3. Fiori del male
Pov Michele
Il viaggio in aereo fu tranquillo, infilai le AirPods e ascoltai tutta la mia playlist preferita.
Cercai di pensare alla mia situazione e cercai di farlo con occhio critico. Innegabilmente nel giro di una giornata la mia vita aveva subìto un drastico cambiamento.
Per tutta l'infanzia e l'adolescenza ero stato abituato ad avere ogni cosa che io volessi nel giro di qualche minuto... ero l'unico figlio maschio di una coppia ricchissima.
Mio padre aveva saltato di gioia all'idea di aver avuto subito l'erede maschio, non aveva bisogno di altro. Mia madre aveva appagato il sogno di qualsiasi donna per bene, cioè partorire il primogenito maschio.
Ogni mio capriccio era un ordine, facevo tutto ciò che volevo a patto che andassi bene a scuola, e lo studio mi riusciva molto bene.
Borsa di studio alle medie, il più bravo della classe al liceo classico, maturità con 100 e lode, università privata in comunicazione e marketing svolta in maniera eccellente, triennale e magistrale con lode.
Ero cresciuto viziatissimo e con un'idea un po' distorta della realtà, ma tutto sommato non avevo mai incontrato ostacoli; anche fuori dal nido se volevo qualcosa sapevo come ottenerla con la mia parlantina.
Finché era stato letto il testamento e praticamente mio nonno mi aveva dato il peggior schiaffo in faccia che si potesse ricevere... non che ne avessi presi tanti, però di sicuro mi aveva fatto sentire umiliato e debole.
Ero abituato al potere, a disporre pienamente senza limiti di ciò che avevo e ora mi ritrovavo a dover dipendere da qualcuno per avere ciò che mi aspettava di diritto e, oltre il danno anche la beffa, il mio patrimonio dipendeva da una donna che non voleva neanche saperne di me.
Io che ero abituato a vedere l'altro sesso come me lo aveva descritto mia madre, cioè un mix di falsità e ipocrisia, ora avevo il futuro letteralmente nelle mani di una ragazza che incarnava tutto l'opposto di quello che io pensavo.
Mamma mi aveva cresciuto dicendomi che le ragazze dovevano stare un passo indietro, non intralciare gli affari del marito, non parlare troppo, dire sempre di sì, essere sempre disponibili, non essere un peso... e che io, per avere una donna così, avrei dovuto coccolarle un po' perché niente deriva dal niente.
Era questo il mio ideale di donna.
E trovare Ilaria era stato come aver trovato una perla rara. All'università erano tutte troppo libertine, andavano in discoteca e bevevano troppo... o se non bevevano, erano le classiche ragazze definibili topi di biblioteca, troppo colte per accettare di stare un passo indietro.
Ilaria invece era carina, modesta, non troppo sveglia, non amava le feste, non voleva bere e aspettava solo il principe azzurro con la macchina costosa per essere salvata e ricompensarlo con la devozione, a patto di ricevere regalini ogni tanto.
Spesso mi ero chiesto come mai si fosse iscritta all'università, non le piaceva particolarmente la vita sociale e lo studio non le riusciva troppo.
Si era laureata due anni dopo di me, il che significava che aveva frequentato l'università per sette anni, e che i genitori avevano di conseguenza sborsato settantamila euro.
Non avrei mai speso diecimila euro all'anno per dei risultati scadenti se fossi stato suo padre.
Insomma, a lezione stava lì a fare la bella presenza, ma non veniva molto calcolata perché sembrava un po' altezzosa e non le piacevano le feste.
Per me era perfetta, invece.
Non aveva abbastanza cultura da tenermi testa.
Era molto meno di me e non mi faceva sentire a disagio.
Si beveva ogni singola stronzata che le rifilavo quando non la volevo sentire.
Mi aspettava ogni volta e non scompariva mai a patto di ricevere regalini.
Non faceva troppe domande, parlava poco e mi diceva sempre di sì.
Non avevo paura che potesse trovare altri uomini perché non lavorava a contatto con il pubblico.
Il padre le aveva aperto un piccolo negozio di bigiotteria online.
Dubitavo che avesse entrate cospicue, ma i genitori potevano mantenerla.
E poi il fatto che avesse meno soldi di me mi tranquillizzava, avevo ancora una volta avevo io il coltello dalla parte del manico con lei.
Tutte quelle porcherie romantiche non mi interessavano granché, ero più un tipo pratico nelle relazioni.
Invece, mio nonno, aveva scelto per me una donna che guidava come un pilota di formula uno, che rispondeva male a mio padre, che viveva da sola, che andava all'università e probabilmente era pure brava e che per giunta aveva otto anni meno di me.
Ripensai al suo fisico, al suo viso, al suo profumo.
E realizzai che nonostante fosse il contrario di ciò che volessi, era di una bellezza fuori dal comune e il fascino che emanava probabilmente mi aveva un po' ammaliato.
Non mi piaceva, razionalmente, il potere che minacciava di avere su di me.
Di solito nessuna donna mi faceva effetto fisicamente, nemmeno le super top model.
Avevo imparato a controllarmi per non cedere a certi impulsi.
Far vedere a una donna che aveva potere su di te significava darle in mano qualcosa con cui attaccarti e rigirarti.
Ripensai alla cintura che avevo comprato.
Gliel'avrei dovuta portare.
Dovevo corteggiarla se volevo i miei trenta milioni.
Scesi dall'aereo e mi diressi nel mio appartamento con il taxi. Appena atterrato misi in funzione il numero olandese e trovai dieci chiamate di Aby.
Stava decisamente diventando troppo pesante per i miei gusti.
Il telefono squillò di nuovo e risposi scocciato:
"Spero per te che sia importante" tuonai.
"Tesoroo! Non ti sentivo da una settimana" squittì lei con voce dolce.
"Non ho avuto tempo" tagliai corto.
"Nemmeno per un saluto?" mi rimbeccò con tono dispiaciuto.
"Lo sai che ho da fare" sottolineai brusco.
"E adesso ti sei liberato?" chiese lei speranzosa.
"Adesso sono stanco" ribattei.
"Dove sei?"
"Non mi piacciono tutte queste domande, Aby" tuonai.
Silenzio dall'altra parte. Forse avevo esagerato.
"Mi faccio sentire io presto, buonanotte" e riattaccai.
★······★······★
Il week end mi presentai da lei e per farmi perdonare la portai a pranzo fuori.
Salì nella macchina che avevo affittato. Aveva un maglione beige, i pantaloni neri pesanti e i capelli biondi raccolti in due trecce.
"Hai cambiato macchina?" mi chiese.
Mi sforzai di non risponderle male:
"No, la mia l'ho lasciata in Italia".
"Perché?"
"Non sono cose che ti riguardano, mi stai facendo troppe domande" sibilai indispettito.
Silenzio.
No, non avevo avuto buon occhio con lei, all'inizio era impeccabile, ora si stava espandendo troppo.
Mi segnai mentalmente che oggi sarebbe stato il nostro ultimo appuntamento.
Non avevo bisogno di rogne, ne avevo già una enorme da strecciare in Italia.
★······★······★
La settimana passò abbastanza in fretta, era l'ultima di settembre e il ventuno era stato il mio compleanno, avevo ricevuto gli auguri dei miei genitori e di un paio di amici, per il resto l'avevo passato in ufficio a lavorare e la sera mi ero preso una pizza d'asporto buttandomi sul divano a vedere un film.
Ogni tanto mi ero ritrovato a prendere quel pacchetto di Vuitton in mano, sovrappensiero.
In che diamine di guaio mi stavo cacciando?
Venerdì mattina presi l'aereo per Roma, recuperai la mia macchina al parcheggio e feci un giro panoramico della città.
Avevo posizionato il regalo dentro il bagagliaio. Non aveva senso portarlo ad Amsterdam con me di nuovo.
Mi ritrovai a guardare Roma dall'alto in una terrazza panoramica.
Nonostante fosse ormai ottobre, si stava benissimo a mezzogiorno.
Mi era sempre piaciuta come città, probabilmente era la mia città preferita al mondo e viverla per cinque anni a pieno era stato un privilegio.
Forse sarei dovuto tornare a casa dai miei, o avvertire Ilaria che ero in città.
Subito dopo, come se guardare il Colosseo dall'alto mi avesse ispirato, inforcai la macchina e mi diressi a prendere la tangenziale verso l'Umbria.
Inizialmente abbassai a tavoletta l'acceleratore, poi rallentai a una velocità più umana.
Non avevo fretta, era solo mezzogiorno e mezza, sarei arrivato lì per le tre e mezza e forse era troppo presto.
E poi volevo prolungare il viaggio per schiarirmi un po' le idee.
Passato il confine con il Lazio mi godetti il panorama, le colline verdi mi mettevano pace.
Accostai su una piazzola di sosta per decidere dove mangiare.
Facendo una piccola deviazione mi fermai ad una trattoria a conduzione familiare dove mangiai una pasta al tartufo ottima, indugiai sul piatto e presi pure il dolce e il caffè per ingannare il tempo.
Si erano fatte le tre e mancavano ancora due ore di strada, obbligai il mio cervello a risalire in macchina.
I chilometri scorrevano veloci e i miei pensieri pure.
Lo dovevo fare.
Dovevo andarci.
Il tempo sembrava molto, ma non sapevo se sarebbe bastato un anno a convincerla.
E poi più aspettavo e più mi veniva ansia.
Come si dice? Via il dente via il dolore?
Una volta superato il primo scoglio poi sarebbe stata in discesa, no?
Cercavo di convincermi da solo, ma non mi sembrava molto rassicurante il mio discorso.
Mi sarei presentato a mani vuote?
Avrei fatto una figuraccia.
E poi che scusa avrei avuto per presentarmi sotto casa sua? La cintura, d'un tratto, mi sembrava off limits... la scenata a casa dei miei era stata abbastanza eloquente, dei soldi non voleva saperne e un regalo da mille euro non mi sembrava più una buona idea.
Magari abitava persino con i genitori e che diamine gli avrei detto?
Che ero venuto lì perché volevo sposare la figlia per soldi?
Chissà se glielo aveva detto.
Poi pensai che, magari, se avesse avuto un padre o una madre, non si sarebbe presentata da sola alla lettura del testamento.
Potevamo anche essere dei serial killer.
Aveva avuto le palle.
Dovevo pensare a cosa portarle.
I fiori mi sembravano scontati, non mi sembrava una tipa da fiori.
Subito dopo mi resi conto che non potevo sapere se fosse una tipa da fiori o meno, l'avevo vista soltanto mezz'ora. Quindi sì, i fiori andavano bene, era un regalo classico.
Che tipo di fiori?
Forse avrei optato per qualcosa di particolare, forse un bouquet lilla, il rosa mi sembrava troppo stereotipato.
Non mi ero mai fatto tutti questi problemi, di solito mi limitavo a pagare il fioraio che avrebbe scelto per me, però sapevo che di solito i miei regali erano graditi, questo probabilmente non lo sarebbe stato e quindi necessitava di più attenzione.
E come glieli avrei dati?
Probabilmente se avessi detto il nome e mi avesse riconosciuto non mi avrebbe fatto entrare.
Avrei potuto dire di avere un pacco per lei e costringerla a scendere per ritirarlo, oppure avrei chiesto se potessi salire.
Sì, forse era meglio così, avrei chiesto di salire per consegnarlo, come se fossi il postino.
Mi fermai a comprare i fiori e scelsi dei fiorellini lilla, viola e in mezzo qualche rosa bianca.
Mi sembrava un mazzo delicato ma al tempo stesso molto particolare.
Girai per ben quattro volte di fronte al suo palazzo senza vedere la sua macchina.
Stavo morendo di ansia e probabilmente sembravo un coglione da fuori.
O uno stalker.
Forse avevo fatto una cazzata, magari non era in casa o aveva da fare e io avevo pure comprato dei fiori come un cretino.
Guardai quel mazzetto appoggiato sul sedile in pelle chiara.
Se fossi stato una donna mi sarebbe piaciuto.
Ma tanto non era in casa. E forse era meglio così.
Stavo tornando indietro scoraggiato quando nella direzione opposta alla mia vidi arrivare, abbastanza velocemente, una lancia ypsilon blu.
Aguzzai lo sguardo e, bingo! Era lei!
Sorrisi al destino, mi infilai in una stradina laterale aspettando qualche secondo cosicché non si accorgesse di me e, facendo un inversione, mi ributtai sulla strada principale.
Arrivai fino a casa sua e, colpo sfacciato di fortuna, di fianco a lei c'era un posto vuoto e mi ci infilai con una manovra sola.
Feci un bel respiro profondo.
Ero lì.
Stava andando meglio di come avessi pianificato, non sarei dovuto fingermi il postino.
Uscii dalla macchina tenendo in mano i fiori e guardai nella sua direzione.
Lei stava armeggiando con la borsa, poi alzò lo sguardo perché si sentiva osservata.
Appena mi riconobbe, spalancò gli occhi e uscì di scatto:
"Come cazzo fai a sapere dove abito? Mi stavi seguendo?" mi accusò facendo il giro della macchina e mettendosi davanti alla mia.
Che caratterino, pensai per la milionesima volta.
"Di solito si saluta prima" la provocai.
"Salutare? Non ci penso neanche! Dimmi come diavolo fai a sapere dove abito!" urlò.
"Ho i miei metodi" risposi pacato.
"Te l'ha detto quell'imbecille dell'avvocato? Non lo sa che i dati sono personali e, fino a prova contraria, privati? Dove l'ha presa la laurea? Al discount?" urlò.
Scoppiai a ridere. Cazzo, che lingua lunga che aveva.
"Che cazzo ridi?" mi apostrofò.
"Hey, calmati! Ti ho portato questi" dissi allungandole il mazzo di fiori.
"Non li voglio i tuoi cazzo di fiori" sbraitò.
"Di solito alle donne piacciono".
"Vai a regalarli a chi li gradisce allora".
"Eppure li ho presi per te" mi ritrovai ad ammettere.
"Ti sto dicendo che non sono graditi" disse incrociando le braccia al petto.
"Perché?".
"Perché non li voglio da te".
"Saraa" sentii urlare dal terrazzo, "tutto okay?".
E vidi affacciarsi due ragazze.
"Le volevo solo regalare dei fiori e mi ha urlato addosso" dissi rivolto a quelle che, probabilmente, erano le sue amiche.
"Tu sei completamente fuori di testa" mi rispose, "ti presenti a casa mia sapendo benissimo di non essere gradito, invadi la mia privacy e io dovrei accettare i tuoi fiori?".
"I regali si accettano sempre".
"Ma non credo proprio, non voglio niente da te e questo stupido mazzetto non riuscirà a corrompermi".
"Non ti volevo corrompere". O forse sì.
"Ah, no? Forse mi sono confusa con l'altro milionario che ha l'obbligo di sposarmi per ereditare la fortuna. Sai? Ho la fila per queste cose io" ribatté piccata.
Sbuffai infastidito.
"E va bene".
Lasciai i fiori sul marciapiede, ripresi la macchina e me ne andai.
Dove cazzo l'aveva trovata mio nonno una con un caratterino del genere?
Dallo specchietto retrovisore vidi che aveva lasciato i fiori sul marciapiedi e aveva sbattuto la porta d'ingresso. Diamine, se era tutta pepe quella ragazza.
Pov Sara
"Ma come cazzo si permette a venire sotto casa mia?
Ma vi rendete conto? Che arrogante".
"Ma poi che faccia tosta!
Si è persino presentato con i fiori e si è offeso perché non li ho presi!
Roba da matti".
"Non ho parole!
Ma che cosa avrò fatto di male a quel vecchio per avermi infilato in una situazione simile!
Ma poi neanche lo conoscevo, mi dici per quale motivo dovrei sposare il nipote?
Non poteva semplicemente lasciargli l'eredità senza mettere in mezzo gli altri come fanno tutti?"
"Pff, pensava di corrompermi con dei fiori.
Non so a che tipo di donne è abituato lui ma non saranno le sue cazzate a farmi cedere.
Al diavolo lui e i suoi cazzo di soldi".
Continuai il mio monologo alterato senza ricevere risposta, sapevano che quando ero su di giri era meglio non mettere benzina sul fuoco.
Ero così nervosa che stavo girando dalla mia stanza al salone in un loop infinito da venti minuti, mi dovevo sbollentare, non avevo mai ricevuto un affronto simile.
Si era presentato a casa mia.
Così.
Di botto.
Senza neanche salutare.
Senza neanche avvertire.
Almeno avrebbe potuto approcciarsi in un modo diverso.
Che ne so?
Innanzitutto chiedermi scusa da parte del nonno per avermi messo in quella situazione.
E invece no.
Si era presentato con dei fiori.
Che diamine pensava di fare?
Pensava di sciogliermi?
Che arrogante.
Non avevo mai conosciuto uno così tanto pieno di sé.
Per me poteva andare all'inferno.
Lui.
La sua macchina.
I suoi fiori.
E i suoi soldi.
Nel mentre Giulia era andata a recuperare i fiori e Francesca mi osservava seduta sul divanetto.
"Devi ammettere, però, che è un figo da paura e ha una macchina da capogiro" mi disse Francesca dopo un silenzio di cinque minuti.
"Stai fuori di testa anche tu?" risposi piccata.
Non avevo parole.
Non mi sarei mai e poi mai prestata a quel gioco sadico e non mi sarei sottomessa a lui per avere dei soldi che non volevo.
"E i fiori sono il bouquet più particolare che abbia mai visto, si è impegnato per sceglierlo e portartelo" rincarò la dose Giulia.
"Fatemi capire, lo state difendendo?". Le guardai a bocca aperta.
Mi stavano tradendo anche loro?
Possibile che fossi l'unica a riconoscere quel meccanismo malato?
Era ovvio che avesse tentato di corrompermi con dei fiori ricalcando lo stereotipo della donna che, sciolta da un po' di premure, si lasciava andare al principe azzurro.
Uno che si comportava così con le donne mi doveva stare a milioni di chilometri di distanza.
"No. Comprendo che sia umiliante leggere nel testamento una cosa simile e essere trattata come una semplice pedina nella scacchiera di qualche ricco che si annoia" iniziò a giustificarsi Giulia.
"Ecco" sottolineai.
"Ma..."
"Ma?" guardai Giulia, allibita.
"Magari dagli una possibilità".
"Siete ufficialmente uscite di testa" urlai disperata.
"Se è così ricco non gli sarebbe mancato modo di obbligarti a fare una cosa simile, se sta provando a convincerti con le buone magari non è così stronzo" azzardò Giulia.
"Se è ricco, è per forza stronzo e arrogante" sottolineai sconvolta.
Mi rinchiusi in camera esterrefatta dalla situazione.
Pensavo di essermelo tolto di torno dopo aver battibeccato con il padre e invece me lo ero trovato sotto casa con i fiori.
Fiori che, effettivamente, erano molto belli, non li avevo mai visti in giro.
Sperai davvero che il mio atteggiamento scontroso lo avesse fatto desistere.
Dovevano trovare un modo per prendere i soldi senza tirarmi in mezzo.
Mi stava sui coglioni.
E non l'avrei sposato.
Mai.
Nemmeno fosse l'ultimo uomo sulla faccia della terra.
Mi addormentai subito dopo ma non passai una notte tranquilla.
★······★······★
La sveglia delle sette e mezza non era legale.
Avevo i capelli completamente bagnati di sudore, avevo sognato tutta la notte ma non ricordavo niente.
Mi buttai sotto la doccia e sperai che l'acqua calda facesse scorrere via quella sensazione che mi sentivo addosso.
Mi vestii con i leggins, una canottiera di raso sotto e una camicia da uomo legata corta in vita, era quella la divisa per il lavoro oggi.
Mangiai velocemente una merendina mentre mi truccavo, diedi un ultimo sguardo a quei maledetti fiori e afferrai il pranzo dal frigo.
Il lavoro scorreva abbastanza tranquillo, di sabato c'era molta più clientela e si vendeva di più quindi serviva un po' più d'impegno, ma tutto sommato mi serviva per staccare la testa dai pensieri. Nei momenti in cui non entrava nessuno la mia testa andava a finire sempre lì e mi innervosivo per la sfacciataggine che aveva avuto.
Il sabato sera come al solito uscivamo.
Avevo voglia di divertirmi e non pensare.
Forse esagerai un po' troppo con l'alcool perché alle due di notte mi vennero a prendere le mie amiche e mi portarono a casa quasi di peso.
Se non avevo la mente occupata mi innervosivo per quella situazione più grande di me.
★······★······★
La mattina dopo avrei iniziato a lavorare all'ora di pranzo; mi svegliai alle dieci e mezza con la sveglia che mi martellava nelle orecchie e la testa che mi pulsava.
Mi alzai dal letto, presi una pastiglia scolandomi mezza bottiglia d'acqua e mi buttai di nuovo in doccia.
Uscita dal bagno stavo un po' meglio e, con ancora l'asciugamano avvolto sul corpo, andai in cucina per mangiare.
"Ti sei divertita ieri sera?" mi domandò Francesca.
"Credo di sì, dopo una certa non mi ricordo più niente".
"Non erano molto bravi se non ti ricordi niente allora" e scoppiò a ridere.
"Dio, non ridere così forte... ma poi chi?" chiesi senza capire.
"Mi sa proprio che erano in due, Sara" sorrise maliziosa lei.
Porca troia, non ricordavo niente.
"Può essere" dissi cercando di sforzarmi per ricordare qualcosa.
Poco dopo mi venne in mente qualche flash della serata, e sì, erano due nel parchetto fuori dal centro.
Peccato, avrei preferito essere più lucida.
Mi preparai di nuovo per andare al lavoro, la domenica era paradossalmente più tranquilla e, con il mal di testa che avevo, era un bene.
Pov Michele
Per tutto il tragitto in macchina alternai momenti in cui ero così nervoso da sbattere le mani sul volante a momenti in cui mi lasciavo andare a una risata isterica.
Nessuna mi aveva trattato così.
Anzi, nessuno in generale si era mai permesso di urlarmi addosso.
Mi aveva dato un bel due di picche.
E ci ero rimasto male.
Il mio orgoglio e il mio ego non erano abituati a certi trattamenti.
Di solito facevano la fila per essere calcolate da me.
Era assurdo, mi ero impegnato a portarle dei fiori e mi aveva letteralmente insultato e aveva lasciato i fiori sul marciapiede.
Li avevo scelti quei dannati fiori. Mi ero pure fatto dei problemi su come comprarli e come portarglieli. Non avevo mai avuto un pensiero del genere con altre donne.
Eppure mi aveva fatto uno strano effetto, normalmente se qualcuno si fosse azzardato a mancarmi di rispetto così avrei risposto per le rime, non mi mancavano né il coraggio né le parole taglienti.
Sapevo rimettere al loro posto le persone, con Ilaria e Aby lo facevo in continuazione quando mi facevano domande che mi innervosivano.
Lei mi aveva proprio insultato e io ero rimasto zitto e questa era la cosa che mi rendeva ancora più nervoso, non ero riuscito a risponderle.
Solo vederla uscire dalla macchina così incazzata e vederla venire davanti alla mia mi aveva, in qualche modo, mandato su di giri, il suo caratterino mi infastidiva ma era innegabile che mi stuzzicasse.
Appena si era avvicinata avevo sentito il suo profumo e mentre mi stava urlando contro io l'avevo guardata un po' troppo e quel profumo mi aveva mandato fuori di testa.
Quei jeans chiari le stavano divinamente e la maglietta bianca fasciava alla perfezione quel corpo statuario, per non parlare di quegli smeraldi che, se avessero potuto, mi avrebbero incendiato.
Dovevo ammettere, a malincuore, che fisicamente mi faceva andare al manicomio, ma tutto svaniva se ripensavo a quanto fosse acida nei miei confronti.
Sbuffai ancora una volta, non sarebbe stata un'impresa facile domare quella pantera, ma avevo tempo fino a settembre, quindi ben undici mesi.
Ero all'uscita di Roma, sarei potuto andare da Ilaria, ma non ne avevo nessuna voglia.
Mi diressi a casa, era anche tardi.
Prima di sdraiarmi mi versai un po' di rum per calmare i nervi.
Mi addormentai subito.
Mi svegliai di soprassalto alle quattro di notte madido di sudore.
L'avevo sognata.
Avevo sognato il litigio che avevamo avuto, io che l'avevo sbattuta contro la mia macchina tentando di baciarla, lei che voleva liberarsi da me, io che la tenevo ferma perché volevo prenderla a tutti i costi, lei che si dimenava sempre di più e io, che per stringerla, le facevo male fino a farla urlare.
Avevo sognato di volerla prendere con la violenza e la cosa mi spaventava, non farei mai una cosa del genere a nessuno, eppure nel sogno ero eccitatissimo a saperla vicino al mio corpo, e forse lo ero anche adesso.
Dio, che schifo.
Probabilmente era il rum e l'umiliazione ad avermi fatto sognare una cosa del genere.
Decisi di farmi una doccia ghiacciata.
Eppure anche sotto la doccia continuavano a passarmi per la testa le immagini di lei che urlava, delle sue labbra sulle mie, di come avrei, forse, voluto sbatterla contro la mia macchina per zittirla.
La mattina dopo non ero freschissimo, nonostante ciò decisi di allenarmi per scaricare la tensione.
Comprai il biglietto per tornare ad Amsterdam e dopo pranzo mi avviai verso l'aeroporto.
★······★······★
Tutta la settimana mi rinchiusi letteralmente in ufficio. C'era parecchio lavoro da fare e la cosa fu una benedizione perché da solo a casa, la sera, ripensavo a quel maledetto sogno e a come avrei dovuto ammettere a me stesso che nonostante l'avessi vista solo due volte mi eccitava.
E il fatto di non riuscire a controllare il mio corpo mi faceva paura.
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