomi conto che non avevo più nessun tipo di ascendente su di lui. Fausto, facendolo sposare, gli aveva dato in mano la chiave per la libertà e per l'autodeterminazione.
"Puoi essere ragionevole?" mi ritrovai a dire.
"Non sono mai stato più ragionevole di così" mi ribatté, stringendosela addosso.
"Oddio" la sentii dire.
"Ti pare questo il modo di comportarti davanti a tua madre?"
"Mica la sto spogliando, stavamo solo andando in camera a riposarci".
"Dio, ti prego, basta" lo implorò lei, arrossendo sempre di più.
La guardai disgustata.
"Non vorreste mica dormire insieme?" sibilai.
Non in casa mia. Lo sapeva che certe cose erano di poco gusto. In casa dei suoceri gli sposi dormivano separati.
"Pensa, quando stiamo insieme scopiamo pure" mi disse, spudorato, con un sorriso a trentadue denti.
"Sei veramente uno stronzo" sibilò Sara, facendomi perdere ogni barlume di lucidità.
Sentivo le guance andarmi a fuoco.
"Voi! Tu!" li apostrofai.
"Non ti permettere mai più di parlare così in mia presenza" iniziai a urlare con voce stridula non sapendo neanche a chi dei due mi riferissi.
Non sapevo se mi avesse scandalizzato di più il fatto che avesse detto in maniera spudorata di scoparci o se mi avesse fatto innervosire il modo in cui quella puttanella aveva chiamato mio figlio.
Riccardo mi prese per il braccio. "Agnese, lasciali stare. Sono giovani e sono sposati da poco, lasciali liberi, non siamo più negli anni '80".
Rimasi a bocca aperta. Mai si era permesso di contraddirmi così in casa e di fronte a mio figlio. Di solito in casa comandavo io, solo fuori lasciavo a lui la facciata di potere.
"Grazie, pa'" sorrise Michele, chiudendosi la porta della sala da pranzo alle spalle.
Mi sedetti sulla poltrona in preda a un capogiro. Mi era appena sfuggito tutto dalle mani. Mio figlio era succube di una donna e mio marito non era più sotto il mio potere.
Che diavolo stava succedendo alla mia vita?
Questo era il fantasma di Fausto che mi perseguitava dall'inferno. Mi sembrò quasi di vedere i suoi occhi marroni guardarmi vittoriosi dentro le fiamme del camino. Sperai che bruciasse sul serio per avermi portato via mio figlio.
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