32. Niente bambini

Contiene scene sessualmente esplicite 

Pov Michele

Uscito di casa, dopo averla lasciata davanti al camino a malincuore, mi ero diretto come un razzo da Ilaria.

Ogni volta che sembravamo avere un minimo di pace, ci si metteva in mezzo qualcosa.

Suonai al citofono ancora frastornato e, appena aprì la porta, me la ritrovai tra le braccia, piangente, e con il test di gravidanza in mano.

Incinta.

Non potei fare a meno di pensare al fatto che, forse, sarei stato padre se lei lo avesse voluto.
Mi sedetti sul divano, con Ilaria sopra.

Meno di un'ora fa stavo stringendo tra le braccia un altro corpo, decisamente più piacevole.

Mi venne spontaneo pensare che, nonostante non fossi pronto ad avere un bambino, se mi avesse chiamato Sara dicendomi che fosse incinta di me probabilmente avrei gioito.

Ma questo non sarebbe potuto mai succedere.
Neanche ci avevo fatto l'amore con lei.

"Che hai intenzione di fare?" sospirai, toccandole i capelli.
Aveva la faccia sulla mia spalla e mi aveva bagnato il maglione di lacrime.

"Non lo so, non era in programma, ma credo di volerlo tenere" singhiozzò.

Ecco, la risposta che non volevo sentire.

Rimasi in silenzio.
Me lo meritavo.
L'avevo sempre usata.
Non ero stato in grado di staccarmene, perché mi ricordava quella parte di vita in cui non avevo conosciuto Sara. Quando stavo male e avevo bisogno di ritornare indietro nel tempo mi rifugiavo in quella sorta di relazione che sarebbe stata perfetta per mia madre.

Se mia madre avesse visto come si comportava Ilaria con me, come era servizievole, docile, sempre un passo indietro, sarebbe stata fiera di me.

Se non ci fosse stato quel testamento, probabilmente, l'avrei sposata per fare contenti i miei.

Se non fossi sposato con la donna che mi aveva rubato il cuore, il fatto che aspettassi un bambino da Ilaria avrebbe fatto saltare di gioia tutti.

Stavo dando un erede alla famiglia.
Un erede fuori dal matrimonio.
Un erede con la mia amante.
Un erede che non volevo.
Un erede che mi aveva allontanato da Sara.

Mia mamma mi avrebbe guardato con ancora più disgusto e avrebbe asserito che ero completamente uscito di testa e che stavo rovinando la reputazione di tutti in famiglia.

A me del buon nome non fregava più un cazzo, riuscivo solo a pensare che ero incastrato a vita a condividere esperienze con Ilaria, al fatto che avrei avuto sulle spalle la responsabilità di una nuova vita, al fatto che con Sara fosse finita.
Non sono pronta a condividerti con la madre di tuo figlio.

All'ecografia sentii il cuoricino battere e mi sentii una merda a non essere eccitato come sarei dovuto essere.
Non sapevo se sarei stato un buon padre.
Sarei stato in grado di crescere qualcuno?
Io che a malapena riuscivo a badare a me stesso in questo periodo.

Tornai a casa con la foto dell'ecografia sul portafoglio.
Non avevo ancora detto niente ai miei.

Sarei dovuto tornare a lavoro e facevo la spola, ogni week end tra Roma e Amsterdam.
Ilaria diceva che il bambino doveva abituarsi alla mia voce.
Io mi sentivo frastornato.
Avevo dato retta a Sara, non l'avevo costretta ad abortire per rispetto, ma io quel bambino non lo volevo proprio.
Mi sforzavo di essere gentile, di non urlarle contro ma la sua voce mi innervosiva. Mi urtava il modo in cui si teneva la pancia che nemmeno si vedeva ancora, mi infastidiva il modo infantile con cui parlava a un mucchietto di cellule che non ci avrebbero capito.

A ogni ecografia ero presente, sempre più controvoglia e sempre più innervosito da tutta quella situazione.

Che padre sarei stato se non era nato e già mi innervosiva vederlo?
Quando avrebbe pianto tutte le notti?
Come avrei fatto?

Dovevo trovare il modo di tirarmi fuori da quella situazione.

Non ero nemmeno riuscito a scriverle.
Tante volte avevo aperto la chat ed ero stato tentato di dirle che avevo seguito il suo consiglio, che avevo lasciato a Ilaria la piena facoltà di decisione del suo corpo, che andavo a vedere tutte le ecografie e che nel mentre mi mancava da morire.

Ma avrei fatto la figura dello stupido.
Stavo per diventare padre e scrivevo a un'altra.
A un'altra che era mia moglie, cazzo.
Ma non era lei la madre del mio bambino.
Che cazzo di casino che avevo fatto.

Mentre ero in quel divanetto basso con Ilaria che, accarezzando la pancia inesistente, mi parlava di culle e carrozzine, decisi di chiederle come mai al terzo mese non accennava neanche un po' a vedersi la pancia.

"Non so, credo sia normale, ho sempre avuto un fisico minuto" mi rispose.

Un fisico minuto.
Probabilmente se avessi visto spuntare un po' di rotondità mi sarei sciolto un po', avrei fisicamente visto lo spazio che occupava mio figlio e magari avrei provato un briciolo di emozione al posto di tutta quella apatia.

Apatia, se mi andava bene.
Qualche volta provavo proprio astio.

Ero quasi certo che si fosse messa incinta di proposito e che il preservativo non si fosse bucato.
Mi aveva intrappolato.

L'aereo aveva fatto ritardo e avevo scritto a Ilaria che sarei arrivato qualche minuto dopo alla visita con il ginecologo.

Entrai in quello studio bianco e asettico che puzzava di disinfettante con un quarto d'ora di ritardo.
In sala d'aspetto non c'era nessuno e sentivo Ilaria e quel medico bisbigliare.

Accostai piano la porta d'ingresso e, di soppiatto, mi misi ad ascoltare quello che stavano dicendo così sottovoce.
Come se una sorta di sesto senso mi avesse avvertito.

Quello che sentii mi fece scattare di rabbia.

Entrai nello studio urlando e ringraziai Dio che non c'era nessun altro in sala d'aspetto.

Traditrice.
Era una sporca traditrice senza scrupoli.

Pov Sara

Mi immobilizzai e tesi l'orecchio.

Pochi metri più avanti c'era Michele che stava urlando contro una ragazza bassina e con i capelli neri.

Senza pensarci due volte affrettai il passo e mi diressi lì.

"Michele!" urlai.
"Ma come ti permetti di urlare così in strada a una donna! Ti si sente da in fondo alla via! Ma non ti vergogni?".

Avevo il fiatone.
Dio, se era maschilista.

Si girò di scatto come se avesse preso la corrente e rimase a bocca aperta per qualche secondo e poi mi rispose scioccato:
"Che diavolo ci fai, tu, qui?" urlando a sua volta.

"Che diavolo ci faccio io? Sono affari miei.
Tu, piuttosto, non ti vergogni a trattare così questa ragazza?
Sei un bifolco maschilista!" lo offesi.

"Dove andavi vestita così?" mi chiese, squadrandomi da capo a piedi.

Che cazzo di domanda era?

"Dio, le donne ti dovrebbero stare lontano" dissi, guardando la ragazza.
"Sei schifoso".

La ragazza mi guardò insistentemente e mi rispose, stizzita:
"Guarda che so difendermi anche da sola!".

La osservai meglio.
Lei mi aveva appena fatto i raggi x.
Mi sa che doveva essere Ilaria, finalmente l'avevo vista.

Parlai un po' più dolcemente:
"Non ne dubito, ma l'ho sentito urlare da in fondo al viale e ho agito d'istinto".

"Ci credo che urlavo!" iniziò a sbraitare lui, come suo solito.

"Sara, tutto okay?" mi chiese Mattia, correndo verso di me con il fiatone.

"Chi cazzo è questo?" mi apostrofò, stringendo i pugni.

Oddio, quando faceva il geloso nonostante lo sapesse che non ero una sua proprietà e potevo fare quello che volevo, mi innervosiva.

"Ma sei scemo?" lo rimbeccai.

Subito dopo sentii Francesca correre qua, esclamando: "Stai calmo, è il mio ragazzo".

Lasciò i pugni, Ilaria lo guardava tremante.

"Tu non stai bene di testa, ti rendi conto di come sei?" dissi, incrociando le braccia e fulminandolo.

Lui si girò verso Ilaria e, con un sorriso cinico in volto, disse:

"Allora, glielo vogliamo dire perché strillavo?".

La vidi sbiancare.

"Stavo dando di matto perché la signorina qui presente" iniziò lui.

"No, Michele, no, non dirlo" lo implorò lei.

"Ah, non lo dico?
Poi passo per come?
Bifolco maschilista?
Beh, la signorina qui presente ha corrotto un medico affinché falsificasse analisi ed ecografie per fingersi incinta. Passato il terzo trimestre, cioè oggi, mi avrebbe detto di aver perso il feto perché mica poteva stare senza pancia per nove mesi!
E poi che cosa avrebbe partorito?
Il nulla cosmico?
Per fortuna sono entrato di soppiatto mentre stavano organizzando tutto.
Oggi mi avrebbe detto, in lacrime, di aver perso il bimbo e se io l'avessi lasciata, avrebbe pagato un avvocato fingendosi depressa e quindi costringendomi a pagare i suoi danni morali alla modica cifra di mezzo milione!" sputò fuori.

Lo guardai a bocca aperta, una cosa del genere non l'avrebbe pensata neanche la peggiore mente contorta.
Era terribile, crudele.

"Chi è il bifolco maschilista da cui le donne dovrebbero stare lontane?" mi disse, guardandomi in faccia.

"Dio, io... giuro che non avrei mai immaginato... è terribile" mi ritrovai a dire.

"Ti basterà chiedermi scusa, bimba" disse lui, soddisfatto.

"Scusa" dissi guardando la ragazza, che dopo avermi guardato male e aver guardato lui, aprì la porta e entrò in quella che doveva essere casa sua.

"Vi lasciamo da soli" esordì Francesca, prendendo a braccetto Mattia. Si avvicinò al mio orecchio facendo finta di darmi un bacio e disse: "Noi siamo al club, ma se puoi, chiarite".

Deglutii e lo guardai.

"Pensi di cavartela solo dicendo un semplice scusa senza neanche guardarmi in faccia?" mi sorrise lui, cinico.

Alzai gli occhi al cielo.
"E va bene, ho sbagliato, ma che ne potevo sapere, ti ho sentito davvero urlare dal parcheggio" dissi, cercando di discolparmi.

"E hai dato per scontato che fosse colpa mia, difendendo lei" disse, inclinando la testa di lato e guardandomi dall'alto in basso.

"Non è un bel modo di fare urlare a una ragazza per strada" ribattei.

"Avevo i miei buoni motivi per essere uscito dai gangheri" sottolineò.

"Forse" ammisi.

"Forse?" mi fece l'eco lui.

"Sì, okay, ce li avevi, sono partita prevenuta" ammisi di nuovo.

Annuì soddisfatto.

"Sono le scarpe del matrimonio quelle?" disse lui, indicandomi i piedi.

Arrossii.
"Sono un guilty pleasure, erano troppo belle per essere lasciate nella scatola".

Risalì con lo sguardo su tutte la gambe, leccandosi le labbra. Stavo per andare a fuoco.

Con me aveva perso il pudore e vedere come si era leccato le labbra mi scatenò ricordi e sensazioni proibiti che avevano a che fare con quella lingua.

Poi mi squadrò il vestito e mi guardò negli occhi:
"Dove minchia andavi vestita così?".

Aveva la voce roca.

"Non sono affari tuoi, ma comunque andavo al club qua dietro" dissi, mantenendo la posizione anche se ero decisamente eccitata.

Mi ero scordata quanto ci facessimo effetto a vicenda.

"Sembri la versione in nero e più sexy di Jessica Rabbit".

Spalancai gli occhi.

"Non era intenzionale" riuscii solo a dire.

"Ed era intenzionale ammazzare tutti gli uomini vedenti del club, invece?" mi disse con voce profonda.

Sentii un brivido.

"Sei esagerato" soffiai.

"Esagerato?
Ti sei vista allo specchio prima di uscire?".

Deglutì, vidi proprio il pomo d'Adamo alzarsi e abbassarsi.

"Mi sembrava un bell'outfit" risposi, vaga.

Adoravo flirtare con lui.

"Un bell'outfit?" mi fece eco con voce strozzata.

"Perché non ti piace come mi sta?" lo provocai.

Avevo subito abbastanza il suo fascino, ci avrei giocato un po' io adesso.

"Mi piace così tanto che in questo momento preferirei vederlo sul pavimento, bimba".

Non pensavo che mi potesse rispondere così diretto da subito.
Mi arrivò una fitta di eccitazione al basso ventre.
Se non fossimo stati in strada, sotto la finestra di Ilaria, gli sarei saltata addosso ora.

"E che aspetti?" dissi, abbassando le ciglia.

Lo volevo anche io, tantissimo.

E ora che non era padre, non avevo intenzione di farmelo sfuggire.

Rimase imbambolato a guardarmi.
"Dici sul serio?".

"Muoviti prima che cambi idea" lo punzecchiai.

Lo guardai sorridere esageratamente e, tirando fuori le chiavi della macchina, la aprì.

Feci per aprire lo sportello del passeggero quando lo sentii prendermi i fianchi da dietro, girarmi e iniziare a baciarmi senza freni.

"Andiamo da me" gli sussurrai.
Quando ci baciavamo eravamo così presi che non avremmo potuto farlo in pubblico.

In macchina mise subito una mano sulle mie gambe, e malizioso si spostava sempre più su.

Lo fermai, mettendoci sopra la mia mano.

"Stai guidando" ansimai.

"Non so se ci arrivo a casa" mi rispose eccitato.

"Non lo so nemmeno io, schiaccia il gas" implorai, stringendo le cosce.

Arrivati a casa, mi schiacciò contro il portone, baciandomi.

"Ti prego" lo supplicai.

Stavo andando a fuoco, se non lo avessi preso entro qualche minuto sarei bruciata per autocombustione.

Mi prese in braccio e gli indicai la mia camera.

Accese la luce e mi sdraiò sul letto venendomi sopra, mi fiondai sulle sue labbra, poi lo morsi e dissi:

"Metti in silenzioso quel cazzo di telefono perché stavolta, se lo sento squillare, lo lancio dalla finestra".

Rise, tirandolo fuori dalla tasca:
"Ti piace farlo violento, piccola?".
"Potrebbe" dissi mentre continuavo a baciarlo.

Mi mise una mano sulla gamba, quelle carezze mi stavano mandando a fuoco, lo volevo da morire.

"Sai, anche le scarpe e le calze sono il mio di guilty pleasure" disse con voce roca staccandosi per guardarle.

Si tolse il maglione restando con la camicia bianca.

Dio, se era bello.

Tirai su una gamba e appoggiai il mio piede con le Louboutin dalla celebre suola rossa proprio sul suo petto mentre lo guardavo con malizia e mi mordevo le labbra.
"Se ti farò fuori questa camicia, mi perdonerai" dissi con la voce più sensuale che avevo.

"Porca troia, tu mi mandi fuori di testa, bimba", stava ansimando. "Potrei venire solo guardandoti in questa posizione".

"Mi serve qualcosa di più concreto" allusi.

Guardai i pantaloni neri diventare sempre più tesi sotto la cintura e bramavo il momento in cui l'avrei sentito dentro.

Mi baciò il piedino e tolse piano la scarpa continuando a baciarlo.

Ero già un lago.

Risalì piano su tutta la gamba, fino alla coscia.

"Forse le ho sognate un po' di volte queste gambe qua" disse con voce profonda.

Sarei potuta venire solo così anche io, mi stava letteralmente adorando.

Arrivato all'altezza delle cosce si staccò facendomi gemere.

La gonna era risalita.

Si tolse la camicia facendomi vedere i pettorali e gli addominali tesi. Stavo sbavando.

Io abbassai la zip del vestito e lo feci scivolare via.

"Sei una dea, lo sai?" disse, ammirando l'intimo bianco.

Il modo in cui mi guardava non era spiegabile a parole.
Era come se fossi tutto il suo mondo.
La cosa più importante che aveva.
Mi venerava, letteralmente.
E me lo esprimeva con ogni sguardo e in ogni modo possibile.

"Anche tu non scherzi".

Mi alzai in ginocchio e lo baciai con la lingua.

Mi tolsi il reggiseno e mi sdraiai.

Lui mi agganciò le calze sfilandole e si tolse i pantaloni.

Guardai i boxer, erano gonfissimi.

Poi mi guardò e, un po' a disagio, disse: "Se facciamo anche i preliminari mi sa che non reggo a...".

Ammiccai: "Abbiamo tutta la notte per fare i preliminari".

Deglutii e prese il preservativo dalla tasca dei pantaloni e ci giocherellò in mano.
"Michele, hai ansia?" dissi, guardandolo negli occhi.
Era così tenero, mi ritrovai a pensare.

"Forse un po', non ti piace a missionario e io lo so fare solo così, e poi non l'ho mai fatto a luci accese" confessò.

"Per provare le altre posizioni abbiamo tutta la notte" lo provocai di nuovo.
Poi dissi, dolce: "magari accendiamo solo la abat-jour?".

Non volevo metterlo a disagio con le mie aspettative.

"Forse è meglio" ammise, sincero.

Spensi la luce e lasciai che l'atmosfera diventasse più soffusa.

Mi venne sopra e iniziai a accarezzargli la schiena mentre mi baciava, mi sfilò le mutandine di pizzo e sfilò le sue.

Ero tentata di guardarlo ma lasciai perdere, stava già morendo d'ansia.

"Posso?" disse lui, guardandomi negli occhi.

Nessuno me l'aveva mai chiesto così.
Mi sentii importante.

"Sì" ansimai.

Non ne potevo veramente più.

Appena lo sentii mi tolse il respiro, stava entrando piano centimetro dopo centimetro e mi ritrovai a dire senza fiato: "Dio, non credo di averne mai preso uno così grosso".

Lo sentii fermarsi dentro.

"E ti piace, bimba?".
Aveva la voce roca per l'eccitazione.

"Da morire" ansimai, appena si mosse un po'.

Iniziò a prendere il ritmo, usciva e rientrava completamente e io ero in visibilio, non avevo mai goduto così tanto e stavo gemendo senza pudore.

Uscì di scatto con il fiatone.
"Dio, ti prego" implorai, non sentendolo più.
Stavo godendo così tanto che lo volevo ancora tutto dentro.

"Aspetta" ansimò lui. "Non voglio venire così, subito".

"Ti prego, lo voglio tutto" mi ritrovai a gemere.

"Dio" disse mentre entrava di nuovo e aumentava il ritmo.

Uscì di nuovo di scatto.

"Michele, ti supplico" mi ritrovai a dire, frustrata.

"Un attimo, bimba" disse mentre mi baciava.

Poco dopo rientrò, i colpi erano decisi e il ritmo era così perfetto che stavo per venire.

"Sto per venire" ansimai.

"Ti voglio vedere" e accese la luce e si tirò ancora più su con i gomiti.

Vedere i muscoli delle spalle e delle braccia così tesi mi diedero il colpo di grazia e mi lasciai andare, urlando in un orgasmo liberatorio. Trenta secondi dopo si lasciò andare anche lui e uscì da me, facendomi rimanere con un senso di vuoto.

Si sdraiò accanto a me, trascinandomi tra le sue braccia e accarezzandomi i capelli.

"Sara?" mi chiamò dolcemente.

"Sì?".

"Quindi stiamo insieme" costatò.

"Se non hai amanti e bambini di mezzo, sì" dissi, dolce.

"Vale lo stesso per te, un altro Leonardo non lo reggo" affermò.

Scoppiai a ridere.
"No, nessun Leonardo.
E nemmeno bambini, mi è finito il ciclo due giorni fa".

Pov Ilaria

Salii in casa dopo aver visto gli sguardi correre tra quei due ma non riuscii a non spiarli dalla finestra.

Finalmente l'avevo vista dal vivo. Avevo visto in faccia la ragazza che me lo aveva portato via. Non l'avrei mai ammesso ma in cuor mio sapevo che fosse bella, ma con quella minigonna e quei tacchi sembrava sul serio una puttana. Anche se quelle gambe erano il sogno di ogni ragazza e anche di ogni uomo. Il modo in cui Michele l'aveva guardata mi aveva fatto venire voglia di prenderla per i capelli. Aveva avuto persino la faccia tosta di urlargli in faccia e lui non le aveva risposto male come avrebbe fatto con me se solo avessi fatto una cosa del genere. Anzi, l'aveva squadrata, voglioso, e le aveva chiesto, geloso, dove andasse vestita in quel modo. Avevo visto proprio un fuoco illuminargli le pupille quando l'aveva vista... erano sguardi talmente intensi che io non riuscivo nemmeno a immaginare cosa si potesse provare. 

Era il mio opposto... da come era venuta verso di noi doveva essere sicura di sé come non avevo mai visto in una donna. Non aveva paura di essere appariscente e teneva testa a un uomo.

L'avevo vista di sfuggita anche al matrimonio. Non ero potuta entrare in chiesa perché non ero invitata ma ero sulla piazza per vedere chi era quella puttanella. L'avevo vista solo di sfuggita, davanti a me avevo tutta la folla degli invitati che mi copriva la visuale, e avevo provato invidia a vedere come lui le tenesse la mano, sorridendo. Quel vestito rosso era inguardabile, eppure lui la adorava nonostante non fosse all'altezza di quel ricevimento. 

Io preferivo, invece, restare in disparte e dire sempre di sì. Mi piaceva il fatto che la mia fosse una qualità rara rispetto alle altre ragazze della mia età e Michele mi aveva apprezzato proprio per quello. Non sarei mai riuscita a essere vistosa e in quella società il mio era un pregio e il suo in difetto... ma ai suoi occhi non era più così.

Ricordo ancora quando in università mi aveva notata. Io lo guardavo dal primo anno... ma non ero l'unica. Tutte ci avevano sperato. Era proprio bello, sempre vestito impeccabile e con una media invidiabile. Era il ragazzo perfetto tanto da sembrare appena uscito da un film eppure sembrava impenetrabile, non sembrava interessato al sesso femminile tanto che qualcuna aveva pure azzardato l'ipotesi che fosse gay. Poi, però, l'avevano visto baciarsi con una ragazza a una delle rare feste in cui andava e avevano capito che non era gay, era semplicemente un ragazzo a cui non interessava la classica botta e via né tantomeno le relazioni approfondite.

Avevamo iniziato a parlare per via di un lavoro di gruppo insieme e da quel momento lui aveva continuato a scrivermi e io, incredula, ero stata al gioco. Mi sembrava un sogno che si avverava.

Avevamo continuato a frequentarci senza intoppi fino a un anno fa. Certo, mi sarebbe piaciuto essere la sua fidanzata ma lui non me lo aveva chiesto e, finché tornava da me con qualche regalino, a me stava bene. Aspettavo tutto il mese la sua chiamata in cui mi avrebbe detto la data in cui ci saremmo visti.

Sapevo che me li portava perché doveva scusarsi di qualche "debolezza", ma i maschi erano così, i miei genitori me lo avevano spiegato bene, e qualche borsetta firmata era sicuramente più appagante di saperlo fedele.

Lo sapevo che lui non fosse interessato a me ma ogni volta tornava e questo mi bastava. Dopotutto nemmeno io sapevo se il mio fosse amore nei suoi confronti, non avevamo mai parlato apertamente né ci conoscevamo sul serio. Non sapevo con precisione che lavoro facesse né quali fossero i suoi interessi, allo stesso modo lui. La nostra era una relazione basata sulle apparenze, come tutte le relazioni di quel rango. A me piaceva l'idea che rappresentava. Mi piaceva l'idea di poter salire sulla sua macchina, l'idea di andare a cena con lui, l'idea di fare una passeggiata vestiti bene in centro, l'idea che mi portasse dei regali, l'idea di poter dire alle mie amiche che uscissi con lui, l'idea di farci sesso e averlo tra le lenzuola.

A me in una relazione bastava quello e lui era semplicemente perfetto. Ero convinta che prima o poi mi avrebbe chiesto di sposarlo e una volta me l'aveva pure detto.

Lui aveva bisogno di una donna come me, di una donna che gli avrebbe fatto fare bella figura in società, che lo avrebbe compiaciuto, che avrebbe perdonato le sue debolezze, che sarebbe stata la perfetta padrona di casa.

E io avevo bisogno di uno come lui, che non mi chiedeva di cambiare e che non pretendeva chissà quali discorsi o abilità astrusi da una donna, di uno che volesse una ragazza pronta a custodire la sua casa e i suoi figli, tranquilla grazie allo stipendio del marito e senza grilli per la testa o manie varie di indipendenza.

Io avrei fatto volentieri la mamma e la casalinga, purché sposassi un uomo con un certo status che mi avrebbe permesso di partecipare alle feste, comprare accessori firmati e avere la facoltà di usare la carta di credito.

I miei genitori me lo avevano detto che sarebbe stato quello il mio ruolo. Mi avevano aperto un piccolo negozio online ma erano stati chiari: a tuo fratello va il diritto di dirigere l'azienda di famiglia, tu dovrai trovarti un buon marito che ti sappia mantenere come una regina, questo è solo un ripiego... non penserai certo di vivere tutta la vita con le entrate di un negozietto? Sarebbe scandaloso, Ilaria.

Lo sapevo bene e Michele era il candidato perfetto... finché non era arrivata quella lì.

Già da un po' aveva diradato le uscite con me, non mi chiamava mai e non si presentava più da me... ma avevo ricondotto il tutto al fatto che magari fosse impegnato con il lavoro e che avesse un'altra donna lì a soddisfarlo. Mi andava bene, sapevo che, con ogni probabilità, succedeva. Non avevo la presunzione di essere l'unica. Tutti gli uomini, mio padre compreso, si toglievano qualche sfizio quando potevano e a noi doveva stare bene così, purché avessimo un anello al dito, la facoltà di usare il loro cognome e il loro conto in banca.

Ma quando avevo saputo dalle mie amiche che si sarebbe sposato mi era crollato il mondo addosso. Non era una ragazza tanto per sfogare gli istinti, era proprio una puttana che me lo avrebbe portato via.

E quando l'avevo chiamato in lacrime, mi ero accorta di quanto ci tenesse.

Poi avevo visto le foto del matrimonio, dopo averla vista di sfuggita in piazza, e mi era salita una rabbia incomparabile. Si capiva perfettamente che non sapesse nemmeno cosa fosse l'etichetta; quel vestito era incommentabile, semplicemente scandaloso e il trucco fuori luogo. Avevo provato piacere a sentire tutte le maldicenze che avevano sputato su di lei, sentendo che aveva abbandonato la festa senza salutare, che era andata all'altare da sola e che aveva guidato la sua macchina. L'ultima informazione mi aveva lasciato di stucco. Michele era talmente geloso della sua Bentley che la trattava come una specie di bambina, la puliva maniacalmente e più di una volta mi aveva rimproverato per aver sbattuto troppo forte lo sportello o per aver lasciato delle manate sui vetri. Nessuno aveva il diritto di toccarla, sarebbe potuto uscire di testa e urlare innervosito senza paragoni. Lei, invece, l'aveva guidata per arrivare al matrimonio. Poi avevo sentito anche una fitta allo stomaco a sentire tutti ammettere che nonostante fosse grezza, era di una bellezza impagabile e che lui l'avesse guardata adorante tutto il tempo, seguendola per le scale quando se ne era andata senza salutare gli invitati.

Avevo realizzato che con lei era diverso. Anche quando mi aveva richiamato, avevo distintamente percepito che io fossi ormai la seconda scelta, un ripiego, un qualcosa da usare per non pensare a quella.

Accettavo il fatto che non mi amasse... l'amore non era importante nella nostra classe sociale... ma non accettavo di essere la seconda scelta di quella sgualdrina.

E nel mio cervello era balenata l'idea che l'unico modo per averlo con me era fare finta di essere incinta.

L'avrei allontanato da lei solo così.

Poi, una volta passato un po' di tempo, avrei fatto finta di perdere il bambino e, se lui mi avesse lasciato, gli avrei chiesto il risarcimento. Ormai non potevo più essere sua moglie, era chiaro... ma mi avrebbe ugualmente mantenuto. Mi sarei accaparrata la parte che mi spettava di diritto dopo essergli stata fedele per tutti quegli anni. Avevo trent'anni, ormai, e i miei coetanei erano sposati. Lui era stata la mia unica scelta e mi ero ritrovata a non poterne più usufruire e i miei genitori non mi avrebbero mantenuto. Se avessi dovuto dargli il dispiacere di avere una figlia non sposata, almeno l'avrei fatto ma con i soldi in tasca che mi avrebbero permesso di vivere dignitosamente senza lavorare.

Inoltre, per un po', mi ero beata di nuovo della sensazione di riaverlo nella mia vita. Veniva da me tutti i week-end e mi trattava con riguardo, accarezzandomi e accompagnandomi in quelle visite che erano finte. Il modo in cui si prendeva cura di me mi piaceva e mi ero ritrovata a pensare che, forse, se quel bambino fosse stato reale ci saremmo anche potuti riavvicinare di nuovo. Mi sarebbe piaciuto passare la vita con lui e averci un bambino sul serio, ma era una finzione che sapevo prima o poi sarebbe finita. Dovevo comunque tutelarmi e fare in modo di vivere dignitosamente e quello era il mio unico modo, ormai. 

Poi, però, era andato tutto storto... lui l'aveva scoperto e mi aveva urlato contro che fossi una sporca traditrice.

L'avevo perso definitivamente.

Li seguii con lo sguardo mentre si avvicinavano alla sua macchina. Lui la baciava contro lo sportello con un trasporto talmente intenso da farmi rabbrividire. Chissà cosa si provava a essere toccata così da lui.

Con me non lo aveva mai fatto.

Avevo perso la mia occasione. Non l'avrei mai saputo cosa si provava a essere baciate in quel modo da quelle labbra perfette che a me davano solo baci occasionali di qualche secondo.

Avrei dovuto cercare un altro appiglio per sopravvivere in quel mondo che già mi vedeva zitella e fallita.

Ero sicura, però, che nonostante non mi avesse mai trattato con riguardo e non mi avesse riservato quella passione... mi sarebbe mancato parecchio.

Non si buttavano via così cinque anni.

Forse, un po', a modo mio, lo amavo. 

Ma l'amore non era importante, e non mi avrebbe salvato dal fallimento che era sopra la mia testa come una spada di Damocle. 

Sperai di trovare un uomo da sposare in fretta... e magari, uno che mi baciasse con lo stesso trasporto che Michele aveva riservato a Sara. Vedere quegli sguardi infuocati correre tra quei due mi aveva fatto venire voglia di provarli anche a me. 

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top